FERMARE LA CRESCITA

di Aldo Iacomelli



FERMARE LA CRESCITA
di Aldo Iacomelli

1. LE CONDIZIONI DEL CLIMA

Premessa

Gli oltre 2000 scienziati dell’IPCC (International Pannel on Climate Change) con il SAR (Second Assessement Report) sono stati stabiliti dei punti fermi circa il mutamento climatico:

  • Negli ultimi 100 anni la temperatura del Pianeta è aumentata mediamente dello 0.4 - 0.6 °C.
  • Il ventesimo secolo risulta il più caldo degli ultimi sei secoli e gli anni prossimi saranno i più caldi di tutto il ‘900.
  • Per la fine del prossimo secolo si prevede mediamente un incremento di 2 °C della temperatura, con degli aumenti più marcati alle latitudini più elevate.
  • Il livello del mare si è innalzato da 10-25 cm mediamente negli ultimi cento anni, soprattutto in seguito alla espansione termica dell’acqua degli oceani. La temperatura del mare sta aumentando anche negli strati più profondi.

Il livello dei mari continuerà ad incrementarsi anche dopo la stabilizzazione delle emissioni di gas serra per decenni, per una inerzia che il meccanismo conserverebbe. Così l’intervento sulle emissioni di gas serra diventa sempre più impellente: anche se si intervenisse immediatamente la temperatura del Pianeta continuerebbe a crescere per decenni per l’intrappolamento del calore solare nell’atmosfera.

Il principale imputato di questo rilascio in atmosfera di gas serra è l’uomo.

Attualmente la concentrazione di anidride carbonica è di 358 ppm (parti per milione) e risulta essere più alta del 30 % rispetto a 200 anni fa (era pre industriale).

Una grossa quantità di dati provenienti da tutto il mondo mostrano chiaramente che dei cambiamenti climatici rilevanti sono in atto. Dalla siccità allo scioglimento dei ghiacciai, dai cambiamenti nelle correnti oceaniche agli incrementi regionali di violenti uragani, sono solo alcune delle testimonianze.

Le evidenze e le conseguenze del riscaldamento del Pianeta si stanno accumulando rapidamente e in modo misurabile, e richiedono l’immediata attenzione del mondo. Gli scienziati dell’IPCC hanno stabilito che le cause più probabili vanno ricercate principalmente dalla combustione del carbone, petrolio e gas e dall’incremento di anidride carbonica CO2 e di altri gas intrappolati nell’atmosfera terrestre.

In accordo con una considerevole quantità di dati scientifici, di registrazioni di informazioni provenienti dai pollini, dall’interno dei ghiacci, dall’analisi degli anelli di tronchi d’albero, dalle misure di temperatura, dalle immagini satellitari, da misure atmosferiche e da altri strumenti di analisi, il cambiamento climatico sta già interessando ogni regione della Terra.

Il 1995 è stato l’anno più caldo della storia. Il 1997 sembra essere vicino al secondo anno più caldo della storia. I cinque anni più caldi si sono avuti a partire dal 1990.

Molte zone della Siberia sono da 3 a 5 °C più calde che all’inizio del secolo.

I ghiacciai delle Alpi in Europa hanno perso metà del loro volume dal 1850. In Antartide alcune popolazioni di pinguini sono sparite e le popolazioni di krill, una fonte di cibo per molti animali marini, stanno sparendo, probabilmente uccisi dal riscaldamento dell’acqua. Nel Mare del Nord, maree di alghe rosse tossiche sono ritornate al German Bight dopo una assenza di 300 anni.

L’incremento della temperatura
La temperatura media dell’intero Pianeta sta aumentando drammaticamente. I cinque anni più caldi da quando i dati sono stati registrati fin dalla metà del 1900, si sono verificati tutti negli anni 90, e 10 degli 11 anni più caldi si sono avuti dal 1980. Il 1995 è stato l’anno più caldo mai registrato. Il 1997 potrebbe essere il secondo più caldo. Nessuno scienziato serio dubita degli effetti del riscaldamento del Pianeta negli ultimi decenni.

Le notti diventano più calde del 50% più velocemente rispetto alle ore diurne. Il centro statunitense per i dati climatici ha riportato nel luglio 1997 che la differenza di temperatura tra il giorno e le notte sta diminuendo in molte parti del mondo, con più forti cambiamenti nell’inverno dell’emisfero boreale. Le gelate stanno velocemente sparendo in molte regioni; questo accade perché i gas serra intrappolano il calore efficientemente durante la notte.

Le perdite economiche associate al cambiamento climatico sono grandi: uragani e ondate di caldo hanno comportato la spesa di 60 miliardi di dollari nel 1996.

Il suolo artico si è riscaldato di 4 gradi. La temperatura media di 9 stazioni meteorologiche nell’Artico è cresciuta di 5 °C dal 1968. Gran parte dell’oceano Artico si è riscaldato di 1 grado o più dal 1987 e più del 5% del suo ghiaccio è sparito negli ultimi 15 anni.

Il clima Artico è noto per essere naturalmente variabile, ma questi cambiamenti sono senza precedenti. Ricercatori europei hanno esaminato la registrazione di migliaia di anni di temperature, conservati negli anelli annuali dei larici artici, e hanno osservato che la temperatura più alta si è avuta durante il ventesimo secolo.

Aumento del livello dei mari
Le zone costiere e le piccole isole sono le zone più densamente popolate del Pianeta. Sono inoltre le più interessate da innalzamenti del livello del mare a causa della espansione delle acque per il riscaldamento, e dallo scioglimento dei ghiacciai polari. Il livello dei mari è in media tra 10 e 25 cm più alto che nello scorso secolo. L’80% delle spiagge nel mondo stanno subendo un processo di erosione, spesso alla velocità di molti metri per anno. L’altezza delle onde nel Nord Atlantico è aumentata del 50% negli ultimi 30 anni.

Emissioni di CO2 in Megatonnellate (Mt) per il 1991

Albania 6,1
Algeria 67
Egitto 78.3
Francia 391
Grecia 80
Italia 409
Libia 29.7
Marocco 20.8
Spagna 236
Turchia 149.6
Area ex Yugoslavia 91.9
Totale Mediterraneo 1572.8
Mondo 20784

Fonte: DG XVII, 1994

L’applicazione dei modelli GCMs all’Italia
Secondo delle simulazioni raccolte dalla Columbia University di New York in un rapporto sullo stato del clima in Italia (Impact of Future Climate Change in Italy, 1995), si prospettano degli scenari degni di attenzione. In particolare, secondo lo studio dell’università americana, in Italia potrebbero cambiare le temperature e i livelli di precipitazione, oltre a salire il livello dei mari mettendo principalmente a rischio l’area della laguna di Venezia, già fortemente minacciata dall’acqua alta, la laguna di Orbetello e il Lago di Burano.

L’Università della Colombia aveva preso in considerazione tre modelli atmosferici i cosiddetti GCMs (Global Circulation Models): il GISS (NASA- Goddard Institute for Space Studies) (Hansen et al .1983), il GFDL (Geophysical Fluid Dynamics Laboratory) (Manabe e Weatherland, 1987), il UKMO (United Kingdom Meteorological Office) (Wilson e Mitchell, 1987).

Sono modelli simili nella struttura matematica ma differenti nella parametrizzazione del rapporto mare-ghiacci, delle nubi, dei processi di interfaccia e differiscono nei metodi numerici di soluzione delle varie equazioni differenziali.

Le condizioni previste da questi modelli si potranno realizzare già nella prima metà del prossimo secolo e dunque si capisce l’importanza predittiva di essi, che dovrebbero illuminare le scelte politiche verso uno sviluppo sostenibile, anche per l’Italia e l’intera regione mediterranea. I modelli non tengono conto nelle loro elaborazioni dell’effetto di raffreddamento dell’aerosol troposferico che contribuisce allo scenario climatico mitigandolo (IPCC1994).

L’Italia è divisa nei modelli in tre aree climatologiche distinte (nord centro e sud) e viene rappresentata nei grafici per semplicità schematica con le città di Milano, Roma e Palermo, per evidenziare come cambierebbero nelle tre città la temperatura, le precipitazioni e l’insolazione.

Secondo il modello GFDL si avrebbe un’incremento della temperatura maggiore al nord che non al sud, sia in estate che in inverno. Le precipitazioni aumenterebbero del 15% come valore massimo registrabile al nord in inverno, per calare anche del 30% in estate nelle regioni del sud.

Il modello GISS suggerisce un amento medio annuale della temperatura di circa 3.5°C, con un aumento delle precipitazioni di circa il 15%.

E’ evidente che a livello generale, a parte il caso particolare dell’impatto su Venezia, si avrebbero effetti sull’agricoltura, sulla vegetazione, sul sistema idrologico, sulla risorsa acqua, sull’innalzamento del livello dei mari.

Impatto sull’agricoltura
Il clima condiziona molto l’agricoltura in Italia. Una situazione più calda e più secca al sud e centro Italia potrebbe spingere verso la zona padana colture come quelle degli agrumi e gli olivi (Morettini, 1972; Le Houerou, 1992). Si amplierebbe la stagione di crescita e sviluppo delle piante, occupando anche parte del periodo di attuale "dormienza" delle coltivazioni. Allo stesso modo piante tipiche delle regioni nordiche e centrali che necessitano di umido e freddo, come il grano invernale, risulterebbero penalizzate e la loro produttività potrebbe calare notevolmente. Ciò potrebbe anche accadere in seguito ad una eccessiva siccità che determinerebbe una notevole evaporazione, causando stress alle coltivazioni. I cambiamenti micro-climatici nelle regioni italiane potrebbero portare a delle alterazioni di temperatura e livello delle risorse idriche tali da dover rivedere tutto il management agricolo locale. La carenza di acqua piovana dovrebbe essere risolta con sistemi di irrigazione artificiale che non sempre sono facilmente realizzabili. Le alte temperature di punta potrebbero portare stress alle colture e condurre a delle indesiderate sterilità delle piante (Mearns et al. 1992; Paulsen, 1994).

L’anidride carbonica ha anche un effetto fertilizzante in agricoltura, che mitigherebbe, ma solo in parte, gli altri danni della CO2 fa, con un effetto di stimolo della crescita delle colture simile a quello dei fertilizzanti di sintesi. A questi effetti dell’anidride carbonica hanno risposto positivamente il grano, la soia e il riso.

Tabella delle zone esaminate a cui si riferiscono le considerazioni sopra fatte.

Regione Area esaminata Principali coltivazioni
Bacino del Po Lombardia - Emilia Rom. Riso, grano, mais
Centro Italia Toscana - Lazio grano, patate
Tavoliere delle Puglie Puglia grano
Piana siciliana Sicilia grano duro

Fonte: Colombia University, 1995

Impatto idrologico e risorsa acqua
Anche il ciclo della risorsa acqua potrebbe risultare fortemente alterato per l’Italia nelle condizioni di mutamento climatico predette dai modelli considerati.

Una alterazione del rapporto tra precipitazioni e potenziale evapotraspirazione dell’acqua potrebbe limitare fortemente una strategia di adattamento per la vita, l’agricoltura e i processi produttivi alle mutate condizioni climatiche. Nel 1988 Oljenik, avvalendosi del modello GISS, ha studiato la situazione della regione mediterranea per quanto concerne precipitazioni, evapotraspirazioni e disponibilità d’acqua sul suolo. In generale tutte le simulazioni prevedono che l’aumento di pioggia viene perso tutto per evapotraspirazione. Come acque contenute dai suoli si potrebbe avere un aumento di circa il 30 % rispetto ai valori attuali di acque dolci disponibili, fatto che comporterebbe una maggior disponibilità di acqua al nord e al centro, ma non al sud dove servirebbe. In ogni caso una incapacità di stoccare tutti gli eccessi delle acque al nord, utili a determinare solo eventi alluvionali, potrebbe comunque creare nei periodi di bisogno idrico, grossi stress all’agricoltura e ai sistemi vegetali in genere.

L’acqua per le attività produttive ed umane vedrebbe ancora di più divario tra nord e sud del Mediterraneo. Si stima che nel prossimo secolo l’alterazione del ciclo dell’acqua porterà nel nord Mediterraneo una disponibilità di circa 2000 m3 all’anno per ogni abitante, a fronte di un uso reale pro - capite annuale di circa 400 m3. Il dato va confrontato con quello della sponda sud del Mediterraneo che vedrebbe diminuita ancora la disponibilità di acqua di circa 100-400 m3.

La possibile crescita del livello del mare aumenterebbe la salinità delle foci dei fiumi e degli acquiferi costieri. Questo aumento della salinità delle acque dolci potrebbe determinare rischi per salute pubblica, accrescere sensibilmente i costi di trattamento delle acque sia a scopo idropotabile, sia, e soprattutto, per le acque industriali, che metterebbero a dura prova macchinari, strumentazioni e processi produttivi concepiti per utilizzare acqua dolce. Queste intrusioni di acque salmastre negli ecosistemi costieri potrebbero alterare ed inficiare certe produzioni agricole (Lindh,1992). L’acqua ad uso potabile potrebbe in futuro essere contaminata e messa a rischio come risorsa dalle intrusioni saline a seguito di un innalzamento del livello dei mari. Le contaminazioni possono avvenire sia per una diffusione lungo l’asta fluviale di elementi salini sia per infiltrazione diretta dal suolo nella falda acquifera. In Italia acquiferi a rischio si trovano in Veneto, Puglia, Liguria, Marche, Abruzzo, Sicilia e Sardegna.

Crescita del livello delle acque
Globalmente è stato stimato che il livello del mare Mediterraneo è cresciuto ad una media di circa 1 - 2 mm/anno durante gli ultimi cento anni (Gornitz, 1995). Si stima che il livello del mare possa crescere di circa 8 - 29 cm entro il 2030 (IPCC, 1995), anche se l’effetto dell’aerosol potrebbe mitigare questo cambiamento di livello e contenere l’aumento attorno ai 5 - 20 cm. Circa il 50 % della variazione del livello del mare è causata dalla espansione termica dell’acqua degli oceani, il resto può attribuirsi al ritiro e conseguente scioglimento dei ghiacciai, come si vede in tabella, e dal paventato scioglimento delle calotte polari (Wigley and raper, 1993).

Stato o Regione Contrazione dei ghiacciai Tempi
Caucaso, Pamir, Tian Shan e montagne Altai dell’Asia Centrale Arretramento dei ghiacciai montani fino a 4 Km ultimi 200 anni
Kazakhstan Estensione dei ghiacciai ridotta del 14 % 955 - 1979
Asia centrale Il 73% dei 224 ghiacciai della regione sono in contrazione 1950 - 1980
Monte Kenya ghiacciai in contrazione dal 1980
Ande ecuadoregne e Nuova Guinea ghiacciai in contrazione da metà XIX sec.
Ghiacciaio Yanamarey, Perù veloce contrazione in corso
Cordillera do Merida, Venezuela limite delle nevi perenni elevatosi da 4100 m a 4900 m ultimi 100 anni
Ghiacciai della Patagonia riduzione di 500 Km2 su un totale di 13.500 Km2 ultimi 40 anni
Nuova Zelanda ghiacciai ritirati di oltre 3 Km in questo secolo
Isola di Heard (a largo dell’Antartide) riduzione generale della calotta dei ghiacci fino al 65 % per i piccoli ghiacciai ultimi 50 anni
Groenlandia occidentale notevole contrazione in questo secolo
Svezia del nord e Spitsbergen ghiacciai in contrazione ultimi 50 anni

L’impatto dell’innalzamento del livello dei mari si ripercuoterebbe su tutto il sistema costiero con varie modificazioni di tipo geografico, alterando movimenti della crosta terrestre, delle dimensioni e della forma del moto ondoso marino e delle correnti marine, con conseguente variazione anche dei fenomeni di erosione (Gornitz 1991). I delta dei maggiori fiumi potrebbero risultare vulnerabili ad inondazioni sistematiche e piene associate a piogge eccezionali ed eventi ciclonici. Le zone più sensibili potrebbero essere spiagge, ma anche lagune e zone umide costiere. In Italia la zona principale a rischio risulta essere il delta del Po fino alla costa ravennate ( Sestini, 1992).

Venezia resta nel mondo la città simbolo della subsidenza, accelerata da un incremento del livello dei mari causato da un riscaldamento globale di origine antropica.

Storicamente Venezia ha conosciuto nel corso degli anni un incremento delle acque che da sempre la bagnano; a partire dal 1897 fino al 1980 vi è stato una variazione del livello delle acque di circa 2.7 mm all’anno. Una "spinta verso il fondo dell’Adriatico" a Venezia viene anche data da tutti i pozzi di captazione delle acque ad uso industriale per il polo petrolchimico di Marghera e per uso domestico. La modificazione della struttura morfologica della laguna a cura dell’uomo altera ulteriormente la circolazione delle acque e rende ancora più vulnerabile la situazione. Ad aggravare il quadro generale della città lagunare c’è il rischio di estrazioni petrolifere a cura dell’Agip, concordemente a quanto sostenuto anche dall’Ordine degli Ingegneri del Veneto, aumenterebbe la subsidenza. A causa del prelievo dell’acqua va ricordato che Venezia nel ventennio 1950 - 1970 ha visto una crescita del livello del mare di circa 4 mm all’anno (Sestini 1992).

Altre zone italiane che vedono un aumento del livello delle acque marine sono: Genova 1.3 mm/anno, Imperia 1.2 mm/anno, Trieste 1.3 mm/anno, Catania 0.6 mm/anno, Palermo 0.7 mm/anno, Cagliari 1.8 mm/anno, Golfo di Napoli 2.6 mm/anno, che rappresenta il maggior grado di subsidenza collegata con la neo attività tettonica.

Il rischio di un incremento del livello dei mari non è solo una preoccupazione degli ambientalisti, ma è suffragato da studi autorevoli, IPCC 1992, Hoozmans 1993, e altri ancora. Applicando i modelli globali all’Italia si può avere una idea delle aree vulnerabili all’innalzamento del livello dei mari con gli scenari descritti dai vari modelli, come si vede in tabella.

Aree vulnerabili alla crescita dei mari

 

Nord

Centro

Sud + Sicilia

Sardegna

Area inondata Km2

1152

248

2851

301

Area costiera totale Km2

11299

5106

25926

5368

Area inondata %

10.2

4.9

11.0

5.6

Fonte: Colombia University

L’area potenzialmente soggetta ad inondazione è di circa 4500 Km2, di cui il 25.4 % nel nord Italia, il 5,4 % al centro Italia, il 62.6 % al sud Italia compresa la Sicilia e il 6,6 % in Sardegna.

Ecosistemi vegetali a rischio in Italia
Sul territorio italiano, sono presenti numerose biocenosi particolarmente vulnerabili al cambiamento del clima nel senso di un progressivo riscaldamento e di una maggiore aridità (Petriccione B., et altri 1998).

Da un punto di vista generale, il clima mediterraneo e mediterraneo-montano che caratterizza l'intera penisola è già di per sé caratterizzato da periodi di pronunciato stress (idrico, termico, ecc.), che pongono le biocenosi in una situazione di particolare fragilità ecologica. In particolare, sono numerose le biocenosi a carattere centro-europeo ed alpino che trovano in Italia, per motivi climatici, il loro limite meridionale di distribuzione geografica: ciò conferisce alla loro presenza, oltre che un grande valore ai fini conservazionistici, un particolare carattere di relitti climatici, costantemente minacciati da un mutamento climatico verso fasi meno favorevoli.

Si prevede quindi che il cambiamento del clima risulti più accentuato nell'Italia Centro-Meridionale e nelle Isole, dove viene ipotizzata una notevole diminuzione della piovosità (già riscontrabile oggi dai dati dell'ultimo cinquantennio: si veda, a titolo di esempio, Petriccione, 1993), associata ad un sensibile aumento delle temperature medie, determinando così processi di aridificazione più o meno accentuata a carico di tutti gli habitat. Sulla base di questa ipotesi si può prevedere che gli ecosistemi di tale area siano maggiormente colpiti rispetto a quelli presenti nell'Italia Settentrionale, ove non si ipotizzano sostanziali cambiamenti quantitativi del regime pluviomentrico.

Tra le otto biocenosi giudicate particolarmente vulnerabili, (Petriccione B., et altri 1998) tutte della zona mediterranea, le prime quattro si collocano al di fuori delle fasce altitudinali (vegetazione azonale): si tratta infatti di situazioni di equilibrio locali (climax edafico) indipendenti dal clima generale, in stretta relazione con particolari condizioni del substrato che gli conferiscono un'elevata ritenzione idrica. Le altre quattro sono legate a condizioni macro- o mesoclimatiche di alta montagna: gli arbusteti a Pinus mugo e a Vaccinium myrtillus sono presenti in biotopi con elevata durata del manto nevoso, del tutto inconsueta per gli Appennini Centrali (ove si trovano, quindi, in posizione extrazonale), mentre le ultime due biocenosi sono strettamente dipendenti dalla presenza di forti stress termici sia stagionali che giornalieri, connessi ad una pronunciata scarsità di innevamento.

In dettaglio, le biocenosi oggetto del presente lavoro sono le seguenti:

  1. Foreste planiziali a Quercus robur e Carpinus betulus (Querco-Carpinetum boreoitalicum Pignatti 1953): azonali, strettamente dipendenti dalla superficialità della falda freatica;
  2. Foreste ripariali e golenali a Alnus glutinosa e Fraxinus oxycarpa (Populetalia albae Br.-Bl. 1931): azonali, strettamente dipendenti dal temporaneo ristagno di acqua in superficie;
  3. Vegetazione palustre (Phragmitetea Tx. et Prsg. 1942): azonale, strettamente dipendente dal prolungato ristagno di acqua in superficie;
  4. Vegetazione di torbiera (Scheuchzerio-Caricetea fuscae Tx. 1937, Oxycocco- Sphagnetea Br.-Bl. et Tx. 1942): azonale, relitto glaciale, strettamente dipendente dal prolungato ristagno di acqua in superficie e da basse temperature;
  5. Arbusteti a Pinus mugo degli Appennini (Vaccinio-Piceetalia Br.-Bl. 1939): da 1500 a 2300 m s.l.m., relitti glaciali, strettamente dipendenti da mesoclimi continentali-freddi con prolungata permanenza del manto nevoso;
  6. Arbusteti a Vaccinium myrtillus degli Appennini Centrali (Pino-Juniperetea Rivas Martinez 1964): da 1500 a 2300 m s.l.m., relitti glaciali, strettamente dipendenti dalla prolungata permanenza del manto nevoso;
  7. Praterie di altitudine mediterraneo-montane a Sesleria tenuifolia (Pediculari elegantis-Seslerietum tenuifoliae Petriccione et Persia 1995): da 2000 a 2300 m s.l.m., relitti pre-glaciali, dipendenti dal clima oro-mediterraneo;
  8. Tundra alpina a Kobresia myosuroides e Silene acaulis degli Appennini Centrali (Leontopodio-Elynetum Feoli Chiapella et Feoli 1977, Saxifrago speciosae-Silenetum cenisiae Petriccione 1993): da 2300 a 2800 m s.l.m., relitto glaciale, strettamente dipendente dal clima continentale-freddo delle alte quote.

La prevedibile evoluzione delle caratteristiche biocenotiche, sulla spinta del cambiamento climatico, è stata ipotizzata esaminando la composizione floristica di ogni biocenosi (considerando anche i rapporti quantitativi tra le diverse specie) ed i suoi caratteri strutturali (forme biologiche, strategie adattative), prevedendo anche la possibilità della sostituzione di specie con altre provenienti da comunità vegetali ecologicamente contigue.

Tra le conseguenze previste a medio termine (20 anni circa), sono stati considerati i cambiamenti nella struttura della comunità, in relazione ad un aumento della competizione fra le specie vegetali per le risorse disponibili nel suolo (soprattutto per l'acqua). A lungo termine (50 anni circa) è stata anche considerata un'invasione di specie provenienti da aree ecologicamente contigue, a causa di un loro vantaggio competitivo rispetto alle specie già presenti, che può portare alla riduzione o alla scomparsa delle popolazioni originarie. Sia i meccanismi di variazione che le conseguenze finali sugli ecosistemi sono, comunque, di tipo complesso; ogni facile schematismo (come ad esempio l'ipotesi della sostituzione di una fascia altitudinale di vegetazione con l'altra, a partire dal basso verso l'alto) è molto distante dalla realtà, ben più articolata e complessa. Tali conseguenze sulle biocenosi possono essere dunque di due tipi, identificabili con due distinti processi dinamici (sensu Falinski, 1986, 1989):

  1. trasformazione della struttura della biocenosi, attraverso il successo competitivo di determinate popolazioni di specie su quelle di altre specie (processo di degenerazione, sia nel medio che nel lungo termine);
  2. declino e scomparsa delle popolazioni delle specie originarie dominanti, difficilmente rimpiazzabili da popolazioni stabili di altre specie, in quanto poco adatte alle peculiari condizioni ecologiche dei biotopi (processo di regressione, nel lungo termine).

Allo stato attuale, se si escludono pochi lavori di carattere generale e puramente esemplificativo, non risulta pubblicato alcuno studio che si prefigga di descrivere, analiticamente, le conseguenze dei cambiamenti climatici su alcune delle biocenosi più minacciate in Italia.

2. POSSIBILI STRUMENTI PER IL MERCATO ELETTRICO

Una delle strade che sicuramente è apprezzata anche dal "mercato" è quella del lavoro possibile sul settore delle utilities. In questo ambito si può subito constatare che esiste una contraddizione nel processo decisionale, che è centralizzato nelle utilities, tra gli investimenti sul fronte della domanda e dell’offerta. Con le tariffe, i consumatori pagano la costruzione e la manutenzione degli impianti, e tutto ciò che sta dentro ad una utilities.

Con programmi di risparmio energetico si può quindi ridurre il costo dei servizi energetici a diretto beneficio del consumatore.

Il lavoro sull’efficienza energetica e sugli strumenti che una utilities può mettere sul mercato trova il punto di forza nella constatazione che le compagnie elettriche sono I soggetti che meglio conoscono il modo in cui I consumatori di ogni singolo paese del Pianeta usano l’energia, compresi anche I "grandi consumatori", industrie e grosse utenze.

Le utilities sono dunque in una posizione di vantaggio nella lettura del mercato, che consentirebbe di agire direttamente sul mercato della domanda e dell’offerta di energia, portando alla maturazione il mercato dell’energia che deve tener conto degli accordi di Kyoto.

Inoltre considerata l’assoluta mancanza attuale di strumenti per governare le politiche energetiche internazionali nel senso di obiettivi di maggiore ricorso alle fonti rinnovabili di energia, sfruttamento del risparmio energetico e riduzione delle emissioni, e a fronte della ristrutturazione in corso dei settori elettrici di molti paesi del Pianeta, si ritiene opportuno individuare forme per stimolare quest’ultimo affinché incorpori obiettivi ambientali e di maggiore efficienza. I produttori e distributori di energia, non solo quelli del settore elettrico, si caratterizzano infatti per essere i migliori soggetti per condurre programmi di gestione della domanda grazie alle competenze che possiedono.

La fornitura da parte di questi di un servizio energetico, in luogo di un mero vettore energetico, che consideri anche l’intervento sul fronte della domanda, rappresenta un’importante opportunità di mercato e d’investimento a certe condizioni migliore di quello del semplice aumento dell’offerta.

Sarebbe opportuno creare degli strumento per cercare di soddisfare i seguenti criteri nella definizione del nuovo mercato elettrico:

  • la maggiorazione dei corrispettivi assegnati alle imprese elettriche, nel quadro delle nuove tariffe, in base al volume dei programmi di gestione della domanda realizzati;
  • l’adozione di forme di Pianificazione Integrata delle Risorse per la programmazione degli interventi di copertura del fabbisogno di energia elettrica.

Inoltre, al semplice scopo di aumentare la compatibilità ambientale del settore elettrico, inserire:

  • nuovi meccanismi per la distribuzione alle imprese elettriche del contributo a copertura dei costi variabili di produzione che tenga conto dei costi ambientali delle varie fonti utilizzate;
  • riconoscimento delle concessioni e dei corrispettivi agli operatori condizionato al raggiungimento di obiettivi di riduzione delle emissioni in sintonia con gli obiettivi fissati dai Governi.

Per non aumentare il carico fiscale sulle imprese che pagheranno la tassa di scopo ambientale (carbon-enrgy tax prematuramente scomparsa) con cui si può di detassare proporzionalmente il costo del lavoro e gli utili reinvestiti per la tutela ambientale.

La possibile efficacia degli strumenti
Nella tabella seguente si possono vedere gli effetti sulle riduzioni che possono avere certe misure politiche attuate facendo ricorso ad alcuni degli strumenti di cui parleremo. Il giudizio qualitativo espresso nella seconda colonna è di valenza generale e si riferisce a vari studi Universitari o a documenti elaborati dall’IPCC, mentre il potenziale di riduzione espresso nella terza colonna, espresso in MTCO2 si riferisce all’Unione Europea. Nella prima colonna, sempre il Mt CO2 è riportata una elaborazione di Forum Ambientalista.

 

Forum Ambientalista

(2005)

Proposta studi IPCC e altre Università

(2010)

Commissione Europea

(2010)

Energie rinnovabili

120

Oltre 200

200

Cogenerazione calore ed "energia"

50

110 – 220

100

Aumento efficienza centrali di produzione

20

-

50

Cambio di combustibili

25(n.1)

-

50

Aumento delle efficienza energetica degli electric appliances

100

55 – 90

100
Aumento della efficienza energetica nel settore degli edifici (riscaldamento)

130

   
Aumento dell’efficienza energetica del trasporto autoveicolare ( passeggeri per veicolo)

80

80 – 120

100

Altri interventi sul settero trasporti

100

Oltre 30

80(n2)

Aumento efficienza energetica nell’industria pesante

120

70 – 130

100 (n3)

Aumento dell’efficienza energetica nel settore dell’illuminazione industriale

65

 

20

Maggior efficienza nell’uso dei materiali e cambiamento dei modi di consumo di materie

70

-

-

Tassa sulle emissioni di carbonio e sull’uso dell’energia

-

40

50 (n.3)

Total

880

355-830

850

nota1 - Cambiamento di combustibile nel riscaldamento domestico (gas in sostituzione di gasolio e altri prodotti pesanti). Cambiamento dei combustibili nel settore elettrico non è incluso visto che Forum Ambientalista propone una sezione dedicata agli effetti della sostituzione del carbone con il gas. Nello scenario di riferimento è necessario considerare una riduzione degli imballaggi per lo più ad alto potere emissivo di CO2.

nota 2 - Di cui 50 Mtonn ottenibili con l’intermodalità.

nota 3 - Agendo principalmente sul settore di raffinazione del petrolio

LCA Least Cost Planning
E’ una vecchia idea sviluppata alla fine degli anni 70 negli USA, quando molti stati seguirono l’esempio della lungimirante ed innovativa California ( ma un ruolo determinante lo ebbe comunque la crisi petrolifera) che adotta questo tipo di pianificazione.

All’epoca, l’efficienza energetica cominciò ad essere vista come una "fonte" comparabile con altre fonti, come dimostra la "supply curve of conserved energy" messa apunto dal Lawrence Barkley Laboratory creata negli anni settanta.

Le utilities californiane riconobbero che il modello di profitto stabilito fino a quel momento per le compagnie elettriche, basato sulla vendita di sempre maggior elettricità, era in conflitto con l’esigenza di un sistema energetico a costi minori.

Il risultato dell’LCA è stato la messa a punto di un diverso sistema di tariffazione che consente di investire in efficienza in modo migliore a quanto facessero sul fronte dell’offerta in passato.

In una prospettiva di equità sociale, il valore dell’efficienza energetica come risorsa è misurato in base alla riduzione dei consumi di energia che è possibile ottenere. La misura del successo di questi programmi è la differenza tra il costo evitato e quello delle attività per l’efficienza energetica.

La "shared savings" è una formula che permette di definire le tariffe in modo che le utilities traggono profitto direttamente dalla percentuale di energia risparmiata.

Con lo shared savings le compagnie elettriche partecipano e traggono profitto dai programmi di gestione della domanda o di vendita dell’efficienza.

In tal modo coincidono le necessità di profitto delle aziende e un sistema energetico a minimo costo (incluso quello sociale ed ambientale).

DSM Demand Side Management

La fornitura di energia elettrica da parte delle aziende distributrici che comprende le attività di a) trasporto e consegna e b) vendita dell'energia elettrica. Le aziende elettriche oltre alla fornitura di una "commodity" quale appunto l'energia elettrica, potrebbero offrire ai clienti servizi aggiuntivi come incentivi e consulenze per sensibilizzarli ad acquistare tecnologie di uso finale efficienti.

Questi sono i cosiddetti programmi di Demand Side Management, che hanno costituito per alcuni paesi una delle politiche più efficaci per superare le "market failures".

Il coinvolgimento delle utilities in tali programmi deriva da un lato dalla loro possibilità di investire direttamente o offrire ai propri utenti possibilità di investimento agli stessi criteri economici-finanziari delle risorse lato produzione e dall'altro dalla conoscenza dettagliata delle proprie tipologie di utenza, degli andamenti dei carichi e dalla loro organizzazione capillare a livello territoriale.

L'interesse delle aziende nell'allargare i loro servizi agli utenti risiede ovviamente nel riconoscimento di tali servizi.

Si pone allora il problema del come detti servizi debbano essere riconosciuti dato che essi avvengano in aggiunta e sono diversi dalla fornitura di energia.

Per far decollare il DSM, è opportuno sganciare i prezzi di quest'ultimo servizio dal principio dell'uniformità tariffaria sul territorio, che è invece legata alla fornitura di energia. I prezzi avrebbero così una maggiore flessibilità data la rilevanza che dovrebbe assumere il controllo e gestione della domanda, prevedendo quindi la possibilità di un servizio per area territoriale e per impresa oltre che a livello nazionale.

I programmi di DSM possono essere classificati facendo grosso modo riferimento ai due principali obiettivi che sono appunto il load management e l'efficienza dell'energia.

I programmi di "load management" sono principalmente focalizzati alla riduzione del picco di potenza e sono specificatamente attivati durante i periodi del picco della potenza erogata dalle utilities, con influenza poco significativa sui consumi di energia.

Tali programmi normalmente sono riferiti alla pratica di particolari tariffe che ricadono in due categorie la prima collegata al diretto intervento sulla domanda di potenza o comunque al controllo della stessa da parte delle aziende elettriche, mentre la seconda alla incentivazione dell'utente ad intervenire per ripartire meglio la propria richiesta di potenza nell'arco della giornata o della stagione.

I programmi per l'efficienza di energia invece sono focalizzati alla riduzione del consumo totale di energia (energy savings) in molte ore dell'anno utilizzando sistemi e dispositivi di uso finale altamente efficienti.

Tuttavia questi programmi possono avere una notevole influenza anche sulla riduzione di potenza elettrica, anzi l'impatto più grande della loro convenienza si ha proprio durante i periodi del picco di potenza.

Questa seconda tipologia di programmi può essere condotta anche da società di servizio, "Energy Service Company", create dalle stesse aziende elettriche o anche del tutto indipendenti ma che agiscono sul territorio e che possono partecipare a gare per la realizzazione di programmi ben definiti con precisi obiettivi di risparmio finanziati ad es. con un fondo realizzato con quote prelevate dalle tariffe o da tassazione di scopo ( come la Carbon/Energy tax).

Tutte le indicazioni qui contenute si riferiscono ai programmi di energy savings.

In tabella sono riportati i consuntivi dei programmi di DSM in USA degli anni 94, 95 e 96 data la rilevanza dei risultati ottenuti, degli impegni finanziari e del numero di utilities coinvolte.

  1994 1995 1996 a
Risparmio energetico 52483 57421 61482 (million Kwh)
Attuale Picco Riduzione di Carico 25001 29561 29893 (megawatts)
Costi millioni EURO 2525,5 2251,7 1768,9  

Fonte DOE/EIA - 0589(96) "U.S. Electric Utility, Demand Side Management" dell'EIA (Energy Information Administration) del DOE

Nel 1996 sono state coinvolte 1003 delle 3199 utilities elettriche USA di cui 573 grandi utilities e 430 piccole. Esse tengono conto del 71% delle vendite complessive dell'elettricità in USA. Il risparmio conseguito di 61842 milioni di Kwh con programmi di DSM rappresentano il 2% delle vendite annuali, che nel 1996 sono state di 3.097.810 milioni di Kwh.

Il Professor Joseph Eto del Lawrence Berkley Laboratory della California University, raccontò, in un seminario in Italia, l’esperienza da lui condotta e conclusa nel 1994 di analisi di 20 grossi programmi di Demand Side Management delle aziende elettriche sull’illuminazione nel settore commerciale per valutarne il rendimento economico.

Il costo dell’efficienza energetica prodotta con questi programmi è di circa 50 lire per kilowattora
L’efficienza energetica dunque non si ha gratuitamente ma paragonata ai costi evitati per le utilities è un buon affare su cui esse potrebbero investire.

Ai risparmi ottenuti corrisponde una diminuzione di emissioni di anidride carbonica e di emissioni inquinanti nell'atmosfera, ad un costo per gli utenti inferiore a quello della internalizzazione dei costi ambientali e sociali nelle tariffe, come risulta da esperienze internazionali.

In effetti i programmi di DSM producono un aumento delle tariffe che tuttavia non penalizza gli utenti che partecipano ai programmi poiché l'importo complessivo delle bollette diminuisce al diminuire dei consumi ed apporta un beneficio ambientale a tutti gli utenti e cittadini dell'area coinvolta ed oltre la stessa area.

Carbon Energy Tax
Nel 1999 il Governo Italiano ha iniziato ad interessarsi alla questione delle tasse ambientali, cercando di non poter appesantire il carico fiscale delle imprese, ma attuando uno spostamento delle imposte in senso generalizzato per i cittadini con la "carbon tax" proclamando intenti ambientali. Tentando di seguire l’esempio di Governi che già avevano introdotto questa tassa (Svezia, Danimarca, Finlandia, Olanda e Germania) anche l’Italia ha introdotto nella Finanziaria 1999 la cosiddetta "carbon tax".

Lo stimola appariva condiviso anche nella "Relazione delle Commissioni Permanenti 5a e 6a Riunite" N° 2793-A del Senato, comunicata alla Presidenza il 1 novembre 1997 in merito al Disegno di Legge "Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica" si legge nel "Parere della 13a Commissione Permanente" (Territorio, Ambiente, Beni Ambientali) del 22 ottobre 1997  si legge:

" .... infatti nell’ambito di una futura e più sistematica adozione delle tasse di scopo in materia ambientale, non può peraltro escludersi una finalizzazione impositiva non soltanto alla tutela del patrimonio naturalistico, ma anche alla maggiore e più generale vivibilità dell’ambiente : in tale quadro, una estensione alle emissioni di CO2 delle misure di tassazione contemplate potrebbe rientrare tra le priorità che consentirebbero al nostro paese di porsi all’avanguardia nel settore della tutela ecologica " ;......

Purtroppo oltre l’introduzione del principio di una tassa ambientale, unico lato positivo della "carbon tax 1999", nella fiscalità del paese non si è andati.

Un intervento sulla CO2, non limitato alla sola industria, ha certamente il pregio di intervenire su tutti i settori in base ai consumi, di garantire un gettito diffuso e facilmente misurabile e riscuotibile. Ci può essere inoltre il vantaggio di conseguire un aumento di efficienza nel consumo energetico e l’utilizzo di un migliore mix di combustibili con benefici anche sulle altre emissioni inquinanti, ma ciò non può rimanere un proponimento demagogico, deve tradursi in atto vero a favore dell’ambiente.

I proventi di tale tassa possono, visto che nessuno vuole operare un vessatorio aumento del carico fiscale delle imprese, ridistribuiti tramite incentivi e sostegno finanziario per la diffusione delle fonti a minore emissione di CO2 e per un uso ed una trasformazione più efficiente dell’energia, potrebbero far decollare il mercato delle fonti rinnovabili e dei componenti per il risparmio energetico creando anche nuova occupazione.

Il principio che il Forum Ambientalista suggerisce è quello di sposatre la tassazione dal costo del lavoro al costo delle risorse privilegiando le aziende virtuose che investono in efficienza ed occupazione e non quelle che licenziano ed aumentano gli sprechi.

Il Governo Italiano su questo fronte ha perduto una occasione, cancellando prematuramente la carbon tax introdotta nel 1998, che richiedeva del coraggio e lungimiranza politica ed ha colpito con un aumento indiscriminato i cittadini tramite l’ormai inefficace aumento della benzina andando poi a ridistribuire il grosso del gettito della "carbon tax" 1999 tra le industrie sotto forma di sgravi al costo del lavoro ed incentivi agli autotrasportatori per bilanciare completamente l’aumento del gasolio da autotrazione.

Nessuna misura è stata applicata a carico delle grandi industrie energivore e responsabili della grande parte delle emissioni di CO2. Nel futuro nell’auspicio di una nuova "carbon energy tax" è necessario trasformarla in una vera tassa ambientale.

Per questo motivo appare prioritaria anche una tassazione legata alle emissioni di anidride carbonica combinata con il consumo energetico (35 lire al Kg CO2 + 10 lire al KWh per tutte le fonti energetiche non rinnovabili) (Proposta analoga a quella formulata in sede UE che prevedeva un aumento progressivo fino a 90 lire al Kg). che, tra l’altro, è perfettamente paragonabile ai costi di smaltimento di rifiuti, considerate le analogie con l’emissione di sostanze in atmosfera (sono rifiuti liberati nella "discarica incontrollata" atmosfera.

Il gettito derivante dovrebbe essere ridistribuito tramite incentivi per programmi sulle fonti rinnovabili che hanno oggettive difficoltà a penetrare sul mercato globale.

Nuovi scenari
Il primo punto resta quello della necessità impellente di fermare la crescita materiale (fisica, dei materiali e dei consumi). E’ necessario un diverso approccio ad una economia dei servizi e della qualità che sostituisca il PIL ed il valore aggiunto come indicatori ed introduca dei sistemi di misura del benessere basati su salute, cultura prestazioni sociali equità e diritti per tutti.

Parallellamente si può nella transizione economica verso un sistema che superi l’attuale capitalismo, approcciare i vari problemi anche dal lato del miglioramento tecnico e dell’efficienza.

Le esistenti tecnologie possono portare ad un maggior risparmio energetico, consentendo una minore emissione di CO2 nel prossimo secolo. Numerosi studi hanno provato che ci sono sufficienti conoscenze per permettere una riduzione delle emissioni di un quarto nelle industrie e di un terzo nei trasporti, senza nessun calo nei servizi e nella produzione.

Molti industriali hanno già valutato la convenienza di investire sull’efficienza ed il risparmio energetico. La IBM, per esempio, ha risparmiato 525 milioni di dollari e ha consistentemente ridotto l'emissione di CO2 nell'ultimo decennio, solo migliorando l'efficienza dei propri sistemi energetici. Nel mondo economico, ci sono centinaia di esempi che si potrebbero utilizzare. Più intensamente si osserva, più soluzioni si potranno trovare.

Rimpiazzare motori inefficienti, comprare nuovi sistemi di trasformazione, riciclare, isolare, disegnare uffici energeticamente più efficienti e prevedere perdite di calore: queste sono solo alcune delle infinite possibilità, che offrono inoltre un grande ritorno di investimenti e una forte riduzione nelle emissioni.

Il gigante dell'illuminazione olandese, la Philips, ha commissionato il raggiungimento della riduzione dell'energia impiegata nei suoi processi di produzione, di almeno un quarto prima del 2000. Collaborando con Forum Ambientalista, la compagnia tedesca AEG (una subsidiaria della Electrolux) ha accettato di aumentare l'efficienza della sua produzione Linea Verde del 25% prima del 1999. La compagnia ferroviaria giapponese Railways East introdurrà nuovi vagoni ferroviari con una efficienza energetica maggiore del 10%.

In tutto il mondo, le compagnie stanno guardando e cercando nuove opportunità per risparmiare soldi e ridurre le emissioni , fornendo allo stesso tempo prodotti di qualità più alta. Il produttore che si imporrà nel risparmio energetico e nello sviluppo di nuove tecnologie diverrà anche leader nel mercato.

Anche nel settore delle energie rinnovabili si stanno creando investimenti importanti: la ENRON, per esempio, ha le maggiori iniziative nella produzione di energia eolica e solare negli Stati Uniti, India e Cina.

La compagnia giapponese Kyocera è pioniera nell'uso di celle solari per costruire muri e tetti nei nuovi edifici commerciali.

I produttori di automobili sono in competizione per produrre per primi nuove macchine iper-efficienti, con alte prestazioni e con risparmi del carburante fino al 90% dei consumi attuali. Daimler-Benz, Ford e Toyota stanno già pianificando di offrire questo tipo di macchine in un prossimo futuro. E i consumatori sono pronti. Da una indagine fatta dalForum Ambientalista nell'Agosto 1997, l'86% degli americani ha detto che vorrebbe vedere immesse nel mercato macchine più pulite ed efficienti nei consumi. Alcune di queste macchine potrebbero essere alimentate da celle che convertono l'idrogeno direttamente in elettricità. La stessa tecnologia avrebbe grandi sbocchi per la produzione autonoma di energia da parte di edifici commerciali e per la produzione in larga scala.

Inizialmente, il gas naturale sarà utilizzato per fornire l'idrogeno necessario a questi sistemi nuovi e puliti. Turbine a gas di concezione avanzata offrono anche esse soluzioni altamente tecnologiche, che aiuterebbero le nazioni a liberarsi dalla loro economia basata sui carboni e sugli oli.

Mentre le industrie si innovano, i governi devono agire per rendere i mercati e le condizioni finanziarie più ricettive ai cambiamenti. Esistono ancora molte barriere per l'introduzione di tecnologie meno dipendenti dal carbone. I consumatori molto spesso non hanno idea di quali alternative meno inquinanti e più efficienti ci sono a disposizione, i manager non vedono le opportunità offerte da sistemi energeticamente più efficienti e di conseguenza non c’è largo sviluppo e produzione di queste tecnologie. Industrie e Governi devono lavorare insieme per rimediare alla situazione.

Un incremento nella ricerca e nello sviluppo sono richiesti ad entrambi, mentre sgravi fiscali potrebbero velocizzare questo processo di innovazione. Sono inoltre necessarie più iniziative per educare il consumatore e per creare un mercato consapevole, in modo da avere nuove tecnologie energeticamente più efficienti nei negozi e nelle case. Sempre più consumatori richiedono questi prodotti ad alta efficienza e basso impatto energetico.

Da oggi al 2100 il sistema energetico commerciale mondiale, secondo l’IPCC, sarà sostituito almeno due volte, con il vantaggio per uno stato lungimirante di cambiare il sistema di produzione, trasporto ed utilizzo di energia senza una prematura sostituzione dei capitali investiti.

Questo permetterebbe di agire alla fine della vita economica di impianti ed apparecchiature per limitare notevolmente, se non del tutto, i costi economici per la collettività circa la auspicata e necessaria riduzione delle emissioni di gas climalteranti.

In particolare il potenziale tecnico per migliorare l’efficienza energetica è notevole; un guadagno del 10-30 % nei due tre decenni prossimi potrebbe essere ottenuto a costo negativo, cioè con beneficio economico dell’investitore in molte parti del mondo (anche dove operano società italiane), con semplici interventi di conservazione dell’energia e gestione della domanda.

A questo andrebbe affiancata anche una nuova politica sui mix dei combustibili ipotizzando un funzionamento delle centrali elettriche a metano per il 2010. Il metano infatti costituisce un valido combustibile di transizione verso l’affermazione della produzione di energia mediante fonti strettamente rinnovabili.

Queste ultime devono decollare, con l’aiuto dei Governi, e coprire la restante quota di riduzione necessaria per centrare l’obiettivo di riduzione siglato a Kyoto. Anche la riforestazione deve assumere una misura importante nelle misure per contenere gli effetti dei mutamenti climatici.

Questi interventi, che hanno dei costi non indifferenti, debbono essere realizzati mettendo mano al comparto industriale ed agendo sull’aumento dell’efficienza dei processi e degli impianti, sul riciclo dei materiali ad alto contenuto di energia, mettendo a punto processi produttivi che usino meno energia e meno materiali.

Anche il settore dei trasporti, il quale ha una dinamica di crescita delle emissioni di gas serra assai rapida, può contribuire alla riduzione dell’effetto serra.

Veicoli riprogettati, motori più piccoli ed efficienti, combustibili alternativi, ma soprattutto modificazioni al sistema di trasporto con l’incremento dei mezzi pubblici di massa, favorendo le modalità di trasporto, anche delle merci, alla più bassa intensità energetica possibile sono solo alcuni esempi di intervento.

Stato Rid. Al 2005 Rid. Al 2010 Vantaggi
UE 15% 20% Maggiori risparmi economici
USA 10% 22% Risparmio di 46 mldUS$ per il 2005 e 136 mldUS$ al 2010
Giappone 8.8% 14.8% Lancio di nuove tecnologie
Francia 10% - Con sole politiche dei trasporti e della gestione dell’energia

Schema di alcune misure politiche applicabili all’Italia

Settore riduzione delle emissioni di CO2 in milioni di tonnellate/anno
Efficienza energetica nell’industria pesante 130
Efficienza energetica nell’industria leggera 65
Efficienza energetica nel settore dei servizi 100
Efficienza energetica nel settore residenziale (riscaldamento) 130
Efficienza energetica nel settore residenziale (elettricità) 75
Trasporti 120
Cogenerazione 50
Energie rinnovabili 120
Efficienza nell’uso e nel riciclo dei materiali 70
Cambiamenti nei modelli di consumo 45
Effetto totale delle misure prese  

Energie rinnovabili

Fonti rinnovabili Attuale applicazione Applicazione stimata al 2010 Contributo in sostituzione delle fonti primarie2010
Eolico 2.5 GW 50 GW 740
Idroelettrico 92 GW 120 GW 3850
Fotovoltaico 0.03 GWp 5 GWp 50
Biomasse per produrre elettricità 22.5 TWh

(circa 4 GW)

250 TWh

(circa 40 GW)

~ 2500
Biomasse per produrre calore/combustibile 1590 PJ 3250 PJ ~ 3500
Geotermico per produrre elttricità 0.5 GW 2 GW 120
Geotermico per produrre calore 1.3 GWth 10 GWth 80
Solare termico 6.5 millioni di m2 150 millioni di m2 750

Scenario possibile per i paesi dell’Euro

3.PERCHÉ E’ NECESSARIO DIRE NO AL CARBONE E AI RIFIUTI

In Italia le emissioni di gas serra dal 1990 al 1998 sono aumentate complessivamente del 4,5 %. Le emissioni della sola anidride carbonica dal 1990 al 1998 sono cresciute del 6.3% nonostante le Linee Guida e le prime misure adottate dall’Italia all’indomani della firma del Protocollo di Kyoto nel 1997.

In particolare in un documento redatto dal "gruppo di lavoro interministeriale per l’attuazione del Protocollo di Kyoto, DPCM 20 marzo 1998" e pubblicato dal Ministero dell’Ambiente viene lanciato un allarme preciso e serio: non bastano le attività sperimentali e pilota avviate dal Ministero dell’Ambiente a far rispettare all’Italia le riduzioni di emissioni di gas serra sottoscritte in Giappone, serve il rispetto l’applicazione delle Linee Guida.

Nel rapporto si richiama al rispetto delle "Linee guida" elaborate dal governo italiano e approvate dal CIPE il 19 novembre 1998. Tali linee guida prevedono la realizzazione di sei azioni nazionali, per ora tutte o quasi disattese, per l’aumento dell’efficienza del sistema elettrico, la riduzione dei consumi energetici nel settore dei trasporti, la produzione di energia da fonti rinnovabili, la riduzione dei consumi energetici nei settori abitativo/terziario e industriale, la riduzione delle emissioni nei settori non energetici, l’assorbimento delle emissioni di carbonio dalle foreste.

Tra il 1990 ed il 1998 le emissioni di anidride carbonica dalle centrali termoelettriche e delle raffinerie sono aumentate del 10%, si legge testualmente nella relazione del "Gruppo interministeriale DPCM 20 marzo 1998", andando oltre ogni pessimistica previsione.

Questo incremento – prosegue la relazione – è determinato dagli scarsi rendimenti di almeno il 25 % del parco termoelettrico (che ha rendimenti tra il 30 % - 35%) contro uno standard delle migliori tecnologie compreso tra il 45% ed il 55% e dalla persistente utilizzazione di carbone ed olio combustibile con tecnologie di combustione a bassa efficienza.

I combustibili sono la più importante fonte di energia, quella che viene utilizzata sotto forma di calore. Infatti con la combustione si va ad utilizzare l’energia chimica racchiusa nei legami delle molecole liberata nella reazione tra combustibile e comburente portati ad una certa temperatura, temperatura di innesco delle reazioni.

Per chiarire con un esempio, il fiammifero per accendersi e far bruciare il legnetto ha bisogno che si "scaldi sino alla temperatura di innesco" (mediante lo strofinamento) la "testa" del fiammifero dotata di un combustibile infiammabile. Prodottasi la fiamma, sostenuta dall’ossigeno contenuto nell’aria, il legnetto inizia a bruciare e produce energia sotto forma di calore.

La legna, si forma negli alberi per effetto dell’energia solare, la forza motrice per la fotosintesi clorofilliana, il meccanismo di costruzione delle piante che trasforma l’acqua e l’anidride carbonica in zuccheri, amidi e cellulosa.

Il rendimento energetico della fotosintesi clorofilliana va dall’1°/°° al 10 °/°°, cioè da un millesimo ad un massimo di un centesimo dell’energia solare che colpisce le foglie viene utilizzata per la crescita della pianta.

Bruciando la legna si liberano in atmosfera di nuovo vapore acqueo, anidride carbonica ossidi di azoto ed altri microinquinanti più o meno dannosi alla salute e all’ambiente.

La legna non è però dal punto di vista industriale un buon combustibile, avendo un potere calorifico di circa 3000 Kcal/Kg.

Nel XVIII secolo i primi "ambientalisti" si posero il problema che un inteso uso di legna a fini energetici stava distruggendo le foreste in modo irreparabile. Dunque si cominciarono ad interessare ad un altro combustibile, il "carbone di terra".

Il carbone è infatti un prodotto della lentissima combustione di vegetali durata milioni di anni in condizioni di quasi assenza di aria, che trasforma la legna in un combustibile ad altissimo contenuto di carbonio dotato di un più alto potere calorifico di circa 7.000 7.800 Kcal/Kg.

Il carbone si è prodotto prevalentemente durante periodi preistorici in cui si sono verificate le condizioni ottimali di formazione: grandi quantità di piante morte formarono uno strato spesso, isolato praticamente dall’ossigeno contenuto nell’aria da uno strato di sostanze alluvionali che impediva la rapida ossidazione del materiale ligneo e favoriva invece la lentissima trasformazione.

Questo periodo detto "carbonifero" risale a circa 300 milioni di anni fa, anche se le epoche in cui si ebbe formazione di carbone sono state almeno cinque tra cui molto importante il periodo "permiano" risalente a 260 – 230 milioni di anni fa.

Gli antichi si pensa non conoscessero il carbone, le prime note scritte si hanno nel Milione di Marco Polo il primo forse a portare il combustibile in Europa dai suoi viaggi.

Il primo sfruttamento delle miniere risale al secolo scorso, quando con l’avvento della rivoluzione industriale servivano massicce quantità di questo combustibile soprattutto nell’industria metallurgica.

Inizialmente si consumavano circa 15 milioni di tonnellate all’anno nel mondo (cioè in Europa) che divennero oltre 100 nella metà dell’800, agli oltre 3 miliardi di tonnellate dei nostri tempi.

Carbone e petrolio rappresentano circa il 75% delle fonti attualmente usate per produrre energia, in qualsiasi forma, nel mondo.

A parità di calore prodotto il carbone costa circa tre volte meno del petrolio, anche se quest’ultimo, essendo liquido è di più facile maneggiamento e trasporto (oleodotto o nave cisterna), mentre il carbone un solido polverizzato è più problematico da trasportare.

Il Carbone e l’effetto serra
La Cina popolata da oltre 1 miliardo e 200 milioni di donne e uomini fonda il suo futuro sviluppo sull'estrazione e l'uso a fini energetici del carbone con dei ritmi di quasi 900 milioni di tonnellate annue. Le riserve di tale combustibile sfiorano i 300 anni di autonomia, ben oltre i margini di progettazione e lungimiranza dei sistemi energetici ed industriali dell’uomo che spesso non arrivano alle decine di anni.

Il petrolio ha una durata delle riserve stimate convenzionalmente di circa 45 – 50 anni, mentre il gas naturale tra i 55 – 60 anni.

E’ logico presupporre che se non si investirà sulle rinnovabili in senso stretto si rischia di finire come abbiamo iniziato con la rivoluzione industriale nel 1800 cioè con il carbone.

Emissioni di anidride carbonica in migliaia di tonnellate emesse per la produzione di un GWh di energia elettrica. (Carbone: 870.000 tonnellate di anidride carbonica per la produzione di 1 GWh elettrico).

Emissioni di anidride carbonica in migliaia di tonnellate emesse per la produzione di un GWh di energia elettrica. (Carbone: 870.000 tonnellate di anidride carbonica per la produzione di 1 GWh elettrico).

Vediamo anche in dettaglio nella tabella i livelli di pericolosità, da un punto di vista esclusivamente sanitario delle fonti energetiche.

Fonte Professionale Professionale Pubblico Pubblico
  Immediato Ritardato Immediato Ritardato
Carbone 0.4 – 3.2 0.13 –1.1 0.1 – 1.0 2.6 – 6.0
Petrolio 0.2 – 1.35 - 0.001 – 0.1 2.6 – 6.0
Gas naturale 0.1 – 1.0 - 0.2 0.004 – 0.2
Nucleare 0.1 – 0.5 0.15 – 0.4 0.001 – 0.01 0.005 – 0.2

Tabella - Tasso di mortalità espresso in decessi per GW elettrici prodotti all’anno. I dati sono riferiti al ciclo intero del combustibile compreso l’esercizio di produzione energia; sono invece esclusi gli incidenti rilevanti e la contaminazione dovuta alla sepoltura delle scorie

Le centrali a carbone
Essendo la fonte più duratura, e oggi a buonissimo mercato rispetto ad un petrolio a 30 dollari al barile, si investe molto nel suo impiego e nella ricerca di ritrovati tecnologici che consentano l’impiego di questo combustibile "sporco" ma di basso costo. Poco si investe sulle tecnologie rispettose dell’ambiente e comunque sempre e solo con un approccio "end of pipe", cioè mettendo un sistema di trattamento fumi come se bastasse a correggere i guasti all’ambiente di un sistema che non funziona nei principi e alla base del processo.

Per ovviare alle difficoltà di usare un combustibile solido movimentato in grandissime quantità vi sono due strade tecnologiche: le centrali a letto fluido o la gassificazione del carbone.

Letto fluido
Nelle centrali termoelettriche a letto fluido il polverino di carbone viene alimentato in miscela con fini particelle di calcare tenute in sospensione da un getto di aria ascendente.

La massa costituita dal combustibile e dal comburente, oltre al materiale di supporto, è soggetta ad una combustione caratterizzata da una elevata turbolenza in grado di rendere la combustione più efficiente e di conseguenza si registra una produzione minore di polveri e si hanno dei più alti rendimenti.

Il calcare oltre a fungere da supporto per il polverino di carbone serve ad abbattere circa il 90% dell’anidride solforosa che si forma che viene trattenuta da questo materiale.

In queste centrali a letto fluido vengono impiegati anche dei carboni scadenti (ad alto contenuto di zolfo ed altre impurezze) e con alimentazioni variabili nel tempo. Inoltre in molti casi si fanno funzionare a parità di rendimento richiesto a temperature "basse" cioè poco sopra gli 800 °C al fine di contenere la produzione di NOx parametro monitorato dagli enti deputati ai controlli ambientali. Con queste tipologie di caldaie si possono creare le famose centrali "policombustibili" cioè impianti dove si può bruciare ogni tipo di combustibile fossile alternando prodotti liquidi a solidi e semisolidi.

Gassificazione del carbone
Si produce a partire da una miscela di acqua e carbone scaldata ad elevata temperatura un gas combustibile composto quasi esclusivamente da CO (monossido di carbonio).

Questo gas e trasportato da gasdotti ed è possibile impiegarlo nelle centrali in vari modi:

in caldaie direttamente di centrali a vapore, in centrali turbogas trattandolo come si fa con il gas naturale o con altri combustibili fossili gassosi. In queste centrali è il gas stesso ad azionare il moto della turbina che produce nell’alternatore l’energia elettrica; il gas di carbone viene anche impiegato nelle celle a combustibile per produrre energia elettrica.

Centrale Costo impianto (?/KW) Abbattimento SO2 NOx emessi (mg/KWh) CO2 emessa (g/KW) Efficienza (% di energia convertita in elettricità
Turbina a Vapore          
Gas 750 Tracce 648 140 36
Carbone 1550 90 1080 250 34
Ciclo combinato          
Gas 510 Tracce 54 100 47
Carbone gassificato 1550 99 90 200 42
Combustione a letto fluido pressurizzato          
Carbone a ciclo combinato 1150 90 216 190 42
Celle a combustibile          
Gas 600 - 800 Tracce 18 - 72 90 – 100 50 – 55
Carbone gassificato 1000 – 1500 99 36 - 126 170 – 190 45 - 52

Il CDR in co-combustione nelle centrali termolelttriche?
Il combustibile da rifiuti (CDR), noto come refused derived fuel (RDF) in lingua inglese, veniva già prodotto nel 1978 e veniva bruciato in una centrale termoelettrica a Santa Barbara, in Toscana. Nessuno si entusiasmò per questo combustibile, né alternativo né rinnovabile, ma composto fondamentalmente da petrolio, data l’elevata concentrazione di plastiche presenti. Oggi, il Decreto Legislativo 22/97 riporta l’attenzione su di esso. Ma perché proprio il CDR? Non può essere certo considerato una novità; del resto, appare incompatibile con la necessità pressante di ottimizzare le raccolte differenziate.

L’intervento delle ecomafie offre la possibilità di smaltire rifiuti industriali miscelati con RSU, a basso costo, legalmente se si tratta di rifiuti non pericolosi, illegalmente, se pericolosi. I numerosi processi avviati dalle magistrature a carico di sedicenti aziende di recupero confermano questa cattiva prassi.

Vi è uno scontro in atto tra chi vuole realizzare il recupero energetico mediante co–combustione nelle centrali termoelettriche a policombustibile (o nei cementifici) e chi invece vuole bruciare il rifiuto tal quale o la frazione secca, in impianti dedicati da costruire ex-novo.

Molte industrie vorrebbero infatti costruire impianti per incenerire il rifiuto tal quale o la frazione secca sfruttando magari i vantaggi acquisiti con un contratto CIP 6/92, che riconosce incentivi per la cessione di energia elettrica nella rete nazionale di 285 lire e oltre, per ogni Kwh elettrico vettoriato.

L’ENEL in questi anni sta sperimentando nelle proprie centrali dei combustibili sporchi quali appunto il CDR da usare in co – combustione con il carbone o anche l’Orimulsion, la miscela Venezuelana piena di zolfo e fenoli che non lasciano spazio ad un buon futuro per l’Italia.

Questo significa anche che il CDR può costituire un espediente per far perdere di vista alle autorità deputate ai controlli, amministrativi e ambientali, il flusso dei rifiuti solidi o liquidi pericolosi e non.

4.EMISSIONI DI GAS SERRA: LA SITUAZIONE ITALIANA

Le stime dei gas serra emessi dal nostro paese sono state riviste in seguito alla seconda Comunicazione nazionale al segretariato delle UNFCCC e sono state introdotte delle modifiche alla contabilità delle emissioni dell’Italia rispetto al 1990. In particolare le modifiche principali sono state:

  • la revisione della stima delle emissioni di metano e di protossido di azoto dovute alla gestione di foreste, che ha comportato complessivamente una riduzione di circa 10,3 Milioni di tonnellate (Mt) di CO2 equivalente;
  • la modifica della metodologia di stima delle emissioni di metano dalle acque reflue industriali, che applicando quanto proposto dalle ultime linee guida IPCC 1996 ha comportato una riduzione delle emissioni pari a circa 8,3 Mt di CO2 equivalente;
  • la revisione delle emissioni di metano dovute alla gestione delle discariche dei rifiuti, che ha comportato un incremento delle emissioni pari a circa 2,8 Mt di CO2 equivalente;
  • la revisione delle quantità di biomasse utilizzate negli impianti di combustione per il riscaldamento, per il teleriscaldamento e nell’industria, che ha comportato una riduzione di emissioni di CO2 pari a circa 1,7 Mt;
  • la revisione delle stime di emissioni di protossido di azoto dai suoli dovute all’uso dei fertilizzanti e l’aggiunta, come prevede l’IPCC 96, delle emissioni di protossido di azoto dalle acque, finora considerate "naturali", che ha comportato nel complesso un aumento delle emissioni di 0,9 Mt di CO2 equivalente;
  • la revisione delle emissioni ed assorbimenti di CO2 dai suoli che ha comportato un aumento degli assorbimenti pari 0,65 Mt;
  • l’aggiunta delle emissioni di CO2 dalle torce in raffineria e di metano dall’estrazione di petrolio, emissioni che non erano state stimate per il 1990 e che comportano un aumento complessivo pari a 0,3 Mt di CO2 equivalente;
  • la individuazione di un errore di stima relativo al metano emesso dalle stazioni di pompaggio del gas, che comporta una riduzione delle emissioni pari 0,2 Mt di CO2 equivalente;
  • la revisione delle emissioni di HFC, PFC e SF6 utilizzando dati e informazioni precedentemente non disponibili, che ha comportato un aumento delle emissioni pari a 0,05 Mt di CO2 equivalente.

Complessivamente le stime delle emissioni di CO2 al 1990, al netto delle emissioni ed assorbimenti dovute ai cambiamenti dell’uso del suolo (sinks), sono di 431,129 Mt (-0,3%) mentre il valore precedente era di 432,608 Mt.

Le emissioni di metano, nel 1990, sono passate da 2,348 Mt a 1,899 Mt (-19,1%), mentre le emissioni di protossido di azoto sono passate da 164.000 a 146.000 tonnellate (-11,2%).

Le emissioni complessive, al netto delle emissioni ed assorbimenti di CO2 dai cambiamenti dell’uso del suolo, sono di 517,066 Mt (-3,0% rispetto alle stime precedenti). Contabilizzando anche i cambiamenti dell’uso del suolo, le emissioni totali per il 1990 di CO2 equivalente sono pari a 491,452 Mt.

Analisi delle emissioni di co2 e dei principali indicatori economici ed energetici
Vediamo adesso un confronto grafico tra emissioni di anidride carbonica e alcuni indicatori classici quali:

  • prodotto Interno Lordo (PIL) ai prezzi di mercato 1990 e Valore Aggiunto (VA) dell’industria ai prezzi di mercato 1990, fornite dagli Annuari Statistici pubblicati dall’ISTAT;
  • consumi energetici totali, riportati nel Bilancio Energetico Nazionale del Ministero dell’Industria;
  • consumi nazionali di energia elettrica e produzione di energia termoelettrica, riportati dall’ENEL;
  • produzione industriale, riportata negli annuari ISTAT;
  • emissioni di CO2, escluse quelle dovute ai cambiamenti di uso del suolo, stimate dall’ANPA.

ANPA, ENEL, ISTAT, MICA Indicatori economici ed energetici

Fonte: ANPA, ENEL, ISTAT, MICA Indicatori economici ed energetici

Si osserva:

  • le emissioni riflettono l’andamento dei consumi energetici totali e questo perché la gran parte delle emissioni (90-95%) di CO2 è attribuibile al settore energia.
  • il PIL è maggiormente correlato agli indici di produzione industriale e VA dell’industria; nell’anno 1994 queste variabili sono in crescita mentre i consumi energetici e le emissioni di CO2 diminuiscono.
  • ad un aumento dei consumi di energia (per lo più elettrica) e ad un aumento della produzione di essa non solo non corrisponde un pari aumento di benessere e comfort, ma neppure il PIL vi risulta agganciato.

Le emissioni non energetiche dovute ai processi industriali sono pari al 5-7% del totale ed i loro scostamenti non incidono in modo rilevante, ecco perché

la curva della produzione industriale si discosta notevolmente da quella delle emissioni di CO2.

Non è infatti la produzione in se stessa ad essere correlata con le emissioni ma l’uso dell’energia a fini produttivi: si vede che fino al 1996 le due curve dei rispettivi indicatori hanno andamenti differenti.

Il boom di produzione del 1995 seguito da un calo nel 1996 influenzano maggiormente le emissioni di CO2.

Diversamente nel 1990, quando era molto più alta la quota di importazione di elettricità, le emissioni non risentono degli aumenti di consumo di elettricità come invece accade successivamente.ANPA Emissioni di CO2 per settore

Fonte: ANPA Emissioni di CO2 per settore

Il settore trasporti ha un peso considerevole sul totale delle emissioni; altri settori, come l’uso dei solventi e la gestione dei rifiuti, risultano marginali. I rifiuti potrebbero diventare un grave problema anche dal punto di vista delle emissioni perché si sta preparando nel paese una nuova rincorsa agli inceneritori, sostenuta anche dalla posizione italiana in sede UE favorevole ad un inserimento dell’incenerimento dei rifiuti con recupero energetico nella direttiva sulle fonti rinnovabili. Sono pronti molti progetti e molte autorizzazioni con benefici del CIP 6/92 pronte a partire. L’ultima provvedimento approvato il giorno 8 marzo 2001 alla Camera, il n° 7280 ha al suo interno una nuova definizione di raccolta differenziata che potrebbe essere devastante e preparatoria alla termocombustione. E’ stato infatti tolto nella definizione di raccolta differenziata il fine del riciclo come materia, prendo all’incenerimento del CDR e quant’altro.

ANPA, ENEL, ISTAT Confronto degli indici di emissione nei settori Energia e Industria con alcuni indicatori (includono sia quelle derivanti da combustione che da processo).

Fonte: ANPA, ENEL, ISTAT Confronto degli indici di emissione nei settori Energia e Industria con alcuni indicatori (includono sia quelle derivanti da combustione che da processo).

Si nota come vi sia un trend di aumento dei consumi e delle emissioni in senso assoluto. Se si guarda in termini relativi si nota come la crescita delle emissioni sia stata più lenta di quella della produzione industriale e di produzione elettrica. Ciò in parte è dovuto ad un utilizzo maggiore di metano nelle centrali elettriche, seppur ancora ridotto rispetto a carbone e olio combustibile, che rischiano di ritornare pesantemente sulla scena energetica.

Il disaccoppiamento tra gli indici classici di "ricchezza" (che non è benessere) PIL, VA, e le emissioni di CO2 è dovuto ai miglioramenti dei processi produttivi ma soprattutto all’efficienza energetica.

La forte crescita esponenziale del PIL e degli indici economici ha benefici di tali miglioramenti tecnici ed è stata più rapida del tempo di raddoppio delle emissioni di CO2 che si attesta attorno ai 30 anni.

Ma il secondo principio della Termodinamica è il più democratico dei limiti alla efficienza energetica e quindi alla crescita fisica dei sistemi economici e produttivi. Raggiunto il tetto nell’efficienza energetica, regolato appunto dalla Termodinamica, le curve delle emissioni e dei parametri con cui si misura la ricchezza cominceranno a salire assieme con gli stessi tassi di crescita.

ANPA, EUROSTAT, Ministero dei Trasporti e della Navigazione

Fonte: ANPA, EUROSTAT, Ministero dei Trasporti e della Navigazione

Confronto degli indici di emissione nei settori Trasporti e Civile con alcuni indicatori (con l’indice dei veicoli-chilometro relativi solo ai tratti autostradali e con l’indice climatico dei gradi-giorno EUROSTAT di riscaldamento)

Dal punto di vista dei consumi si è registrato:

  • 1990 -1994 incremento dei consumi energetici complessivi di circa1,02%;
  • 1995 notevole incremento dei consumi energetici totali (5,0% rispetto al 1990) si ha un aumento rispetto al 1990 del 3,8% delle emissioni di CO2;
  • 1998 ulteriore incremento dei consumi energetici +9,6% a cui corrisponde un incremento delle emissioni di CO2 del 8% rispetto al 1990;
  • 1999 +11,8% dei consumi energetici rispetto al 1990;
  • 2000 + 15,2% nei consumi energetici e conseguente incremento delle emissioni di CO2 che si attestano a circa + 12,9 % rispetto ai livelli del 1990.

MICA Evoluzione consumi complessivi delle fonti primarie, Mtep, i dati sono normalizzati non includono l’energia elettrica da pompaggi.

Fonte: MICA Evoluzione consumi complessivi delle fonti primarie, Mtep, i dati sono normalizzati non includono l’energia elettrica da pompaggi.

Per quanto riguarda il settore elettrico Il dato che maggiormente risalta è l’aumento dei consumi, superiori di quasi il 19% nel 1998 rispetto al 1990 ed ulteriormente aumentati +21,5% nel 1999 e + 26,5 circa nel 2000. I settori di consumo finale che presentano gli aumenti più rilevanti tra il 1990 ed il 1998 sono quello civile +24% e quello industriale +14%.

   

1990

1995

1996

1997

1998

1999*

1990-1998

Var.

Richiesta rete-Italia TWh

235,1

261,2

262,9

271,4

279,3

285,8

18,8%

Consumo pompaggi TWh

4,8

5,6

6,9

6,7

8,3

8,9

74,5%

Import TWh

34,7

37,4

37,4

38,8

40,7

42,0

17,5%

Produzione nazionale TWh

205,3

241,9

232,4

239,7

247,0

252,7

20,3%

Produzione da fonti rinnovabili TWh

38,1

46,1

50,1

50,8

52,9

55,5

38,9%

Produzione termoelettrica It. TWh

167,2

195,8

182,3

188,9

194,1

197,2

16,1%

Fonti primarie fossili utilizzate              
Petrolio Mtep

22,0

25,6

24,2

23,1

16,6

5,0%

Gas naturale Mtep

8,3

9,3

11,2

13,6

19,4

63,9%

Carbone Mtep

7,9

6,1

6,2

6,4

6,6

-19,0%

Fonte: ANPA su dati ENEL

Sotto sono riportate le emissioni del settore ed alcuni indicatori che caratterizzano l’efficienza del settore.

 

1990

1995

1996

1997

1998

1990-1998
Var.

Totale emissioni di CO2 (Mt)

125

131

129

135

142

+13,9%

Produzione netta termoelettrica g CO2/kWh

740

698

698

707

725

-2,1%

Produzione totale netta

g CO2/kWh

596

560

552

557

569

-4,6%

Elettricità consegnata agli utenti g CO2/kWh

564

534

530

534

546

-3,2%

Elettricità prodotta con fonti rinnovabili

16,2%

17,7%

19,0%

18,7%

18,9%

+ 2,7%

Fonte: elaborazioni ANPA su dati ENEL Indicatori di efficienza del settore elettrico

In Italia si conferma un notevole aumento dell’efficienza di trasformazione delle fonti fossili nel periodo 1990-1998, dovuti a migliorie ed investimenti ancora pubblici fatti nel settore.

E’ irrilevante l’aumento delle fonti rinnovabili soprattutto se si considera che si parte da una base già distorta. Infatti nel paniere delle rinnovabili vi è sia il geotermico (non completamente rinnovabile se si considera l’intero ciclo inclusi i ripompaggi del fluido geotermico) sia il devastante (in passato al momento della realizzazione) idroelettrico. Troppo poco l’eolico, inesistente praticamente il fotovoltaico.

Negli ultimi tre anni però anche gli indicatori di efficienza sono peggiorati sensibilmente e non si sono avuti investimenti nel parco termoelettrico nazionale.

I consumi energetici delle raffinerie dal 1990 al 1998 sono sostanzialmente stabili, le emissioni sono invece aumentate del 7% circa, per una diversa composizione del paniere di combustibili utilizzati.

Il totale dei prodotti lavorati è aumentato dell’8% circa, l’evoluzione tecnologica in atto ha quindi portato ad un aumento dell’efficienza complessiva del settore.

I consumi energetici del settore industriale sono praticamente rimaste stabili o leggermente inferiori al 1990. Questo però solo se si esclude tutto il capitolo della produzione ed uso di energia a scopo produttivo.

Le acciaierie fanno un uso massiccio di carbone per ragioni processistiche ancora consolidate e consumano grandi quantità di energia.

I cementifici, sono tra i maggiori responsabili dei grandi consumi energetici e quindi responsabile di grandi quantitativi di emissioni. Per i cementifici il costo dell’energia deve essere bassissimo per garantire elevati margini alle aziende cosa che spinge costantemente verso l’uso di combustibili sporchi quali carbone, rifiuti solidi e liquidi, coke di petrolio.

ODYSSEE Database Evoluzione dell’intensità energetica nel settore industriale

Fonte: ODYSSEE Database Evoluzione dell’intensità energetica nel settore industriale

Trasporti

MICA Evoluzione consumi di carburante nei trasporti (dati normalizzati con esclusione energia elettrica da pompaggi)

Fonte: MICA Evoluzione consumi di carburante nei trasporti (dati normalizzati con esclusione energia elettrica da pompaggi)

Nel 1998 i consumi complessivi di benzina sono stati pari a 786 PJ, con un aumento del 34,1% rispetto al 1990. I consumi complessivi di gasolio sono stati pari a 686 PJ, con un aumento dell’1,5% rispetto al 1990, i consumi complessivi di GPL sono stati pari a 71 PJ, con un aumento del 15% rispetto al 1990, quelli di gas naturale pari a 12 PJ, con un aumento del 38% ed infine quelli di carboturbo per voli interni sono stimati in circa 2,2 PJ, con una aumento del 45% rispetto al 1990.

I consumi dei carburanti sono legati a:

  • eccessivo trasporto su gomma delle merci e delle persone;
  • crescente domanda di mobilità;
  • errate politiche di incentivazione del acquisto di nuove auto più efficienti ma di più alta cilindrata e aumentate in numero globale;
  • maggior ricorso alle auto e ai motorini;
  • politica di incenivazione sul gasolio e cessazione della carbon tax.
 

1985

1990

1995

1996

1997

1998

Automobili, extraurb.

283,1

361,2

405,4

419,0

430,0

435,0

Automobili, urbano

90,9

160,8

209,1

208,0

209,1

212,0

Motocicli

34,9

60,1

59,9

61,2

63,0

64,0

Autobus urbani

15,9

11,6

10,4

10,4

10,0

9,7

Bus interurb., noleggio

52,2

72,3

76,8

78,3

78,5

79,4

Metro e tram

4,1

4,6

5,2

5,3

5,3

5,3

Treni (+ traghetti)

42,3

51,0

55,0

55,9

55,3

54,0

Aerei

4,4

6,4

7,1

7,9

8,8

9,0

             
Totale

527,7

728,0

829,1

846,7

861,0

868,9

Fonte: elaborazioni ANPA su dati Ministero dei Trasporti e della Navigazione

Andamento del traffico interno di passeggeri nel periodo 1985-1998 (miliardi di passeggeri km)

 

1985

1990

1995

1996

1997

1998

Autocarri, < 50 km

51,4

70,5

58,2

57,9

57,4

-

Autocarri, > 50 km

92,7

107,4

137,2

139,9

142,3

152,6

Treni

18,8

21,9

24,7

24,1

26,2

25,4

Navi

30,5

35,9

35,4

40,0

44,5

45,0

Tubazione

9,0

11,5

12,7

13,0

13,2

13,0

             
Totale

202,4

247,2

268,3

274,9

279,7

-

Fonte: elaborazioni ANPA su dati Ministero dei Trasporti e della Navigazione

Andamento del traffico interno delle merci nel periodo 1985-1998 (miliardi di tonnellate km) A causa di variazioni nelle raccolte ed elaborazioni dati la stima del traffico per distanze inferiori a 50 km non è più affidabile dopo il 1995.

Gli accordi di programma con l’industria del settore a livello europeo prevedono delle emissioni di 140 g CO2/km. Tali miglioramenti sono però lenti nella pratica del parco veicoli circolante.

 

1990

1992

1994

1996

1998

Parco auto benzina

173

173

171

172

169

Parco auto diesel

176

174

172

169

160

Parco auto gpl

174

176

178

180

176

Parco auto metano

157

158

160

162

158

Fonte: elaborazioni ANPA su dati ACI Evoluzione emissioni specifiche del parco circolante (g CO2 / km)

Settore civile
I consumi energetici del settore civile sono in aumento di oltre il 10%. Le emissioni hanno avuto un aumento meno marcato in quanto nel settore del riscaldamento vi è stato negli anni un passaggio massiccio al gas.

Il civile resta il settore ove sono possibili notevoli aumenti di efficienza energetica, di DSM, LCP, uso razionale dell’energia e congelamento dei consumi ed incremento del risparmio.

In particolare il settore elettrico è cresciuto quasi del 29% rispetto a quelli del 1990 e potrebbe conoscere un aumento senza precedenti con l’avvento dei condizionatori d’aria e con una potenza installata nelle case di 6 Kw o di 4,5 Kw contro gli attuali 3. Anche la nuova tariffa elettrica "degressiva" incentiverà erroneamente i consumi di energia pregiata.

Emissioni di CH4 n2O HFC PFC SF6
Le emissioni di metano e di protossido di azoto (CH4 n2O) sono circa 8 % delle emissioni di gas serra in CO2 equivalente.

Gli idrofluorcarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo (HFC, PFC, SF6) incidono per meno dello 0,5 % sul totale delle emissioni.

Le emissioni di protossido di azoto, dovute per il 50% al settore agricolo (uso dei fertilizzanti organici ed inorganici e reflui dagli allevamenti animali), per un ulteriore 20% sono dovute ai processi di produzione di acido nitrico e di acido adipico.

Le emissioni di metano sono in crescita di circa il 3% rispetto al 1990 ed un ruolo importante lo gioca la frazione organica dei RU messi impropriamente a discarica, anziché restituiti al terreno sottoforma di compost di qualità. Questa fonte di metano è responsabile di circa il 40% di tali emissioni.

Anche il settore degli allevamenti animali (agricolo) emette metano circa il 40% e per il restante 20% all’energia.

Vi è , nel settore energetico, un incremento delle emissioni da combustione, nel settore dei trasporti stradali, per l’aumento complessivo dei consumi di combustibile, e nel settore civile, per l’incremento dell’uso del metano negli impianti di riscaldamento.

ALCUNE NOTE SULLE UNITÀ DI MISURA
Un barile di petrolio equivale a circa 159 litri (l) o 139 chilogrammi (Kg) del medesimo.

Il "TEP" è un’altra unità di misura che significa "Tonnellata Equivalente di Petrolio" e si usa per indicare l’energia corrispondente a quella ottenuta bruciando una tonnellata di petrolio.

Si assume che il petrolio fornisca 10.000 chilocalorie (Kcal) per ogni chilogrammo e quindi 1 TEP corrisponde a 10 milioni di chilocalorie (Kcal), ma 1 TEP corrisponde anche a 11.600 chilowattora (KWh) cioè circa il consumo di una famiglia di persone per 4 anni.

Per il concorrente più temibile del petrolio, il carbone, esiste il TEC, cioè "Tonnellata Equivalente di Carbone" e vale circa 2/3 del TEP. Infatti per il carbone si assume convenzionalmente un potere calorifico di 7.000 Kcal/Kg corrispondenti a circa 8.150 KWh.

Con la dicitura MTEP (mega TEP) o MTEC (mega TEC) si indica un milione di tonnellate rispettivamente di petrolio o carbone.

1 cal = 4.185 J

1Kcal = 1000 cal = 4185 J

1 W = 1J/s

1KW = 1000 W

1 CV = 735.4 W = 735.4 J/s

1 KWh = 1000 Wh = 860 Kcal = 3.600.000 J

BIBLIOGRAFIA

  • ANPA, Mario Contaldi, Riccardo De Lauretis, Daniela Romano "Analisi delle emissioni nazionali dei gas serra dal 1980 al 1998".
  • ACI, 1999, "Annuario Statistico. Automobilismo e Trasporti".
  • ANFIA, "Automobile in cifre", Associazione Nazionale fra Industrie Automobilistiche, anni vari.
  • ANPA, 2000, "Serie storiche delle emissioni in atmosfera in Italia"
  • D'Angelo E., Perrella G., 1999, "Energy efficiency in Italy" (1970-1996). Final Report of ‘Cross country comparison on energy efficiency indicators’ - Fase IV, 1999 Paris ADEME.
  • ENEL, 1999, "Dati statistici sull’energia elettrica in Italia 1998".
  • Eurostat, 1999, "Energy: Yearly statistics 1998", European Communities, Luxembourg.
  • Krause F.,1999, "La Risorsa Efficienza. Strategie ed interventi per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra attraverso misure di efficienza negli usi finali di energia elettrica", ANPA, Serie Documenti 11/1999.
  • Gaudioso D., Tosato G.C., Contaldi M., eds., 1998, "Second National Communication to the UN Framework Convention on Climate Change", Ministero dell’Ambiente.
  • IPCC/OECD/IEA, 1997, "Revised 1996 IPCC Guidelines for National Greenhouse Gas Inventories".
  • ISTAT, "Annuario Statistico Italiano", anni vari.
  • Ministero dei Trasporti e della Navigazione, "Conto Nazionale dei Trasporti", anni vari.
  • MICA, "Bilancio Energetico Nazionale", Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato, anni vari..
  • ODYSSEE Database, 1999, "Database on European Energy Efficiency .
  • Unione Petrolifera, "Previsioni di domanda energetica e petrolifera in Italia", anni vari.

Roma, 9 marzo 2001

ForumAmbientalista

1. LE CONDIZIONI DEL CLIMA

2. POSSIBILI STRUMENTI PER IL MERCATO ELETTRICO

3.PERCHÉ E’ NECESSARIO DIRE NO AL CARBONE E AI RIFIUTI

4.EMISSIONI DI GAS SERRA: LA SITUAZIONE ITALIANA

ALCUNE NOTE SULLE UNITÀ DI MISURA

BIBLIOGRAFIA

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