CRESCITA SOSTENIBILE:
UN PERICOLOSO OSSIMORO


di Enzo Tiezzi
Professore ordinario di Chimica Fisica, Università di Siena



Dal dizionario: crescere significa aumentare in dimensione o peso o quantità, per mezzo di accumulo di materiale. Svilupparsi significa espandere o realizzare le potenzialità per passare a uno stato migliore.

In poche parole crescita è un aumento quantitativo su scala fisica; mentre sviluppo è un miglioramento qualitativo o un dispiegamento di potenzialità.

Nel nostro paese (anche sulla base di un famoso errore storico: il libro del Club di Roma "Limits to growth", cioè "limiti alla crescita", fu tradotto "I limiti dello sviluppo") e, in particolare, nelle accademie economiche, i due termini vengono regolarmente scambiati e confusi.

Guardiamo cosa significa tutto ciò sul piano ambientale e sulla base delle risorse biofisiche del nostro pianeta.

La prima cosa da sottolineare è che non può esistere una crescita infinita su un pianeta finito. La seconda, per dirla col padre della Termodinamica Rudolph Clausius, è che "nell'economia di una nazione c'è una legge di validità generale: non bisogna consumare in ciascun periodo più di quanto in tale periodo è stato prodotto".

E' proprio dall'integrazione di economia, ecologia e termodinamica che nasce la nuova teoria dell'"ecological economics" o "della sostenibilità", che non ha niente a che fare con quel brutto ossimoro originato da due parole contraddittorie abbinate: "crescita sostenibile".

La teoria dello sviluppo sostenibile nasce come contrapposizione radicale e frontale alla teoria della globalizzazione.

Le due regole auree su cui tale teoria si basa sono dovute a Herman Daly:

  1. La velocità del prelievo deve essere pari alla velocità di rigenerazione (rendimento sostenibile).
  2. La velocità di produzione dei rifiuti deve essere uguale alle capacità naturali di assorbimento da parte degli ecosistemi in cui i rifiuti vengono immessi.

Le capacità di rigenerazione e di assorbimento devono essere trattate come capitale naturale, e il fallimento nel mantenere queste capacità deve essere considerato come consumo del capitale e perciò non sostenibile.

Il flusso di risorse naturali e lo stock di capitale naturale che lo genera sono la causa materiale della produzione; lo stock di capitale che trasforma gli input di materia grezza in prodotti è la causa efficiente della produzione. Non si può sostituire una causa efficiente con una causa materiale: non si può costruire la stessa casa di legno con metà legname, non importa quante seghe o martelli si pensa di sostituire.

"Alcuni preconcetti - scrive Daly - ci trattengono dal vedere l’ovvio: in particolare che la pesca è limitata dalla popolazione dei pesci nel mare non dal numero di pescherecci; che il legname è limitato da ciò che rimane delle foreste non dal numero delle segherie. Più segherie e più pescherecci non danno come risultato maggior legname e più pesce pescato. Per questo c’è bisogno di più foreste e di un maggior numero di pesci nel mare. Il capitale naturale e il capitale prodotto sono complementari; e il capitale naturale è divenuto il fattore limitante".

Oggi stiamo vivendo la transizione da un’economia da "mondo vuoto" ad un’economia da "mondo pieno": in questa seconda fase l’unica strada di sostenibilità passa dall’investire nella risorsa più scarsa, nel fattore limitante. Sviluppo sostenibile significa quindi investire nel capitale naturale e nella ricerca scientifica sui cicli biogeochimici globali che sono la base stessa della sostenibilità della biosfera.

Daly parla di tre comunità: comunità tra la gente, comunità con le specie non-umane, comunità con le future generazioni. Partendo dalla critica dell’economia orientata alla crescita, che ha portato all’attuale disastro ambientale, pone le basi per una nuova economia e una nuova etica sociale.

La base di questa etica è la comunità con il futuro (o solidarietà generazionale) necessaria per "lasciare ai nostri nipoti un pianeta ancora in grado di sostenere una vita in comunità".

Si arriva così al concetto base di "sostenibilità", di stile di vita sostenibile, di sviluppo sostenibile.

Si intende per "sostenibilità" l’insieme di relazioni tra le attività umane e la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali da permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano entro certi limiti così da non distruggere il contesto biofisico globale.

I recenti calcoli sul "capitale naturale" (Nature, 387, 253-60, 1997) ci dicono che la ricchezza prodotta per l'umanità dalla natura in un anno è pari a 33 trilioni di dollari U.S.A. all'anno, contro un prodotto globale lordo di 18 trilioni di dollari U.S.A. all'anno. Il ridicolo delle teorie economiche classiche consiste nel credere ancora che una crescita del 3% (cioè il passaggio da 18 a 18,6) risolverebbe i problemi economici, mentre il capitale naturale è passato, in pochi anni, da circa 50 trilioni a 33. E questa è la ragione per cui, nonostante la sbandierata crescita dei P.I.L., il gap tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo è cresciuto; è la ragione delle sacche di povertà sempre più estese nei paesi ricchi; è la ragione principale dell'aumento della disoccupazione giovanile.

Scrive ancora Daly:

"Si pensa che sia posto rimedio alla sovrappopolazione dalla transizione demografica. Quando il P.I.L. pro capite raggiunge un certo livello i bambini diventano troppo costosi in termini di rinuncia ad altri beni e la velocità di crescita automaticamente decresce. La crescita economica è il migliore contraccettivo, come dice lo slogan.

Più concretamente, è necessario per il consumo indiano pro capite aumentare fino al livello svedese, per la fertilità indiana decrescere fino al livello svedese e se succedesse questo, che cosa accadrebbe all'ecosistema indiano come risultato di quel livello di consumo totale?"

E ancora: "L'ingiusta distribuzione di ricchezza tra le classi, ci viene detto, è resa tollerabile dalla crescita, l'alta marea che fa salire tutte le barche, per richiamare un altro slogan. Invece la crescita ha aumentato la disuguaglianza sia all'interno che tra le nazioni. Per rendere le cose peggiori, anche la metafora è sbagliata, poiché un'alta marea in una parte del mondo implica una bassa marea da qualche altra parte."

Daly così conclude: "Il termine della crescita fisica od anche della crescita di un indice a valore pesato della crescita fisica, come il P.I.L., non è la fine del progresso. La crescita non economica è la sola cosa che si trova oltre la crescita.

Questa crescita del 'mondo pieno' spinge ogni paese a sfruttare ulteriormente i beni globali rimasti, ed a cercare di crescere nello spazio ecologico e nei mercati di altri paesi. Questa follia collettiva la chiamiamo 'globalizzazione'".

Il mito della crescita e di quello stupido indicatore che è il P.I.L. è accompagnato da un altro delirio di onnipotenza: quello di dominare la natura con la "scienza tecnologica". Il caso più eclatante è quello degli "apprendisti stregoni" delle biotecnologie che manipolano il "genotipo" (mentre l'uomo nella sua storia, favorendo la selezione genetica, ha sempre operato solo sul "fenotipo") creando piante e semi mutanti, costruendo animali-mostri e, come ci ha ricordato Luigi Pintor, facendo rivivere il fantasma di Mengele e dell'eugenetica nazista. Hanno anche il loro "proconsole americano" (come lo ha recentemente chiamato Pietro Omodeo) a giro per il mondo, l'uomo delle multinazionali dei cibi transgenici e delle manipolazioni dell'ingegneria genetica, il "signor Nobel" Renato Dulbecco, stella del Festival di Sanremo.

  • P.S. Nella teoria della sostenibilità "capitale naturale" e "capitale prodotto dall'uomo" sono grandezze irriducibili, cioè non sommabili. In altre parole il nuovo paradigma dello sviluppo sostenibile si basa su 3 parametri (lavoro, capitale e capitale naturale) anziché su 2 e il terzo è, ormai, il fattore limitante per lo sviluppo.
  • intervento all'incontro promosso dal ForumAmbientalista del 17 giugno 2000 dal titolo: CONTRO LA GLOBALIZZAZIONE CAPITALISTICA: AMBIENTE ED EQUITA'
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