Il cigno dello stretto

di Nella Ginatempo



IL PONTE E IL BRUTTO ANATROCCOLO

Il miraggio del Ponte fa leva sui locali, specie a Messina, città di Calarco, perché hanno il complesso del brutto anatroccolo. Dopo secoli di esclusione e marginalità, vedono nel Ponte l’immagine illusoria del riscatto sociale, quanto più è grosso tanto più prestigio avrà, Messina diventerà importante, chissà quanti turisti. E poi, la Sicilia sarà collegata al Continente, entrerà finalmente nella modernità e assomiglierà a tutte le altre papere (sogno imitativo del brutto anatroccolo). Su questo complesso di inferiorità sociale fa leva la propaganda della Gazzetta del Sud e della lobby del Ponte: pura demagogia in grado di far vincere Berlusconi e di far cominciare la follia costruttiva del Ponte. Proprio quella follia che è in grado di distruggere le uniche immense risorse che possiedono gli abitanti del luogo e che ancora non sono in grado di vedere. Risorse naturalistiche e culturali inestimabili che appartengono a tutto il mondo e che hanno fatto di Scilla e Cariddi un mito, un topos letterario e linguistico, un elemento di civiltà.

Lo Stretto è un complesso ecosistema dal delicatissimo equilibrio: un ambiente marino unico al mondo, dove, per la frattura tra le due placche continentali, si incontrano due mari differenti per temperatura e profondità dei fondali. Ciò crea il fenomeno dei vortici (da cui il mito del mostro Cariddi) che generano lo spettacolo memorabile delle correnti marine di interesse non solo estetico e paesaggistico ma anche scientifico (lo studio della geometria dei frattali). Dentro l’abisso marino di Cariddi c’è una montagna sulle cui pareti risalgono correnti fredde che portano in superficie la fauna abissale: si è creato così un "acquario" unico al mondo per l’ambiente marino luminosissimo e superossigenato, rifugio di tartarughe marine, delfini e pesci-spada, dove pesci rarissimi e banchi eccezionali di alghe mediterranee disegnano fondali che da soli potrebbero giustificare il "marketing del territorio", ad esempio attraverso la promozione del turismo subacqueo e delle crociere sullo stretto con le barche a fondo trasparente. Biologi e naturalisti hanno chiamato lo Stretto un paradiso zoologico, per la varietà e l’unicità delle specie. Alla bellezza del mare corrisponde l’estrema bellezza del paesaggio coi colori della Costa Viola, le scogliere di Scilla, il lungo litorale sabbioso di Torrefaro e i laghetti di Ganzirri sottoposti a protezione ambientale per il grande interesse scientifico dell’alga speciale che vi cresce dentro. Paradisi svalorizzati, dimenticati, violati dal cemento ed oggi soggetti al rischio definitivo di morte se il progetto del Ponte non verrà definitivamente accantonato e non si bloccherà la minaccia più grande per le coste ed il mare dello Stretto: l’apertura dei giganteschi cantieri.

Ma i soggetti locali, se crescono, possono diventare cigni, prendendo coscienza dell’unicità e importanza delle risorse che hanno a disposizione e diventando protagonisti di uno sviluppo locale

in cui natura cultura arte e scienza vengano potenziate in armonìa tra loro e l’area dello Stretto venga trasformata in una Capitale di beni naturalistici, paesaggistici e culturali. Per non cadere nel modello del vecchio Sud, tutto dipendenza e grandi opere è necessario difendere la geografia e la storia dello Stretto, con le sue culture marinare, i suoi antichi villaggi e la sua sconfinata letteratura. E tutto questo si fonda sul paesaggio, elemento fondante dell’identità, da cui soltanto un popolo può trarre linfa per uscire dalla subalternità, dal clientelismo e dalla passività e costruire un nuovo destino sociale.

IL PONTE NON SERVE

Abbiamo in mano tutti gli elementi per dire no al Ponte sullo Stretto, per dire in modo chiaro semplice e diretto che quest’opera non serve e che il faraonico progetto della Società Ponte sullo Stretto deve essere accantonato per sempre.

Gli elementi chiave per decidere sono quelli che in questi ultimi anni gli ambientalisti, gli urbanisti e gli studiosi, riuniti in gran parte nel Comitato Scilla e Cariddi e presenti nelle forze politiche della sinistra alternativa, hanno più volte segnalato: il devastante impatto ambientale, l’insostenibilità sociale ed economica, l’irrazionalità e incongruità rispetto al sistema di trasporti.. Ma adesso abbiamo anche qualche altro elemento in più: la relazione degli advisors che il nostro governo ha pagato qualche miliardo, per ottenere un parere qualificato sul progetto di massima presentato dalla Società Ponte sullo Stretto. Nella sintesi distribuita dal Ministero dei Lavori Pubblici, si traggono le cifre essenziali che consentono, secondo un ragionamento di buon senso (se ci astraiamo dalle conclusioni ambigue e dai commenti reticenti dei curatori della sintesi), di scartare definitivamente il progetto e sciogliere la Società Stretto di Messina.

La prima evidenza chiara è che il Ponte non serve: le cifre mostrano la clamorosa inutilità del Ponte. Infatti lo studio dei flussi di traffico e delle sue tendenze future ci dice che:

  • a) il traffico di media e lunga distanza si indirizza già da tempo verso l’aereo per i passeggeri e verso le vie del mare per le merci e questa tendenza aumenterà notevolmente nel futuro, ben oltre i 12 anni previsti per costruire l’ipotetico Ponte. E’ per questo che l’advisor dichiara che il Ponte non può rispondere alla domanda di traffico di media e lunga distanza, per la quale è comunque indispensabile spendere 4.650 miliardi per potenziare il sistema portuale ed aeroportuale che è l’unico in grado di risolvere il collegamento di lunga distanza tra Sicilia e Continente.
  • b) Ne discende che il Ponte non sarebbe una infrastruttura sostitutiva dell’attuale sistema di trasporto ma aggiuntiva. Per costruire questa "aggiunta" bisognerebbe spendere ben 9.400 miliardi in più, rispetto ai già citati 4.650 in porti e aeroporti che costituiscono invece l’asse prioritario del sistema trasporti per la domanda a scala nazionale.
  • c) Per la domanda di traffico a scala locale, finalmente qualcuno ha notato ciò che gli abitanti locali sanno da decenni, e cioè che i passeggeri sullo Stretto vanno a piedi, usando gli aliscafi e le navi-traghetto come un autobus che collega molto bene i centri urbani tra loro. Questi stessi passeggeri non saprebbero che farsene del Ponte che costituisce, come è noto, una gigantesca autostrada di 12 corsie, alla quale bisogna accedere con autovetture, ma non direttamente dai centri urbani delle città dello Stretto, bensì dai nuovi accessi autostradali extraurbani per i quali si prevede una "aggiunta" di complessivi 25 km di nuova autostrada sui due versanti.
  • d) Per il traffico gommato sullo Stretto, le sue dimensioni e le previsioni del suo aumento sono tali da escludere la necessità di una ciclopica autostrada sospesa sul mare, progettata per sostenere 100.000 veicoli al giorno. L’advisor ci conferma infatti un paradossale scenario di spreco e sottoutilizzo poiché prevede al massimo un potenziale di 18.500 veicoli al giorno. Ma, poiché il traffico gommato a scala locale costituisce una domanda molto piccola per le dimensioni del Ponte e, d’altra parte, il traffico gommato a scala nazionale va per fortuna a ridursi per la competitività del sistema via mare, ne discende che questo progetto non serve più. Pensato in un’era sorpassata in cui si espandeva il sistema autostrade-cemento-benzina-mercato dell’auto, è già vecchio oggi ancora prima di decidere di passare al progetto esecutivo. Tra 12 anni potrebbe essere ridicolo.
  • e) Ci sono buoni argomenti per contestare la presunta utilità del Ponte per le Ferrovie. 36 Km di rete ferroviaria in più, da realizzare per "servire" il Ponte ovvero per portare i treni ad un’altezza di 64 m sul livello del mare, non sembrano una bella pensata dal punto di vista economico, ingegneristico, ambientale, e degli stessi tempi complessivi di attraversamento poiché si allunga la tratta ferroviaria: ciò stando anche al parere espresso, presso lo stesso Consiglio Superiore dei LL.PP., sulla costruibilità dell’opera, dal prof. Francesco Di Maio per il Comitato di Alta Sorveglianza delle Ferrovie. Il potenziamento delle Ferrovie, poi, solo nel tratto dell’area dello Stretto, mentre l’Alta Velocità si ferma a Napoli e tutto il resto della rete in Sicilia e Calabria è a livelli ottocenteschi ormai insostenibili, è poco credibile come argomento pro Ponte. Qualcuno dovrebbe poi spiegare l’aspetto essenziale: perché mai, nel XXI secolo, dobbiamo continuare a trasportare i treni da una sponda all’altra, perdendo ogni volta quasi due ore per il traghettamento con la vecchia flotta dello Stretto, oppure progettando di sollevare i treni sul mare e trasportare, dentro i vagoni, passeggeri e bagagli dall’altra parte ? Basta una stazione attrezzata con passerelle mobili, ascensori e carrelli a Villa S.G. ed a Messina e piccole navi veloci per i passeggeri (15 minuti di tragitto via mare) per evitare di traghettare il treno. Ristrutturare gli orari in modo da favorire la discesa diurna dei passeggeri a Villa ed a Messina per raggiungere le reti regionali di treni e autobus . Reti ovviamente da ristrutturare e potenziare, così come tutto il sistema ferroviario, stradale ed autostradale del Mezzogiorno.
  • f) Alla riorganizzazione di queste reti è per l’appunto destinato il progetto multimodale che l’advisor propone come alternativo al Ponte, al modico costo di 2.040 ml. Questo sistema di risistemazione delle ferrovie calabresi e siciliane, di completamento e allargamento delle autostrade e del sistema viario delle due regioni, insieme all’avviamento del progetto "autostrade del mare", rappresenta, secondo l’advisor, una efficiente risposta alla domanda presente e futura del traffico locale e nazionale sullo Stretto. Anch’esso è previsto in collegamento con le opere cosiddette "invarianti" (porti aeroporti ed altre più immediate necessità), del costo di 4.650, come già detto, delle quali costituisce la più razionale espansione.

CHIUDERE LA FARSA DEL PONTE

E’ implicito in quanto detto finora che il progetto finanziario è fallito. Si basava infatti sulla previsione che i privati investitori potessero, attraverso le tariffe del traffico gommato in aumento, ripagare i costi e guadagnare profitti, ma la previsione di traffico ha spazzato via questa ipotesi ed è molto improbabile che emergano privati investitori. Dunque il ragionamento perverso e aberrante è il seguente: poiché (ahimè) gli automobilisti che useranno il ponte sono troppo pochi e non potranno pagarlo loro, allora dobbiamo farlo pagare in gran parte allo Stato, cioè ai cittadini, pure se pedoni.

A questo punto sorge la domanda: per quale motivo un governo dovrebbe spendere 6.500 miliardi (tale sarebbe il finanziamento pubblico previsto per il Ponte), per preferire una soluzione che presenta i seguenti svantaggi:

- macroscopico sottoutilizzo
- più lunghi e incerti tempi di realizzazione
- minori sviluppi per l’occupazione permanente nell’area ( il progetto multimodale offre 1000 posti di lavoro stabili in più rispetto al Ponte e inoltre non determina crisi dell’occupazione nelle infrastrutture attuali)
- tariffe di trasporto certamente molto più alte delle attuali per il project financing dei privati investitori (virtuali)
- enormi rischi economici e costi aggiuntivi per la stessa costruibilità dell’opera, vedi espropri di ettari ed ettari, vedi gli enormi rischi di dissesto idrogeologico e finanziario dei Cantieri
- impatti ambientali mostruosi e irreversibili, su cui non a caso non è stato prodotto dal proponente un adeguato Studio di Impatto Ambientale.

A proposito di impatto ambientale, lo stesso advisor dice qualcosa di definitivo, riportato per la verità assai in sordina dai curatori della sintesi ministeriale. Dice che l’impatto negativo del Ponte genera una "variazione irreversibile del paesaggio" ed inoltre che nella fase di cantiere bisogna scavare e poi smaltire a mare circa 8 milioni di mc di "ingenti materiali" (sic!) (oltre al "coinvolgimento critico degli ambiti costieri e delle fiumare per attività estrattive e di stoccaggio").

Qualcuno riesce ad immaginare che cosa è un volume di 8 milioni di mc di materiali buttati nell’ecosistema marino dello Stretto ?

E poi, qualcuno riesce ad immaginare le dimensioni surreali di questi scavi e fondazioni ?

Le fondazioni delle torri, alte una volta e mezza la Torre Eiffel, e gli immensi blocchi di ancoraggio dei cavi (200.000 mc di cemento ciascuno da interrare a 50 m di profondità), non sono state valutate per i gravi rischi di dissesto idrogeologico che possono ingenerare, specie sulla costa siciliana, così friabile e sabbiosa.

Insomma i paradossi più incredibili sono legati alle ciclopiche dimensioni del Ponte: il peso immenso della struttura sulle due coste; la distruzione degli abitati di Torrefaro e Ganzirri (per citare solo la costa siciliana) con i suoi due laghi "protetti"; l’immenso cono d’ombra generato dalla struttura - che nel tratto sospeso è larga 60 m e lunga tre chilometri - sui villaggi costieri di entrambe le sponde e sul mare, con evidente danno del turismo locale; la impressionante rete di km di nuovi tracciati autostradali e ferroviari sulle due coste, con nuovi svincoli, viadotti, gallerie e rampe di accesso e totale devastazione della costa di Scilla e Cariddi. Come ha sottolineato Pieroni, il ponte non è lungo tre chilometri, ma decine e decine di chilometri. Sulla costa di Messina si dovrebbero costruire decine di immensi birilli di cemento per sostenere le rampe che portino i veicoli dal livello del mare all’altezza di 64 m. E sulla costa di Scilla sfondare una montagna e creare una galleria di 3 km e 300 m, in aggiunta al nuovo tracciato di autostrada che dovrebbe devastare la Costa Viola.

E sul mare ? Immaginate di trasformare lo Stretto in una baia e di chiudere completamente lo scenario di acque e terre con una macroparatìa di acciaio che, sospesa sul mare, elimini la visibilità di quello che un tempo era il mitico paesaggio di Scilla e Cariddi.

Ma il paesaggio non è un elemento solo estetico o fisico. Come ci insegna Braudel, il paesaggio è frutto della storia del Mediterraneo e risorsa fondamentale di ogni evoluzione umana. E i sociologi dell’ambiente e gli antropologi direbbero che intervenire sul paesaggio significa intervenire sull’identità di un popolo, sull’immaginario collettivo, sulla memoria, sulle risorse della cultura e dunque di ogni progettualità sociale.

Allora si ripropone la domanda: perché mai spendere tanto, per distruggere tanto, inventandosi nel 2001 un bisogno che non esiste ?

Risposta (dei curatori della sintesi): "l’effetto positivo sotto il profilo istituzionale e di immagine". Insomma un’opera di regime, una specie di monumento allo Stato ed alla tecnologia ingegneristica.

Ma qui nasce una ennesima contraddizione: un monumento si costruisce con l’intento di lasciare un segno eterno nel tempo, a gloria del passato negli anni a venire. Ora, secondo quanto afferma la Società Stretto di Messina, il Ponte potrebbe durare non più di 200 anni (sempre ammesso che resista ai poderosi rischi sismici ed all’effetto risonanza del vento che già fece crollare un ponte sospeso simile a questo in Giappone ).

Perché solo 200 anni ? Qui fanno capolino i dubbi più che fondati che i geologi e gli ambientalisti hanno in precedenti occasioni segnalato: le due sponde appartengono a due placche continentali differenti (da qui i fasci di faglie attive di tutta l’area dello Stretto) che si distanziano tra loro di 1 cm all’anno. Pertanto tra due secoli le sponde avranno aumentato la loro distanza di altri due metri. Le capacità di allungamento del Ponte non arrivano a tanto. E poi, qualunque corda troppo tesa prima o poi si rompe.

Anche la pazienza dell’opinione pubblica davanti alla farsa del Ponte.

 
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