Alle Commissioni internazionali di esperti (advisors) per la valutazione del progetto Ponte sullo Stretto di Messina (Ministero Lavori Pubblici).

edatto da Nella Ginatempo e firmato dal ForumAmbientalista



Il Forum Ambientalista rivolge una istanza alle Commissioni di advisors incaricate di valutare l'attuale progetto in discussione di Ponte sullo Stretto di Messina. L'istanza vuole richiamare l'attenzione degli esperti sulle seguenti considerazioni

1) Dal punto di vista economico il progetto non serve a dare un contributo efficace ai problemi di occupazione nell'area perché crea meno posti di lavoro di quanti presumibilmente ne distrugge nei settori della navigazione sull'area dello Stretto. Il tipo di occupazione che potrà creare richiede ingentissimi investimenti finanziari per ogni unità lavorativa, essendo un investimento ad altissima intensità di capitale: la manodopera privilegiata ed i tecnici richiesti sono ad altissima qualificazione e dunque presumibilmente esterni al tessuto locale: le caratteristiche di temporaneità dei lavori, tipici di ogni grande opera pubblica, non hanno prodotto in molti esempi del passato nel Mezzogiorno effetti apprezzabili sullo sviluppo locale dal punto di vista dell'indotto, della continuità della dinamica economica innestata e dunque dell'occupazione stabile prodotta, complessivamente intesa. Questo argomento ci porta a ritenere che l'attuale progetto in discussione di Ponte sullo Stretto, in quanto ennesimo esempio di una politica delle grandi opere, già fallimentare per lo sviluppo del Mezzogiorno, non sia significativo per il mondo sindacale e per gli interessi dei lavoratori e disoccupati dell'area e dunque i presunti benefici economici su questo piano non possono più costituire un argomento a favore, né tanto meno un'arma di pressione per oscurare gli enormi svantaggi e rischi che invece, a nostro parere, una simile opera comporta.

2) Dal punto di vista finanziario, una logica fondata su un razionale uso delle risorse ai fini di una redistribuzione sociale, ci impone di considerare un uso alternativo possibile di così ingenti capitali finanziari, specie in un'area in cui numerosi bisogni primari sono insoddisfatti o soddisfatti in modo inadeguato e ci impongono altre priorità, sullo stesso terreno dei lavori pubblici e dei trasporti. Considerare lo stato delle ferrovie in Calabria e Sicilia, delle infrastrutture portuali e delle reti viarie e autostradali, per non parlare degli urgenti bisogni sociali legati alla riparazione del dissesto idrogeologico, di quello urbanistico, di quello degli acquedotti, delle condutture fognarie e dei depuratori, nonché di quello della generale prevenzione antisismica di tutto l'edificato e di quello dell'igiene pubblica e dello smaltimento dei rifiuti e del disinquinamento: tutto ciò impone di scrivere un'altra mappa delle priorità per la qualità della vita in quest'area.

3) Là questione dei trasporti veloci delle merci nell'area dello Stretto e nelle due regioni in questione può essere risolta in modo più economico ed ecosostenibile attraverso il potenziamento del trasporto via mare con una rete diffusa di infrastrutture portuali per il cabotaggio e per il trasporto mercantile che valorizzi tutta la costa calabrese e siciliana del basso Tirreno e Jonio, eliminando l'effetto imbuto dei traghetti sullo Stretto e soprattutto l'enorme congestione delle due aree urbane coinvolte e soffocate dal traffico gommato pesante. L'opzione marittima per il trasporto merci si può unire a quella ferroviaria che richiede un deciso piano di riforme e ristrutturazione al fine di cambiare modello di trasporti e ridurre nell'immediato futuro il traffico gommato, assai più inquinante e costoso. A questo punto, la necessità dell'infrastruttura-ponte verrebbe meno, anche perché si è dimostrata negli ultimi anni una tendenza, da parte del flusso di operatori ed utenti, a ridurre il ricorso al gommato ed al traghetto sullo Stretto, data la congestione dell'effetto imbuto (che non sarebbe eliminato dal Ponte), ed anche a causa dello stato di degrado delle infrastrutture autostradali immediatamente adiacenti all'area di attraversamento. Viceversa, il ricorso al tragitto via mare per eliminare gran parte della tratta autostradale per merci e persone, si sta rivelando sempre più una preferenza degli stessi utenti attuali.

Non si vedono dunque grandi benefici per l'economia dei trasporti sia sotto il profilo dei costi di attraversamento (si prevedono tariffe troppo onerose per consentire il ripianamento degli investimenti finanziari in tempi mediamente ragionevoli), sia sotto quello della velocità, dato che le reti, ferroviarie e stradali, a cui il Ponte si collegherebbe sono in uno stato così degradato, che dilatano enormemente i complessivi tempi di percorrenza sulle lunghe tratte, annullando gli eventuali benefici dell'attraversamento col Ponte.

Se poi si rivelasse veritiera la tesi di numerose associazioni ambientaliste locali che segnalano la necessità di chiudere per periodi frequenti l'attraversamento sul Ponte, una volta realizzato, a causa dei pericoli connessi ai forti e ricorrenti venti dello Stretto, non si vede la razionalità economica di una tale ciclopica infrastruttura.

A queste considerazioni si aggiungano quelle dei tempi morti costituiti dalle file di accesso ai due ingressi del Ponte, amplificati dall'effetto imbuto e dai tempi di percorrenza aggiuntivi richiesti dagli adeguamenti delle reti autostradali e ferroviarie. Queste ultime, per consentire il passaggio e l'accesso all'infrastruttura Ponte, necessitano di allungamenti e ulteriori percorsi in più, spesso non considerati nel dibattito sull'odierno progetto, che costituiscono ulteriori irrazionalità con pesanti ricadute di impatto territoriale ed urbanistico e che, peraltro, negano i presunti benefici di un attraversamento veloce del tratto di mare.

4) La realizzazione del Ponte crea un impatto sociale di proporzioni incalcolabili in un area socialmente disgregata, caratterizzata da squilibri distributivi, da scarso controllo politico ed istituzionale e dalla presenza di forti interessi illegali. L'ipotesi Ponte si collega dunque a modelli già ampiamente fallimentari in cui il Mezzogiorno è visto come una periferia dell'Occidente, in una spirale di dipendenza in cui non contano le risorse endogene e le compatibilità ambientali ma solo uno spazio da riempire con grandi opere e poli di ex-sviluppo. Modelli che rimandano ad un pensiero unico e colonizzatore rispetto a cui è necessario rifiutare l'ennesima omologazione culturale che l'ipotesi Ponte rappresenta, per fare attenzione, invece, ai soggetti locali che possono valorizzare il proprio mondo della vita e diventare sempre più consapevoli della immensa risorsa di bellezza ambientale oltreché di memoria, di letteratura e di mitologia che lo Stretto rappresenta.

5) L'argomento più insidioso e fallace a favore del Ponte (sarebbe l'ottava meraviglia del mondo come trionfo della tecnica e dell'ingegneria) ci sembra il frutto di una vecchia cultura modernista acritica secondo cui i frutti dell'alta tecnologia e i segni forti sul territorio siano comunque espressione di sviluppo e progresso secondo una vecchia illusione prometeica, di cui il progetto del Ponte sullo Stretto costituisce un ultimo attardato esempio. Invece, recuperare una cultura diversa, fondata sul limite vuol dire pensare a noi razza umana come parte della natura e dei suoi equilibri e non come padroni incontrastati che possano capovolgerne le leggi interne, modificare con arroganza e megalomania ciò che migliaia di anni di lavorio geologico hanno prodotto sulla faccia del pianeta, illuderci di diventare "chirurghi del pianeta", non per sostenere e proteggere i punti geologici più deboli ma per mutilarli, applicando orribili protesi e cambiandone i connotati.

Molti scienziati ed ambientalisti dei nostri giorni in vario modo si sono espressi contro il progetto del mega-ponte sullo Stretto di Messina: ne è un esempio l'Appello all'Unesco per la protezione dello Stretto di Messina quale patrimonio naturale e culturale dell'umanità rivolto a livello internazionale dal Comitato Scilla e Cariddi, firmato da illustri studiosi, parlamentari ed operatori sociali che condividiamo e sosteniamo. Da molte voci si sono già levati i moniti contro il rischio sismico, così come le analisi e gli appelli degli urbanisti e degli ambientalisti che segnalano l'irrimediabile guasto all'ambiente naturale ed ai centri urbani dell'area dello Stretto che dalla costruzione della mega-infrastruttura deriverebbe.

Ma a queste considerazioni vogliamo aggiungere quelle del danno incalcolabile sotto il profilo antropologico e sociale: la distruzione di un patrimonio storico mitologico letterario culturale e sociale legato all'unicità del luogo: lo scenario di acque e terre di Scilla e Cariddi. Le analisi dei naturalisti hanno messo in evidenza le eccezionali caratteristiche ecomorfologiche e mitologiche dell'area: le correnti marine ed i gorghi acquatici da cui i miti di Scilla e Cariddi; il paradiso zoologico costituito dalla fauna ittica abissale che viene in superficie e dal crocevia del volo degli

uccelli rappresentato dallo Stretto; le particolarità geosismologiche derivanti dall'intersezione tra i terminali dell'arco eoliano e l'incisione italiana della grande faglia mediterraneo-orientale; l'interessante geografia simmetrica dei due versanti Peloritano e Aspromontano; l'estrema bellezza paesaggistica dello Stretto derivante da un capolavoro geologico della natura che ha unito due differenti mari ed ha diviso in due parti la stessa terra.

Ora, la realizzazione del Ponte, già solo per le dimensioni dell'opera e per le tecniche di costruzione previste avrebbe un enorme impatto distruttivo (scavi fondazioni edificazioni di giganteschi piloni e rampe autostradali) comportando la devastazione di uno dei paesaggi e degli ecosistemi marini e costieri più importanti del Mediterraneo. A ciò si aggiunga la distruzione della visibilità del paesaggio a causa dell'immensa paratia di cavi d'acciaio che farebbero da schermo gigante in direzione est-ovest, nonché l'immenso cono d'ombra generato sulle coste dalla ciclopica infrastruttura ed i suoi macrosostegni.

L'area dello Stretto è inoltre nota come zona sismica di altissima intensità e come tale sconsiglia la fattibilità dell'opera: il rischio sismico non va rimosso dalla storia sociale, culturale e scientifica e va rilanciata invece una cultura diffusa della prevenzione e della convivenza con il terremoto (già presente peraltro nella cultura locale e rintracciabile nella famosissima leggenda popolare di Colapesce).

Come non capire che in un'area in cui si sono succeduti ben 36 terremoti catastrofici negli ultimi 2000 anni, l'unico mezzo ragionevole per i collegamenti deve essere anch'esso in movimento via mare e non sospeso ad immense torri d'acciaio con i piedi ballerini né tanto meno esposto allo scirocco che corre da queste parti a più di 120 km all'ora.

Il nostro bilancio valutativo sul progetto attualmente in discussione di Ponte sullo Stretto a campata unica, conclude che questo Ponte sarebbe inutile e dannoso sotto il profilo delle economie locali e delle economie generali di trasporto, pericoloso sotto il profilo sismico e della sicurezza, nocivo e distruttivo sotto l'aspetto ambientale, denso di conseguenze negative sotto il profilo urbanistico, regressivo e omologante sotto il profilo culturale, gravissimo dal punto di vista dell'impatto sociale. Così tra la Scilla del sottosviluppo e della disoccupazione e la Cariddi della tecnologia distruttiva e del modello economico obsoleto e dissennato, dobbiamo indicare un'altra via più sicura, praticabile e sostenibile e soprattutto aperta alla bellezza, grande bisogno sociale e risorsa della memoria e del futuro.

 
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