Antiche strade piene di storia

Sulle tracce dei viandanti del passato, andiamo alla scoperta delle antiche vie di comunicazione nelle nostre valli. I percorsi da Bergamo alla valle Brembana. La Via Mercatorum. La Priula. 

Gli Statuti dei vari comuni delle nostre valli che ci sono pervenuti, risalenti per lo più al 1300, contengono vari articoli riguardanti le vie di comunicazione interne ed esterne al comune, sia per la manutenzione e la conservazione, sia per le direttive che dovevano essere osservate e fatte osservare da parte di appositi addetti alla sorveglianza delle strade stesse: grande era quindi l’impegno assunto da ogni paese per poter comunicare con i più vicini e con i lontani, soprattutto per la possibilità degli scambi commerciali, necessari alla propria sopravvivenza. I primi sentieri tracciati dalle nostre genti seguivano sempre, per quanto possibile, il percorso dei fiumi, tenendosi però piuttosto lontani e più alti da questi per non incorrere nel pericolo delle inondazioni che per secoli sono state il flagello di tutte le valli alpine. Queste vie di comunicazione erano frequentate non solo da mercanti o da pastori con le loro greggi, ma anche da pellegrini che si recavano, come accadeva in Val Seriana, alle varie sagre nei diversi santuari esistenti nella valle. La linearità del percorso della valle Seriana non ha riscontro in quello della val Brembana: è la logica conseguenza della difficile conformazione del territorio, subito dopo Villa d’Almè e poi ancora a Sedrina. Il tracciato più comodo e veloce che anticamente mercanti e in un recente passato boscaioli, minatori, emigranti hanno percorso in gran numero alla ricerca di nuovi mercati o di un po’ di lavoro è quello che dal Canto Basso, attraverso la Maresana, scende verso Bergamo. Si può dire che abbia rappresentato una fondamentale e naturale via di collegamento fino alle soglie del secondo dopoguerra tra la val Brembana e la città. Lungo il percorso si incontra la Cà del lacc che rappresentava per le mandrie provenienti dalla pianura e dirette verso gli alpeggi della val Brembana un punto di riferimento e di sosta lungo il cammino. Con il sopraggiungere della bella stagione le grosse mandrie, composte da più di cento capi, a cui si devono aggiungere cavalli, asini, muli e capre si muovevano dalla pianura verso le montagne dove avrebbero trascorso l’estate. Alla Cà del lacc il bestiame poteva pascolare e abbeverarsi. La mattina,dopo la mungitura, la mandria ripartiva e la sera era spesso già nei pressi di S.Pellegrino. Il passaggio per la forcella di Sorisole e il Canto Basso e la successiva discesa a Poscante era preferito per ragioni di brevità e di sicurezza al tradizionale tracciato viario risalente il fondovalle del Brembo. La forcella di Monte di Nese era praticata da chi gravitava nel basso bacino del Brembo o da chi, una volta a Serina, doveva recarsi a Zogno. La strada oltre Zogno proseguiva per S.Pellegrino e giungeva a S.Giovanni Bianco. Comunque S.Pellegrino era collegato con Alino e con Fuipiano, ma il tracciato doveva essere poco più di un sentiero, perché l’alta Val Brembana scaricava tutto il suo traffico, fin dai tempi più antichi, salendo da S.Giovanni Bianco a Dossena, passando a Serina,Ambriola, Rigosa e Selvino per discendere ad Albino passando da Ama ed Amora. Più avanti nel tempo(e si può certamente parlare del XIII secolo) questo percorso fu sostituito dalla via mercatorum che, rimanendo in quota da Serina per Cornalba, Aviatico e Selvino giungeva ad Albino e forse anche ad Alzano. Su questo percorso, una mulattiera, è sorto il paese di Trafficanti, così denominato perché pare esistesse una stazione di sosta. I centri abitati dislocati in questa zona erano situati su quote medie e alte: per questa ragione era chiamata Valle Brembana Superiore e occupava lo spazio compreso tra la Val Parina e i massicci dei monti Menna, Arera e Alben al nord e l’altopiano di Miragolo al sud. I centri disposti lungo la Via dei mercanti(Trafficanti, Tagliata, Cornalba, Serina, Dossena, Cornello) disponevano di un certo numero di locande e di alloggi per dare ospitalità ai viandanti e ricovero alle carovane. Soprattutto Serina e la più piccola Cornello. Tra le comunità della Valle Brembana superiore, Serina era il più grande centro mercantile; Cornello era la prima stazione di tappa sul Brembo incontrata dalle carovane di mercanti dirette verso il passo di S.Marco. La Valle Brembana Inferiore, confinante con la Superiore, occupava invece tutti gli spazi di fondovalle, a bassa quota: per questa ragione veniva detta Inferiore. Era costituita dalle due ampie conche di S.Giovanni Bianco e di Zogno e dal tratto di valle che le congiungeva. La Brembana Inferiore era molto più ricca di spazi coltivati che non la Superiore: la zona agricola più estesa era quella di Zogno e della serie di villaggi che le facevano corona. Meno vasta, ma ugualmente felice per le colture e i vasti prati era la conca di S.Giovanni Bianco, dove il dolce pendio della Costa di S.Gallo e le ampie terrazze di Fuipiano, Cornalita e Pianca garantivano un discreto prodotto agricolo. Nel corso del Cinquecento ebbero inizio le prime visite pastorali dei vescovi nelle nostre parrocchie. Esaminando attentamente gli Atti relativi alle visite pastorali che si svolsero in Valle Brembana dal 1536 al 1594, anteriormente, quindi, alla realizzazione della Priula, possiamo “leggere” il percorso tenuto dai vescovi per salire dalle nostre parti. Percorrere in quegli anni la valle, prima della costruzione della strada Priula, significava sottoporsi a un lavoro massacrante: il vescovo, accompagnato dalle persone del seguito, doveva procedere a cavallo per mulattiere spesso impraticabili, inerpicarsi per sentieri scoscesi, attraversare ampie zone boscose o completamente disabitate, esposto al rischio di incontri non sempre graditi. L’itinerario normalmente seguito da chi voleva entrare nel cuore della valle era rappresentato dal sentiero che da Villa d’Almè, costeggiando il fiume sulla sponda sinistra, sboccava nella piana di Zogno, dopo aver toccato gli abitati di Botta e Sedrina. Raggiungere, poi, S.Pellegrino non costituiva certo un’impresa difficile, né tantomeno proseguire, ancora una volta sulla riva sinistra del Brembo, fino a S.Giovanni Bianco, percorrendo un sentiero in parte tuttora esistente. La mulattiera che conduceva in Alta Valle saliva da Oneta, toccava Piazzalina, scendeva al Cornello che attraversava sotto i suoi caratteristici portici e, mantenendosi sulla sponda destra del fiume, correva alla volta di Lenna



Da qui si biforcava nel ramo che puntando a nord-est attraversava Valnegra, Moio per giungere a Fondra. Il tracciato proseguiva fino a Branzi dove un ramo, risalendo sulla destra del Brembo, passava per Valleve, Cambrembo e risaliva fino al Passo di Tartano (dopo Valleve un altro tracciato saliva a Foppolo e al Passo di Dordona); l’altro ramo passava per Carona, Pagliari e si biforcava andando un ramo al Passo di Venina e l’altro al Passo di Cigola. L’altro ramo della strada principale da Lenna portava ad Olmo, dove nuovamente si biforcava: da un lato saliva a Mezzoldo e giungeva al Passo di S.Marco e dall’altro per Redivo, Valmoresca e la valle omonima giungeva al Passo del Verrobio. La Strada Priula nasce sul finire del XVI secolo come collegamento tra la Repubblica di Venezia e il territorio grigionese (e quindi l’Europa Centrale) e come via di commercio alternativa alla via del Lario, resa impraticabile a causa di gravosi dazi imposti ai mercanti in transito dallo Stato di Milano. Non è che prima di allora mancassero mulattiere o sentieri di collegamento con la Valsassina o con la Valtellina, ma queste primitive vie di comunicazione erano così strette, tortuose e impraticabili dopo le piogge o durante il periodo invernale, da rappresentare un autentico ostacolo per gli scambi commerciali. La situazione era, comunque, degenerata a tal punto che i valligiani chiesero a più riprese, a partire dal 1552,un sollecito intervento da parte del Governo di Venezia perché si provvedesse almeno a riparare i sentieri esistenti. Il 29 agosto 1592 il Senato di quella Repubblica, finalmente, espresse parere favorevole alla costruzione di una strada che collegasse Bergamo con la Valtellina, affidandone l’incarico ad Alvise Priuli, nobile veneziano, allora Podestà di Bergamo. Negli intendimenti del Priuli non rientrava però, almeno all’inizio, la costruzione di una nuova strada e ciò per l’ingente costo che l’opera avrebbe comportato, ma poi prevalsero in lui il buonsenso e considerazioni di ordine pratico. I lavori vennero immediatamente avviati nello stesso anno e potevano nel 1596 considerarsi pressoché ultimati. Nei pressi del valico fu edificata anche una casa di sosta (l’attuale Ca S. Marco) nei pressi del valico. La Priula, che incominciava ufficialmente dalla porta di S.Lorenzo di Bergamo, entrava in Valle Brembana poco più su di Villa d’Almè, esattamente alle Chiavi della Botta consistenti, come scrive lo storico bergamasco Maironi da Ponte, in un pezzo di strada sostenuta da archi appoggiati sopra macigni eminenti dal Brembo, che vi passa ad una spaventosa profondità . Superato il fiume all’altezza degli attuali Ponti di Sedrina (esisteva allora un unico ponte, costruito in pietra nel 1476) proseguiva sulla sponda destra del Brembo per Zogno, S.Pellegrino, S.Giovanni Bianco e, da qui, correndo sotto il Cornello, toccava Lenna e Piazza per raggiungere, da ultimo, il passo di S.Marco attraverso gli abitati di Olmo e Mezzoldo. Tracce di questa strada si possono scorgere, ancora oggi, a distanza ormai di quattro secoli, nel tratto Zogno-Ambria, in S.Pellegrino e a S.Giovanni Bianco. La conservazione dell’intera arteria venne posta a carico dei Comuni della valle i quali però si trovarono spesso nell’impossibilità di far fronte alle spese che anche la semplice manutenzione ordinaria poteva richiedere. Figuriamoci, poi, quando si trattava di affrontare i lavori straordinari necessari per riparare i danni causati dalle frane e dai frequenti straripamenti del Brembo. Ecco perché, già all’inizio del Seicento, quanti avevano bisogno di servirsi di questa strada lamentavano lo stato di completo abbandono in cui essa era lasciata. La strada Priula non consentiva, comunque, il passaggio di carri da Villa d’Almè in su, a causa delle caratteristiche tecniche secondo le quali era stata realizzata. Essa, infatti, era una semplice mulattiera e tale rimase fino al termine della dominazione veneta. Il governo francese, succeduto a quello della Serenissima, non si curò eccessivamente di questa arteria, limitandosi a far eseguire alcuni lavori, anche se di un certo impegno, nel tratto Ventolosa - Chiavi della Botta , che venne reso percorribile da piccoli carri. Spetta, invece, al governo austriaco il merito di aver operato interventi radicali che, trasformando completamente la vecchia strada grazie ai lavori iniziati verso il 1820 e protrattisi per alcuni anni, la resero carrozzabile fino a Olmo. Già all’inizio del 1815,quando i funzionari del Governo di Vienna si erano da poco insediati in Lombardia, si incominciò a parlare della sistemazione della vecchia Priula, nel tratto compreso fra i ponti di Sedrina e Piazza. Trattandosi di una spesa piuttosto elevata, bisognò attendere che fossero reperiti i fondi necessari. Nel frattempo, però, fu deciso di sistemare alla meglio l’intera arteria, anche in territorio valtellinese. Finalmente nel 1819 venne dato il via ai lavori, tanto attesi dagli abitanti della valle e che, dal 1820 al 1823, riguardarono il tratto fra le Chiavi della Botta e S.Giovanni Bianco. Successivamente essi furono continuati fino a Olmo, dove si conclusero nel 1827. A lavori ultimati, la strada risultò notevolmente allargata, tanto da poter essere percorsa facilmente dai carri, sia a due che a quattro ruote Infatti la sua sede venne ad avere una larghezza media di m.4,20 toccando in alcuni casi e per lunghi tratti anche i 6 metri. Naturalmente nei centri abitati e in corrispondenza di ponti e di portici erano presenti numerose strettoie, che non consentivano il transito contemporaneo di due carri quando si incrociavano. I vantaggi che derivarono dall’allargamento e dalla sistemazione della strada vallare furono numerosi e non hanno certo bisogno di essere elencati. Grazie alla nuova arteria, fra l’altro, cessò quasi completamente il trasporto del legname per via fluviale, perché esso fu riservato esclusivamente ai tronchi più grossi. Oggi non è facile ritrovare i segni di questa via, per le continue trasformazioni che vi sono avvenute. Gli ultimi frammenti della strada sopravvivono a Zogno, S.Giovanni Bianco, tra Mezzoldo e il passo e oltre, in Valtellina.