- Il volume di J.I.S. Whitaker "Mozia. Una colonia fenicia in Sicilia" è riportato per intero nel cd rom

 

 

 

The birds of Tunisia di Joseph Isaac Whitaker

 

 

 

- Gli interessi culturali e scientifici di Joseph Whitaker di Pietro Silvestri

 

 

 

 

- L'orientamento politico di Tina e Joseph Whitaker di Francesca Riccobono

 

 

 

 

- La società umanitaria-educativa e per la protezione degli animali di Lucia Bonafede Muscolino

 

 

 

 

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Joseph Isaac Spadafora Whitaker giovane

 

 

 

 

 

 

 

 

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Joseph Isaac Spadafora Whitaker (detto Pip) nel 1880

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Joseph Isaac Spadafora Whitaker nel 1934

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il busto in bronzo di Giuseppe Whitaker

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Tina e Giuseppe Whitaker

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Da sinistra, Antonino Di Giorgio, Norina, Tina e Joseph Isaac Whitaker a Villa Malfitano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Joseph Isaac Whitaker vicino la vasca di Villa Malfitano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Joseph Whitaker a passeggio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Joseph Whitaker a Mozia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Joseph I. Whitaker nella Villa Malfitano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Joseph e Delia Whitaker in barca a Mozia negli anni trenta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giuseppe Whitaker e Giuseppe Lipari Cascio a Mozia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Joseph Isaac Spadafora Whitaker nel parco della Villa Malfitano

Profilo biografico di Joseph Isaac Spadafora Whitaker (1850 - 1936)

(Romualdo Giuffrida in J.I.S. Whitaker, Mozia. Una colonia fenicia in Sicilia, edito dall'Accademia Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Palermo nel 1991).

Nel 1812 Beniamino Ingham "figlio del fu Guglielmo... di Leeds nella contea di York nel Regno della Gran Bretagna" eleggeva il proprio domicilio a Palermo e vi costituiva la Casa di Commercio Ingham e C. dedicandosi all'importazione dall'Inghilterra, per la vendita all'ingrosso in varie piazze commerciali della Sicilia, di tessuti di lana e di cotone di varie qualità.

Nel medesimo anno della costituzione di tale Casa di Commercio Ingham creò a Marsala, con la collaborazione di Richard Stephens, una manifattura per la produzione di vini all'uso di Madera.

Allo scopo di svolgere l'attività commerciale cui si è accennato Ingham si avvalse della collaborazione dapprima del nipote William Whitaker che morì il 21 novembre 1818 a soli 22 anni e quindi di un altro nipote a nome Joseph che nel 1819 si trasferì in Sicilia dove il 18 marzo 1837 sposò Elisa Sophia Sanderson, che era nata a Messina il 23 luglio 1816.

Il 10 marzo 1850 Sophia dette alla luce l'ottavo dei suoi dodici figli, Joseph Isaac, il quale, per vezzo, sarebbe stato sempre chiamato, dai familiari e dagli amici, Pip.

Dopo aver compiuto gli studi elementari a Malta, Pip si trasferì a Palermo nel marzo del 1860.

Nell'estate del 1863 fu condotto dal padre ad Hesley nello Yorkshire, dove seguì gli studi medi e superiori nelle scuole di Harrow, rivelando, tra l'altro una particolare tendenza per gli studi di storia naturale.

Al termine degli studi, tornato nel 1877 a Palermo, nei periodi estivi risiedeva nella casa di villeggiatura che il padre Joseph aveva acquistato nel 1850 nella Piana dei Colli in contrada Resuttano e che aveva denominato Sophia in onore della moglie.

Negli altri periodi dell'anno Pip soggiornava per lo più a Marsala dove prestava la sua opera presso lo stabilimento Ingham-Whitaker creato da Beniamino Ingham il quale era morto nel 1861.

Nel 1883 Pip prese in moglie Caterina Paolina Anna Luisa Scalia detta Tina, nata a Londra il 12 novembre 1858 da Alfonso Scalia e da Giulietta Cordelia Anichini.

I due giovani sposi dapprima vissero tra il baglio di Marsala e la casa sita a Palermo al numero civico 1 di via Bara all'Olivella.

In seguito, alla morte del vecchio Joseph padre di Pip, avvenuta il 17 ottobre 1884, i figli Robert, Joshua e Pip ereditarono tra i vari cespiti finanziari quello costituito dallo stabilimento vinicolo Ingham-Whitaker di Marsala, alla cui amministrazione, pur rimanendo soci, non avrebbero preso parte attiva né Pip né Robert.

Allorché il 31 ottobre ottobre 1885 scomparve la madre Sophia Sanderson: il figlio Robert, che nel 1886 sposò Maude Bennet, si stabili a villa Sophia che fece ristrutturare in stile neoclassico, per suo uso, dall'architetto Beaumont Gardner la villa che sorgeva in contrada Resuttano; Joshua, che il 4 gennaio 1882 aveva sposato Euphrosine Manuel, con la quale risiedeva nel palazzo Lampedusa, si fece costruire una grande villa in stile gotico-veneziano nel vicino giardino lungo la via Cavour nei pressi di Porta San Giorgio; Joseph detto Pip (il quale intanto aveva aggiunto al proprio cognome quello di Spadafora, che gli proveniva dalla prozia, duchessa Alessandra di Santa Rosalia moglie di Benjamin Ingham senior) concepì l'idea di costruirsi una grande e sontuosa dimora.

A tal fine, fece acquistare per suo conto dal proprio fratello Joshua un fondo rustico che si estendeva alla periferia settentrionale di Palermo nella contrada Malfitano all'Olivuzza per la somma netta di Lire settantacinquemila.

Se da un lato Pip dette incarico all'architetto ingegnere capo onorario del Real Corpo del Genio Civile cav. Ignazio Greco D'Onofrio, con studio a Palermo, di progettare una grande palazzina esemplandone gli esterni su quelli del villino di stile neoclassico che la baronessa Favard de L'Anglade si era fatta costruire nel 1857 a Firenze sul Lungarno Amerigo Vespucci dall'architetto Giuseppe Poggi, dall'altro nel 1886 dava l'avvio ai lavori di costruzione della villa affidandoli alla direzione del medesimo progettista architetto Greco e all'esecuzione del capomaestro Giuseppe Casano che tra 1872 e il 1875 aveva realizzato a Palermo la chiesa anglicana di via Roma, mentre il 27 marzo 1886 otteneva da Matteo Ingrassia e dai figli il rilascio del terreno su cui doveva sorgere la villa e che essi tenevano in gabella.

La palazzina della villa venne realizzata sobriamente con uno stile composito nel quale gli aspetti dell'architettura neoclassica vennero fusi con ricorrenti spunti di stile Liberty.

Dopo tre anni dall'inizio dei lavori, Pip e Tina, con le due piccole figlie Sophia Juliet Emily Eleonora (nata il 20.6.1884) e Cordelia Stella Georgette Edith (nata il 6.6.1885), si trasferirono dalla casa al numero civico 1 di via Bara all'Olivella nella loro nuova sontuosa dimora che man mano tra il 1887 e il 1890, venne dotata di mobili forniti da varie Ditte di Londra, di Torino e di Palermo.

La menzionata dimora venne dotata anche di pezzi di antiquariato di notevole pregio artistico tra i quali cinque grandi arazzi Gobelins che costituiscono una magistrale interpretazione delle vicissitudini dei Teucri in fuga da Troia narrata da Virgilio nel primo e nel quarto libro dell'Eneide.

Appassionato di storia naturale e intenditore di Botanica, Pip si adoperò per costituire attorno alla palazzina un parco all'inglese dotato di piante che acquistò,in Tunisia, a Sumatra e in altri luoghi esotici.

La realizzazione del parco ed il potenziamento di un preesistente agrumeto furono affidati al capo giardiniere Emilio Kuntzman.

Il 10 gennaio 1900 Pip inaugurò nei locali attigui alla villa (dove sino al 1894 aveva dimorato il suocero, generale Alfonso Scalia) un Museo ornitologico costituito da tremila uccelli imbalsamati appartenenti a trecentosettantacinque specie e sottospecie viventi nel litorale mediterraneo che, tenendo presente i suggerimenti scientifici fornitigli dagli ornitologi, Philip Sclater e S. Cavendish - Taylor, illustrò nell'opera The Bird of Tunisia - Uccelli di Tunisia, pubblicata a Londra nel 1905 corredata di bellissime litografie a colori.

Durante i frequenti periodi in cui Pip, a partire dal 1877, soggiornò a Marsala presso lo stabilimento Ingham-Whitaker vi conobbe Carlo Forsyth Gray che vi prestava servizio sin dal 1869 e che, divenutone amministratore nel 1889, lo indusse ad acquistare man mano in proprietà, tra il 1903 e il 1906, l'isoletta di San Pantaleo, l'antica Motya, che si estende nello stagnone di Marsala e dove, con la collaborazione del cav. Giuseppe Lipari Cascio (amico del Gray al quale aveva prestato un valido aiuto per realizzare una consistente raccolta di preziosi reperti archeologici rinvenuti nella necropoli di Lilibeo) con la guida di Antonio Salinas e con i consigli di Biagio Pace, rese operanti tra il 1902 e il 1919 diverse campagne di scavi che gli consentirono non solo di realizzarvi un Museo in cui si trova una preziosa raccolta di reperti archeologia relativi alla civiltà fenicio-punica del Mediterraneo ma anche di pubblicare a Londra nel 1921 l'opera Mtya - A Phoenician Colony in Sicily che, essendo ritenuta dagli specialisti un'opera scientificamente ancora valida, viene riproposta agli studiosi interessati per la prima volta nella traduzione in lingua italiana.

Non, va dimenticato che, sebbene non fosse dotato di spirito imprenditoriale, tuttavia nel 1909 Pip Whitaker ideò la sperimentazione di una "industria agricola che potesse utilizzare e vantaggiare i terreni incolti" di Motya introducendovi la cultura dell'Agave rigida var. sisalana Enigelm, pianta molto utile per l'industria tessile.

Allorché, a partire dal 1919 la vendita del marsala della manifattura Ingham-Whitaker subì una notevole flessione, sia per la chiusura dei mercati oltre oceano, dovuta all'entrata in vigore negli U.S.A. del proibizionismo, sia per la scarsa richiesta che ne veniva fatta nei mercati inglesi a causa della concorrenza dei vini spagnuoli, sia per la concorrenza della casa Florio, la produzione venne necessariamente ridotta sino a raggiungere nel 1925 soltanto 5000 ettolitri.

Pertanto, a causa di tale grave situazione, e, in seguito alla morte di Robert e di Joshua Whitaker, nel giugno del 1926, Pip, d'accordo con le cognate vedove dei due fratelli, oltre a decidere lo scioglimento della comunione dei beni che risaliva al 1884, anno della scomparsa di Joseph Whitaker, trasformarono la Società in accomandita, che risaliva a Benjamin Ingham (1812), in Società anonima Ingham-Whitaker e C. con sede in Palermo ed un capitale di lire quattromilionicinquecentomila.

Tale tentativo, compiuto per mantenere in vita lo stabilimento rnarsalese, tuttavia non sortì l'esito sperato se nel 1928 la Ingham-Wbitaker cedette la maggioranza delle proprie azioni al gruppo finanziario torinese che controllava la Cinzano e l'Unica. Dopo una lunga e laboriosa esistenza, il 3 novembre 1936, Giuseppe Isacco Spadafora Whitaker, alla veneranda età di oltre 86 anni cessò di vivere a Roma.

L'ultima sua erede, la figlia Cordelia, che continuò a risiedere nella villa a Malfitano dove morì il 21 luglio 1971, accogliendo il suggerimento dell'Accademico dei Lincei Biagio Pace, si adoperò perché tale villa facesse parte integrante di una Fondazione culturale intitolata al nome del suo genitore e ne divenisse la sede amministrativa.

Con decreto del 9 luglio 1975, il Capo dello Stato conferì il riconoscimento di Ente Morale alla Fondazione "Giuseppe Whitaker" per promuovere, sotto l'alto patrocinio dell'Accademia dei Lineci sia "l'incremento della cultura, della istruzione e la divulgazione dei valori artistici nelle varie espressioni" sia "in generale, lo studio e la conoscenza della civiltà fenicio-punica nel Mediterraneo", sia "mediante scavi, pubblicazioni, costituzione di una biblioteca specializzata, lo studio e la conoscenza... di Motya".

La vitalità di tale istituzione culturale è comprovata, sia dalle campagne di scavo rese operanti a Mozia a partire dal 1977 dalla Missione Archeologica dell'Università di Palermo in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica per le provincie di Palermo e Trapani, sia dalla riapertura al pubblico e agli studiosi, in data 15 luglio 1988, del menzionato Museo "Giuseppe Whitaker" di Mozia riordinato a cura della Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali di Trapani.

 

Joseph Whitaker

(tratto dalla relazione di Francesco Brancato in atti del seminario di studio "I Whitaker di villa Malfitano", tenutosi in Palermo il 16 - 18 marzo 1995 su "I Whitaker di villa Malfitano" a cura di Rosario Lentini e Pietro Silvestri, pubblicati dalla Fondazione "Giuseppe Whitaker" con il patrocinio dell'Assessorato dei beni culturali, ambientali e della pubblica istruzione della Regione siciliana nel dicembre 1995).

I principali personaggi della "dinastia" dei Whitaker, residenti a Palermo tra l'Otto e il Novecento, sono: Joseph (senior), figlio di una sorella di Ingham, morto a 82 anni nel 1884; Joseph (junior), figlio del primo Joseph, chiamato familiarmente Pip, morto nel 1936 a 86 anni; Tina Whitaker Scalia, sposa di Pip, morta nel 1957 a 98 anni; Norina, figlia di Pip e Tina, sposa del generale Di Giorgio, morta nel 1954 a 73 anni, e, infine, Delia, anch'essa figlia di Pip e Tina, morta nel 1971 a 86 anni.

Loro capostipite può considerarsi Benjamin Ingham, nativo di Yorkshire, il quale, venuto nel 1806 in Sicilia al seguito delle truppe inglesi d'occupazione durante le guerre antinapoleoniche, poi vi rimase per tutta la vita, fino alla morte nel 1861, avendo, con la sua rara e intelligente attività imprenditoriale, costruito un grande impero economico non soltanto nell'Isola, ma anche e soprattutto in America.(3)

Il primo Whitaker da lui chiamato per essere coadiuvato nei suoi affari in Sicilia fu Joseph (senior), figlio di una sua sorella, da cui discesero poi tutti gli altri Whitaker rimasti in Sicilia.(4)

Una "dinastia", dunque, quanto mai singolare, quella dei Whitaker, che, nella ben nota opera Principi sotto il Vulcano,(5) il Trevelyan ci ha fatto conoscere nei suoi singoli personaggi: una "dinastia" i cui rappresentanti, per la loro stessa longevità, coprono oltre un secolo e mezzo di vita, svolgendo ciascuno un ruolo particolare ed esercitando anche in diversa misura in Sicilia e particolarmente a Palermo, una notevole influenza in vari rami di attività. Benjamin Ingham riuscì a creare una vasta rete di agenti e suoi commissionari, da cui uscirà poi la nuova borghesia isolana, avendo egli stesso fornito, per così dire, un modello; Joseph senior continuò, dopo la sua morte, l'attività enologica a Marsala, sempre con alto prestigio della Ditta; Joseph junior, erede di un notevole patrimonio economico, ma più uomo di cultura che di affari, con grande versatilità compì notevoli studi archeologia (acquistò dell'isola di Mozia e relativi scavi archeologia) e, amante della caccia questa praticò regolarmente nella stagione opportuna, recandosi in Africa (costa libica), per cui creò anche un museo ornitologico che, alla sua morte, la Regione Siciliana si è lasciato sfuggire, per cui è andato a finire a Belfast in Irlanda.(6)

Qualche voce levatasi sulla stampa dell'epoca, per i suoi frequenti viaggi in Africa ufficialmente per la caccia, ha voluto vedervi la longa mano dell'Inghilterra, specie nel momento in cui era cominciata la competizione fra gli stati colonialisti europei per l'occupazione e l'acquisto di nuove colonie (quanto all'Italia la conquista della Libia). Ma egli anche con pubbliche dichiarazioni negò sempre ogni addebito di questo genere. E ciò fece con tanto maggiore calore allorché si trattò di spedizioni che egli, quale suddito inglese (pur mantenendo la residenza in Italia, non aveva mai rinunziato alla cittadinanza inglese) aveva personalmente assunto l'incarico di organizzare, come a proposito di quella intrapresa nel maggio del 1901, di cui fu data notizia anche sul Giornale di Sicilia, per cui si affrettò a scrivere al direttore:

«Nel n. 144 del suo accreditato periodico, e precisamente nella corrispondenza da Tripoli, vedo che si parla di una spedizione scientifica inglese attualmente viaggiante nell'interno di quel paese, con mandato del proprio governo.

Leggo inoltre che la detta spedizione prima di poter partire da Tripoli per l'interno, aveva incontrato molte difficoltà per parte del governo di Vilayet, che aveva riconosciuto non autentica la firma sul permesso imperiale esibito.

Per evitare possibili equivoci, credo giusto di dichiarare che la spedizione in parola fu ideata ed organizzata da me, a solo ed esclusivo scopo scientifico, e che non ha alcun mandato dal governo inglese. E' vero che per avere il permesso ottomano per potere viaggiare nell'interno della Tripolitania ho dovuto ricorrere, per mezzo del Museo britannico di Londra, al Foreign Office inglese, ma questo è tutto. E' vero anche che prima di poter partire definitivamente per l'interno la spedizione ha incontrato delle difficoltà, ma queste furono piuttosto nell'introduzione delle munizioni da caccia e nei preparativi nel viaggio e non mai per opposizioni da parte del governo di Vilayet a causa di un dubbio sull'autenticità della firma nel permesso ottenuto da Costantinopoli.

Da una lettera ricevuta pochi giorni fa sento che la spedizione è arrivata felicemente a Sokna verso la fine del mese scorso, e che si prepara a continuare il viaggio al Mursuk nel 26° grado di N. It. per poi girare a Nord-Est e ritornare verso la costa a Benghasi.

In quanto alla missione intrapresa da un francese, alla quale allude il suo egregio corrispondente, conoscendo le grandi difficoltà poste dal governo ottomano ai viaggiatori europei che vorrebbero visitare l'intemo della Tripolitania, confesso che sono rimasto sorpreso di leggere che il detto viaggiatore francese abbia potuto, senza il minimo contrasto, compiere la missione a lui affidata dal suo governo di ispezionare le stands interne della Tripolitania.

Che un'occupazione eventuale di Gadames da parte dei Francesi potesse aver luogo non è impossibile, ma in questo caso ritengo che ciò avverrebbe dalla parte della Tunisia, e non attraverso la Tripolitania».(7)

Ma più direttamente di politica Joseph Whitaker si interessò allo scoppio della prima guerra mondiale, durante il periodo della neutralità italiana, in cui fra le voci piuttosto insistenti, circolarono quelle pacifiste o, quanto meno, neutraliste, alle quali, seguendo l'orientamento interventista del suo paese, con tutta forza si oppose. Fra le carte dell'Archivio Whitaker si trova, appunto, uno scritto di ben undici pagine, individuabile dal suo tipico carattere, di pugno di Joseph, con un titolo significativo: Contro la propaganda pacifista, in cui egli leva appunto la voce proprio contro quanti facevano propaganda contro la guerra per la pace o, quanto meno, per la neutralità. Non si intende bene se si tratti di un articolo destinato alla stampa o di un discorso da leggere in qualche adunanza. Ma nessuno equivoco si leva sullo spirito che l'anima, di forte e sentita reazione alla propaganda pacifista che, come viene argomentato, sarebbe contro lo stesso spirito che aveva animato gli stessi uomini del Risorgimento.

«La vergognosa propaganda pacifista - vi è scritto fra l'altro - che da qualche tempo va facendosi strada nei paesi della cosiddetta "intesa" ed in quelli neutrali ha di recente assunto una maggiore attività e si è intensificata a tale punto da meritare la nostra seria attenzione ed una contro azione vigorosa onde porvi freno per quanto sia possibile.

Sarebbe certamente tempo sprecato cercare di convertire a migliori sentimenti coloro i quali, per le loro convinzioni di vecchia data, si ostinino, anche onestamente e coscienziosamente, a reclamare la pace a qualunque costo, e tanto meno di rivolgersi a quelli che per i propri fini, oppure per altri motivi poco onorevoli e patriottici, fanno il loro possibile, sia apertamente sia di nascosto, onde ostacolare l'opera dei loro governo e diffondere la discordia e la sfiducia nel proprio paese, incitando gli altri a seguirli nel loro criminoso lavoro. Contro alcuni di cosiddetti pacifisti le leggi vigenti sono applicabili, ma per gli altri nulla vi è da fare, altro che sperare che presto o tardi verrà per loro il giorno di retribuzione, con la punizione che ben meritano! ».

Continuare a. incrementare la lotta contro il pacifisrno sarebbe anche un atto di riguardo all'opera compiuta dagli eroi che fecero il Risorgimento. Perciò continua:

«L'Italia può e deve resistere: essa non ha da temere la involuzione; fondata come è su base democratica solida, con un Sovrano fedele ai suoi impegni e doveri di cui alla Costituzione, già accettata su larga base dal suo grande avo. L'Italia, per fortuna, non si trova nella posizione della Russia, e nemmeno della Germania, che ha una grande crisi interna da superare. L'Italia, del resto, non deve temere l'affamamento, avendo un popolo parco e sobrio abituato alla frugalità ed all'astensione, e saprà resistere ancora a dar prova di abnegazione.

L'Italia ora che finalmente è spuntata l'alba del grande giorno quando si potrà compiere la rivendicazione completa del suo territorio, liberandolo per sempre dal giogo dello straniero, non può e non deve andare avanti fino alla vittoria! Questa rivendicazione di territori e questa liberazione del suo popolo oppresso, l'Italia non la potrà avere in altro modo. Lo hanno detto chiaramente per la bocca dei loro ministri, gli stessi Imperi Centrali! ».(8)

Ma i maggiori interessi di Pip più che politici erano particolarmente scientifici; essendosi di preferenza dedicato agli studi soprattutto archeologici relativamente a Mozia. Ne è una manifestazione l'opera che solo di recente, nel 1991, per deliberazione della Commissione scientifica operante presso l'Accadenúa Nazionale di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, è stata tradotta e pubblicata in lingua italiana (traduzione di Emilia Niceta Palmeri) e con numerose interessanti illustrazioni: Mozia. Una colonia fenicia in Sicilia, apparsa nel 1921, in lingua inglese a Londra.

Si tratta di un'opera che s'impone all'attenzione degli studiosi, oltre che per l'ampia informazione che fornisce sulla civiltà mediterranea, corredata com'è anche di un'ampia e interessante bibliografia, anche e soprattutto per ciò che lo stesso Whitaker scopre e rivela sulla civiltà fenicia nel Mediterraneo. Osserva, fra l'altro Luigi Bernabò Brea nella presentazione (p. XI): «Sono pagine di storia di facile e piacevole lettura, sostanzialmente ancora validissime, alle quali oggi, dopo ottant'anni, pochissimo sarebbe da aggiungere o da mutare».(9)

Questo spirito squisitamente nazionalistico di valorizzazione di territori italiani gli fece guadagnare particolari riconoscirnenti da parte del Ministero degli Affari Esteri che con nota dell'8 febbraio 1908 gli comunicò, tramite il prefetto di Palermo, il titolo a lui conferito dall'Augusto Sovrano di Commendatore del suo Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, come poi, durante il fascismo con nota dei 19 ottobre 1933, su proposta del capo del governo, gli venne conferito il grado di Grande Ufficiale dell'ordine della Corona d'Italia con annesse le relative insegne.(10)

Pur preso da vari interessi politici e scientifici Joseph Whitaker non trascurò quelli economici e personali, per cui cercò anche di portare avanti e introdurre nell'isola di Mozia, fin dai primi del nuovo secolo, la coltivazione dell'Agave sisalana, di quella pianta cioè che, originaria del Messico, richiedendo, per il migliore sviluppo delle sue fibre, clima caldo, sperava si sarebbe potuta bene adattare in quell'Isola nel Mediterraneo. In ciò fu sostenuto e coadiuvato dal generale Di Giorgio che, avendo sposato Norina, era entrato a far parte della famiglia Whitaker di cui sentiva i problemi e non poco si prestò per l'introduzione e la coltivazione dell'agave sisalana a Mozia e in Sicilia. In una nota relativa alla coltura di tale pianta, che si conserva nell'Archivio Whitaker, ne mette in rilievo l'importanza economica anche per la Sicilia e il continente italiano. Tale il parere anche di Joseph.(11)

Con il matrimonio con Norina (4 febbraio 1922 cerimonia civile, 5 seguente cerimonia religiosa), il generale Di Giorgio, già ai massimi gradi della sua carriera militare e in forte intesa con il fascismo (venne poi incluso nel famoso listone) cominciò ad esercitare pure una notevole influenza nell'orientamento politico della famiglia di cui entrò a far parte.

Come si rileva dagli stessi squarci del suo diario riportati dal Trevelyan nel ben noto saggio Principi sotto il Vulcano, di quel matrimonio fu massimamente contenta Tina con la quale, più che con Pip, il Di Giorgio aveva risolto tutte le questioni inerenti, comprese quelle finanziarie.(12)

Era quello il tempo in cui era venuto sempre più affermandosi il fascismo in Italia: vi era quindi, per molti aspetti, anche turbolenza, ma non esente da ambizioni che si manifestarono nello stesso generale Di Giorgio che pure dal nuove regime politico s'aspettava riconoscimenti e nuovi successi nella carriera, già molto brillante, avendo avuto riconosciuti atti di valore, alla fine del secodo, ad Adua e in Somalia e, quindi, nella campagna italo-turca, per cui aveva meritato la croce dell'Ordine militare di Savoia e ricompense al valore. Era stato, infine, dopo Caporetto, tra i primi a passare con il suo reparto il Piave nell'offensiva vittoriosa di Vittorio Veneto. S'inserì, perciò, anch'egli nel movimento fascista che portò in auge particolarmente i valori nazionali, ed ebbe anche i massimi riconoscimenti da parte di Mussolini che, nell'aprile del 1924, lo chiamò al Ministero della Guerra a succedere ad Armando Diaz, duca della Vittoria.

Egli perciò, come si rileva anche da una lettera dell'allora colonnello Vincenzo Streva diretta alla "gentile Signora" Tina, se era massimamente ammirato per i suoi atti di eroismo, in certi particolari ambienti s'era attirato del rancore, "perché in momenti difficili si era messo a fianco di Mussolini(13). Perciò anche la nuova situazione di ordine e di sicurezza creata dal fascismo, per influenza del generale Di Giorgio, trovò buona accoglienza nella villa Malfitano. Si trattava del resto di un uomo che godeva di una grande generale stima e del massimo prestigio, al punto che lo stesso Mussolini l'avrebbe voluto ufficialmente nominare Alto Commissario del partito per la Sicilia, nomina ch'egli per opportunità continente ritenne di declinare.(14)

Ma un esplicito riconoscimento di merito al fascismo espresse la stessa Tina nel suo Diario quando, delineando con estrema rapidità le vicende dei contrasti politici tra l'Otto e il Novecento in Italia, annota, tra l'altro: «( ... ) la vecchia Destra, o partito conservatore, era caduta, e i liberali avevano raggiunto un successo, con la politica d'opportunismo di Depretis (con Nicotera all'interno o Home Office), continuata più o meno da Giolitti fino alla marcia su Roma di Mussolini il 27 ottobre 1922». E ancora: «L'interludio, quando Crispi fu al timone, fu troppo breve per apportare una reale rigenerazione, e il degrado continuò sino alla deplorevole débácle del ministro Facta, una creatura di Giolitti, allorché le camicie nere furono alle porte di Roma e il re salvò il paese dalla rivoluzione chiamando il loro capo alla guida del governo».(15) Né sono diverse le considerazioni di Joseph contenute in due note, forse preparate per essere pubblicate in qualche giornale inglese: la prima del 3 novembre 1922 sul meeting del 28 ottobre dei fascisti a Napoli, e la seconda «On the present-political situation in Italy» del 31 dicembre 1924.(16)

Ma di notevole interesse sono le considerazioni che Joseph espone in un «Esame della posizione dell'Italia», a guerra finita, risalente al momento in cui, scoppiata la prima guerra mondiale, l'Italia assume una posizione di neutralità. Da qui la ricordata nota di Joseph che riportiamo per intero:

«1. Continuando nella sua neutralità: l'Italia naturalmente sarebbe risparmiata dagli orrori e le spese di una grande guerra.

a) Nel caso della vittoria delle Potenze Centrali:

L'Italia forse riceverebbe il Trentino e qualche altro territorio, ma non possiamo essere ben certi che le Potenze Centrali non le darebbero più di questo trattamento necessario, onde verificarsi per il non intervento dell'Italia a loro favore.

In ogni modo, la posizione dell'Italia, sia nell'Adriatico, sia nel Mediterraneo, e si potrebbe dire generalmente, diventerebbe una posizione sottomessa, e col tempo l'Italia finirebbe per diventare poco più di una vassallo della Gerrnania.

b) Nel caso di una vittoria dell'Intesa:

L'Italia probabilmente riceverebbe il Trentino, ma null'altro. Resterebbe però sempre indipendente e libera come prima, sebbene forse non avrebbe molta voce in capitolo in quanto alla sistemazione delle cose dell'Europa, e la sua posizione sarebbe isolata e poco soddisfacente.

2. L'intervento dell'Italia a fianco dell'Intesa.

L'Italia naturalmente avrebbe sofferto gli oneri e le spese d'una guerra.

a) Nel caso della vittoria delle Potenze Centrali certamente la posizione dell'Italia sarebbe brutta, ma il rischio sembra così minimo, che essa lo dovrebbe affrontare.

b) Nel caso della vittoria dell'Intesa. L'Italia riceverebbe il Trentino, Trieste e probabilmente qualche altro territorio nell'Oriente e nell'Asia Minore anche. Essa avrebbe affermato il suo diritto - farsi sentire nella sistemazione delle cose dell'Europa e nell'Asia Minore. Mediante un'alleanza oppure un'intesa coll'Inghilterra avrebbe consolidata la sua posizione nell'Adriatico e nel Mediterraneo nonché nell'Africa del Nord, dove essa avrebbe affermata la sua posizione come una delle Grandi Potenze dell'Europa».(17)

Joseph Whitaker nella sua formazione culturale e spirituale aveva sempre seguito il movimento politico inglese nella prospettiva liberale conservatrice tradizionale, per cui anche relativamente ai rapporti tra gli stati in Europa aveva sempre auspicato il massimo reciproco rispetto tra essi. Ma una volta scoppiata, nell'estate del 1914 in seguito ai gravi fatti di Sarajevo (uccisione il 28 giugno dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico, e della moglie), la guerra in Europa tra la Germania e la Francia, mentre l'Italia, seguendo l'opinione prevalente dei Paese, dichiara la sua neutralità, egli è senz'altro per l'intervento, a fianco naturalmente dei Paesi dell'Intesa, cioè della Francia e dell'Inghilterra cui lo legavano tradizioni, cultura e interessi economici.

Da qui l'impegno manifestato nelle note trascritte, in cui emerge la sua decisa opposizione al neutralismo e, soprattutto, al pacifismo e le prospettive del futuro assetto, a guerra vittoriosa, in Europa, con grande vantaggio anche per l'Italia.

Ma il crescente impegno scientifico e politico non fece diminuire in Joseph Whitaker l'interesse economico, soprattutto relativamente all'isola di Mozia ch'egli avrebbe voluto valorizzare al massimo con l'incrementarvi la coltura della Sisalana, per la produzione delle fibre tessili che, richiedendo soprattutto clima caldo e asciutto, avrebbe trovato in quell'isola l'ambiente più consentaneo, e che, in un secondo momento, avrebbe voluto introdurre anche in Sicilia. Tali propositi egli espresse soprattutto in una lunga nota di ben 18 fitte pagine dattiloscritte, in cui appunto traccia anche una specie di storia della fortuna di tale pianta con riferimento soprattutto alla Sicilia.

«Non è facile - vi afferma - precisare l'utile netto che si potrebbe ricavare dall'industria della sisalana in Sicilia, essendo questa nuova per il nostro paese, ma da calcoli approssimativi, basati sulle cognizioni ed inforimazioni che attualmente possediamo sulla materia, è da ritenere che vi sarebbe un reddito non indifferente».

Si augurava perciò che anche in Italia si costruissero quelle particolari macchine necessarie per lo sfruttamento della Sisalana e concludeva:

«E da sperare che la costruzione di questo genere di macchine in Italia, alla quale abbiamo già accennato, possa col tempo dare eccellenti risultati, sia per la perfezione del lavoro, sia per la modestia del prezzo (... ); che i risultati finali degli esperimenti tuttora in corso confermeranno pienamente le previsioni fatte sul riguardo, e che presto avremo il piacere di vedere iniziata tra noi questa nuova ed importante industria agricola che tanto bene potrà recare all'isola. Ammettendo anche la coltura della sisalana in Sicilia dovrà limitarsi soltanto al litorale dell'isola, vi sarà sempre una vasta estensione di terreni che potranno essere grandemente vantaggiati da questa industria agricola. Se in più dovessero sorgere nell'isola, come conseguenza naturale degli opifici tessili imprtanti sarebbe una maggiore fortuna per il paese, aprendo il campo ad un lavoro utilissimo e prezioso per il dopoguerra».(18)

Un altro aspetto, pure molto importante, dell'attività di Joseph Whitaker è quello relativo alle sue opere di beneficenza, che sarà particolare oggetto di esame in questo terzo seminario di studi.

NOTE

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3. Cfr. F. Brancato, Benjamin Ingham e il suo impero economico, E.S.I., Napoli, 1994.

4. Cfr. Raleigh Trevelyan, La Storia dei Whitaker, Sellerio, Palermo, 1988, pp. 47-48.

5. Ivi, pp. 47 sgg. e passim; Id., Principi sotto il vulcano, Rizzoli, Milano, 1977.

6. Cfr. G. Quatriglio, Giuseppe Isacco Whitaker, ornitologo, in I Whitaker e il capitale inglese tra l'Ottocento e il Novecento in Sicilia, atti del seminario svoltosi a Trapani nell'Aula Magna della Libera Università del Mediterraneo nel dicembre 1990, Trapani, 1992.

7. In "Giomale di Sicilia", n. 144 del 27-28 maggio 1901.

8. Manoscritto di pugno di Joseph Whitaker dal titolo Contro la propaganda pacifista, (undici pagine numerate da 1 a XII) in Archivio Whitaker.

9. Joseph Whitaker, Mozia. Una colonia fenicia in Sicilia, presentazione di Luigi Bernabò Brea, traduzione di Emilia Niceta Palmeri, Accademia di Scienze, Lettere e Arti, Palermo, 1991.

10. Cfr. note del Prefetto di Palermo del 4 febb. e 25 Apr. 1908, e del Ministero degli Affari Esteri (Uff. Cerimoniale) del 19 ott. 1933 e attestati originali della nomina, in Archivio Whitaker.

11. Carte varie, ivi.

12. Trevelyan, Principi sotto il vulcano cit.

13. «Dei giornali solo 'Sicilia Nuova' s'é ricordata che il Generale Di Giorgio è una pura gloria del nostro esercito e dell'Italia, gli altri due periodici hanno tenuto un dispettoso silenzio. Evidentemente conservano del rancore al Generale perché in momenti difficili si è messo al fianco di Mussolini». (Lett. del col. Streva del 30 luglio 1926 a Tina Whitaker, Archivio Whitaker).

14. Sul Di Giorgio cfr. Profilo biografico di Giuseppe De Stefani, premesso a Antonino Di Giorgio. Ricordi della Grande Guerra (1915-1918), con introduzione di Massimo S. Ganci, Palermo, Fondazione Whitaker, 1978, pp. XXI-LXIV.

15. Cfr. F. Brancato, I Whitaker di Villa Malfitano. Lineamenti e l'Archivio documentario, in "Nuove Prospettive Meridionali", a. IV, n. 9, maggio 1994, pp. 15-29.

16. In Archivio Whitaker.

17. Ivi.

18. Ivi.

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