L'ORIENTAMENTO POLITICO DI TINA E JOSEPH WHITAKER

(Relazione di Francesca Riccobono in atti del seminario di studio "I Whitaker di villa Malfitano", tenutosi in Palermo il 16 - 18 marzo 1995 su "I Whitaker di villa Malfitano" a cura di Rosario Lentini e Pietro Silvestri, pubblicati dalla Fondazione "Giuseppe Whitaker" con il patrocino dell'Assessorato dei beni culturali, ambientali e della pubblica istruzione della Regione siciliana nel dicembre 1995.)

Tra le carte Whitaker abbiamo operato una ricerca che, pur nei suoi limiti, ha dato alcuni risultati non disprezzabili. Abbiamo ritenuto opportuno segnalare e valutare tre momenti fondamentali: la grande guerra, il fascismo dei primi anni, il secondo dopoguerra. Tra gli scritti di Joseph Whitaker meritano di essere considerati due lunghi commenti, l'uno sulla opportunità dell'entrata in guerra dell'Italia a fianco dell'Intesa, piuttosto che rimanere spettatrice ed inattiva, e l'altro contro la propaganda pacifista che cominciò a farsi dopo tre anni di guerra.

Dopo avere esaminato la situazione politica europea, Joseph Whitaker sostiene che indubbiamente l'Italia «avrebbe molto più da guadagnare dal trionfo eventuale della Triplice Intesa che da quello delle Potenze Centrali». La visione politica di Joseph, che può rientrare nel variegato schieramento democratico, si coloriva di elementi wilsoniani, ma assumeva anche qualche sfumatura nazionalistica: «... l'Italia dovrebbe pensare che vale bene la pena di affrontare le conseguenze di una guerra che, per quanto siano terribili, non potrebbero mai essere uguali a quelle che risulterebbero da un prolungato stato di inazione in un momento quando si decidono i destini e la sorte dell'Europa, e tanto meno di quelle conseguenze fatali che potrebbero derivare da un possibile dominio ed egemonia teutonica. Volendo realizzare le sue legittime aspirazioni, da tanto tempo invocate e sospirate, ed affermare la sua posizione di Grande Potenza, l'Italia non dovrebbe, a qualunque costo, perdere l'occasione propizia che si presenta ora, occasione che probabilmente non si ripresenterà mai più».(1)

La concezione politica di Joseph, dunque, si anima di motivi wilsoniai, quali la difesa della libertà dei popoli oppressi e della loro autodeterminazione, in un rinnovato contesto europeo che non poteva più assolutamente riprodurre lo statu quo ante bellum. Le ragioni dei tedescofili e dei neutralisti i quali ritengono che l'Italia avrebbe dovuto rispettare la sua neutralità, sono ben poca cosa dinanzi agli interessi supremi della patria, alla rivendicazione dei territori e alla liberazione del suo popolo oppresso. La Germania del resto, dice Joseph, se si fosse trovata nelle condizioni dell'Italia, non avrebbe esitato a difendere vigorosamente i suoi interessi. Verso la Germania, a questo proposito, i commenti assumono una forza ed un vigore negativi; la Germania è prettamente imperialistica e dominatrice.

«Quando si pensa a tutto ciò che ha fatto la Germania provocando questa immane lotta, quando si pensa ai suoi metodi selvaggi e brutali nella condotta delle operazioni militari, e quando si pensa che il suo fine egoistico era il dominio assoluto su tutto il mondo, per ottenere quale essa ha calpestato tutti i principi e tutte le leggi delle nazioni civili, gridando ferocemente che la forza è il diritto, sarebbe veramente sorprendente trovare un popolo generoso e fiero che non vi si opporrebbe anima e corpo».(2)

L'Italia, dunque, schierandosi a fianco della Intesa, «associandosi ai difensori dei piccoli Stati e della libertà, rivendicherebbe i principi delle leggi internazionali e della civiltà, contro il barbarismo e l'oppressione, ed affermerebbe ancora una volta le gloriose tradizioni della sua grande Nazione».

Il secondo scritto di Joseph che abbiamo esaminato riguarda la vergonosa propaganda pacifista che, per motivi «poco onorevoli o patriottici», si va insinuando nei paesi dell'Intesa e in quelli neutrali. Intanto gli Imperi Centrali avevano perduto quella superiorità militare di cui avevano goduto per più di quarant'anni; nel continente africano la Germania aveva perduto tutte o quasi le colonie. L'altro fattore di inferiorità, quello del disagio economico e della difficoltà per i rifornimenti sarebbe diventato più grave per gli Imperi Centrali, dopo gli accordi tra l'Inghilterra e gli Stati Uniti per l'intensificazione del blocco economico. Militarmente ed economicamente la guerra poteva considerarsi perduta per le potenze centrali; ed ecco perché la propaganda per la pace a questo punto sarebbe stata nefanda ed insidiosa.

«Intanto vi sono purtroppo degli esseri ignobili, i quali anche non ignari delle mene del nemico e con perfetta conoscenza di tutto ciò che è avvenuto nel passato e che si delinea nell'avvenire, che si ostinano sempre ad invocare la pace a qualunque costo, una pace poi che finirebbe per essere servitù. Per fortuna però la maggior parte dei pacifisti non appartengono (sic) a questa categoria, ed al patriottismo ed al buon senso di questa maggioranza rivolgiarno il nostro appello, facendo loro pensare che per quanto altamente umanitario ed ammirevole può essere il desiderio e lo scopo di por fine ad una guerra, onde evitare un maggior spargimento di sangue, con gli altri gravi danni che ne derivano, pure vi sono dei casi quando per ottenere un bene permanente conviene sopportare un male temporaneo, e che l'attuale guerra appunto ci presenta un tale caso. (.... ) Una pace conclusa ora senza avere prima raggiunto completamente i fini prefissi dall'Intesa, sarebbe una grande calamità per il mondo tutto, giacché fra relativamente pochi anni saremmo di nuovo in guerra e forse in condizioni meno favorevoli per noi!».(3)

Le istanze che si pongono sono due: combattere anche più accanitamente per il conseguimento di una vittoria finale e completa e per impedire che si ripeta un'altra grande guerra in un breve giro di anni. E con nemici di tale specie si può sperare in una pace duratura solo se ottenuta «con la forza delle armi».

«Insieme ai nostri alleati noi combattiamo per una causa santa e di giustizia, combattiamo per il mantenimento del diritto internazionale delle genti, per salvaguardare l'integrità degli Stati minori e per la libertà del mondo intero». L'Italia ha basi democratiche molto solide, un popolo sobrio frugale, non ha la capacità di ricevere influenze esterne come la rivoluzione russa, perché non si trova nelle condizioni della Russia o della Germania; l'Italia ha una gloriosa tradizione risorgimentale dal 1848 all'Unità.

Un altro aspetto della grande guerra che merita positivo ris41to è la mobilitazione delle masse dei cittadini, la loro reciproca conoscenza:

«... assistiamo in questo momento al grande sforzo collettivo di una Italia unita e compatta, condizione non mai prima completamente raggiunta, dalla quale dovrà nascere quella più grande Italia, sognata ma non intieramente realizzata dai nostri eroi del Risorgimento; una Italia più grande non soltanto per maggiore estensione di territorio, ma più grande per quella meravigliosa fusione ed omogeneità nata da questi anni di dolore e di sofferenza patite insieme, e che seguirà una era nuova nella storia della Patria».(4)

Dalle carte di Tina Whitaker Scalia abbiamo estratto alcuni scritti che esaminano alcuni aspetti del fascismo. Un'attenzione particolare merita, a parer nostro, un lungo commento del marzo 1923 sul fenomeo del movimento rivoluzionario fascista. Intanto vengono deplorate la responsabilità di Giolitti e l'inettitudine del Ministero Facta e si aggiunge che «Mussolini che nulla aveva da perdere e tutto da guadagnare approfittò della situazione, imponendo il suo volere in modo di assolutismo, che la storia troverà difficile a spiegare. Come mai il Parlamento si sia lasciato insultare e calpestare da un uomo finora quasi sconosciuto! Questa condizione non può durare ed il Dittatore di oggi dovrà essere arginato in seno al fascismo stesso il quale dovrà essere epurato da elementi deleteri».(5)

Viene esaminata quindi, la situazione dei partiti politici, dai socialisti ai popolari, ai liberali, ai nazionalisti; questi ultimi si sono fusi con le camicie nere e così «la camicia azzurra simbolo di Casa Savoia sparisce e difficilmente potrà risorgere al di fuori del fascismo». Tina Whitaker è consapevole, insomma, che al di fuori del fascismo non sarà possibile fondare un partito sano.

«Intanto ammettendo il grave errore di essere giunti alla rivoluzione, si poteva evitare questo? ( ... ) L'attuale grave problema si delinea coll'articolo di Mussolini nella 'gerarchia' contro il liberalismo. Qui egli chiaramente insinua che le leggi attuali non bastano per garantire la disciplina e l'ordine per la rigenerazione d'Italia; ci fa intravedere che il pariamentarismo in ogni modo nella sua attuale forma ha fatto il suo tempo. Invece io credo egli si troverà davanti uno scoglio ed una resistenza di gente che sostengono che l'attuale forma di governo basta per garantire il benessere dei Paese e che le leggi esistenti purché siano rispettate sono sufficienti, senza modifiche che intaccherebbero la stessa Costituzione».(6)

Nei confronti di Mussolini il giudizio è un pò oscillante nel senso che da una parte si allude alla situazione del Paese che ha bisogno di un governo forte e di un uomo come Mussolini e che «vi è molto da sperare da quest'uomo di valore singolare, con stoffa di grande uomo di Stato, il quale vede sempre fino a dove può osare e che milita sotto la bandiera del più puro patriottismo». D'altra parte si afferma che «Mussolini, giudicato dal suo passato, non ci da la garenzia voluta per continuare a seguirlo nel buio». Tina Whitaker parla di «indipendenza di un popolo» che non deve essere schiacciata sino a elevargli il dirit- to di esporre una sua opinione» ed aggiunge che «in Italia dobbiamo essere vigili» affinché il potere del partito fascista «non si affermi sino a paralizzare ogni iniziativa sia individuale che collettiva che non sia fascista». Pur appoggiando Mussolini e simpatizzando per lui non bisogna «lasciarsi prendere la mano». Si parla di rigenerazione dell'Italia, di operato fecondo, di attività meravigliosa, però occorre vigilare per la difesa della libertà.

«Dal 1876 fino al 1923 si è visto pur troppo l'infiltrazione gradata di opportunisti e di intriganti che poi nell'ultirna Camera ci ha portati alla vergogna ed allo spettacolo miserevole di rappresentanti della Nazione che non osano rispondere agli insulti (sebbene meritati) del primo Ministro della rivoluzione! Quando la storia registrerà le vicende che condussero a questo stato di cose e che la figura di Giolitti emergerà in tutta la sua truce luce, realizzeremo che se generali, Prefetti e questori non dovevano strettamente parlando mancare al loro dovere appoggian- do il fascismo, pure eravamo caduti così basso che grande indulgenza si deve a loro nel giudicarli, se incoraggiarono il precipitare degli eventi fuori legge, aiutando Mussolini ed i suoi seguaci».

Il fascismo, è considerato, dunque, come rivelazione delle profonde tare politiche e psicologiche e del ritardato sviluppo storico dell'Italia. Per quanto riguarda la situazione siciliana, «è stranissima» scrive Tina Whitaker in un foglio volante; «i fascisti poi sono tutti dell'ultima ora e per lo più non danno affidamento».

Ma il documento in cui Tina Whitaker dimostra la profonda speranza che Mussolini, «un figlio del popolo» debitamente aiutato possa sviluppare i suoi progetti «per il bene della Patria che è poi il bene nostro», è un manifesto a stampa scritto per le elezioni politiche del 1924 e rivolto Al Popolo Siciliano. Scritto di un anonimo (che sono io Tina Whitaker Scalia).(7)

In questo documento propagandistico per fini elettorali rileviamo varie osservazioni interessanti. Per esempio, quando si opera un confrono tra la rivoluzione bolscevica e quella che ha realizzato Mussolini il quale «nel prendere le redini dei potere in mano ha realizzato che le rivoluzioni sono un grande pericolo per uno Stato e ce lo ha evitato nel vero senso della parola». La rivoluzione russa ha causato lo sperpero di immense ricchezze «creando una condizione di povertà non mai vista prima; molto si è parlato di libertà ed è in nome della libertà che si è fatta la rivoluzione in Russia; ma a che ha servito questa rivoluzione se non ad una tirannia ben più feroce di quella che esisteva prima». A questo punto si parla di borghesia e della sua funzione indispensabile nella società, senza la quale sarebbe impensabile assistere alla mobilità e al miglioramento delle classi. La borghesia oggetto di distruzione da parte del bol- scevismo, è invece esaltata quale mezzo o ruolo di mediazione e di collegarnento, quale tessuto connettivo della società, tra i ceti popolari e i ceti economicamente agiati, per ottenere un rapporto arrnonico tra le varie parti del tessuto sociale.

Mussolini, infatti, «ha capito subito che distruggere il ricco, vuol dire distruggere il lavoro». Bisogna, quindi, concedere più tempo a questo «geloso custode» dello Stato italiano che è Mussolini. «Venuto dal popolo è desideroso di servire il popolo, cominciò anch'egli con idee di così detto socialismo: poi costatò che pur troppo i bene del popolo dal socialismo granché non può venire; sopra il ricco e il povero vi sono i beni comuni a tutti, ricchi e poveri, cioé: la Patria, la famiglia, la Fede! Mussolini questo intuì e ne fece il suo programma; per queste (sic) tre grandi ideali dobbiamo tenerci tutti uniti e batterci contro coloro che questi beni vorrebbero distruggere, e nulla darci in cambio! questo intuì anche il Re quando nei giorni ormai storici, della marcia su Roma delle camicie nere, risparmiò al suo amato Paese la vera rivoluzione rifiutando di firmare il decreto dello stato d'assedio, e chiamando al governo il giovane duce del fascisrno».(8)

La più grande delle tirannie è, dunque, causata dal comunismo, è la tirannia dello Stato che, essendo l'unico depositario della ricchezza nazionale e l'unico capitalista, non lascerebbe «più agli altri la libertà individuale al punto che neppure, il figlio può ereditare dal padre».

Altre osservazioni riguardano la distribuzione della terra ai contadini, le industrie, la mafia: son cose che rientrano nelle progettualità di Mussolini al quale, ripete di continuo Tina Whitaker, bisogna dar tempo materiale affinché le idee e le leggi nuove portino frutto.

In altri documenti viene esaltato il ruolo che l'amicizia della Gran Bretagna verso l'Italia ha avuto nel processo di formazione dello stato risorgimentale, mentre le allusioni nei confronti della Francia sono conTrassegnate da un carattere di decisa depressione: «E' la Francia sempre la Francia che intralcia ogni passo intrapreso per consolidare e rinforzare la grandezza dell'Italia unita! ».

E quando giunse per l'Italia, nell'ottobre 1922 il momento in cui riacquistò «la fiducia in una rinnovata fierezza nazionale», e «le prime manifestazioni della politica Fascista non furono ritenute dall'Inghilterra inspirate ad eccessiva fiducia e simpatia verso di essa», e, quindi, nel febbraio del 1923 «vediamo trapelare di già una certa preoccupazione inglese per la posizione'nel Mediterraneo», il primo Lord dell'Ammiragliato presentò una relazione al Parlamento Britannico, consigliando di aumentare le forze navali nel Mediterraneo per garantire la libertà di quel mare. Ma tale episodio non turbò «in alcun modo i rapporti amichevoli tra i due Paesi», né suscitò «malintesi». Il Times del 28 ottobre 1923 pubblicava il telegramma di un suo corrispondente il quale riconosceva «la posizione dell'Italia come la più essenzialmente mediterranea di tutte le grandi Potenze» e riconosceva altresì che venisse prestata «la più accurata attenzione ad ogni modifica» che potesse alterare gli equilibri delle forze del Mediterraneo. E qui non è superfluo ricordare un'altra manifestazione della tradizionale amicizia fra Italia e Inghilterra:

«Quando nel 1924 si discusse a Ginevra in merito all'entrata della Germania nella Lega delle Nazioni, fu proprio Sir Austin Chamberlain, Ministro degli Esteri, appoggiato anche da Briand, a far rilevare alla Germania che richiedeva un'eventuale restituzione delle colonie perdute, che qualora si fosse addivenuti ad una modificazione dello statu quo nella distribuzione dei Mandati, l'Italia poteva accampare un indiscutibile diritto di prelazione. Su questo argomento non è più il caso di discutere, perché l'Italia ha conquistato da sé sola e brillantemente. tutto l'Impero Etiopico, ma serve però a dimostrare che, fin d'allora, si riconosceva che i suoi diritti coloniali non erano stati soddisfatti come e quanto avrebbero dovuto».(9)

Da alcuni documenti, a volte fogli volanti, dell'Archivio Whitaker abbiamo tratto alcune osservazioni che riguardano, per esempio, la responabilità dell'Inghilterra per lo scoppio del secondo conflitto mondiale:

«In questa tremenda guerra che ormai minaccia di travolgere il mondo intero, certo colpa sebbene involontaria ha avuto la Gran Bretagna e in primo luogo per la lentezza dei suo carattere e nel non aver realizzato che i tempi sono cambiati ( ... )». «Qui non vogliamo entrare in dettagli degli errori di aver voluto contare sulla Società delle Nazioni, in fallimento morale per l'assenza degli Stati Uniti sin dal primo giorno, e trascurando la risoluzione di questioni che s'imponevano».(10)

Viene ricordato anche il Mein Kampf di Hitler del quale sono state trascurate, "le avvertenze".

Gli ultimi documenti di cui disponiamo e che ci son sembrati degni di essere menzionati riguardano il mutato giudizio nei confronti di Mussolini.

Intanto a proposito di un discorso di Giovanni Gentile dal titolo "L'Italia di Dante e di Mazzini ha sentito nella voce di Mussolini l'espressione del suo carattere immortale", il Duce viene annoverato tra i padri del Risorgimento; bisogna però prendere atto che «pur troppo dopo 21 anni (il Duce) non ha creato ancora con il Corporativismo, ripreso dal Medioevo, un'Italia in condizione di dare all'individuo il diritto di una espressione libera pur indispendabile alla vita. Le stanche parole 'abbiamo fatto l'Italia resta da fare gli Italiani', è rimasta da farsi». (... ) «Il fascismo un superbo ideale è fallito almeno per ora, per la troppa fretta, nell'esecuzione di tanti problenù da dover risolvere! ».

Ma, soprattutto, ci si augura che la monarchia riprenda «la sua antica posizione, possa riavere la sua Costituzione, senza urti violenti, e con quel respiro che le dia di nuovo la libertà individuale di espressione».

Nel marzo 1942 ci si chiede, infine, quale posto sarà riservato a Mussolini nella Storia, «lui che per programma non ha avuto che il solo opportunismo della giornata? Non è stato un grande Generale,e non un grande uomo di Stato. Non è stato conseguente a sé stesso, avendo detto che la Finanza, l'Economia erano i suoi capisaldi e paragonandosi a Cromwell: 'Tuttavia senza guerre'! ».(11)

Si allude al fallimento del sogno del panlatinismo, cioè della creazione di un grande Impero Latino, mentre la guerra ormai «lascerà un'Europa sfinita ed assoggettata alla politica mondiale» e l'Italia va alla deriva.

Osservazioni interessanti ci sembrano quelle che riguardano la fine dell'egemonia europea nel mondo, la fine del cosiddetto curocentrimo. «Ormai nessun Paese vorrà rinunziare alle grandi industrie create fuori l'Europa durante questa guerra. Il mondo intero è evidente si organizza per vivere senza l'Europa». Ed inoltre «può mai convenire alla Gerinania che il nuovo mondo, che sta per sorgere, debba vivere senza la vecchia Europa?».

Un ultimo documento che è poi un articolo del Risorgimento liberale (14 febbraio 1948) debitamente ritagliato ci fa risalire alla concezione politica globale dei Whitaker, cioè al loro perenne orientamento liberal-democratico laico. Siamo alla vigilia delle elezioni politiche del 1948 e tale competizione elettorale vien definita quella dei quattro pilastri e dei quattro cantoni, o delle quattro posizioni-base: cattolica, comunista, socialista e liberale, rappresentate rispettivamente dalla Democrazia Cristiana, dal Fronte Popolare, dall'Unità Socialista (socialisti dissidenti e socialdemocratici) e dal Blocco Nazionale (PLI e Uomo Qualunque).

Riteniamo che questo foglio sia stato ritagliato e conservato proprio perché rispecchia la visione politica dei coniugi Whitaker, cioè l'esaltazione della Democrazia laica «tanto diversa dalla cosiddetta Democrazia Cristiana».

L'auspicio è che tutte le forze politiche laiche si riuniscano in una «unica Democrazia laica e liberale», superando le polemiche tra monarchici e repubblicani, i due partiti sopravvissuti al 2 giugno 1946: il problema istituzionale, infatti, è ormai storicamente inesistente. Dunque se repubblicani, monarchici e liberali sono gli eredi della tradizione risorgimentale, perché tutti fedeli alla mernoria di V. Ernanuele II, di Mazzini, di Garibaldi e di Cavour, non potrebbero, anziché dividersi in varie formazioni elettorali, unirsi in un'unica Democrazia liberale? Democrazia, liberalismo, laicismo, sono gli interessi comuni affinché i tre partiti laici non disperdano le loro forze a vantaglio di altre pseudodemocrazie, le 9 quali non dispongono di quel prezioso patrimonio politico e culturale del risorgimento italiano.

Superata la questione istituzionale, superati i problemi che appassioarono gli elettori che votarono nel referendum del 2 giugno, ora «che senso può avere oggi votare per un partito monarchico o repubblicano, quando il problema è di sapere se domani l'Italia ricostituirà la sua libertà e la sua prosperità in un sistema europeo-americano o dovrà rassegnarsi al destino di una grande Bulgaria».(12)

Anche quest'ultima osservazione ci sembra che possa rivolgere la nostra attenzione verso una visione politica orientata ad un sistema di alleanze occidentali in cui l'Europa non più isolata né egemonica avrebbe potuto svolgere un ruolo di grande potenza, e ritrovare la sua vera identità.

 

NOTE

1. Archivio Whitaker, Carte Joseph.

2. Ibidem.

3. Ibidem.

4. Ibidem.

5. Archivio Whitaker, Carte di Tina Whitaker Scalia.

6. lbidem.

7. Ibidem, Cfr. F. Brancato, I Whitaker di Villa Malfitano. Lineamenti e l'Archivio documentario, in "Nuove Prospettive Meridionali", A. IV, n. 9, 1994, pp. 15-34.

8. Archivio Whitaker, Carte Tina Whitaker Scalia.

9. Ibidem.

10. lbidem.

11. Ibidem, Che posto avrà Mussolini nella Storia?, marzo 1942.

12. A. Zanetti, I quattro pilastri in "Risorgimento Liberale", 14 febbraio 1948.