NO agli inceneritori - "termovalorizzatori"

di Giorgio Nebbia
Professore emerito di Merceologia - Università di Bari



Lo smaltimento dei rifiuti in Italia è disciplinato dal decreto "Ronchi" (decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, di cui si veda il "Testo aggiornato", con modifiche, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 278 del 28 novembre 1997).

Tale decreto stabilisce chiaramente che il problema dei rifiuti solidi deve essere risolto, anche con adeguati finanziamenti, con i seguenti principali interventi (art. 4):

"reimpiego e riciclaggio" delle merci usate e dei rifiuti

"altre forme di recupero di materia prima dai rifiuti"

"misure economiche e condizioni di appalto che prevedono l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti".

Per ultimo il decreto prevede la "utilizzazione dei rifiuti come combustibile per produrre energia".

Al comma 2 dello stesso art. 4 il decreto dice: "Il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima devono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero" (elencate nell’allegato C, fra cui l’utilizzazione come combustibili o fonti di energia).

Il decreto precisa che le operazioni di gestione dei rifiuti devono far diminuire la quantità dei rifiuti destinati ad operazioni di smaltimento, cioè alle discariche e all’incenerimento (allegato B).

Il decreto inoltre fissa (articolo 3), fra i propri obiettivi, la progettazione di merci, macchinari e prodotti con bassa formazione di rifiuti; che, dopo l’uso, possono essere smaltiti con limitata formazione di rifiuti; che sono facilmente riciclabili.

E, all’art. 25, specifica con quali strumenti e incentivi lo stato intende incrementare il recupero e il riciclo dei materiali presenti nei rifiuti.

Come esempio degli incentivi all’acquisto e consumo di merci e prodotti ottenuti dal riciclo dei materiali presenti nei rifiuti, si può citare l’obbligo (fissato al comma 4 dell’art. 19), per la pubblica amministrazione, di acquistare carta riciclata, obbligo che peraltro esiste da molti anni, sempre evaso.

Gli obiettivi principali del decreto --- reimpiego, recupero, raccolta differenziata di materiali riciclabili, riciclo, riprogettazione delle merci e dei manufatti --- offrono una grande occasione per una importante svolta tecnico-scientifica ed industriale, per una vera e propria terza rivoluzione industriale.

Tanto più che la massa di materiali da trattare -– qualcosa che va, a seconda dei metodi di classificazione, fra 70 e 100 milioni di tonnellate all’anno – è così grande da offrire le condizioni per una mobilitazione della ricerca industriale, applicata, universitaria, per la nascita di nuove imprese, per la creazione di duraturi posti di lavoro.

L’importante svolta imposta, almeno a parole, dal decreto comporta il superamento di difficoltà tecniche, scelte politiche e commerciali in un mercato internazionale in cui molti paesi hanno intrapreso da tempo la strada che in Italia comincia adesso, per cui esiste già una vasta offerta, a basso prezzo, di materie da riciclare di importazione.

Molti processi industriali dovranno subire radicali cambiamenti, all’inizio costosi, anche se in breve tempo redditizi; dovrà cambiare la stessa organizzazione delle città.

La rivoluzione merceologica ed ecologica nel campo dei rifiuti è più importante, per la modernizzazione dell’Italia e la sua trasformazione in paese europeo, della moneta unica!

Per sfuggire alla sfida imposta dal decreto "Ronchi", numerosi soggetti economici furbescamente hanno adottato dei sistemi di separazione grossolana di parte dei materiali non combustibili presenti nei rifiuti solidi urbani, dai materiali combustibili, soprattutto carta e plastica e una parte della materia organica.

In questo modo sostengono di praticare una raccolta differenziata, un recupero, ma in realtà tutta la massa dei materiali combustibili viene poi inviata ad inceneritori dotati di sistemi per il ricupero di energia e eventuale produzione di elettricità, impianti chiamati eufemisticamente termocombustori, termovalorizzatori, o nomi simili che, comunque, inceneritori sempre sono.

Questa operazione si svolge con numerose varianti: la raccolta di una frazione "umida" non combustibile, destinata a discarica o ad una controversa operazione di "compostaggio"; la raccolta, presentata come "differenziata", "multimateriale", per mettere insieme la maggior parte dei rifiuti dotati di un potere calorifico, combustibili, destinati all’incenerimento; il trattamento di questi rifiuti combustibili con formazione di un materiale chiamato "CDR" o "RDF", combustibile, cioè, derivato dai rifiuti, da avviare ai "termovalorizzatori" o da cedere ad altri impianti industriali come centrali termoelettriche, cementifici, altri processi di combustione; adozione di varianti degli inceneritori, come gli impianti a letto fluido, con la promessa di più o meno efficaci sistemi di abbattimento degli agenti inquinanti.

Un qualche frazionamento, in genere, c’è sempre prima della combustione, tanto che molte imprese e amministrazioni possono vantarsi di praticare un’elevata frazione di "raccolta separata" dei rifiuti, senza spiegare che poi che la frazione "raccolta separatamente" non viene riciclata ma "bruciata"!

Comunque sia, gli inceneritori-termovalorizzatori bruciano solo una parte del materiale, perché una parte, che arriva al 25 %, è costituito da residui incombusti, o "ceneri", sostanze inorganiche la cui composizione chimica viene modificata nel corso della combustione, che sono in parte solubili nelle acque delle piogge o del sottosuolo, e il cui smaltimento finale richiede delle speciali discariche, molto più sicure di quelle ordinarie in cui vengono "sepolti" i rifiuti tali e quali.

La scelta di costruire inceneritori comporta quindi, inevitabilmente, la necessità di costruire anche discariche, sia pure di minori dimensioni, ma che richiedono accurati controlli per evitare gli effetti ambientali negativi, questa volta sulle acque superficiali e sotterranee.

Gli inceneritori-termovalorizzatori sono inoltre fonti di inquinamento dell’atmosfera; l’entità di tale inquinamento dipende dalla qualità "merceologica" della frazione trattata o del "combustibile derivato dai rifiuti" che viene bruciato. La miscela di materie incenerite è imprevedibile e mutevole nel tempo, a seconda delle stagioni, varia da città a città, varia a seconda del processo di separazione, il che rende continuamente variabile e imprevedibile la composizione dei gas che escono dal camino e inefficace qualsiasi operazione di abbattimento dell’inquinamento atmosferico.

Da questo punto di vista un termovalorizzatore è ben diverso da una centrale termoelettrica che invece è progettata per bruciare un combustibile di composizione relativamente costante e il cui inquinamento, se si vuole, può essere analizzato, tenuto sotto controllo e in parte ridotto.

Va ricordato, inoltre, che durante la combustione della miscela di rifiuti contenenti carta, materiali lignocellulosici, materie plastiche anche clorurate come il cloruro di polivinile, si liberano nell’atmosfera metalli tossici, si formano sostanze acide e anche diossine e dibenzofurani clorurati; queste ultime due classi di sostanze sono tossiche e cancerogene e non sono sufficientemente filtrate neanche dai più sofisticati mezzi di abbattimento.

Se si considera che un inceneritore-termovalorizzatore ha un costo di molte decine di miliardi di lire, si capisce facilmente come grandi imprese industriali che fabbricano e vendono inceneritori guardano all’Italia come a un potenziale mercato per decine di impianti che vengono offerti, e talvolta entusiasticamente accettati, da numerose amministrazioni locali. Addirittura viene proposta di usare come inceneritori vecchie o nuove centrali termoelettriche.

I venditori e gli "avvocati" degli inceneritori-termovalorizzatori hanno ottenuto, per i combustibili derivati dai rifiuti, il diritto a procedure semplificate (comma 3 dell’art. 31) e addirittura un provvidenziale comma 9, nell’art. 33 del decreto "Ronchi": in tale comma il legislatore si è dimenticato che l’incenerimento con recupero di energia è la meno desiderabile fra le operazioni di recupero (art. 4) e ha stabilito che lo stato dia dei contributi finanziari agli inceneritori che producono energia elettrica.

Il cerchio si chiude: la legge dice che bisogna recuperare materiali e il governo premia i processi che impediscono di recuperare materiali.

Infatti: se si brucia non si ricicla. E se non si ricicla si va contro lo spirito e la lettera del decreto "Ronchi", contro le operazioni che potrebbero assicurare occupazione e innovazione tecnico-scientifica, anche esportabile in altri paesi, nelle tecniche di raccolta separata, frazionamento e arricchimento delle frazioni riciclabili dei rifiuti (soprattutto carta e plastica); nelle tecniche di riciclo e di commercializzazione delle merci riciclate.

La scelta dei "termovalorizzatori" scoraggia la progettazione di merci, oggetti, macchinari più duraturi, che generano minori quantità di rifiuti durante la produzione e dopo l’uso, che possono essere usati più volte, più idonei ad essere riciclati.

Viene così anche vanificato il generoso impegno e sforzo di tante associazioni di volontariato e ambientaliste, di cooperative, di scuole e famiglie che si sono impegnate e si impegnano per la raccolta separata delle varie frazioni dei rifiuti.

Solo a titolo di esempio, degli oltre 8 milioni di t di carta e cartoni "consumati" ogni anno in Italia, soltanto poco più di 2 milioni di tonnellate sono riciclati (insieme e circa un milione di tonnellate di carta straccia importata) e circa 6 milioni di t sfuggono a qualsiasi ricupero e finiscono nelle discariche e negli inceneritori, compresi i futuri "termovalorizzatori".

Fortunatamente, rispetto alla fretta di tante amministrazioni locali ed enti in favore degli inceneritori, sta nascendo un vasto movimento di protesta popolare. Nascono comitati di base spontanei costituito da cittadini che vogliono sapere in che cosa consistono gli inceneritori che dovranno piovere sul loro territorio, che si interrogano sulla sicurezza ambientale di questa scelta: questi gruppi cercano informazioni, stanno imparando ad esaminare criticamente i documenti che molti loro amministratori approvano così in fretta.

Soprattutto questi gruppi di cittadini riconoscono la incompatibilità e intrinseca contrapposizione fra riciclo e "termovalorizzazione".

I comitati critici contro gli inceneritori sono decine in Italia, da Arcola a Gioia del Colle a Genova, da Melfi alla Lucchesia, da Bari a Salerno, da Viterbo ad Acerra, molti con propri "siti" in Internet: migliaia di aderenti, una grande unità e solidarietà popolare che guarda al proprio futuro, alla salute e alla salvaguardia del territorio.

Sarebbe importante che i tanti comitati popolari si unissero in un grande coordinamento che potrebbe utilmente aiutare le decine di altri gruppi, sparsi per l’Italia, che hanno bisogno di informazioni, indispensabili per la crescita della loro lotta politica e ambientale, per sventare le obiezioni pseudo-scientifiche con cui imprenditori e amministratori vogliono mettere a tacere la loro domanda di salute e di ambiente pulito; proprio come avvenne, venti o quindici anni fa, con i gruppi e comitati che lottavano --- e che vinsero --- contro la dissennata scelta nucleare dei governi del tempo.

Anche oggi, come allora, migliaia di famiglie, di operai, di contadini, di impiegati, vogliono impedire che pubblico denaro venga dissipato per la costruzione di inceneritori che soffocano e vanificano delle reali prospettive di lavoro, quali le operazioni di riciclo e riutilizzo dei materiali usati.

Tantopiù che le soluzioni per la rigorosa applicazione della lettera e dello spirito del decreto "Ronchi" sono disponibili nel mondo, dove migliaia di studiosi e tecnici e imprese lavorano nel campo della caratterizzazione dei rifiuti, della messa a punto di processi per il riutilizzo e riciclo dei rifiuti, per la vendita dei materiali riciclati o recuperati.

Occorre migliorare e perfezionare i sistemi di raccolta differenziata delle varie materie riciclabili, anche attraverso informazioni dei consumatori, propaganda nelle scuole, eccetera.

Occorre inoltre elaborare standards per le merci, i macchinari e gli imballaggi, in modo che ne sia più facile il riciclo alla fine della loro vita utile; occorre tenere sotto controllo i sistemi di riciclo dei materiali per evitare frodi --- la mamma dei furbi e degli imbroglioni è sempre incinta: non si dimentichi chi, ispirato da dio, diceva di ricavare petrolio dal pattume.

Per evitare frodi e imbrogli sono necessari nuovi metodi di analisi delle merci riciclate, o del contenuto della percentuale di materiali riciclati, anche per evitare la presenza, nelle merci riciclate, di sostanze nocive per la salute.

Le operazioni di raccolta differenziata, di riciclo e di commercializzazione delle merci riciclate devono fare i conti col mercato, con un sistema di prezzi; a tal fine occorre incoraggiare l’uso di materie riciclabili provenienti dalla raccolta interna, per far fronte all’importazione delle stesse materie vendute in condizioni di dumping nel mercato internazionale da altri paesi.

Il mercato dei prodotti riciclati deve essere incoraggiato, secondo quando previsto dagli articoli 3, 4, 19 e 25, già citati, del decreto "Ronchi", attraverso la revisione e la modifica dei capitolati di acquisto e delle norme commerciali, in modo da evitare gli ostacoli all’acquisto di materiali contenenti frazioni riciclate e da incentivare l’acquisto di materiali ottenuti dal riciclo delle frazioni dei rifiuti.

In particolare va incentivato l’acquisto, da parte della pubblica amministrazione, di merci contenenti materiali ottenuti dal riciclo dei rifiuti (carta riciclata, lana cardata ottenuta dalla lana usata, eccetera). A chi obiettasse che questa proposta è di ispirazione bolscevica, vorrei ricordare che la legge sul ricupero dei materiali negli Stati uniti impone questa pratica da oltre un quarto di secolo.

Infine è indispensabile migliorare le conoscenze statistiche sui rifiuti, in modo da sapere quanti materiali effettivamente devono essere "gestiti", e come e dove.

e-mail del 13 luglio 2000 
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