La questione dell'incendio di Roma


Il primo imperatore che perseguitò i cristiani fu Nerone: Orientem fidem Romae primus Nero cruentavit dice Tertulliano, il quale aggiunge: " Noi siamo lieti di avere un tal mostro per nostro primo nemico " (Apol.,5). Sino a questi ultimi anni, l'origine della persecuzione di Nerone sembrava molto chiara; Tacito l'indica in un celebre passo degli Annali", dove narra con un'efficacia ed una esattezza tali che sfatano tutti i racconti romanzeschi l'incendio, che nel luglio del 64 distrusse più della metà di Roma. Egli dice che ì sospetti del popolo si portarono sopra Nerone. Aggiunge che Nerone si provò di rigettare l'accusa sui cristiani i quali erano acerbamente odiati dalla folla che li credeva capaci di ogni delitto. I primi che si confessarono cristiani furono arrestati, poi sulle indicazioni che si poterono loro strappare, venne catturata una grande moltitudine di fedeli. Ma presto si dimentica l'accusa dell'incendio e la sola cosa di cui tutti i cristiani furono convinti, fu di odiare il genere umano e ciò perché apparentemente vivevano a parte e fuori della civiltà pagana. Allora vennero condannati ai diversi supplizi di cui Tacito in poche parole narra l'orrido spettacolo: "Uomini vestiti di pelli di animali morirono sbranati dai cani, vennero appesi alle croci e furono destinati ad ardere legati a pali a guisa di faci notturne. Nerone aveva prestato i suoi giardini per questo spettacolo e vi dava delle corse vestito da auriga, su una biga e confuso tra la folla ". Tacito aggiunge che il popolo romano, nonostante il suo odio per i cristiani, si commuoveva alla loro orrida sorte, perché sentiva che la crudeltà di Nerone era originata dal suo interesse personale e non dalla giustizia né dal bene pubblico (TAC., Ann., XV,44). Prima della seconda metà del XIX secolo, questo racconto del più grande degli storici di Roma era da tutti considerato come una testimonianza indiscutibile e non a torto lo si considerava come il primo degli Atti dei Martiri. «Sembra però che l'atmosfera scientifica un poco riscaldata dalle università tedesche abbia fatto germogliare delle critiche le quali sottilizzano fino al paradosso e che per timore di conclusioni semplici, tendono a gettarsi nelle ipotesi più complicate (P. ALLARD, Le persecuzioni e la critica moderna, Roma, 1906). Tale si è dimostrato Hermann Schiller in una sua memoria pubblicata nel I877 dal titolo: Un problema di spiegazione di Tacito e che fa parte di un grosso volume composto da settantotto eruditi di diverse nazioni in onore di Mommsen, in occasione del suo sessantesimo anniversario. Lo Schiller dichiara che tutto ciò che Tacito ha scritto dei martiri cristiani è falso. Secondo lui, i cristiani del tempo di Nerone, non potevano essere conosciuti perché non erano ancora distinti dagli ebrei, distinzione che cominciò a farsi solamente sotto Traiano e Tacito parlandone a proposito di un avvenimento del 64 come se ne parlò cinquant'anni dopo, e trasportando nella narrazione di un episodio del regno di Nerone le idee e il linguaggio di un contemporaneo di Traiano, commise un vero anacronismo. Egli ci mostra i cristiani perseguitati e martirizzati perché tali, in un'epoca nella quale nessuno, a Roma, sapeva che esistevano dei cristiani. Dunque, tutto il passo che abbiamo riassunto è falso e non merita alcuna fede. Si dirà senza dubbio che questa critica è poco verosimile; infatti essa presuppone che Tacito sia stato uno storico assai mediocre, il quale avrebbe fatto come colui che ai nostri giorni volesse descrivere le istituzioni e i costumi del principio del secondo impero, uniformandosi alle istituzioni e ai costumi odierni. La supposizione si confuta da se stessa, poiché non solo Tacito era incapace di tale ingenuità, ma certamente, al tempo in cui egli scrisse il XV libro dei suoi Annali ebbe modo di poter essere bene edotto sugli avvenimenti del regno di Nerone. Innanzitutto conobbe i testimoni dei fatti accaduti nel 64 e si può dire che egli crebbe e visse fra loro, poiché allora Tacito aveva dieci anni; inoltre, per la sua posizione sociale, gli era facile l'accesso negli archivi e la lettura dei documenti più esatti. Tacito, giova ricordarlo, non fu solamente uno storico, fu anche un personaggio ufficiale amico e collega dei più illustri uomini di Roma. Nonostante fosse di nobiltà recente, percorse tutta la carriera degli onori: fu questore, edile, pretore, console e, forse, governatore di provincia. Quando compose gli Annali sotto i regni riparatori di Nerva e di Traiano, godeva una vecchiaia ricca e gloriosa: era l'epoca in cui la lode di Tacito era la più ambita ricompensa per i morti illustri. Ora, un uomo cosi amante della verità storica, ricco di ricordi e di documenti, scrive il Boissier (Tacito, Parigi,1893), non può venire accusato di ignoranza e di anacronismi quasi fosse un autore novellino. D'altronde basta una parola per far crollare tutti gli argomenti dello Schiller: gli Atti degli Apostoli ci mostrano San Paolo che nel 60 predicava a Cesarea in presenza del re Agrippa, il quale gli disse: "Poco manca che tu non mi persuada a farmi cristiano" (Act.Apost. XXVI,28). I cristiani erano dunque conosciuti come tali prima del 64.

In un articolo pubblicato nel 1884 negli "Annali della Facoltà delle Lettere" di Bordeaux, l'Hochart ha preteso affermare che il paragrafo tacitiano relativo ai cristiani era un'aggiunta fattavi nel medioevo. La tesi è stata confutata con ottime ragioni storiche e filologiche dal Douais nella "Revue des questions historiques", ottobre 1885 e dal Boissier nei "Comptes rendus de l'Académie des Inscriptions", 26 marzo 1886. Nel 1900 il prof. Carlo Pascal dell'Università di Catania ha pubblicato un opuscolo (L'incendio di Roma e i primi cristiani) che ha fatto molto scalpore: in esso l'autore sostiene questa doppia tesi: 1° Nerone non fu autore dell' incendio di Roma; 2° Veri autori furono i cristiani o per lo meno alcuni cristiani fanatici. "La tesi del professore di Catania, scrive l'Allard (Le persecuzioni e la critica moderna,Roma,1906) non ha nel testo di Tacito l'appoggio che ha creduto trovarvi; si nota quindi che nessuno degli antichi scrittori i quali hanno parlato dell'incendio di Roma, né Plinio che ne scrisse meno di dieci anni dopo né Svetonio che ne scrisse nella prima metà del II secolo, né Dione Cassio che ne scrisse nella prima metà del III secolo, ne attribuiscono la colpa ai cristiani, cosa che non avrebbero mancato di affermare se questi ne fossero stati i veri autori. E' pure da notare che i libellisti, i quali attaccarono nel modo più aspro e violento la fede e i costumi dei primi cristiani, non li hanno mai fatti oggetto di tale accusa". E' poi moralmente impossibile che i cristiani, i quali durante tre secoli, anche dopo essere divenuti numerosi e forti, stupirono il mondo con la loro immutabile pazienza, si rivelassero commettendo un atto di ribellione, un delitto che non sarebbe neppure giustificato dal pretesto dì rappresaglie, poiché essi non avevano ancora sofferta alcuna persecuzione. La questione è dunque nei due soli termini in cui la restringe Tacito: l'incendio fu fortuito, o fu comandato da Nerone? I contemporanei non solo accusarono Nerone subito dopo il fatto, ma pure molti anni dopo, quando la calma aveva avuto il tempo di tornare nel loro animo. Si può, se si vuole, negare importanza alle parole di Subrio Flavio, perché nemico di Nerone, parole che egli pronunziò nel 65 quando venne condotto al cospetto dell'imperatore, sotto l'accusa di cospirazione: "Io ho cominciato ad odiarti quando sei divenuto matricida, uxoricida, istrione e incendiario" (TAC.,Ann.,XV,67). Non si potranno, però, dimenticare le parole pronunziate spassionatamente da Plinio il Vecchio, il quale poco dopo l'anno 7I, scrisse nella sua "Storia Naturale", a proposito della longevità di alcuni alberi: "Essi durarono centottanta anni, sino all'incendio col quale l'imperatore Nerone distrusse Roma" (PLIN.,Nat.Hist., XVII, 1: "... ad Neronis principis incendia, quibus cremavit urbem).