TINA WHITAKER: MEMORIE DI UNA SOPRAVVISSUTA

(Relazione di Angela Lombardo in atti del seminario di studio "I Whitaker di villa Malfitano", tenutosi in Palermo il 16 - 18 marzo 1995 su "I Whitaker di villa Malfitano" a cura di Rosario Lentini e Pietro Silvestri, pubblicati dalla Fondazione "Giuseppe Whitaker" con il patrocinio dell'Assessorato dei beni culturali, ambientali e della pubblica istruzione della Regione siciliana nel dicembre 1995).

Memorie di una sopravvissuta avrebbe potuto essere - secondo Raleigh Trevelyan - il titolo del manoscritto di Tina Whitaker; un quaderno di circa settanta pagine che si conserva presso l'archivio Whitaker di villa Malfitano che, da me tradotto, è pubblicato in appendice (il manoscritto di Tina Scalia Whitaker è consultabile nel Cd-rom realizzato dalla Fondazione).

Tina, in tarda età, dopo avere pubblicato l'opera Sicily and England, si mette a comporre un altro scritto più personale, in cui intende raccontare cinquant'anni della sua vita, dal 1872 al 1922. Suo scopo è quello di delineare il ritratto di numerosi personaggi di una certa importanza culturale, storica e politica che ebbe la fortuna di incontrare durante la sua vita.

Purtroppo il lavoro rimase incompiuto perché effettivamente si trattava di un'impresa piuttosto complessa, considerato il grande numero di personaggi che essa incontrò nella sua lunga vita, per cui la narrazione si fermò soltanto al 1889 circa, anno in cui Tina andò a vivere a villa Malfitano.

Memorie di una sopravvissuta diventa perciò una sorta di racconto flash degli anni giovanili trascorsi da Tina non solo a Palermo, ma anche a Napoli, Parma, Cuneo e Torino, località dove il padre Alfonso Scalia venne volta a volta inviato per ragioni d'ufficio. La narrazione si può dividere in due momenti: la prima parte in cui Tina racconta in modo dettagliato alcuni particolari della sua vita, che risalgono alla sua visita a Palermo nel 1872; la seconda parte, che poi è, quella finale, in cui il racconto diventa meno interessante, superficiale e rapido, quasi come se Tina si fosse stancata o avesse perso l'interesse per questo scritto.

Di certo il manoscritto, pur se incompiuto, è comunque un ulteriore contributo alla conoscenza della donna Tina Whitaker. Le considerazioni che lei fa sia delle sue memorie che di alcuni particolari della sua vita, costruiscono il suo ritratto stesso e non solo quello di altri personaggi. Si rivelano, infatti, man mano, alcuni tratti salienti della sua personalità: la profonda religiosità, la generosità, l'attaccamento alla madre (le frasi "la mia adorata madre" o "la nìia cara madre" ritornano frequentissime nel manoscritto), un interesse per l'umanità tutta, umile e non, il suo senso morale; si scopre così in lei un carattere vivace e giocoso, come si rileva da alcuni episodi da lei riferiti.

Di Tina Whitaker, veramente, si conosce già tanto e tanto è stato detto in altre occasioni, ma con Memorie di una sopravvissuta tutto assume un significato particolare e si ha quasi l'impressione di una sua reale presenza.

Nell'introduzione lei tiene a sottolineare: « ... l'attuale scritto non è altro che una semplice chiaccherata dove naturalmente non presento nessuna autobiografia, ma piuttosto una serie di valutazioni riguardanti molte persone di un certo interesse che è stata mia fortuna incontrare durante una vita abbastanza ritirata, vissuta lontana da qualsiasi centro politico e, dovrei dire, lontana da qualsiasi centro intellettuale ... ». E ancora: « ... L'attuale scritto, invece, non è mia intenzione pubblicarlo e in ogni caso non dovrebbe offendere i sentimenti di nessuno.

Tutto quello che posso dare qui sono le impressioni di una testimone esterna degli eventi che stavano passando, una testimone che difenda sulla carta i suoi eroi o che dà una sua valutazione rapida di re o imperatori; comunque, poche parole casuali scambiate con alcuni uomini di un certo tono che non autorizzano uno scrittore a diffondere le proprie opi- nioni al mondo. Per le giovani generazioni della nostra famiglia è diverso. Più in là, leggere le impressioni di cinquant'anni di vita che a loro sembrano così lontani, li potrà divertire. Mi ricordo quando io stessa ero bambina e la mia adorata madre, come d'abitudine mi raccontava della sua infanzia; mi sembrava di trovarmi in una tale nebbia di remota distanza e, adesso, mi sembra l'altro giorno che ero bambina anch'io e guardo indietro su quello che poteva e che doveva essere di una vita che forse per la sua stessa monotonia sembra essere scivolata anche più velocemente rispetto agli avvenimenti esterni, ma tanto, per quello che conta, la mia vita non interesserà certamente a nessuno».

Tina, sin da giovane, mostra di avere un certo interesse per il popolo siciliano e per le sue tradizioni ed è affascinata soprattutto dal modo di vivere della gente umile.

Questa sua simpatia per la gente di Sicilia viene pienamente mostrata in Memorie di una sopravvissuta soprattutto quando parla della sua residenza nell'appartamento di via Butera: «... All'inizio fummo ospitati per pochi giorni da mia zia, in una casa a piazza Marina, in seguito andammo ad abitare in un piccolo appartamento all'angolo di via Butera, lungo un vicolo stretto. Era un ammezzato e guardando dalle finestre ho il primo ricordo dei vivo interesse che nutrivo per i miei simili, cosa che è stata una mia caratteristica per tutta la vita e alla quale sono molto grata... Era una misera strada, stretta e piccola sulla quale si affacciavano solo poche delle nostre finestre, ma mi affascinava molto più che guardare la gente elegante che passava con le carrozze dalla via Butera. Nei giorni ancora molto caldi di ottobre le classi più povere vivevano quasi completamente nelle strade, poca meraviglia se si pensa che di norma tutto quello che possedevano era una sola stanza che serviva per l'intera famiglia, con un'unica porta che fungeva anche da finestra. Molte famiglie si raggruppavano lungo questa strada stretta dove non passava neanche una carrozza a disturbare questo amichevole e spesso litigioso rapporto. Ad ogni porta, quasi invariabilmente, una donna stava seduta e faceva un nauseante caffè, oppure ricavava piatti di paglia dalla foglia di una palma corta e ispida, si pettinava e pettinava i capelli di un'altra ragazza, passandoli attentamente con un pettine stretto, spesso con risultati molto belli. Quelli erano i giorni tranquilli, quando amichevoli battute venivano scambiate da porta a porta, e con i piani superiori, attraverso la stretta striscia di strada che li separava. Occasionalmente un venditore di frutta o di verdura passava con la sua cesta attaccata alla spalla, portata da lui stesso o da qualche ragazzo di strada preso appositamente per questo lavoro, e con i piatti di ottone della bilancia che gli risuonavano nelle mani. Il lungo caratteristico vociare di ogni venditore avvertiva la casalinga, ancor prima di vederla, della merce che costui vendeva; poi il grido emesso dalla donna per fermarlo, discussioni (a volte violente) sui prezzi, i vicini che interferivano, il chiasso delle voci che diveniva veramente imponente e poi, se da un piano superiore veniva abbassato un paniere legato ad una imbragatura con i pochi centesimi richiesti per la quantità di merce acquistata e questo paniere veniva afferrato con successo, spesso un grosso cavolfiore veniva portato su con destrezza fino all'ultimo piano!... Una volta fui fortunata nel vedere un litigio fra donne; le cose andarono oltre ogni limite e nessuno osava interferire! In mezzo a tanto silenzio le due donne che litigavano si distinguevano deliberatamente tra gli spettatori; esse si rimboccarono le maniche, si tolsero accuratamente gli orecchini e li diedero in custodia ad un amico. Poi come delle furie si avventarono l'una sull'altra; la lite non fu molto lunga e quando ne ebbero abbastanza di graffiarsi e di buttarsi l'una sull'altra, di scombinarsi i capelli per soddisfare l'opinione pubblica, venivano separate da alcuni uomini e la pace era subito fatta!

Così da quella stradina ho imparato le prime parole di questo dialetto siciliano tanto interessante. Ho imparato a conoscere i compatrioti di mio padre, tanto diversi da quelli di qualsiasi altra parte d'Italia, tranne forse per alcune,zone della Calabria. Così affascinata, io che provenivo dal modo di fare della gente inglese, ho trascorso molte ore vivendo la loro vita, una vita che è più dell'orientale che del latino. Né la Sicilia e il popolo siciliano sono molto cambiati ora dopo cinquant'anni. Entrambi sono stati fatti conoscere al mondo generalmente nel loro tragico aspetto, dal grande attore siciliano Grasso che con la sua compagnia ha avuto un tale successo a Londra. Ma ancora oggi le scene che lui dipinge si possono vedere nella vita reale, anche se molto più raramente di quanto le sue tragedie non denotino: la gelosia dell'uomo, la sottomissione orientale della donna all'uomo; il loro meraviglioso potere di gesticolazione che rende il soggetto quasi chiaramente una pura pantomima anche senza che le parole si capiscano!».

Ma Tina Whitaker è incuriosita anche della gente ricca. Infatti dice: «Certo guardando indietro ai primi mesi passati a Palerino, sembra che la più grande impressione su di me l'abbia fatta la gente. L'umanità per tutta la vita mi ha interessato molto e anche in quei primi anni essa già catturava ardentemente la mia attenzione. All'intemo della nostra stessa classe sociale, per esempio, ricordo che pensavo quanto fosse strano che la gente siciliana non facesse una colazione o un pranzo adeguati. Mia zia Giulia, con la quale noi abitammo i primi giorni dopo il nostro arrivo, prendeva solamente una tazza di caffé nero la mattina, e un sorbetto con un biscotto qualche volta a mezzogiorno; nient'altro fino all'ora di cena, (era quasi estate) alle quattro in punto».

La nostalgia della giovinezza è un altro tema ricorrente nel manoscritto e non poteva essere altrimenti considerata l'età di Tina:

«La primavera del 1875 sembra delinearsi nella mia memoria; guardando a quegli anni mi sembra di svegliare alla vita la crisalide, divenire la farfalla e crescere. Sento come se in quella precoce primavera le violette fossero più dolci di quanto non lo fossero state prima. Tutta la natura sembrava palpitare e pulsare come facevo io e sembrava che la vita fosse eterna e che io potessi regolare il mio destino come volevo. Mi sembrava così naturale che potessi fare qualcosa per cui essere degni di vivere e che dovessi punire i malvagi; e ritorno indietro con la mente alla mia adorata madre, almeno un pò, a tutto quello che aveva fatto per me! Si. Ricordo ancora i meravigliosi sogni di quel periodo; oh! Fantastici sedici, diciasette, diciotto anni, quando il mondo è davanti a noi; come volate in fretta, e avanti, e non ritornate più!».

Come già detto, Tina Whitaker era molto religiosa e le sue affermazioni seguenti lo provano: «La religione è il più grande riferimento che una donna può avere nella vita! Ricordo quanto mia madre fosse sempre ansiosa perché non perdessi mai la fede; e quanto sempre evitasse, quando era possibile, che qualsiasi discussione riguardante controversie religiose venisse fatta dinanzi a me! ».

E ancora : «Niente può rimpiazzare una sincera e profonda fede nel cristianesimo; per i deboli e per i cattivi è una difesa contro le maleazioni e contro le cattivi abitudini del mondo, e questo vale anche per quelli che si credono abbastanza forti da resistere alle tentazioni, o per cui le tentazioni non esistono! Oh! Il vuoto e la miseria dei nostri giorni del giudizio senza nessun supporto cui appoggiarsi! ».

Ma Tina era anche bricconcella e dotata di un certo humor, malgrado la sua apparenza rigida e seriosa, e questi episodi della sua vita raccontati da lei stessa ne sono una dimostrazione: «Avevamo l'abitudine di ricevere una volta la settimana, di sera, a Napoli, gli ufficiali e pochi amici di mio padre.

Questi giocava al 'goffo', la famosa carta piemontese simile al poker, e i suoi compagni di gioco erano i generali Pallavicini, Guaglia, Albini, De Burges, ecc... Ricordo che sembravano così solenni tutti quanti nel loro gioco tanto che spesso sentivo che dovevo fare qualcosa per distrarli, così una sera mi lasciai cadere lunga lunga per terra. Naturalmente corsero tutti ad aiutarmi, ma prima che loro potessero raggiungermi, ero di nuovo in piedi in un baleno, ridendo a crepapelle. Avevo dato di proposito ai vecchi cari una svegliata! Un'altra sera, tolsi dai berretti degli ufficiali alcuni gradi argentati, soprattutto quelli di grado minore, in modo tale che un colonnello divenisse maggiore, un capitano divenisse luogotenente, e naturalmente nessuno riusciva a trovare il proprio berretto all'uscita!».

Tina accetta bonariamente il nomignolo affibbiatole dai giovani coetanei e non se ne cura, in fondo, poi, lei ha Joseph Whitaker ai suoi piedi, e non le importa degli altri: «Nel 1882 Lily Belmonte, Carolina Ranchibile sua cugina, ed io formavamo un triumvitato in società, e prendemmo i nomi di Cesare, Pompeo e Crasso. Poiché provenivamo ed avevamo una famiglia di giovani uomini militari e civili a nostra disposizione, il nostro simbolo era un ragno, e tutti eravamo un'unica cosa, gli uomini erano il corpo centrale e noi ragazze le estremità. Poi, essendo tutte e tre alte e più o meno magre, sembravamo un gruppo di ragazze che facevano più o meno alta tappezzeria ai balli; comunque noi ci opponevamo alla popolarità che avevamo tra i giovani che ci battezzarono le 'tre citrolone'; cetriolo veniva usato anche per dire 'stupido'. Comunque noi non ce ne curavamo, poiché avevamo il meglio a nostra disposizione!».

Tina continua con la descrizione delle città in cui visse e dei personaggi che vi incontrò. Parla di vestiti, di balli, di amici del padre e della madre, di principi e principesse, re e regine, conti, contesse, amici d'infanzia e parenti. Insomma circa settanta pagine di narrazione in lingua inglese in cui sicuramente non ci si annoia, anzi si sorride così come Tina aveva auspicato nell'introduzione del suo manoscritto, ma che ci danno un'immagine quanto mai concreta e umana delle nobildonne.