LE LINEE DI NAZCA'

Fino a sessant’anni fa Nazcà era un semplice villaggio peruviano come tanti altri e la sua unica particolarità consisteva nel fatto che per raggiungerlo da Lima bisognava attraversare uno dei deserti più aridi del mondo. Ma è proprio questo deserto - la cui superficie venne utilizzata da antiche popolazioni come una lavagna su cui tracciare giganteschi disegni - che oggi attira migliaia di turisti in una sperduta e assolata cittadina coloniale di 25.000 abitanti, e che ha fatto della pianura che si estende a nord della città uno dei più grandi misteri del nostro tempo. Le linee di Nazcá rappresentano una serie di animali, figure geometriche e uccelli le cui dimensioni raggiungono i 300 metri. 1 disegni sono stati tracciati raschiando la superficie arida del deserto e sono rimasti intatti per circa 2000 anni grazie alla scarsità di piogge nella zona e all'azione del vento che ha, per così dire, "spazzato" la pampa senza rimuovere gli strati superficiali del suolo. Il primo ad accorgersi che l'insieme di quelle strane linee formava delle enormi figure fu Paul Kosok, uno scienziato statunitense che nel 1939 sorvolò la costa peruviana a bordo di un piccolo aereo. Fino a quel momento i solchi erano stati ritenuti parti di un sistema di canali di una civiltà preinca, ma Kosok, esperto di irrigazione, si rese subito conto che non servivano affatto a trasportare dell'acqua. La sorte volle che il volo di Kosok avvenisse proprio nel giorno del solstizio d'estate. Mentre lo scienziato sorvolava la zona una seconda volta, si accorse che i raggi del sole cadevano parallelamente alle linee di un disegno che riproduceva le sembianze di un uccello con le ali spiegate. Kosok battezzò immediatamente la pianura "il più grande libro d'astronomia del mondo". Tuttavia, non fu Kosok ad avere l'onore di diventare il maggiore esperto delle misteriose linee, bensì una tedesca laureata in matematica di nome Maria Reiche, che studiò i disegni e li riprodusse in una mappa. Maria aveva 35 anni quando incontrò Kosok lavorando come interprete durante un seminario di studio su Nazcá, ma era giunta in Perù otto anni prima, con l'incarico di precettrice dei figli del console tedesco a Cuzco. Al termine del seminario la Reiche si soffermò a parlare con Kosok, che la incoraggiò ad approfondire gli studi della pianura. Convinta dalle parole dello scienziato, Maria si gettò a capofitto in quell'affascinante impresa, dedicandovi i successivi cinquant'anni della sua vita .Le sue teorie sulle centinaia di disegni che appaiono lungo una fascia di terreno di cinquanta chilo- metri compresa fra Nazcá e Palpa sono universalmente considerate le più plausibili.



"Queste opere furono eseguite per convincere gli dei ad aiutare gli antichi peruviani nell'agricoltura, nella pesca e in ogni altro tipo di attività" sostiene la Reiche, che considera la pampa un "calendario astronomico". Per esempio, il disegno della scimmia (il suo preferito) sarebbe il simbolo della costellazione del Grande Carro, che per gli indios rappresentava la pioggia. Di conseguenza, durante le stagioni aride (frequenti in una zona dove la durata delle precipitazioni ammonta più o meno a mezz'ora ogni due anni), gli indios disegnavano una scimmia per ricordare agli dei che c'era bisogno di pioggia. La Reiche ha risolto anche l'enigma che circondava la perfetta simmetria dei giganteschi disegni, giungendo alla conclusione che gli indios di Nazcá utilizzavano un'unità di misura fissa, probabilmente la distanza dal gomito alla punta dell'indice, che costituiva il modulo base per ogni raffigurazione. La simmetria è stata spiegata dalla Reiche con l'uso di una specie di compasso, formato da una cordicella e un picchetto, con il quale si tracciavano dei cerchi che venivano poi incisi lungo il diametro. Le teorie della Reiche hanno chiaramente incontrato anche degli oppositori, secondo i quali gli antichi indios non avrebbero mai disegnato qualcosa che non potevano vedere. Dal momento che i disegni sono visibili solo dall'alto, l'International Explorers Club organizzò nel 1975 un esperimento per dimostrare che gli indios erano in grado di alzarsi da terra. A questo scopo i soci del club costruirono una rudimentale mongolfiera di tessuto e canne, il Condor 1, che riuscirono a far volare per sessanta secondi, raggiungendo una quota di cento metri. Tuttavia, neppure questa prova, durata in realtà quattordici minuti in meno del previsto, è riuscita a sciogliere i dubbi dei più scettici.



Per    approfondire

“Perù Inca”,di F.Kauffmann Doig, Erizzo Editrice - “La conquista del Perù”, di W.Prescott, Einaudi - “Perù”, Guide Apa, Zanfi Editori - “Perù”, di G.Morelli e M.Minora, Clup Guide