Il legame delle due isole Trinacria: la Sicilia e l'isola di Man di Raleigh Trevelyan

 

Cultura e società a Palermo tra la fine dell'ottocento e i primi del novecento di Fausta Puccio

 

Considerazioni sugli Inglesi e la Sicilia di Rosario Battaglia

Gli inglesi in Sicilia

(tratto da "Gli Ingham - Whitaker di Palermo e la villa a Malfitano" di Romualdo Giuffrida ed. nel 1990 dall'Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Palermo)

E' noto che alla Terza Crociata, cui intervenne Riccardo Cuor di Leone, parteciparono molti feudatari inglesi, i quali, o perché non disponevano di congrue quantità di numerario, o perché - ha osservato il Sapori - temevano «di esporre somme notevoli ai rischi delle vie terrestri e marittime, avevano fatto ricorso al finanziamento» di mercanti italiani, sia nella penisola italiana, allorché l'attraversavano per dirigersi in Siria e in Palestina, sia in Terrasanta, dove le agenzie di affari italiane crearono, sin dalla prima Crociata, l'organizzazione economico-finanziaria delle varie spedizioni. Insieme con i feudatari chiesero prestiti sia i prelati che si recavano a Roma sia gl'inviati dei sovrani d'Inghilterra ai Pontefici.

Poiché, a garanzia della restituzione dei prestiti, «baroni, ecclesiastici e diplomatici avevano costituito in pegno o in ipoteca i beni mobili e immobili lasciati in patria, e talvolta avevano presentato anche l'avallo della firma del loro sovrano, la necessità dei prestatori di recarsi in loco a ritirare» le somme anticipate, li costrinse ad andare in Inghilterra dove «l'ostacolo delle leggi che vietavano l'esportazione della moneta suggerì un accordo conveniente per le due parti». Infatti, poiché in Inghilterra nei manors feudali, nelle terre regie e in quelle dei monasteri, si produceva lana di qualità pregiata e, poiché in Italia, la manifattura dei panni-lana «costituiva l'ossatura della nascente organizzazione industriale», i mercanti italiani che vantavano crediti nei riguardi di feudatari o di prelati inglesi, ritennero conveniente investirli nella preziosa materia prima. Una situazione del genere «richiese a sua volta il rilascio di permessi di soggiorno e di transito» per raccogliere trasportare la lana ai porti d'imbarco. «Divenuti quei soggiorni più, lunghi e cresciuto il numero degli esportatori, si delineò anche la convenienza di qualche importazione favorevole ai mercanti forestieri e agli indigeni per lo stato oltremodo arretrato dell'economia dell'isola: e soprattutto i raffinati tessuti italiani trovarono da essere collocati tra la clientela ormai nota dei Signori e della Corte. Cosi alla prima immigrazione dovuta al recupero dei crediti, se ne aggiunse un'altra determinata dalle vere e ,proprie t'ransazioni commerciali» le quali costituirono le premesse di quel fenomeno che s'identificò con la nascita in Inghilterra delle succursali di varie compagnie mercantili italiane dai Bonsignori di Siena ai Riccardi di Lucca, dai Frescobaldi ai Bardi e ai Peruzzi e infine ai Medici di Firenze. Tuttavia, allorché nel 1478 la Banca Medici cessò la propria attività a Londra, i mercanti italiani scomparvero dalla scena economica inglese nella quale avevano esercitato un predominio incontrastato per circa tre secoli. Infatti, man mano, aveva preso corpo l'industria tessile inglese che, sottraendo all'esportazione quantità sempre maggiori di lana, costrinse gli stranieri a passare dalla posizione di preminenza a quella d'inferiorità di fronte ai regnicoli. Non v'è dubbio che, in concomitanza con tale fenomeno, nella seconda metà del quattrocento prese l'abbrivio la penetrazione commerciale inglese nei paesi del Mediterraneo. Furono gli anni in cui «i Genovesi - ha notato il Trasselli portarono in Sicilia panni inglesi, sicché i panni di Londra, attraverso i mercanti liguri, invasero - è la parola esatta - la Sicilia: forse - ha aggiunto Trasselli - un inglese si stabili addirittura a Mazara». «E' un Petrus de Londres de civitate Mazarie che compare a Palermo nel 1454 e che, se non è un londinese è un siciliano reduce da Londra». Sulla presenza di panni inglesi in Sicilia «la prima notizia - ha rilevato il Trasselli - risale al 29 aprile 1450 ma la massa di panni inglesi... elencati è tale da far comprendere che non siamo in presenza della prima importazione». Da un inventario della bottega di panni del mercante trapanese Diporto de Sinaldo redatto dal notaio Giacomo Miciletto il 29 aprile 1450 emerge la presenza di consistenti quantitativi di panni di Londra di vario colore dal, rosso al paonazzo e al mischio. Se la penetrazione commerciale inglese in Sicilia cui si è accennato venne resa operante nel XY secolo da mercanti genovesi, che contrastavano il monopolio di cui godevano in tale settore i catalani, la prima indubbia testimonianza della presenza dei mercanti inglesi in Sicilia risale, allo stato delle indagini, al 1606, allorché con lettera del 20 luglio il duca di Feria chiese al marchese di Villena di favorire «Livio Ciappamano y Nicolò Obs mercaderes ingleses» che «en la ciudad de Messina residen».

La presenza inglese in Sicilia divenne più massiccia nell'800.

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John Woodhouse

 

 

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L'elizabeth, piccolo veliero uitilizzato dal Woodhouse per le prime esportazioni del marsala

 

John Woodhouse

(tratto da "La storia dei Whitaker" di Raleigh Trevelyan ed. nel 1988 da Sellerio Palermo)

«Il vino è talmente buono da essere degno della mensa di qualunque gentiluomo», scriveva Nelson il 29 marzo 1800. Si riferiva al vino di Marsala del suo amico John Woodhouse, che aveva cominciato ad apprezzare due anni prima, di ritorno dalla battaglia del Nilo. A quel tempo era difficile rifornire di rum o madera la flotta, ed egli ne aveva ordinato la stupefacente quantità di quattromila galloni. In quel periodo Marsala, la Lilibeo degli antichi, fondata dai cartaginesi non era un luogo piacevole, col suo aspetto moresco e riarsa dal sole, mentre la campagna circostante era considerata una delle più depresse della Sicilia. Il padre di John Woodhouse vi era giunto nel 1773 da Liverpool alla ricerca della «barrilla», un alcali impiegato nella preparazione del sapone che si otteneva bruciando una pianta comune nelle saline del luogo. Egli non aveva tardato ad accorgersi che il vino offriva buone possibilità di guadagno, e ne aveva spedito un carico irrobustito con alcool per farlo resistere al mese di viaggio. L'esperimento ebbe successo e il vino si vendette in breve tempo, sicché altri carichi seguirono in rapida successione.

John arrivò nel 1787, su un brigantino che si chiamava The Big Grampus. Era uno scapolo severo e laborioso, assolutamente insensibile al fascino di Palermo, posta nella bella valle della Conca d'oro, che i viaggiatori paragonavano al giardino delle Esperidi.

Egli si rese subito conto che le condizioni del suolo e del clima di Marsala erano estremamente simili a quelle di Madera, e peraltro a quelle di Jerez o Malaga. Senza perdere tempo si impegnò in un'opera di rinnovamento agricolo globale, fornendo prestiti agli agricoltori, incoraggiandoli a convertire i campi di cereali in vigneti, facendo lastricare la strada principale e costruendo un molo, dove circa sessant'anni dopo sarebbe sbarcato Garibaldi con i suoi famosi Mille per scacciare i Borboni dalla Sicilia.

Mediante l'impiego di uve molto ricche di zucchero quali il catarratto, la inzolia, il grillo e il domaschino, iniziò la produzione dei marsala lanciandola nel mercato britannico in concorrenza con i vini liquorosi spagnoli e portoghesi, effettuando le sue prime spedizioni col piccolo bastimento Elizabeth.

Dopo essere stato raggiunto dal fratello Will, John comprò una vecchia tonnara e la trasformò in un magazzino all'intemo di un baglio, una costruzione simile ad una fortezza, costituita da sette acri di terreno cinti da alte mura di protezione contro le scorrerie dei pirati saraceni e munita all'interno di una splendida villa in stile palladiano con orto e pollaio.

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Benjamin Ingham a 16 anni

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Benjamin Ingham a 57 anni

 

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Alessandra Spadafora e Colonna, duchessa di S. Rosalia, moglie di Benjamin Ingham

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Ritratto di Benjamin Ingham

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Ritratto della duchessa di S. Rosalia

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Palazzo Igham a Palermo (foto del 1875); oggi Grand Hotel delle Palme

 

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Villa Ingham a Ragalia agli inizi del secolo

 

 

 

 

 

 

Brevi istruzioni ad oggetto di migliorare la qualità de' vini di Sicilia di Benjamin Ingham

Benjamin Ingham

(tratto da "Gli Ingham - Whitaker di Palermo e la villa a Malfitano" di Romualdo Giuffrida ed. nel 1990 dall'Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Palermo e da "La storia dei Whitaker" di Raleigh Trevelyan ed. nel 1988 da Sellerio Palermo)

Benjamin Ingham, «figlio del fu Guglielmo... di Leeds nella contea di York nel Regno della Gran Bretagna», giunse in Sicilia nel 1806, contemperaneamente ai primi contingenti inglesi. Veniduenne, era nato a Ossett, nello Yorkshire, discenente di una nota famiglia di nonconformisti. Uno zio, che portava il suo stesso nome, era stato un compagno di John Wesley e aveva fondato la setta degli Inghamiti; si era recato più volte in America, fondando numerose chiese.

E' stato detto che il giovane Ingham abbia accettato di recarsi in Sicilia perché la nave nella quale aveva investito tutte le sue fortune era andata perduta; in seguito a ciò la venale fidanzata lo aveva lasciato. Pare che avesse deciso di non tornare finché non fosse divenuto abbastanza ricco da potere comprare per intero il paese natio di Ossett. Venti anni dopo, se lo avesse voluto, ne sarebbe stato perfettamente in grado.

Molti consideravano Ingham inaffidabile. A differenza di Woodhouse, amava Palermo e vi stabilì la sua residenza. Imprenditore nato, gli bastò una sola visita a Marsala per rendersi conto che Woodhouse sedeva su una miniera d'oro. Chiamò immediatamente in Sicilia il fratello Joshua, che era stato in America, e lo spedì in Spagna e Portogallo a studiare i sistemi di fortificazione del vino. Lui stesso si recò in America, ed aprì un'agenzia a Boston, dove pare gli siano stati utili i contatti con gli Inghamiti. Ma forse anche questo viaggio dipese da una delusione d'amore, causata da Estina Fagan, figlia del futuro console britannico a Palermo, Robert Fagan, artista e archeologo irlandese dai dubbi trascorsi e confidente della regina Maria Carolina.

Nel 1812 Benjamin Ingham aveva già provocatoriamente costruito un suo baglio a un miglio di distanza da quello di John Woodhouse a Marsala, e ne aveva comprato altri a Castelvetrano, Campobello di Mazara, Balestrate e Vittoria. Il suo vino, lievemente più dolce di quello di Woodhouse, era noto col nome di «Colli»; le qualità migliori erano chiamate «London Particular», «Inghilterra» o «Bandiera». Grazie all'esperienza di Joshua in Spagna, egli introdusse il sistema Solera, secondo cui una botte di vino vecchio, da cui si preleva al massimo metà del contenuto, viene nuovamente riempita con vino nuovo.

Beniamino Ingham potenziò la produzione di tale vino reperendo nel territorio marsalese notevoli quantitativi di mosto col sistema già adottato su larga scala dal Woodhouse.

Nello stesso anno eleggeva il proprio domicilio a Palermo e vi costituiva la Casa di Commercio Ingham e C. dedicandosi all'importazione dall'Inghilterra, per la vendita all'ingrosso in varie piazze commerciali della Sicilia, di tessuti di lana e di cotone di varie qualità, saye, schallon, anascotti, scotti signorelli, panni Bristol, vantaggiati, rifollati e fini, baette bianche, peloni doppi e peloncini.

Nel medesimo anno della costituzione di tale Casa di Commercio, Ingham si adoperò per creare, originariamente con Richard Stephens, una manifattura per la produzione di vini all'uso di Madera cui sin dal 1773 si era dedicato Giovanni Woodhouse il quale, per primo, aveva intuito «che la produzione vinicola del versante occidentale della Sicilia, grazie ad opportuna lavorazione, avrebbe potuto tentare con ottimo successo l'esportazione nel mercato inglese dove già... godevano molto favore i vini di Xerez, Porto e Madera».

Anche altri mercanti di vino, come Hopps, Wood e Corlett, si stabilirono nella Sicilia occidentale. Ingham continuò ad importare velluti e tessuti stampati da Leeds, in società con i suoi parenti Smithson di Messina, ed estese la sua attività al commercio dell'olio, della liquirizia e degli agrumi. Molto più importante fu la sua intuizione degli immensi profitti che potevano derivare dall'attività bancaria, concedendo crediti agli altri mercanti, agli aristocratici siciliani ed alla borghesia emergente. Già Abraham Gibbs, di Exeter, si era stabilito come banchiere nell'isola al tempo della precedente occupazione britannica.

Egli, fungendo da banchiere, dato che la Sicilia era dotata solo di Banchi pubblici di deposito che non esercitavano il credito produttivo, anticipava coll'interesse del 7 per cento a numerosi proprietari di vigneti la somma necessaria per procedere alle relative colture. Per soddisfare tali anticipazioni i proprietari si obbligavano a consegnargli, al momento della vendemmia e al prezzo stabilito dai «signori negozianti inglesi» sulla piazza, la quantità «di vino mosto mercantile e recettibile» avente il valore corrispondente al capitale ricevuto a titolo di anticipazione e al relativo interesse. Da un'attività del genere resa operante nel baglio costruito a Marsala in contrada Casa Bianca, Ingham ritrasse notevoli profitti commerciali, esportando il vino di sua produzione negli Stati Uniti d'America (da Boston a New York, da Filadelfia a Baltimora e New Orleans), in Brasile, in Australia e persino a Sumatra nell'arcipelago della Sonda.

Va ricordato che, attraverso la Casa di Commercio di Palermo, l'Ingham realizzò un vasto giro di affari per la fomitura, a vari mercanti, di sommacco e di zolfo, che è ampiamente documentata da numerose cambiali protestate, per mancato pagamento, tramite un pubblico notaio. Né va dimenticato che Ingham, effettuò grosse anticipazioni, sempre al 7%, a favore di esponenti della nobiltà palermitana, i quali, quando non erano in grado di restituire al momento prestabilito, le somme ricevute in prestito e i relativi interessi, gli cedevano beni immobili di cui erano proprietari. Citiamo per tutti il caso di don Michele Requesens principe di Pantelleria, «gentiluomo di camera con esercizio di Sua Maestà (Dio Guardi)» il quale, tra il 1818 e il 1819, ottenne un prestito di ben 3.000 onze, che nel giro di nove anni con gl'interessi ascese nel 1826 ad onze 4.007 in cambio delle quali cedette ad Ingham (cui il notaio che rogò l'atto attribuisce il titolo di Barone) «lo giardino grande nominato della Fontana... situato nel territorio di Racalmuto Valle di Girgenti».

I meticolosi copialettere di Benjamin Ingham, perfettamente conservati, documentano l'estendersi alla terraferma, in tempo di pace, di una fitta rete di mercanti e banchieri. E' chiaro che prima del 1815, grazie alla posizione geografica della Sicilia, dovessero esserci occasioni straordinarie di contrabbandare merci in Italia occidentale e perfino in Francia meridionale. Ingham non perse tempo ad imporsi come finanziere. Egli coltivò metodicamente l'amicizia di sir John Acton che, sebbene inglese, era stato primo ministro e comandante in capo a Napoli. Questo legame fu particolarmente importante per via delle continue macchinazioni contro gli inglesi ordite dalla regina Maria Carolina. Sembra che Ingham abbia tentato anche di riguadagnare il favore di Robert Fagan fornendogli una sorveglianza armata durante gli scavi di Selinunte. Ma nel 1811 Acton morì, e nello stesso anno Ingham si trovò tra coloro che protestarono per la spoliazione di un mercantile britannico voluta dalla regina. Nel 1813, con sollievo generale, anche di molti siciliani, la sventurata fu finalmente espulsa dal paese.

La partenza degli inglesi provocò in Sicilia una brusca caduta negli introiti e una diffusa disoccupazione e, in più, ci furono pessimi raccolti. Il 25 giugno 1816 Ingham scrisse al console a Messina: «Se doveste tornare a Palermo, vi stupireste. Mai un luogo è tanto cambiato in così poco tempo. Gli acquisti di grano all'estero stanno dilapidando le risorse finanziarie del regno. Le botteghe sono vuote perché non si riesce più a vendere niente».

Un gran numero di fallimenti seguì alla crisi economica siciliana, tra cui quella di uno dei principali rivali di Benjamin Ingham, Abraham Gibbs. Ingham non si mostrò particolarmente afflitto quando la vergogna della rovina spinse Gibbs al suicidio. Probabilmente era troppo occupato a creare una rete di importatori del suo vino negli Stati Uniti. Le sue lettere dimostrano come lo infastidisse che il «vecchio John», come chiamava Woodhouse, fosse ancora il gigante incontrastato del settore.

Va sottolineato infine che i mezzi finanziari che riuscì ad accumulare in circa venticinque anni di attività imprenditoriale gli consentirono negli anni quaranta dell'ottocento, di costituire, insieme ad un altro intraprendente mercante-banchiere, Vincenzo Fiorio, di origine calabrese, una Società per la produzione di derivati dello zolfo e una per i battelli a vapore siciliani. Considerato che l'attività commerciale «tra la Sicilia e gli Stati Uniti nel corso della maggior parte del secolo XIX era praticamente a senso unico ... » i mercanti siciliani come Beniamino Ingham che operavano su larga scala con l'America, accumularono considerevoli riserve in loco che potevano essere trasferite in Sicilia, solo tramite Londra, e, pertanto «con terrificanti perdite sui cambi». Pertanto la Ingham e C, preferì investire i propri profitti, derivanti dal commercio americano, proprio negli Stati Uniti. Infatti essa acquistò sia azioni ed obbligazioni della Società New York Central Railroad per oltre seicentomila dollari sia consistenti appezzamenti di terreni nei pressi di New York City ottenuti a prezzi agricoli e rivenduti come terreni edificabili.

Dal testamento che Ingham dettò il 2 aprile 1859 emerge che in circa 49 anni di attività imprenditoriale egli riuscì ad accumulare un patrimonio finanziario e immobiliare la cui notevole consistenza avrebbe avuto positive ripercussioni sul tenore di vita dei suoi eredi.

Oltre ad assegnare una cospicua eredità alla moglie Alessandra Spadafora e Colonna duchessa di Santa Rosalia (dal legato una tantum di onze 400, all'assegnamento di onze 120 mensili per prestazioni alimentari, di onze 60 all'anno «per mantenimento di casa» nonché di onze 200 di rendita annuale) a titolo di una tantum il vecchio Beniamino legò: quattromila sterline a ciascuna delle figlie (Anna ed Elisabetta) del defunto fratello Giuseppe; duemiladuecentocinquanta sterline a ciascuno dei figli (Beniamino, Isacco, Giosuè, Giovanni) della sorella Maria e del suo defunto marito Giuseppe Whitaker; cinquemila onze al nipote Giuseppe Whitaker figlio di Giovanni «impiegato nello stabilimento di vini in Marsala»; onze sedicimilaventotto tarì dieci e grana dieci a Federico, Domenico, Carmelo e Carlo Ascenzo, tutti figli di primo letto della moglie, duchessa di Santa Rosalia, quale prova «di buona amicizia e di riguardo personale a loro».

Dall'articolo dieci del citato testamento emerge che l'Ingham costituì i suoi due nipoti «don Beniamino Ingham figlio del fu suo fratello Giuseppe e don Giuseppe Whitaker figlio della defunta sua sorella Maria, ambedue... dimoranti a Palermo» legatari universali nell'usufrutto sopra ed in tutto il suo patrimonio, beni e diritti posseduti «sia nel Regno delle due Sicilie, sia nel Regno Unito della Gran Bretagna e Irlanda, sia negli Stati Uniti d'America, sia in altro Regno e Stato, sia nell'impero della Francia ed in generale in qualunque parte dei mondo e dovunque ... ». Nell'intera proprietà di tutti i beni e diritti di cui era titolare istituì invece come crede universale «il pronipote don Gugliemo Ingham Whitaker figlio secondogenito del nipote Giuseppe Whitaker e di Sofia Sanderson».

Benjamin Ingham morì improvvisamente il 4 marzo 1861 a Palermo.