CULTURA E SOCIETA' A PALERMO TRA LA FINE DELL'OTTOCENTO E I PRIMI DEL NOVECENTO

(Relazione di Fausta Puccio in atti del seminario di studio "I Whitaker di villa Malfitano", tenutosi in Palermo il 16 - 18 marzo 1995 su "I Whitaker di villa Malfitano" a cura di Rosario Lentini e Pietro Silvestri, pubblicati dalla Fondazione "Giuseppe Whitaker" con il patrocinio dell'Assessorato dei beni culturali, ambientali e della pubblica istruzione della Regione siciliana nel dicembre 1995).

E' una città strana Palermo che esprime, alla fine dell'800, realtà profondamente diverse, e questo non sorprende; è una città di vecchi quartieri dalle strade strette e tortuose, che vive accanto alla città borghese delle ville e dei giardini; è la Palermo dei vicoli, delle feste, delle osterie, di piazze e strade che allargano lo spazio di case piccole, umide, buie.

Ma è anche la città dei palazzi e delle chiese, tante, di strade diritte tracciate su abitazioni demolite per nuovi insediamenti; è scenario di vita sommersa eppure intensa, gridata e sofferta, accanto a una ricchezza talvolta ostentata e fastosa.

Ed è la città che nel campo delle arti decorative diventa, tra '800 e '900, punto di riferimento culturale, in Italia e all'estero; è arte applicata alla produzione di arredi, mobili, ceramiche, tessuti. Non emergono ancora nuove, decise tendenze, viene invece recuperata, a livello di espressione artistica, una tradizione artigianale che l'esperienza modernista traduce qui in un linguaggio raffinato ed elegante in cui si mescolano spunti classici, stile floreale, ricordi dell'arte islamica e normanna.

Ed è uno schema compositivo che lega forma e funzione nell'uso, talvolta imprevedibile, dei materiali più diversi: pietre, cristalli, ceramica, vetro, metalli, piegati ad esprimere unità di struttura e di progetto.

E' città in cui soltanto una quota modesta della popolazione scolastica frequenta la scuola elementare e il tasso di analfabetismo si mantiene costantemente a livelli elevati, ma è anche la città dai mille giornali, perché tanti, o poco più, se ne pubblicarono negli anni immediatamente successivi all'unità e fino alla fine del secolo.(1)

Frutto di iniziative spesso personali e con una limitata capacità di diffusione che non consentiva, se non di rado, di oltrepassare i limiti della città, i giornali palermitani della seconda metà dell'800 assumevano tuttavia una precisa funzione di aggregazione culturale e politica e sorprendono per la varietà, l'autenticità, la consapevolezza critica con cui sollecitavano l'attenzione ai problemi della città.

Molti continuarono le pubblicazioni per parecchi anni e alcuni addirittura fino ad oggi; soltanto i giornali elettorali avevano, infatti, vita breve e, per un motivo ben diverso, anche quelli di opposizione: repubblicani, socialisti, anarchici e talvolta anche cattolici; infatti la legge sulla stampa, che era poi l'Editto Albertino esteso dopo l'unità a tutto il territorio nazionale, se formalmente assicurava la più ampia libertà, in realtà si prestava ad equivoci ed arbitri perché, non precisando che cosa si dovesse intendere per creato a mezzo stampa, consentiva ai prefetti di sospendere le pubblicazioni e perseguire penalmente i responsabili anche per una semplice protesta o una sia pur larvata critica all'attività governativa.(2)

Alcuni giornali possedevano tipografia propria e, nell'ambito di una ricerca sulla stampa cittadina, occorrerebbe perciò verificare il ruolo esercitato, nella Palermo di fine secolo, dalle moltissime case editrici e tipografie che stampavano, anche in lingua originale, testi di filosofia e di storia, di politica e letteratura e, per citarne solo alcune: Amenta, Andò, Barcellona, Barravecchia, Biondo, Bondi, Carini, Commerciale, Cooperativa tra gli operari, Di Natale, Floritta, del Giornale di Sicilia, Ingegneros, Lo Bianco, Marotta, Marsala, Meli, Montaina, Operai tipografi, Pedone Lauriel, Priulla, Puccio, Sandron, Tamburello, Vena, Virzì, Volpes.(3)

La presenza di solide testate finanziate a livello nazionale da esponenti della classe dirigente, si pensi ai vari Nicotera, Di Rudini, Crispi, si accompagnava ad un giornalismo di opposizione che allargava i temi del dibattito a problemi sociali, economici, culturali.

Soprattutto socialisti, repubblicani, radicali, attraverso le pagine de La nuova età (1883-85), Il Bollettino del Fascio dei Lavoratori (1892), Il socialista (1892), Giustizia sociale (1893), Il lavoratore (1893-94), La Battaglia (1898-1914), affermavano, spesso senza intenzioni inutilmente polemiche, la necessità di un diverso rapporto tra società civile e istituzioni.

Interessanti poi, per la vivacità della proposta, i giornali operai, L'Operaio elettore (1880), Riforma sociale (1882-1896), Mondo operaio (1884), che chiedevano con insistenza salari più equi, partecipazioni agli utili, adeguati riconoscimenti per infortuni sul lavoro, una cassa pensioni, banche operaie, magazzini cooperativi di consumo.

Sospesi per motivi economici o sequestrati per ragioni politiche spesso, i giornali pubblicati a Palermo tra '800 e '900, prendevano nel tempo, per evidenti considerazioni di opportunità e prudenza, titoli diversi; ma sono soprattutto i periodici di agricoltura e di economia, di medicina, di scienze e astrononúa, di solito voce di scuole, accademie, associazioni, comitati, che si fanno carico di una lettura critica della realtà siciliana, accentuando, nello stesso tempo, il proposito di offrire una informazione precisa e attenta.

A Palermo c'erano, per quel che riguarda le scienze agrarie: Il giornale della Real Commissione di agricoltura e pastorizia per la Sicilia (1852-1903), Il giornale e gli atti della Società di Acclimazione e di agricoltura (1861-1891), Gli atti della Regia stazione chimico-agraria sperimentale di Palermo (1878-1901), La viticoltura moderna (1894- 1929), Il corriere del commercio e dell'agricoltura (1895-1917).

Informavano sulle condizioni dell'agricoltura siciliana, sui nuovi sistemi di coltivazione, sull'utilizzazione razionale delle risorse agricole, sui vantaggi della cooperazione; sulle proposte da avanzare in materia di emigrazione e credito, orari di lavoro, aumento di salari, contratti, assicurazioni contro le malattie, pensioni.

Numerosi erano i giornali di medicina e chirurgia che pubblicavano statistiche demografiche e mediche, notizie sulla profilassi delle malattie infettive, sul controllo degli alimenti e delle acque, e quelli di pedagogia e didattica che proponevano, attraverso l'informazione, la divulgazione, la riflessione su esperienze concrete, modelli operativi finalizzati all'acquisizione di un patrimonio culturale verificato dall'esperienza personale, dalla critica, dalla conoscenza diretta dei problemi educativi.

Scuola e famiglia (1 873-1906), La scuola nuova (1 882-83), L'avvenire educativo (1886-1898), La scuola moderna (1886-87), La scuola popolare (1 886), La scuola cattolica (1 887-88), La riforma scolastica (1888-1890), La palestra (1889-90), Scuola primaria (1897-98), offrono motivo per una serena valutazione della scuola palermitana e consentono di rilevare la vivacità della domanda culturale che giustifica e chiarisce successivi apporti ed elaborazioni originali.(4)

Occorre ricordare poi che le disposizioni legislative che affidarono, fino ai primi anni del '900, il compito di gestire le scuole pubbliche ai Comuni, favorirono il diffondersi di associazioni che difendevano gli interessi del personale della scuola dagli abusi delle amministrazioni locali o dalle inadempienze delle leggi nazionali. Esercitavano il mutuo soccorso tra i soci, assicuravano l'assistenza medica gratuita, riuscivano talvolta a garantire il gratuito patrocinio in caso di controversie civili, si occupavano di promuovere l'istruzione e l'educazione.

La Libera Società tra gli Insegnanti, già nel 1870, era riuscita a fondare due scuole gratuite annesse al carcere, una scuola serale per adulti, altre due scuole di francese e aritmetica applicata alle arti per artigiani e commercianti. Pubblicava la Rivista italiana di istruzione ed educazione, stampata presso le tipografie Amenta, Priulla, Giliberti.

E la società per insegnanti "Empedocle", che continuò la sua attività a Palermo dal 1885 al 1896, intendeva tutelare i diritti degli insegnanti ma nello stesso tempo organizzava conferenze e discussioni di carattere pedagogico e didattico, scuole festive e corsi di recupero, distribuiva sussidi agli studenti meritevoli, incoraggiava la produzione scientifica dei soci.

Ancora, tra '800 e '900, si pubblicarono a Palermo: Il giornale di scienze naturali ed economiche (1863-1947), Il naturalista siciliano (1881 e cont.), La settimana commerciale e industriale (1883-1923) Psiche (1885-1906), sui quali viene dato ampio spazio alla cronaca locale e alle attività mondane e culturali, si riferisce ampiamente sulla iniziativa pubblica e privata, si riflette sulla funzione della stampa in rapporto allo sviluppo economico e sociale.

Si apre infatti alla fine dell'800, in Sicilia, una fase complessa e contraddittoria, segnata da uno sviluppo iniziale dell'industria, seguito poi da una profonda crisi economica che interessò, a larghe macchie, l'agricoltura, coinvolse piccoli e grandi istituti di credito e di emissione, diminuì il controllo dell'aristocrazia fondiaria sul territorio, consolidò atteggiarnenti di protesta delle masso, operaie e contadine in associazioni di carattere economico e leghe di resistenza.

Il carattere forte, nel campo dell'iniziativa associazionistica, fu quello delle società di mutuo soccorso, casse rurali, banche popolari, affittanze collettive che, particolarmente numerose nella provincia di Palermo, coinvolgevano un po' tutte le categorie lavorative: impiegati civili e camerieri, costruttori di sedie e falegnanù, professori di musica, insegnanti, panettieri, pastai, murifabbri, intagliatori, verniciatori, scalpellini.

Esercitavano il mutuo soccorso, aprivano biblioteche, istituivano luoghi di ricreazione e circoli operai, si impegnavano in cooperative di produzione e di consumo, costituivano casse di depositi e prestiti.(5)

Difficoltà specifiche nella produzione e nel commercio avvicinarono poi, per un breve periodo, alla fine dell'800, gli interessi della borghesia imprenditoriale e dell'aristocrazia terriera. Sotto il patrocinio di Ignazio Florio si costituì nel 1899, a Palermo, il Consorzio Agrario siciliano che contava, tra i soci, i maggiori proprietari dell'isola: Vittorio Emanuele Orlando, Pietro principe di Scalea, il conte Giovanni Monroy, l'ingegnere Giuseppe Salvioli, Filippo Lo Vetere.

Nato da una lettera che Ignazio Florio aveva inviato il 16 giugno al Giornale di Sicilia, il Consorzio intendeva diffondere fra gli agricoltori i principi razionali di coltivazione del suolo, richiamare l'attenzione del governo e degli enti locali sulla cause che impedivano lo sviluppo dell'agricoltura e cioè «difetti di viabilità, malaria, mancanza di acqua e di sicurezza»; sollecitava poi la costituzione di vivai, l'acquisto di rnacchine e concimi, la cooperazione.(6)

Andrebbe poi verificata l'azione che, sul piccolo risparmio e sull'impresa, esercitarono le numerose banche popolari di credito fondate a Palermo, alla fine dell'800, dai vari: Colonna Gabriele duca di Cesarò, Colonna Francesco duca di Reitano; Francesco Naselli Flores, Michele Amato Pojero, Roberto Varvaro ed altri.

Erano società per azioni che esercitavano il credito agrario, effettuavano "lo sconto di effetti commerciali", ricevevano in deposito fruttifero piccoli risparmi, provvedevano all'esazione delle imposte per conto dello stato, emettevano "biglietti d'ordine nominativi" e "boni di cassa trasmessibili per girata a scadenza fissa".(7)

Perché, soprattutto nelle provincie di Palermo, Catania, Trapani, si era formata, tra '800 e '900, una classe imprenditoriale impegnata nella cantieristica e nella navigazione, nel settore siderurgico e degli zolfi, nelle industrie di trasformazione dei prodotti agricoli e nel commercio. Utilizzava ingenti capitali, spesso ricevuti in prestito, in attività diversificate che introducevano soluzioni tecnologiche moderne ed efficienti su vecchi metodi produttivi e di organizzazione del lavoro.(8)

E' una classe imprenditoriale che stabilisce, soprattutto a Palermo, rapporti di collaborazione con la nobilità del luogo, o ne è parte, sollecita incarichi pubblici, non è estranea ad iniziative culturali e di beneficenza che danno un volto nuovo alla città, un volto effimero se è vero che già, nei primi anni del '900, comincia a disperdersi quel patrimonio straordinario di capacità, di conoscenze, di progetti che aveva caratterizzato l'ambiente produttivo e il mondo imprenditoriale della Palermo di fine secolo.

Palermo, intanto, con le sue officine meccaniche e fonderie, fabbriche di oggetti in rame e prodotti chimici, poi molini, pastifici, frantoi, industrie tessili e alimentari, di ghiaccio e di guanti, di cappelli di feltro e di cordami, sembra estranea alla crisi che esploderà invece, improvvisa e violenta, nella rivolta dei Fasci.(9)

Erano associazioni di operai e contadini che, nei cortei, nelle manifestazioni, con gli scioperi, chiedevano lavoro, riforma dei contratti, salari più equi; ma la risposta del governo, contro una popolazione inerme e affamata, fu dovunque, in Sicilia, sempre la stessa: la forza, gli arresti, le armi. (10)

La vivacità della proposta culturale della Palermo di fine secolo, l'illusione di un riscatto economico e sociale che l'Esposizione Nazionale del 1891-92 aveva fatto sentire ormai vicino, l'esperienza delle prime rivendicazioni sociali, il rapido diffondersi dei Fasci, le stragi, la svolta autoritaria del governo, le udienze dei tribunali militari di cui i giornali locali pubblicavano puntualmente i resoconti, una crisi economica che l'emigrazione, rapida e tumultuosa negli anni tra '800 e '900 rendeva ancora più drammatica: di tutto questo non sembra ci sia traccia nelle carte dell'archivio Whitaker, non ancora del tutto riordinate e catalogate.

Ed è appena un'eco, nelle pagine già pubblicate del diario di Tina, che fa però riflettere sulla necessità di rintracciare, con obiettività e chiarezza, un percorso di vita appesantito talvolta da tentazioni retoriche o celebrative. Risulta infatti estremamente difficile accostare l'immagine di,Tina impegnata in attività abituali di aiuto nei riguardi soprattutto di bambini, col suo rammarico per la caduta del governo Di Rudinì, sostituito dalla Sinistra, che renderà improbabile «assistere alle punizioni che sarebbero necessarie per i recenti moti popolari».(11)

E da Malfitano in una lunga nota del 28 gennaio 1918: «La Germania imperiale, dice, è l'unico stato che ancora trattenga l'ondata fatale della democrazia che sta scuotendo tutti i troni d'Europa. Ma già una repubblica corrotta come gli Stati Uniti è senz'altro sufficiente per rivelarci i pericoli della democrazia.

E la Francia, per quanto splendida sia stata per capacità di resistenza e per patriottismo, non comprova forse che democrazia e amministrazione onesta siano inconciliabili? Si diano buone tradizioni ereditarie di rettitudine e si concedano tutte le occasioni perché le menti davvero grandi emergano dalle classi inferiori. Ma guai al giorno in cui, a furia di gra- duali concessioni al proletariato, riapriremo gli occhi e ci renderemo conto di esserci consegnati alla plebaglia».(12)

E di Crispi, repubblicano nel 1848, Tina ricorda «quali grandi servigi abbia reso al suo paese nel 1893-94 quando, tornato al timone dopo l'ignominiosa caduta di Giolitti, si trovò alle prese con il montante movimento dei cosiddetti Fasci delle classi lavoratrici, rendendosi conto che, sotto quelle corporazioni apparentemente da nulla, covava una pericolosa coalizione matrice della rivoluzione».(13)

E nelle pagine di Tina, che già conosciamo, niente più che rapide annotazioni sulle soste negli alberghi, sui soggiorni in Svizzera, Inghilterra, Firenze, Roma; e poi l'emozione di un tè con l'imperatrice Eugenia, «piuttosto deludente in verità», dato che «non è neanche un bel rudere, né ha le maniere di una grande dama», o con la regina Elena «molto migliorata rispetto ai primi tempi del suo matrimonio, graziosa e amabile ma noiosa» e le visite del Kaiser e di Edoardo VII, un ricevimento fiabesco a palazzo Doria e poi: corse di cavalli, picnic, tableaux vivants e chiacchiere, aneddoti, pettegolezzi.

E intanto la situazione a Marsala si faceva sempre più precaria ma né Pip, occupato con le spedizioni in Tunisia, le collezioni degli uccelli del mediterraneo, gli scavi di Mozia, i suoi libri, né Bob, riferisce Trevelyan dai diari di Tina, né Joss, che era nominalmente a capo dell'azienda, se ne interessavano minimamente; anzi, ad ogni tentativo di parlare di affari «sfuggivano l'argomento con irritante distacco».

Certo non potevano contare sulla cittadinanza italiana per assicurarsi la presenza nelle istituzioni pubbliche o l'appoggio dei politici, né si preoccuparono di consolidare o modificare il tessuto produttivo delle loro aziende, in risposta alle difficoltà che le attività imprenditoriali incontravano alla fine del secolo. La crisi aveva infatti investito anche il settore dei vini: le innovazioni sul piano tecnico, la diversificazione sul piano della produzione o le iniziative in campo associazionistico - si veda l'associazione Siciliana per il Bene Economico, fondata nel 1894, di cui Joss Whitaker faceva parte, o l'associazione per lo sviluppo, la ricostruzione e il miglioramento dei vigneti, fondata nel 1897 - non erano in grado di eliminare un danno che riguardava problemi strutturali e di mercato.

E se ridotta, negli anni tra '800 e '900, è la presenza dei Whitaker nei settori produttivi della città (sono annotati come banchieri ancora nel 1891 ed alla stessa data risulta sotto il loro nome una fabbrica di sommacco che occupava 50 operai), poche sono le note che i periodici, pubblicati a Palermo, dedicavano alla famiglia eccetto che per Tina e la sua attività di cantante dilettante e di organizzatrice di serate mondane; tuttavia non può essere negato che essi costituirono, per un lungo periodo, punto di riferimento per aristocratici e sovrani di tutta Europa e modello di costume e di comportamento per la ricca borghesia dell'isola.

Sembra quasi che i Whitaker di villa Malfitano abbiano attraversato la vita della città senza esserne parte, in un rapporto quasi esclusivo con la nobilità locale e la comunità inglese, ma c'è una nota di profonda solitudine nelle parole che Tina scrive qui il 20 gennaio 1895: «Quando avevo vent'anni credevo a tutto ciò che veniva profetizzato su di me, e cioè che il mondo musicale avrebbe riecheggiato il mio nome. In effetti tutto si è ridotto a lottare per non amareggiarmi a causa della delusione che ho subito. Sono rassegnata a non essere nessuno, a non avere creato nulla, a non aver fatto niente di ciò che la gioventù e l'energia mi inducevano a sognare.

Mi accontento di vivere proiettandomi nel futuro attraverso le mie figlie e, nel presente, in mia madre. Mio marito non ha bisogno di me».(14)

E poi, quieta, alla fine:

«Non ho nulla a che fare col tempo. Le mie ombre e le mie luci le ho dentro di me».(15)

 

NOTE

1. Alla fine dell'800 la provincia di Palermo misura kmq 5.047; è divisa in quattro circondari: Cefalù, Corleone, Palermo, Termini lmerese, i quali contano complessivamente 76 comuni con 810.000 abitanti circa.

Soltanto il 27,6% della popolazione scolastica frequenta, al censimento dei 1881, le scuole pubbliche in Sicilia ed è ancora meno del 50% nel 1901.

Tra il 1861 e il 1901 il tasso di analfabetismo non scende nell'isola al di sotto dei 70% (istituto Regionale per il credito alla cooperazione, L'economia siciliana a fine '800, edizioni Analisi, Bologna, 1988).

2. Il codice Zanardelli dell'89 aveva distinto tra il carattere comune e quello politico dei reati comrnessi attraverso la stampa, ma non ne aveva delineato con precisione i contorni. Lo stato d'assedio proclamato nel gennaio 1894 contribuì ancora di più a limitare la diffusione dei periodici e soltanto con la circolare dei luglio 1898 se ne consentiva la pubblicazione, fermo restando la continua sorveglianza delle prefetture che ricorreranno sempre di più all'intervento preventivo.

3. Il 21 dicembre 1876 era stata costituita, a Palermo, l'associazione tra gli operai tipografi che fu tra le prime ad inserire nel proprio statuto il principio dello sciopero e della resistenza; prevedeva infatti che i soci rifiutassero il lavoro proposto ad un prezzo inferiore a quello fissato in una tariffa concordata. In caso di licenziamento l'associazione avrebbe pagato una indennità di L. 1,50 al giorno per quattro settimane e L. 1 per altre quattro. cfr: Associazione operai tipografi italiani per l'osservanza delle tariffe e del mutuo soccorso. Statuto e Regolamento della sede di Palermo, tip. Tamburello, Palermo, 1877. Nel 1883 l'associazione pubblicava un giornale, "il tipografo Palermitano", diretto da Rosario Bracciante. Sciolta nel 1892, l'associazione fu ricostituita nel 1894.

4. Nel 1738, quando ancora in Italia e all'estero l'istruzione era quasi completamente affidata alle corporazioni religiose, si pubblicava a Palermo, stampato dal Gramignani, l'opuscolo I vantaggi della scuola pubblica sopra la privata dimostrati da Ottavio Piceno.

E in Sicilia, prima che altrove, l'istituzione delle scuole pubbliche divenne una realtà perché, con R.D., Ferdinando I fondava nel 1788, a Palermo, Le Regie Scuole Normali, affidandone la direzione a Giovanni Agostino De Cosmi. Accanto alle scuole statali moltissime furono le scuole private maschili che sperimentarono metodi nuovi.

Domenico Manuli, nel 1840, aveva messo a punto un metodo, una sorta di telegrafo alfabetico, per insegnare a leggere a bambini di 3-4 anni; Nella sua Statistica della istruzione pubblica in Palermo dell'anno 1859, Federico Lancia Di Brolo annota anche il nome di moltissime scuole private fondate molti anni prima e che continuavano la loro attività e tra questo: il Liceo Pecoraro e la Scuola di Sofia, fondate entrambi nel 1822, la scuola di Anfossi nel 1828, di Fazio nel 1834, di Coppolino nel 1832. Molti, già prima del 1860, erano i libri di argomento scolastico stampati a Palermo; valgano come esempio: G. Speciale, Metodo speciale per insegnare i fanciulli a ben leggere, 1800; S. Termini, Progetto di un piano di educazione e di istruzione pubblica adattato alle circostanze odierne, 1813; G. Guzzo, Metodo pratico per uso delle scuole normali, 1817; P. Lanza, Sulla istruzione del popolo, 1835; N. Scovazzo, Sulla necessità dell'istruzione morale e intellettuale per le donne del popolo e del modo di provvedervi, 1836.

5. La Società Operai Indoratori concorreva, già nel 1870 a Palermo, ad appalti per lavori pubblici e inoltre la Commissione, controllava che i figli dei soci frequentassero le scuole, proponendo dei premi «a favore dei diligenti» e «ammonizioni e castighi per gli altri». cfr: Statuto della Società Operai Indoratori in Palermo, tip. De Luca, Palermo, 1870.

C'era poi, nel 1894. una Cassa pensioni per gli Impiegati della Ferrovia Sicula Occidentale che assicurava il diritto a pensione, dopo i 55 anni di età, a coloro che avessero versato, «sempre che non abbiano oltrepassato i 35 anni di età», alla Cassa, il 3% dello stipendio mensile e godessero di un impiego stabile. cfr: Ferrovia Sicula Occidentale. Statuto della Cassa Pensioni per gli impiegati ed agenti esponenti della suddetta società, tip. Gianni Trapani, Palermo, 1894.

6. F. Lo Vetere, Il movimento agricolo siciliano, Sandron, Milano - Palermo - Napoli, 1903.

7. Cfr. Statuti della Banca di credito agrario, soc. An. con sede in Palermo, tip. Gaudiano, Palermo, 1873; Statuti della Banca Sicula di credito e trasporti marittimi, tip. Puccio e Mirabella, Palermo, 1873; Statuto della Banca Popolare di Palermo, Virzì, Palermo, 1882; Statuto della Cassa Popolare di prestiti nella contrada Falde Montepellegrino, Società sinonima cooperativa, Virzì, Palermo, 1886; Regolamento della Banca Popolare Cooperativa La Sicilia, Società anonima con capitale illimitato, tip. Amenta, Palermo, 1888; Statuto del credito agrario siciliano, tip. Nocera, Palermo, 189I.

Su una pagina dei numero unico "La Festa del Lavoro" stampato nel 1891 troviamo, tra i banchieri di Palermo, i Florio, Ingham e Whitaker, Kaiser e Kresner, Wedekind.

8. Sul "Giomale di Sicilia" dei 12-13,settembre 1903 è, ad esempio, citato lo stabilimento Oliveri che «è riuscito a superare qualunque difficoltà dando, alla città di Palermo, una incontentabile supremazia nel nuovissimo ramo delle industrie. Infatti lo stabilimento, sotto la direzione di competentissimi professionisti, ha intrapreso la costruzione di automobili che, all'eleganza, alla velocità, alla squisita perfezione dei macchinari, rivaleggiano coi migliori prodotti delle fabbriche estere».

9. In provincia erano importanti le cave di tufo di Bagheria e Terrasini, le cave di marmo di Piana dei Greci, gli stabilimenti enologici di Bagheria e Casicidaccia, l'industria del pesce salato a Termini e a Cefalù. E' sorprendente che la manodopera femminile, presente in settori tradizionali come quello alimentare e tessile, fosse numerosa anche in stabilimenti ad alto rischio: nel 1892, 1092 donne lavoravano nelle zolfare dell'interno dell'isola; a Palermo c'erano: 38 donne e 18 ragazze al di sotto di 15 anni nelle fabbriche di calce, gesso, laterizi, 5 nelle fabbriche di cemento; 39 donne e 5 ragazze in fabbriche di prodotti chimici, 22 in fabbriche di mobili. (Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione, cit.).

10. Questo e la crisi economica che per certi settori diventava di giorno in giorno insostenibile, costrinse la gente ad emigrare. Iniziata in silenzio l'emigrazione si fece, dal 1894, difficilmente controllabile: 9125 furono gli emigrati in Sicilia nel 1894: 11307 nel 1895; 15432 nel '96; 19106 nel '97; 25579 nel '98; 24604 nel '99, 28838 nel 1900; 36718 nel 1901; 54466 nel 1903.

Cfr.: F. Brancato, La Sicilia nel primo ventennio del regno d'Italia, Zuffi, Bologna, 1956.

11. R. Trevelyan, Principi sotto il vulcano, Rizzoli, Milano, 1972 p. 274.

12. ldem, pp. 332-333.

13. Idem.

14. R. Trevelyan, op. cit. p. 269.

15. Idem, p. 398.