L'OPERA STORIOGRAFICA DI TINA WHITAKER

(Relazione di Rosa Scaglione Guccione in atti del seminario di studio "I Whitaker di villa Malfitano", tenutosi in Palermo il 16 - 18 marzo 1995 su "I Whitaker di villa Malfitano" a cura di Rosario Lentini e Pietro Silvestri, pubblicati dalla Fondazione "Giuseppe Whitaker" con il patrocino dell'Assessorato dei beni culturali, ambientali e dellla pubblica istruzione della Regione siciliana nel dicembre 1995).

«Tina Whitaker Scalia è il personaggio di maggiore spicco alla fine de secolo del periodo degli anglo-siciliani».

Questo il giudizio del Trevelyan che le dedica un lungo capitolo nella Storia dei Whitaker volume di oltre 250 pagine ricco di illustrazioni edito da Sellerio.(1)

Donna di altissime e riconosciute qualità, dalla molteplice versatilità, dal canto ad una avvincente scrittura, di rara grazia e nobiltà di modi coniugati con un profondo sentimento per la famiglia alla quale prodigó sempre amore e dedizione, si impose all'attenzione dei contemporanei per la ricca personalità che la caratterizza nella belle époque e di cui si interessarono largamente anche i giornali del tempo in occasione soprattutto di qualche sua esibizione canora specie se per beneficenza, come soleva fare.

La sua molteplice e ricca personalità la portò anche ad interessarsi di storia di cui è probante testimonianza il saggio Sicily and England, ripubblicato in versione italiana nel 1948 con una premessa di Biagio Pace, e con un sottotitolo, La vita degli esuli italiani in Inghilterra: significativo e chiarificatore del nuovo senso che ella intendeva dare al rapporto tra Sicilia e Inghilterra nel periodo 1848-70, che segna i limiti cronologici dell'opera, nel ricordo anche del padre generale Scalia che si era rifugiato in Inghilterra.

Più che di un'opera storiografica nel senso di una esposizione sistematica di fatti nel divenire della storia, si tratta di una esposizione ordinata di ricordi storici, di una evocazione memoriale di fatti e personaggi in buona parte riflessi e filtrati da una accurata selezione e da un senso nativo di finezza e di gusto.

«Si scorrono - si annota nel Giornale di Sicilia del 3 luglio 1948 - le dense pagine del libro con indicibile interesse; dall'introduzione storica che fa una rassegna degli eventi di Sicilia dal tempo dei Normanni in cui si altelrnano preziose notazioni storiche, a brani di sapore ambientale, a rapporti diplomatici, a colorite descrizioni dei centri patriottici ed artistici accoppiate agli assertori del Risorgimento d'Italia».

Nel 1860 la Sicilia era già matura e il personaggio su cui maggiormente ella fa rifluire il sentimento liberatore ereditato dal padre Alfonso Scalia, e fortemente nutrito in Inghilterra dove aveva fatto la sua prima formazione, è Garibaldi di cui esalta i sacrifici e le prodezze compiute per l'affermazione della libertà.

«Nell'ultima opera - si nota - il processo che porta alla evoluzione del pensiero e dell'azione politica dei siciliani, da una vaga aspirazione liberale nell'ambito del particolarismo, ad una concezione liberale ed unitaria ed antiguelfa che domina il '60 e che si svolge tra gli emigrati, movendo da reazioni molteplici dovute alla delusione del '48, ma soprattutto dai contatti personali intervenuti tra gli emigrati politici delle varie regioni d'Italia».

«Nell'aspirazione all'unità - nota l'Autrice - la grande isola non fu mai ispirata dall'orgoglio delle sue tradizioni, essa desiderava essere unita con l'Italia. Ancora l'Italia deve vivere e vivrà e il ricordo delle gloriose rivoluzioni che le diedero l'indipendenza deve rimanere ogn'ora come prezioso retaggio ai discendenti di coloro che per essa combatterono e soffrirono».

«Questa è la ragione - rileva ancora - che mi spinse a scrivere per le mie figlie questi ricordi dei loro nonni, perché sappiano della riconoscenza che l'Italia deve per la sua unità al silenzioso aiuto datole dalla nazione inglese nonché dalla magnanimità, dalla simpatia e comprensione con cui gli esuli furono ascoltati in quel paese veramente grande e liberale».

Si evolve, dunque, l'aspirazione unitaria attraverso il particolare ambiente dei profughi politici, che tendevano a rivolgere verso la causa italiana il paese che li ospitava: il tutto visto e sentito attraverso la partecipazione familiare, la conoscenza diretta e partecipata di uomini ed eventi che avevano fatto l'unità nazionale, e reso con una scrittura scorrevole ed elegante che rende l'opera gradevole.

Vi fu chi, quando l'opera tradotta si divulgò in Italia, ritenne di dovere riscontrare nell'autrice sentimenti repubblicani, come notò Carmelina Naselli, la quale però, come si evince da una lettera conservata nell'Archivio Whitaker, se ne scusò con Tina che, in verità, si era sempre dimostrata fermissima nei sentimenti monarchici.

Vi è un altro aspetto nell'opera che va tenuto presente ed è questo. La storiografia inglese, di cui Tina maggiormente risente, è legata al tradizionale empirismo proprio della cultura inglese tradizionale.

I dati della esperienza nella speculazione sono stati sempre alla base del tradizionale pensiero filosofico, all'opposto si direbbe, di come avviene nel pensiero tedesco.

Una storiografia ispirata ad una concezione idealistica di tipo hegeliano, in generale in Inghilterra non vi è mai stata. Se, pertanto, una valutazione si vuole dare dell'opera di Tina Whitaker si può affermare che essa è nello spirito e nella forma, consentanea alla tradizione storiografica inglese che aveva assimilato dall'ambiente spirituale e culturale in cui aveva fatto la sua formazione.

Così, per esempio, rievoca «l'entrata trionfale di Vittorio Emanuele con Garibaldi», che gli cavalcava accanto.

«Fu una scena da non dimenticare più, ma l'accoglienza non ebbe quell'entusiasrno e quel delirio di gioia che aveva salutato Garibaldi due mesi prima allorché, come liberatore degli oppressi era venuto senza truppa, circondato soltanto dal proprio stato maggiore e accompagnato dal suo fedele amico inglese, il Colonnello Peard, mettendosi indifeso nelle mani del popolo se egli non fosse stato tacitamente appoggiato dalla diplomazia delle corti di Torino, di Francia, d'Inghilterra, la campagna del 1860, con ogni probabilità avrebbe sortito gli stessi mancati risultati del 1848».

La stessa occasione le fornisce materia per alcuni giudizi sulle condizioni politiche dell'Italia del tempo ed in particolare della Sicilia.

Così successivamente parla delle condizioni della penisola a proposito del trasferimento del padre a Firenze nel 1867 dove era stato incaricato di un comando con il grado di Maggiore Generale.

Si tratta, come già detto, di un'opera di ricordi attraverso, i quali, si richiamano fatti e personaggi del Risorgimento intercorsi soprattutto tra Sicilia ed Inghilterra.

Rievocazione memoriale, esaltata da Domenico Oliva nel Giornale d'Italia, che mette in particolare rilievo lo straordinario spirito di ospitalità degli Inglesi che nel corso del Risorgimento ospitarono gli emigrati patrioti compromessi col regime borbonico, tra i quali appunto, il padre di Tina, Alfonso Scalia. Da qui il carattere quasi autobiografico perrneato di ricordi dell'opera lodata e recensita da Nino Petrucci che nel Giornale di Sicilia (3 luglio 1948) annota: «nel fermento generale del '48 la Sicilia aveva proclamato la sua indipendenza, la sua libertà fu calpestata, ma doveva risorgere nel '60».

Opera di carattere più strettamente storiografico, è, invece, il saggio su Maria Carolina scritto successivamente e pubblicato nella Rassegna contemporanea a cura di G. Cesareo e V. Picarde (1 ottobre 1908, fasc. 10) in cui ripercorre le ultime tappe della regina di Napoli, figlia di Francesco I e di Maria Teresa di Asburgo, andata sposa nel 1767 a Ferdinando IV di Borbone.

Opera, questa che si inserisce con notevole incisività in una fioritura di studi molti dei quali pubblicati nell'Archivio Storico Siciliano e che di per sé forniscono materiale per uno studio approfondito.

In linea con Sicilia ed Inghilterra, l'opera si muove su un piano autobiografico e l'attenzione dell'Autrice si incentra sulla donna forte e coraggiosa, amata e vituperata, capace di interessare con acuta e penetrante abilità le fila politiche del Regno di Sicilia e di coordinare eventi e momenti storici che vedono impegnati la Francia e l'Inghilterra fino al 1915.

Fu tale la sua opera da essere definita da Napoleone che pure l'avversava «il solo uomo del suo regno».

Lo studio della Whitaker si articola soprattutto sulla critica ai giudizi parziali e spesso negativi espressi da diversi storici, da Andreé Nonnegons a Madame Vigeé, a Bianco, Palombo, solo per citarne alcuni, ed offre una storia documentata anche sui fondi archivistici, della partecipazione della regina agli eventi del Risorgimento, e sempre tutta tesa a salvare l'integrità del Regno di Napoli.

Le considerazioni della Whitaker si articolano sulle vicende di Maria Carolina dal Regno di Napoli ove seppe governare con saggezza, fino all'incalzare degli avvenimenti tragici di Francia che le fecero cambiare l'indirizzo moderato che aveva evidenziato la saggezza del suo governo, una condotta più agguerrita e più aggressiva contro la Francia.

Lo stesso nemico acerrimo, lo storico Colletta, ammette che fino al 1790 aveva governato con tatto «non soverchiando» la personalità del re, anzi conservandogli l'autorità del governo e agendo a nome suo.

«Volge poi lo sguardo, - osserva la Whitaker, - all'Inghilterra come aiutò, e in ciò la sorregge l'amicizia con Lady Hamilton rappresentante della Gran Bretagna a Napoli».

Anche su questo rapporto, tanto discusso con Lady Hamilton, il giudizio della Whitaker, che ha tesorizzato il Carteggio di Maria Carolina con Lady Hamilton pubblicato da Palumbo, osserva che da questa corrispondenza non traspare mai un animo volgare che cerchi meschine soddisfazioni, «ma la dignità della Regina».

Circa poi i rapporti politici internazionali del Regno di Napoli e, quindi, di Maria Carolina con la Francia e l'Inghilterra, e specialmente con Napoleone, l'autrice ha sempre un tono moderato teso a rilevarne la personalità.

Così con i rapporti profondamente ostili alla Francia per l'assassinio della sorella prediletta Maria Antonietta, «che amareggiò e cambiò il carattere di Maria Carolina; tutta l'anima sua fu invasa da un ardente desiderio di vendetta contro gli infami che avevano commesso questo atroce atto»; così con i rapporti con Napoleone o con la stessa Inghilterra per la capitolazione di Malta nel 1800 che l'autrice giudica come il «tradimento dell'Inghilterra verso la Corte di Napoli, che ferì crudelmente quell'anima orgogliosa» e che segna l'inizio del tramonto della personalità della Regina che finora si era mantenuta grande e che fatalmente cominciava a piegare verso Napoleone, «la Francia e la Spagna».

Interessanti spunti per una più approfondita conoscenza della regina offre la lettura delle "Lettere di Maria Carolina al Principe di Butera" esibite nella prima classe della Società Siciliana per la Storia Patria e poi pubblicate nei Documenti per servire alla Storia di Sicilia, a cura di B. Salvo Cozzo.

A lei è attribuito anche il licenziamento dal governo di Napoli del Tanucci e la sua sostituzione con Acton.

I tempi in cui essa ha potere nella corte di Napoli sono quelli del momento più acuto della rivoluzione francese che videro la sorella Antonietta salire pure il patibolo.

«Come meravigliarsi - rileva Tina - se più che rassegnazione ferveva desiderio ardente di vendetta in quell'anirna fiera e risoluta?».

Nel suo gabinetto di lavoro ella fece collocare un ritratto della tanto amata sorella assassinata, e sotto fece incidere questa iscrizione «Je poursuiverai ma vengeance jusqu'au tombeau» quasi pegno che prendeva per vendicare l'estinta.

«Solo chi abbia sofferto simile martirio e abbia perdonato al suo nemico ha il diritto di gettare la prima pietra contro questa donna per estimare la sua sete di giusta vendetta».

Intento fondarnentale di questo studio è quello di rivendicare la regina dall'accusa che a lei si era fatta soprattutto di donna vendicativa e crudele. L'Autrice, invece, era convinta che quanto di efferatezza le veniva attribuito era relativo alle circostanze che la fecero a volte apparire anche crudele.

Morta nel 1815 prima del Congresso di Vienna, ella non vide il marito reintegrato nel regno.

Trova, infine, non esatto attribuire alla sua influenza la crudeltà dei processi seguiti alla Restaurazione a Napoli.

Nel considerare i fatti - rileva l'Autrice - occorre guardare alle circostanze perché gli orrori dei processi e di esecuzioni di morte ebbero luogo dopo la sua fine e Ferdinando si mostrò peggiore governatore e più tiranno dopo la morte della regina, per cui conclude convinta «che in tempi ordinari o per lo meno burrascosi e terribili Maria Carolina sarebbe stata alla storia col nome di grande regina».

Sulle ultime vicende di Maria Carolina, seguite con molto compatimento dalla Whitaker, sul suo esilio di Castelvetrano e poi di Mazzara per la decisionale volontà di Lord Bentinck di allontanarla dagli affari di stato basterà consultare "Il diario sul breve soggiorno di Maria Carolina" di G. B. Quinci (Archivio Storico Siciliano) con particolari inediti che la seguono fino alla fine. «Sbattuta dalla tempesta, approda corrucciata a Zante, a Odessa; giunge tutta chiusa nel suo dolore il 14 febbraio del 1814 e muore il 7 settembre nel castello di Metzendorf».

«Commiseriamo una grandezza che passa, una sventura che spia una vittima del proprio temperamento; donna di disparate qualità, croce per mezzo secolo delle due Sicilie».

Saggio storico, questo della Whitaker, equilibrato, aderente alle linee della storia, ma anche profondamente rivelatore di capacità di introspezione psicologica, di conoscenza dell'animo umano, saggio che attraverso tutti i testi e i documenti consultati la portano a concludere che «in tempi meno burrascosi e terribili, Maria Carolina sarebbe stata tramandata alla storia col nome di Grande Regina».

Il saggio della Whitaker quantomai equilibrato, che ben si inserisce nella tematica fondamentale del suo discorso storico, rivela anche le qualità di profonda conoscitrice dell'animo umano e la molteplice versatilità che la distinse.

Un terzo scritto di carattere storiografico, terzo anche in ordine di tempo, di Tina Whitaker Scalia, è l'opuscolo dedicato a Beniamino Ingham a Palermo reso nella traduzione italiana da Renata Zanca, che si muove sempre in area biografica in cui, attraverso, rapide notazioni, traccia l'ascesa economica sua e della sua discendenza.

«Il Florio fu sempre il suo consigliere nella prima Società di navigazione fondata nel 1840 da Ingham, e di cui egli come il titolare del maggior numero di azioni era il gerente».

Questa notazione, tanto per semplificare, e molte altre notazioni di carattere empirico, rendono l'esposizione viva, e si muovono su un piano reale che dà attraverso l'agire dei personaggi, come già nelle altre opere, uno squarcio della realtà storica e sociale del tempo.

Gli scritti di Tina Whitaker Scalia non possono dirsi certamente pro- priarnente storici, ma alla conoscenza della storia contribuiscono per quel mondo di persone vive, di Italiani e di Inglesi che trovano ora sul piano degli ideali di libertà, ora sul piano degli affetti, motivi di incontro e di intesa, rivissuti sempre attraverso il sentimento e la forte ed affascinante personalità dell'autrice.

NOTE

1. R. Trevelyan, La storia dei Whitaker, Sellerio, Palermo, 1988 (con numerose illustrazioni in bianco e nero e a colori, p. 43.