La "zattera" di Mozia di Luisa Maria Famà

 

 

Motya di Romualdo Giuffrida

 

 

Mozia come la conobbi di Benedikt S. J. Isserlin

 

 

Joseph Whitaker e la coltura dell'agave sisalana in Sicilia di Rosario Lentini

 

 

La Famiglia Whitaker di Vincenzo Tusa

 

 

Joseph Whitaker e Mozia di Vincenzo Tusa

 

 

Il Museo "Giuseppe" Whitaker a Mozia di Rosalia Camerata Scovazzo

 

 

 

 

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Mozia in una foto aerea del 1940

 

 

 

 

 

 

 

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Mozia vista dall'alto

 

 

 

 

 

 

 

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I Whitaker all'imbarcadero per Mozia (In primo piano Delia Whitaker, seguita da Giuseppe Lipari Cascio)

 

 

 

 

 

 

 

 

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La barca che conduceva Whitaker sull'isola di Mozia (la seconda foto reca sul retro un appunto di J. Whitaker)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Mozia vista dallo Stagnone (inizio '900)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Punto di attracco a Mozia agli inizi del '900

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Parte nord di Mozia con, sullo sfondo, l'isola di S. Maria)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La casa dei Whitaker a Mozia, come scrive J-I.S. Whitaker sul retro della foto, in lingua inglese, prima della ricostruzione (primavera del 1907)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La casa dei Whitaker a Mozia dopo la costruzione della torretta (vista da varie angolazioni)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La casa dei Whitaker a Mozia in una foto recente

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La casa dei Whitaker (a destra) e il museo di Mozia (a sinistra)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La chiesetta di Mozia (nella foto Giuseppe Lipari Cascio)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Vittorio Emanule III in visita ai Whitaker a Mozia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il molo di Mozia in occasione della visita di re Vittorio Emanule III

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Approdo a Mozia di Joseph Whitaker (al centro)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Joseph (in piedi nella foto sopra) e Tina (in piedi nella foto sotto) a Mozia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Delia e Norina Whitaker a Mozia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Delia e Joseph Whitaker a Mozia negli anni trenta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Antonio Salinas a Mozia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Delia Whitaker e il colonnello Giulio Lipari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Un carro agricolo - scrive G. Whitaker sul retro della fotografia, in lingua inglese - in procinto di tornare da Mozia sulla terraferma lungo l'antica strada sommersa, le cui fondamenta si trovano ora sotto la superficie della laguna. La strada è lunga 1200 mt., l'acqua raggiunge una profondità massima di tre piedi.

 

(tratto da Mozia, Una colonia fenicia in Sicilia, di J.I.S. Whitaker)

PARTE I

CAPITOLO I

MANCANZA DI TESTIMONIANZE STORICHE SU MOZIA-FENICIA E I FENICI

A causa della grande scarsità di testimonianze storiche riguardanti il periodo in cui esistevano colonie fenicie in Sicilia, poiché la nostra, conoscenza su quegli insediamenti è per conseguenza, estremamente limitata, ogni tentativo di scrivere quella che si potrebbe chiamare a pieno titolo una storia di Mozia, sarà necessariamente realizzato con estrema difficoltà e, tutt'al più, temo che non possa che conseguire un successo limitato. E' impossibile tracciare una storia completa di Mozia perché, invero, non si può fare niente di più che raccogliere ed unire assieme notizie frammentarie che riguardano questa colonia e che ci sono state trasmesse dai primi storici, integrando le scarse informazioni con le notizie che siamo stati in grado di raccogliere per induzione attraverso gli scavi che sono stati recentemente intrapresi e che si stanno eseguendo nel sito dell'antica città.

Prima di parlare di Mozia, forse non è fuor di luogo, a beneficio di coloro che non sono edotti della storia dei Fenici, dire qualcosa su tale interessante popolazione che ha fondato una colonia un tempo importante e prospera, e soffermarsi sulla patria di origine da cui salparono gli intrepidi navigatori ed avventurosi colonizzatori che per primi approdarono sulle spiagge della Sicilia che allora era poco conosciuta, in una data probabilmente non anteriore ad oltre 28 secoli fa.

Spero che questo breve profilo della Fenicia e dei Fenici, insieme ad alcune notizie sulla Sicilia e i suoi primi abitanti permetterà una più chiara comprensione di ciò che si dirà in seguito, e contribuirà a rendere la storia di Mozia un po' meno incompleta di quanto altrimenti sarebbe; ma, sfortunatamente, anche qui ci troviamo di fronte ad una deplorevole mancanza di testimonianze storiche, particolarmente quelle lasciateci dagli stessi Fenici. Così siamo costretti a dipendere dalle scarse informazioni contenute nei pochi documenti e nelle iscrizioni che sono sfuggite alla distruzione oltre che nei resoconti superficiali e probabilmente non sempre attendibili che ci sono stati dati dagli scrittori di altre nazioni con cui i Fenici ebbero rapporti.

Si può osservare qui che il solo Fenicio dei cui scritti ci sono pervenuti frammenti è Philo di Biblo che visse verso la fine del I secolo dopo Cristo e scrisse in greco. Egli dichiara, comunque, che ciò che riferisce nella sua cosiddetta Storia Fenicia è stato tradotto dalle opere del più antico scrittore fenicio Sanchoniathon, che nacque a Tiro o a Berito, pochi anni prima della guerra di Troia e che aveva scritto nella sua lingua nativa una storia, in nove libri, della teologia e degli eventi del suo paese e degli stati vicini.

Come scrittore Philo di Biblo non ha una buona reputazione sia per la forma che per la sostanza del suo lavoro; ma un bel po' di ciò che ci dice, sebbene fantastico ed inattendibile, è singolare ed in una certa misura istruttivo: la descrizione che ci dà delle origini del mondo, è particolarmente interessante per la novità della sua concezione. Come storia, comunque, l'opera di Philo non è di grande utilità: invero è più mitologica che storica.

A parte ciò che è detto sulla Fenicia ed i Fenici nella Bibbia, la nostra prima fonte di informazione su questo argomento è Erodoto, il Padre della storia, cui siamo debitori di molte delle nostre conoscenze su quel paese e la sua gente. Si possono ricavare informazioni anche dagli estratti degli Annali Tirii di Giuseppe, da Menandro di Efeso ed anche dall'epitome di Giustino di Trogo Pompeo; ma a parte queste eccezioni, si apprende ben poco dagli scrittori antichi.

Può forse apparire strano a prima vista che uno Stato il quale un tempo occupava la posizione che indubbiamente la Fenicia aveva, costituita da un popolo naturalmente astuto ed intelligente e, soprattutto molto pratico, abbia lasciato così poche tracce dietro di sé. A parte la mancanza di testimonianze storiche documentarie, sfortunatamente nel luogo un tempo abitato dai Fenici ivi rimane relativamente poco a portare in alcun modo testimonianza della loro presenza per così tanti secoli. Anche ammettendo che altri abbiano prodotto alcun'opera letteraria ed il fatto che ad ogni modo questa era limitata soprattutto ad atti commerciali e ad iscrizioni religiose o epigrafi, ci saremmo lo stesso aspettati di imbatterci in qualcosa di più che potesse informarci su questa gente e sulla sua storia. Altre occupazioni e le successive generazioni che si sono stabilite in quella terra hanno, comunque, spazzato via la maggior parte di ciò che i Fenici avevano prodotto durante la loro epoca, e oggi non rimangono che poche tracce di quelle che per un periodo tanto lungo sono state annoverate tra le popolazioni più importanti del tempo.

Nessun retaggio di arte antica ha probabilmente sofferto di più ad opera delle generazioni successive di quanto è accaduto alla Fenicia e, come è stato osservato da Renan (1), tra tutti i monumenti antichi, quelli dei Fenici hanno subito le maggiori distruzioni. Greci. Romani, Bizantini e Maomettani hanno singolarmente ed insieme, a turno, contribuito all'opera di distruzione, demolendo gli antichi edifici ed utilizzandone il materiale per nuove costruzioni. In taluni casi, forse, sono da biasimare le credenze religiose o le superstizioni perché si pensò forse che i monumenti fenici fossero indegni di continuare a rimanere in piedi.

Non ci può essere dubbio sull'importanza di un tempo della Fenicia, specialmente come potenza marinara, sebbene non si può fare a meno di pensare che essa non ha sfruttato appieno la posizione che aveva raggiunto allora. Piccola per quanto fosse, non pare che la Fenicia sia stata mai un paese unito, con una base solida; essa era frantumata in molti territori separati, indipendenti tra di loro e soggetti a continui cambiamenti con conseguenze dannose prevedibili. Pare che si richiedesse ad ogni città o colonia di agire per se stessa e che quindi spesso, in momenti necessità, questa abbia dovuto affrontare i propri problemi da sola come meglio potesse. Sembra che era diffusa una completa mancanza di unità e di confederazione e tale difetto non era limitato alla sola madre-patria, sibbene esteso pure alla maggior parte delle sue colonie. A queste condizioni e con questa mancanza di una egemonia vera e propria, pare che la Fenicia, sin dai suoi primi giorni, l'antica Fenicia, come possiamo chiamarla, non abbia mai potuto consolidare del tutto la sua posizione e raggiungere il livello che avrebbe potuto e dovuto tra le nazioni del suo tempo. Sebbene indubbiamente grande da un punto di vista commerciale, invece dal punto di vista politico non divenne mai uno stato potente, né mantenne un esercito capace di difenderla contro altrui mire, ma fu costretta a sottomettesi ad una potenza dopo l'altra in successione.

Il compito di portare avanti ciò che l'antico paese non era riuscito a fare fu affidato alla sua discendenza, gli uomini della Città Nuova, alla grande Cartagine che rappresentò la Fenicia nell'ultimo periodo; e Cartagine, adottando metodi dei tutto diversi e avendo successo, degnamente compì la sua missione e divenne infine la potenza più grande del periodo.

Cartagine, anche se non tentò di estendere i suoi possessi intorno alla città, esercitò un dominio ed una autorità non solo sulle sue colonie e su quelle dei più antichi Fenici, ma anche su popoli stranieri caduti sotto la sua influenza; li sfruttò secondo quanto potesse pretendere o li aiutò in caso di loro necessità. Verso le colonie un tempo indipendenti dell'antica Fenicia, anche se si trattava solo di uno Stato-sorella, assunse saggiamente il ruolo di madrepatria, un ruolo che l'antica Fenicia non aveva mai ritenuto conveniente adottare se non di nome. In merito a ciò e ad altri fattori, Cartagine seguì una politica del tutto diversa da quella della sua madrepatria e per prima, grazie alla sua forma di governo altamente sviluppata, seguì una linca,originale che infine la elevò a quella grande ed unica posizione che occupò nella storia del mondo.

I Fenici, anche se ritenuti da alcuni etnologi di origine camitica e consanguinei degli Egiziani, da alcune voci autorevoli vengono considerati di razza semitica, della stessa famiglia degli Ebrei. La loro lingua, senza dubbio semitica nel carattere ed anche le loro caratteristiche fisiche e morali sono argomenti decisivi a sostegno di questa ipotesi.

Sembra che questa razza abbia originariamente abitato le coste del Golfo Persico, ma che in epoca lontana, prima della guerra di Troia, abbia abbandonato quel luogo e sia emigrata per terra verso occidente e che infine si sia stanziata lungo le coste orientali del Mediterraneo. E' difficile, anzi impossibile, dire se questa emigrazione abbia avuto luogo come conseguenza di un terremoto, come attesta Giustino, o, se fu dovuta a contrasti o guerre con i popoli vicini, oppure, semplicemente per spirito di intraprendenza ed amore d'avventura. Comunque sia, sembra certo che i Fenici non erano aborigeni in Siria; invero secondo Erodoto (2), essi stessi affermavano che venivano dal Mar Rosso.

E' poco chiara la data in cui si stabilirono sulle coste orientali del Mediterraneo. Come gli Egizi, anche i Fenici rivendicavano un'antichissima origine, ma questa probabilmente si riferiva ad un periodo della loro esistenza precedente alla loro migrazione dal lontano oriente. Ad Erodoto, in occasione della sua visita a Tiro nel quinto secolo prima di Cristo, i sacerdoti del tempio di Ercole dissero che erano passati 2300 anni dalla fondazione di quella città (3). Se fosse vero e se Tiro non fu costruita molto tempo dopo l'arrivo dei Fenici sulle coste del Mediterraneo, la data del loro stanziamento risalirebbe a circa il 2800 a.C. Poco., comunque si è sentito dire sia su questo popolo che sul suo paese fino ad, una data molto posteriore.

Tra il diciassettesimo ed il tredicesimo secolo a.C. la Fenicia apparentemente, se non una dipendenza a tutti gli effetti dell'Egitto, era intimamente collegata a quel paese e continuò ad esserlo fino al declino della potenza egizia intorno alla metà del tredicesimo secolo a.C. Durante questo primo periodo della storia fenicia, pare che Sidone sia stata la città più importante, ma poi Tiro prese la posizione principale e la mantenne fino a circa la metà del nono secolo a.C. Nel corso di questi quattro secoli la Fenicia, sotto la guida di Tiro, raggiunse una posizione ragguardevole nel mondo allora conosciuto ed acquistò un considerevole benessere e un'enorme importanza.

Con l'ampliamento, comunque, delle conquiste dell'Assiria e la sua avanzata verso l'occidente, nel nono secolo a.C., la Fenicia pensò prudente di sottomettersi a questo potente Stato e divenne sua vassalla tributaria. Ma un po' più tardi, come conseguenza dei tentativi dell'Assiria di imporre condizioni più gravose sulle sue dipendenze, la Fenicia si fece valere e per un po' resistette con successo salvo a venir poi interamente sottomessa.

Quando il dominio assirio finì nel settimo secolo a.C. la Fenicia riconquistò la sua indipendenza, anche se per breve tempo, perché il suo paese subito dopo fu invaso dagli Egizi e dai Babilonesi. Contro questi ultimi, sotto Nabucodonosor, resistette a lungo, mentre Tiro resistette ad un assedio di non meno tredici anni, a seguito del quale però fu costretta ad arrendersi divenendo una dipendenza di Babilonia dal 585 al 538 a.C.

Quando i Persiani, sotto Ciro, conquistarono Babilonia, la Fenicia riconquistò la sua indipendenza per un breve tempo, ma nel 527 a.C. si sottomise a Cambise e divenne parte integrante dell'impero persiano, pur mantenendo i suoi signori ed il suo governo assieme ai propri diritti.

Questo stato di cose durò per molti anni e le relazioni tra la Fenicia e la Persia sembravano apparentemente amichevoli ed in armonia; infatti la prima sosteneva il suo Stato sovrano e prestava un servizio particolare alla Persia nelle guerre per mare.

Intorno alla metà del quarto secolo a.C. comunque, la Fenicia si distaccò dalla Persia; seguì quindi un altro periodo di conflitti e di guerre di scarsa entità che durarono sino al 333 a.C. quando Dario fu sconfitto a Isso e la Macedonia, sotto Alessandro, sconfisse del tutto la Persia. Con l'avanzata di Alessandro in Siria la maggior parte della Fenicia gli si sottomise subito, tranne Tiro, che resistette al memorabile assedio che costituisce forse la pagina più bella di-tutta la storia fenicia. Ma costretta infine a soccombere, Tiro fu praticamente distrutta e la Fenicia venne assorbita nell'impero greco-macedone.

In seguito, caduta sotto il dominio del Seleucida, sembra che la Fenicia, come paese, a poco a poco abbia perso la sua individualità e sia divenuta sempre più greca, anche se Tiro ed altre città abbiano riguadagnato una certa importanza. Infine nel 69 a.C. la Fenicia con il resto della Siria passò sotto il dominio romano e continuò così forse per il resto della sua storia.

Il territorio occupato dai Fenici si estendeva lungo la costa mediterranea da un po' più a sud dei 33° a un po' più a nord del 35° di latitudine, o, grosso modo, la costa tra Monte Carmelo a sud e a poche miglia da Laodicea a nord, con le catene montuose del Libano e dell'Antilibano come confine orientale con Bargilia e Casio all'estremo nord.

La lunghezza estrema di questo stretto tratto di paese era poco più di duecento miglia mentre la sua larghezza variava da soltanto pochissime miglia. nella zona più stretta, a trenta o quaranta miglia nella zona più ampia; l'area totale del territorio probabilmente non superava le 3500 miglia quadrate.

Il paese scelto dai colonizzatori per loro nuova patria sebbene non molto ampio, pare che sia stato ben scelto per vari- motivi. La sua terra arabile, sebbene non estesa, era molto fertile e la vegetazione ricca e varia, il clima e la salubrità non facevano desiderare di meglio. Oltre a queste condizioni naturali vantaggiose, il paese possedeva due importanti caratteristiche fisiche che lo rendevano particolarmente adatto ad un popolo come i Fenici, dediti al commercio marittimo e restii alla guerra. A ovest la linea costiera relativamente estesa, frastagliata con piccoli porti naturali e luoghi di rifugio, offriva loro tutto ciò che potevano desiderare per il commercio (4); le acque fornivano abbondanza di pesci e, soprattutto, una abbondanza di porpora importante per la tintura che produceva. Ad est, le alte montagne che costituivano la frontiera del territorio da quella parte, offrivano un'ottima barriera difensiva e riducevano al minimo il pericolo d'invasione, per terra da parte di forze ostili. Queste regioni montagnose possedevano un'inestimabile fonte di ricchezza nelle loro vaste foreste di conifere mentre i pendii erano ricchi di oliveti e vigneti.

Anche se non sembra che i Fenici siano stati grandi agricoltori, fatto probabilmente dovuto alla estensione limitata del territorio coltivabile, si può essere certi che questa gente industriosa avrà ricavato il massimo da una terra tanto benefica, specialmente se il suo suolo era così fertile come si diceva. E' incerto, comunque, se producevano abbastanza frumento e prodotti simili per i loro bisogni. Si sa per certo il fatto che ricevevano frumento in grandi quantità da altri paesi.

Tra la vegetazione arborea delle pianure e delle zone basse, costituiva un aspetto caratteristico la palma anche se forse non era indigena del paese. Da alcune voci autorevoli viene supposto che il suo nome greco sia stato l'origine del nome Fenicia. Le parole Punico e Punicus hanno la stessa origine dato che derivano dal latino poenus, che significa pure albero di palma. L'etirnologia della parola Phoenicia comunque, pare che sia molto incerta e molte fonti autorevoli preferiscono collegarla alla parola o rosso sangue con riferimento o al colore della famosa tintura, o alla carnagione della gente di questo paese, mentre altri ancora la fanno derivare da Punt, il nome dato dagli Egizi alla terra abitata dagli Arabi.

I Greci chiamavano il paese e la sua gente . Pare che il nome comunque, sia stato originariamente usato da essi piuttosto vagamente per l'intera regione limitata dalla linea costiera orientale del Mediterraneo, sebbene, in seguito, il suo impegno fu ristretto alla zona più centrale, o a quella abitata dai Fenici.

I Fenici chiamavano se stessi Cananei e la loro terra Canaan. Spesso ad essi veniva attribuito il nome di Sidonii come sinonimo, e questo lo si trova di frequente usato e riferito a loro nel Vecchio Testamento ed in Omero.

Favoriti dalla posizione geografica con la sua relativamente lunga linea costiera che offriva il più diretto mezzo di comunicazione tra i paesi più ad est ed il Mediterraneo, la Fenicia prosperò molto per un lungo periodo e, grazie alla perseveranza e l'ingegnosità del suo popolo, divenne uno Stato ricco ed importante.

Dediti al commercio ed al negozio e per natura di indole vagabonda ed avventurosa, i suoi mercanti viaggiavano in lungo ed in largo, estendendo i rapporti di affari, nel corso del tempo, praticamente ad ogni parte del mondo allora conosciuto.

Il commercio per terra della Fenicia anche se non paragonabile a quello per mare, deve pure essere stato molto attivo ed ha raggiunto, pare, paesi importanti all'estremo est e nord ed anche l'Egitto. Il commercio marittimo, come ben si sa, si estendeva a quasi ogni parte del Mediterraneo ed anche a paesi oltre tale mare. Gli interessi marinari, invero, divennero così grandi che, sebbene non bellicosa per natura o portata alla conquista, la Fenicia fu costretta lo stesso, nel tempo, a mantenere una flotta potente di navi da guerra, tale che la sua supremazia navale nel Mediterraneo rimase incontestata per molti anni.

In comune con altre razze semitiche, pare che i Fenici siano stati molto particolari nelle pratiche religiose sebbene la loro religione, tranne forse nel primo periodo, avesse un carattere degradante, visto che ammetteva ampiamente il sacrificio umano e la licenziosità (5).

In origine, giudicando attraverso ciò che ci dice Philo di Biblo, la religione del paese era il monoteismo e Baal era venerato come il solo dio e "Signore del Cielo"; ma anche se fu così, questo semplice culto può essere durato solo per un periodo relativamente breve e poi degenerò in ciò che infine divenne una religione politeistica. Pare che Baal, comunque, sia stata sempre considerata la divinità principale, e, con Astarte, o Ashtoreth, sia stata tenuta in una considerazione più alta rispetto alle numerose altre divinità venerate dai Fenici, tra cui si possono menzionare Melkart, Pataice, Dagon, Hadad, Sydyk, Eshmun, i Cabiri, ed altri. Sembra che Baal sia stato conosciuto originariamente con tanti altri nomi, come per esempio Baal-samin, El, Melek, Ram, Elion, ed Adonai; ma quando il primitivo culto monoteistico fu modificato, alcuni di questi nomi furono in seguito applicati alle divinità di nuova creazione, mentre da altri paesi furono introdotte nel pantheon fenicio nuove divinità. Primi tra questi, soprattutto a Cartagine, c'erano l'egiziano Ammone, o Hammon, identificato con Baal, ed il persiano Anaitis, Tanais, o Tannata, quest'ultirno, invero, col nome di Tanit o Tanith, che divenne quella che potremmo definire la più famosa divinità femminile. Come tale, questa dea pare che sia stata spesso identificata con la fenicia Ashtoret e senza dubbio vi fu una considerevole associazione tra le due, sebbene a Cartagine, come si vede in numerose iscrizioni, erano senza dubbio considerate come divinità distinte.

A fornire la spiegazione del fatto che una divinità persiana sia stata tenuta in tanta considerazione a Cartagine, è stato citato un passo di Sallustio (Jug., 18) in cui si attesta, basandosi come fonte sul re Nunúda Hiempsal che aveva scritto una storia del suo paese, che, alla morte di Ercole e lo scioglimento delle sue forze in Africa, tra cui Medi, Persiani ed Armeni, questi popoli occuparono la costa nord africana e vi si stabilirono, introducendovi la loro religione e le loro divinità.

Come Baal fu identificato con il sole e fu chiamato il Dio-Sole così Astarte fu associata con la luna e fu chiamata la Dea-Luna e Regina del Cielo; ognuno aveva il suo gruppo di sacerdoti personali sebbene pare che in alcune località le due divinità siano state venerate assieme e nello stesso tempio. Il numero di sacerdoti di entrambi deve essere stato molto alto, dato che leggiamo nella Bibbia (6) che erano stati insediati 450 sacerdoti di Baal officianti e 400 di Astarte nella capitale israelita per opera di Jezebel, figlia di Eth-baal, re di Tiro e presule di Baal, in occasione del suo matrimonio con il re Abab. Nessuna corte di oggi si sognerebbe di reclutare una tal schiera di sacerdoti! Questa religione divenne, comunque, così popolare che fu adottata in genere non solo in Israele, ma anche in Judah, quando il re Ahaziah sposò Athaliah, figlia di Omri (7); e proprio alla sua influenza degradante e corrotta si può attribuire in gran parte, se non interamente, la caduta di questi due regni.

Tra le divinità minori merizionate prima, pare che Melkart, che era considerato nume tutelare di Tiro, sia stato identificato dai Greci con il loro Ercole. Erodoto scrive (8) che, desideroso di ottenere certe informazioni sul culto di questo dio in Fenicia, salpò per Tiro, avendo sentito dire che c'era un tempio dedicato ad Ercole, e lo trovò "riccarnente adorno con una grande varietà di offerte, e vi si trovavano due pilastri, uno di bell'oro, l'altro di pietra di smeraldo, che splendevano straordinariamente di notte". Erodoto dice anche che a Tiro vide un altro tempio dedicato ad Ercole, noto come il Thasio, e, andato quindi a Thaso, trovò un tempio di Ercole costruito dai Fenici che avevano fondato Thasos cinque generazioni prima che Ercole, figlio di Amphitryon, facesse la sua apparizione in Grecia. Dalle ricerche che aveva fatto, e dato che Ercole era stato una delle antiche divinità degli Egizi, secondo i loro calcoli diciassettemila anni prima del regno di Amasis, Erodoto arriva alla conclusione che Ercole era un dio di grande antichità, e che perciò i Greci avevano agito molto correttamente riconoscendo due diverse divinità con questo nome, uno l'immortale o l'Ercole Olimpio, l'altro l'eroe.

Vulcano che i Fenici veneravano con il nome di Pataice era spesso rappresentato come un pigmeo e posto come polena sulle prue delle loro triremi. E' credenza comune che Dagon abbia avuto la forma di un pesce e veniva per questo considerato come dio-pesce, sebbene Philo di Biblo lo chiami dio-grano, colui che ha scoperto il grano ed inventato l'aratura. Nella Filistea questa divinità occupava un posto molto più importante che in Fenicia e, secondo Diodoro (9), era nota con il nome di Derceto, dato che era una dea con il volto di donna ma la forma di pesce in tutta le altre parti del corpo. Hadad era probabilmente una divinità introdotta dai Siriani. Sydyk era il dio della giustizia ed'il padre di Eshmun, che con i Cabiri, dei della navigazione e della metallurgia, era tenuto in grande considerazione.

Pausania parla di una controversia che ebbe con un abitante di Sidonia il quale sosteneva che i Fenici avevano una conoscenza molto più profonda delle divinità rispetto ai Greci e certamente non c'è dubbio che la religione entrava in grande misura nella vita di quelli. Questo si vede chiaramente in molte manifestazioni: i loro nomi derivano in larga misura dalle loro divinità; i loro re cumulavano spesso l'ufficio di sacerdote con quello di sovrano; gli edifici sacri erano più numerosi e mantenuti con più impiego di danaro; le loro navi avevano polene che rappresentavano le loro divinità preferite; mentre nel culto vero niente veniva trascurato che potesse compiacere e propiziare i loro dei (neanche la vita dei loro figli veniva risparmiata in occasioni in cui era ritenuto necessario il sacrificio estremo).

I Fenici sono stati chiamati i pionieri della civiltà e, sebbene con le nostre idee moderne ciò possa sembrare un po' incongruo dopo ciò che è stato appena detto sulla loro terribile pratica del sacrificio umano, pure, per i giorni in cui vissero, la loro pretesa di essere considerati tali non era forse ingiustificato.

Erano certamente tra i popoli più illuminati e progressisti del loro tempo, dotati di notevole talento come artigiani ed abili operai; ed essendo naturalmente di natura intraprendente viaggiavano in lungo ed in largo cercando di estendere i loro rapporti con altre nazioni commerciando amichevolmente e con la cordialità piuttosto che con la forza delle armi.

Si attribuisce ai Fenici il credito della diffusione, se non dello sviluppo, di un sistema alfabetico semplice e pratico che, qualunque fosse stata la sua derivazione, pare che sia stato introdotto in Grecia dalla Fenicia e che in seguito sia stato adottato generalmente in tutto il mondo occidentale. E' molto probabile che questo sistema derivasse, nella sostanza, da uno più antico usato da qualche altra parte, o che forse fosse l'evoluzione di uno o più sistemi di segni; ma ciò che è indubbio è che la semplicità e la praticità della sua forma furono subito riconosciute facendole adottare universalmente (10).

Oltre all'alfabeto, sembra che i Greci abbiano derivato dai Fenici anche i pesi e le misure.

Come navigatori e costruttori di navi i Fenici eccelsero tra le nazioni dei tempi antichi ed i loro marinai, come dimostrano i viaggi che intraprendevano, non erano secondi a nessuno sia per abilità che per ardimento ed audacia. Le loro imprese nautiche - la più grande senza dubbio la circumnavigazione del Continente Africano, che pare sia stata compiuta da loro nel settimo secolo a.C. - suscitavano l'ammirazione di tutto il mondo marinaro e fecero considerare la Fenicia come la prima potenza marinara del periodo. Sembra che i suoi marinai siano stati i primi a fare rotta con la stella polare che, come conseguenza di ciò, fu chiamata dai Greci la stella fenicia. Oltre ad esportare le loro produzioni industriali, quali i tessuti, tutte le specie di recipienti ed ornamenti di metallo e pure vetro e ceramica, i Fenici effettuavano una intensa attività commerciale. Così dall'Egitto e dai paesi del lontano oriente trasportavano ai vari porti del Mediterraneo merci quali avorio, ebano, cuoi, piume e pietre preziose, oltre a prodotti agricoli, riportando in cambio ogni genere di metallo e minerali preziosi insieme a molti altri articoli

In qualità di corrieri atti a fornire i principali mezzi di trasporto e di comunicazione tra i vari paesi del Mediterraneo ed oltre, i Fenici avevano una flotta di navi commerciali grande ed efficiente, ed erano fortunati perché possedevano quella che era una fornitura praticamente inesauribile di legname nelle belle foreste di cedri e di pini del Libano.

Nell'arte delle costruzioni navali non erano probabilmente superati da nessuna altra nazione dei loro tempi e, giudicando da ciò che scrive Senofonte (11), l'eccellenza delle loro navi in genere ed in particolare le loro attrezzature e capacità di stivaggio erano molto lodate dai Greci.

Anche Erodoto, scrivendo della grande guerra tra Grecia e Persia, e parlando della flotta di quest'ultimo paese (12) dice: "I Persiani, i Medi ed i Saka servivano come soldati di marina a bordo di tutte le navi. Di queste i Fenici fornivano le migliori navi a vela e, tra i Fenici, i Sidoni".

Una prova dell'importanza marinara della Fenicia e delle sue risorse navali di quei tempi è fornita dal fatto che, le sia stato ordinato dai Persiani di fornire un contingente di navi da guerra di gran lunga superiore al numero degli altri Stati tributari (13). In questo periodo probabilmente la costruzione navale fenicia era al suo zenith e le navi che questa costruiva dovevano essere di struttura molto superiore e diversa dalla prima imbarcazione prodotta dai suoi maestri d'ascia dei primi tempi.

Nel corso delle loro navigazioni e dei viaggi per mare ed in cerca di minerali e metalli preziosi di cui avevano bisogno per i loro manufatti, i Fenici visitarono non solo le isole e le spiagge dell'arcipelago e del Mediterraneo orientale ma anche paesi più distanti quali Italia, Spagna e Francia estendendo i loro viaggi persino all'Atlantico ed a Nord fino alle isole, Scilly e la costa della Cornovaglia, da cui ottenevano forniture di stagno e piombo.

Come minatori i Fenici erano particolarmente famosi e pare che sia i Greci che i Romani abbiano adottato i metodi ed i principi seguiti da loro nell'estrazione e lavorazione dei minerali. Erodoto, parlando delle miniere d'oro di Thasos (14), reca testimonianza per osservazione personale, dell'importanza del loro lavoro.

Nella maggior parte delle branche della metallurgia pare che i Fenici siano stati esperti, conducendo un commercio estensivo in tutti i generi di prodotti ornamentali di metallo e in gioielli con la maggior parte dei paesi del Mediterraneo, e pure con quelli dell'estremo Oriente. Ma non era solo nella gioielleria e nella lavorazione di piccoli oggetti ornamentali di metallo che eccellevano i Fenici se dobbiamo giudicare da ciò che si legge circa quanto hanno prodotto, in vasta e perfino colossale scala, per il grande tempio di re Salomone (15). Sfortunatamente non rimane niente di questa opera grandiosa, ma gli esempi dei vasi e dei recipienti di metallo riccamente lavorato, certamente di fattura fenicia, in cui ci si è imbattuti in molte tombe antiche in Italia e a Cipro testimoniano il loro talento artistico e le loro abilità in questo campo.

Del sistema monetario occorre dir poco in questo breve quadro. Pare che ogni città e colonia importante avesse le sue monete ed i suoi espedienti durante un periodo della sua vita, infatti le stesse monete e gli emblemi che portavano erano, più o meno, di carattere primitivo. Pare che in seguito sia penetrata l'arte greca in questa branca di lavoro artigianale, come accadde in molti altri campi, sicché furono generalmente adottati i segni greci, mentre le monete divennero meno rozze in misura e in forma.

Oltre al lavoro del metallo nelle sue varie forme le manifatture fenicie comprendevano altre tre branche di arte industriale che erano di notevole importanza e nelle quali raggiunsero un alto grado di abilità alcune delle città fenicie. Si tratta del lavoro del vetro, di quello di tessitura e, ultima, ma non meno importante, la produzione delle tinture. Oltre questi la produzione di ceranùca di vario tipo era probabilmente comune a molte delle città, sebbene forse non raggiunse il livello artistico di qualche altra nazione del periodo.

Nella manifattura dei vasi di vetro e simili recipienti di piccolo formato, come pure di palline ed altri ornamenti di vetro, i Fenici, specialmente i Sidoni erano particolarmente abili. Si dice che essi abbiano scoperto la manifattura del vetro, per caso, il che è anche possibile; ma, visto che quell'arte era forse già nota molto pritna agli Egiziani, è anche possibile che fu introdotta in Fenicia dall'Egitto, con il quale paese, come ben si sa, i Fenici avevano molti contatti. Comunquesia, la manifattura del vetro pare che sia stata una delle attività principali di Sidone, e ciò era dovuto probabilmente in grande misura al fatto che la sabbia delle spiagge vicine era di una qualità particolarmente adatta alla produzione del vetro.

Pare che i Sidoni siano stai tra tutti i Fenici i più abili ed esperti nella manifattura dei tessuti specialmente nel ricamo, e la produzione artistica dei loro telai era apprezzata non solo nella stessa Fenicia, ma anche in altri paesi. Un accenno alla qualità, eccellente dei loro lavori in questo campo si trova nell'Iliade, quando Omero parla di "stoffe variegate, opera di donne Sidonie, che il semidio Paride portò da Sidone, viaggiando sul vasto mare, lungo il viaggio con cui portò Elena dagli alti natali (16)".

Intimamente legata alla tessitura ed alla industria tessile erano la preparazione di tinture e la tintura dei tessuti. E famoso colore porpora, o porpora di Tiro come era chiamato, che si dice sia stato scoperto dai Fenici per caso, come per il vetro, pare che si ottenesse principalmente da due specie di crostacei, il Murex trunculus ed il Murex brandaris che si trovano in abbondanza entrambi in diverse parti del Mediterraneo e specialmente nella costa siriana. Dato che le due pratiche della tessitura e della tintura andavano assieme, fecero diventare il loro doppio commercio il più importante, e pare che si diffuse probabilmente in tutti i paesi con cui la Fenicia aveva relazioni commerciali.

Conosciamo relativamente poco di opere architettoniche fenicie, poiché mancano resti di antichi edifici nella regione per la cui assenza la ragione principale, oltre a quella menzionata nella prima parte di questo capitolo, è forse il fatto che sia stato usato dai Fenici il legno nella maggior parte delle costruzioni che non erano opere di fortificazione, mentre la pietra era usata esclusivamente per le fondamenta e le parti inferiori degli edifici. Naturalmente, le strutture superiori di legno, meno durevoli della pietra, non saranno durate a lungo e nel corso del tempo saranno sparite del tutto, lasciando soltanto le sottostrutture che, una volta frantumate, saranno certamente servite come materiale da costruzione per le generazioni future. Sfortunatamente solo poche vestigia ci rimangono oggi di importanti costruzioni ma, giudicando da quelle che sono state trovate, desumiamo che le basi di tali edifici erano di solito formate da blocchi massicci e talvolta sbozzati appena, disposti orizzontalmente a strati uno sull'altro e senza cemento. Alcuni blocchi in cui ci siamo imbattuti sono di dimensioni colossali, quelli, per esempio delle fondamenta del tempio di Gerusalemme che misurano talvolta sino a 39 piedi di lunghezza e 7 piedi di profondità. In alcuni casi le pietre erano levigate e smussate con cura ai lati ma per lo più erano tagliate appena in modo irregolare e talvolta lasciate allo stato naturale. I cosiddetti templi o luoghi di culto in Fenicia, ai tempi in cui i servizi religiosi si tenevano all'aperto avranno avuto strutture molto semplici: un piccolo altare, aperto da una parte e collocato su un blocco di roccia viva, adatto allo scopo richiesto. In taluni casi forse il quadrangolo conteneva soltanto un ceppo o un cono al suo centro.

Le mura delle città fortificate erano costruite pure molto solidamente con enormi blocchi di pietra, come le 'fondamenta dei templi e le altre costruzioni monumentali, sebbene queste di solito venivano definite con meno accuratezza.

Tra i pochi resti di mura fenicie si possono menzionare quelli di Arado, di cui ci fa una descrizione Renan (17) parlandone entusiasticamente. Giudicando da ciò che si dice di loro, queste mura devono essere state di vaste proporzioni e di resistenza notevole.

La tecnica richiesta per poter trattare efficientemente questi blocchi colossali usati in alcune costruzioni fenicie, deve aver messo a dura prova l'abilità degli architetti e delle maestranze locali ma forse l'ingegnosità della gente permise loro di superare le difficoltà che si saranno presentate.

Come in molti altri campi, i Fenici mostrarono grande maestria nella scienza delle costruzioni rispetto agli altri dei loro tempo in occasione dei taglio del canale attraverso l'istmo del Monte Athos (18).

La caratteristica principale e più saliente della architettura fenicia era indubbiamente il monolitismo, l'esatto opposto del principio adottato dai Greci; per quanto modificato in certa misura nel periodo tardo per influenza ellenica pare che sia durato fino alla fine dei giorni della Fenicia.

Sebbene poco ancora rimanga nel campo della statuaria o della scultu- ra, le poche tombe e monumenti sepolcrali fenici più importanti che sono stati scoperti rivelano notevoli qualità architettoniche ed artistiche. Come al solito, comunque, le tombe fenicie erano soltanto degli scavi nella roccia o nel suolo, costituite da una o più camere in cui venivano posti i sarcofagi che contenevano i resti dei morti. Gli stessi sarcofagi, che erano o di pietra o di marino, erano talvolta del tutto semplici, di rado invece ornati di sculture. La maggior parte di quelli scoperti sono evidentemente di un periodo in cui l'arte greca aveva fatto già sentire la sua influenza in Fenicia e quando già disegni greci venivano adottati dallo scultore fenicio.

Per la loro abilità nella maggior parte delle arti e delle attività dell'epoca, gli operai specializzati fenici e gli artigiani venivano richiesti perfino fuori dal loro paese; così si legge nelle Scritture del re Hiram di Tiro che fornì operai e materiali, prima per la costruzione del palazzo del re Davide a Gerusalemme (19), ed in seguito per la costruzione del tempio di Salomone (20), la cui opera grandiosa e magnifica può giustamente essere considerata come una creazione fenicia, probabilmente disegnata e costruita da maestranze di Tiro.

Attraverso la seguente descrizione data nella Bibbia (21) di Hiram, il capo-operaio mandato dal re a sovrintendere alla costruzione del tempio di Salomone, si può desumere quanto siano state numerose e svariate le capacità di alcuni di questi artigiani: "Il figlio di una donna delle figlie di Dan, e suo padre era un uomo di Tiro, abile a lavorare l'oro e l'argento, l'ottone, il ferro, la pietra ed il legno, i lini in porpora, in blu ed in rosso vivo; abile anche a scolpire ogni sorta di intaglio e a trovare ogni mezzo che gli si presentava".

Questa non è una lista scarna di doti anche se la mettiamo a raffronto coll'insieme di abilità di alcuni artisti italiani del Rinascimento che erano contemporaneamente pittori, scultori, incisori ed architetti.

La Fenicia durante il settimo secolo a.C. deve essere stata certamente fiorente e Tiro ne sarà stato il centro di attrazione, non solo per il commercio e lo scambio, ma anche, forse, per la sua importanza politica e sociale, come capitale riconosciuta del paese. Non ci potrebbe essere una descrizione migliore o più vivida a mostrare il grado di prosperità che la Fenicia, rappresentata da Tiro, aveva raggiunto in questo periodo, e l'alta stima in cui era tenuta dalle altre nazioni di quella data dal profeta Ezechiele quando ne presagì la caduta (22).

Concludendo qusto breve profilo storico della Fenicia e del suo popolo non ci si può trattenere dall'accennare ciò che ripetutamente viene affermato circa la presunta mancanza di originalità di pensiero e di idee dei Fenici. Si dice che mancassero di iniziativa e genio creativo, che la loro opera fosse semplicemente di imitazione ed i loro progetti e i modelli solo delle copie di altre razze più dotate.

Pur ammettendo ciò come vero in generale, non si può comunque negare che essi eccellevano nella esecuzione perfetta del loro lavoro e nella cura meravigliosa e nella precisione con cui ogni cosa da essi veniva compiuta. Pratici in altissimo grado ed estremamente sensibili non erano scevri dall'accettare ed assinúlare ciò che reputavano buono dalle altre nazioni ed in molti casi essi davvero superavano la perfezione dei loro maestri e di ciò che avevano appreso da essi.

Non si può certamente negare che questi uomini di Canaan erano per molti rispetti, nonostante i gravi difetti derivanti dalla loro religione degradante, una razza illuminata, molto intelligente e perspicace, e non riconoscere le loro buone qualità, la loro energia ed intraprendenza, la loro perseveranza ed operosità, la loro audacia e temerarietà, e la loro versatilità ed ingegnosità. Soprattutto, non si può fare a meno di ammirare la loro calma tenacia in tempi di avversità e lo spirito di determinazione mostrato da essi nel superare difficoltà quando queste erano appena umanamente possibili.

Erano certamente gli esponenti ed i diffusori delle conoscenze in quel periodo, i soli cosiddetti "barbari" che i Greci non potevano rifiutare di riconoscere come diretti maestri ed è fuori di dubbio che la loro influenza civilizzatrice e benefica si estese su tutto il bacino del Mediterraneo ed anche al di là di esso.

Oltre ad essere stata la progenitrice di Cartagine, la Fenicia può invero essere considerata come uno dati grandi fattori che hanno contribuito all'evoluzione storica delle nazioni del Mediterraneo.

Come dice molto bene il prof. Rawlison nella parte conclusiva del suo interessante lavoro sulla Fenicia(23): "Questa razza era destinata ad eccellere non solo nel campo della speculazione e del pensiero. o della composizione letteraria o anche della perfezione artistica, ma nella sfera dell'azione e dell'ingegnosità pratica".

Come razza di tal genere la Fenicia eccelse in linea di fatto per molto tempo, e come tale il suo nome è stato tramandato ai posteri per generazioni e continuerà a vivere nella storia.

 

NOTE

(1) Renan, Mission de Phénicie, p. 816.

(2) Herod., VII, 89.

(3) Herod., 11, 44.

(4) Alcuni dei migliori porticcioli che un tempo esistevano lungo la costa ora pare che siano colmati dalla sabbia.

(5) Secondo il dott. Davis (Carthage and her Remains, pp. 263-265), la Cartagine fenicia era molto meno da biasimare a questo proposito della madrepatria o la successiva Cartagine romana.

"I primi Cartaginesi - dice - nei giorni del loro splendore erano un popolo industrioso, astemio, altamente agricolo, commerciale, marinaro ed intraprendente. Avevano solo poco tempo per svaghi ed oziosità; ed è un dato di fatto ben noto, pure, che in proporzione a quanto un uomo è occupato, nella stessa proporzione il gusto per la voluttà scompare".

Le accuse gravi di vizio ed immoralità, praticati sotto l'egida della religione, che furono lanciate dai Padri Cristiani contro la grande città africana non si riferivano alla Cartagine fenicia ma a quella romana.

(6) 1 Kings, XVIII, 19.

7) 2 Kings, VIII, 26.

(8) Herod., II, 44.

(9) Diod., II, 1.

(10) Apparentemente non c'è alcuna prova soddisfacente a favore di un'origine locale delle lettere fenicie, mentre i tentativi che sono stati fatti per trovare una derivazione per esse, o da fonte egizia, babilonese o da qualunque altra fonte, fino ad ora non sono state coronate da successo. Comunque non c'è dubbio che l'arte della scrittura sia stata conosciuta e praticata in un periodo molto anteriore all'introduzione dell'alfabeto fenicio in Grecia. La scoperta di Sir Arthur Evans di uno scritto cretese ed egeo gettano una luce nuova ed interessante sul problema e come risultato rendono a mostrare che l'arte della scrittura era nota ai Cretesi molto prima delle nostre prime tracce dell'alfabeto fenicio. Non solo si vede che a Creta era esistito un sistema di scrittura indigeno in una data molto precedente alla prima traccia monumentale delle lettere semitiche, ma pare che tra i Cretesi siano state in uso due fasi distinte, una di tipo pittografico convenzionalizzato, rappresentato dai sigilli, l'altra una forma di scrittura lineare e quasi alfabetica. Pare che siano state trovate abbondanti prove di una fase ancora anteriore di segni pittorici dai quali si erano successivamente evolute queste forme avanzate di scrittura.

La possibilità che viene ora suggerita di una derivazione minoica per le lettere fenicie, in considerazione, come dice Sir Arthur, della preponderante influenza della civiltà egea sulla costa di Canaan, ed il reale insediamento lì dei Cretan Philistines durante il tredicesimo secolo a.C., merita considerazione (Cf. Sir Arthur Evans, Further Discoveries of Cretan and Aegean Script, J.H.S. (1898), vol. XVII pp. 327 e 393; ibid., Scripta Minoa (1909), pp. 10 e 88-94). Secondo Diodoro (Diod. c. 74) i Cretesi furono coloro che impartirono le prime conoscenze di lettere ai Fenici.

Il prof. Petrie, che ha trattato recentemente ed estesamente il problema, espone il parere che l'alfabeto greco-fenicio è solo una scelta da un numero molto più vasto di segni che venivano comunemente usati altrove. Dopo un esame delle varie prove sulla diffusione del sistema di segni da cui gli alfabeti furono scelti conclude che il primo sistema di classificazione fu originato nel nord della Siria (Cf. Prof. W.M. Flinders Petrie, The Formation of the Alphabet, Brit. Sch. Arch. Egypt, Studies Series, vol. III, p. 17, 1912).

Recenti richerche in Mesopotamia, eseguite durante e dopo la guerra, hanno rivelato molte cose interessanti a questo proposito, e tra il materiale archeologico che è stato portato alla luce vi sono diverse tavolette sumeriche che non sono ancora state lette. Durante i rernoti anni della civiltà Babilonese, nota come sumerica, che datano almeno al 7000 a.C., sembra che la scrittura sia stata di uso comune.

(11) Xen., Oeconom., VIII, p. 11 segg.

(12) Herod., VII, 96.

(13) Herod., VII, 89.

(14) Herod., VII, 89.

(15) 2 Chron, capitoli III e IV.

(16) Omero, Iliade, VI, 289.

(17) Renan, op. cit., p. 39.

(18) Herod., VII, 23.

(19) 1 Chron, XIV, 1.

(20) 2 Chron, II, 3 segg.

(21) 2 Chron, II, 14.

(22) Ezek, XXVII.

(23) Rawlison, History of Phoenicia, p. 348.