Note storiche

Rimane sempre incerto il tempo in cui la valle incominciò ad essere popolata, né si sa da quali parti provenissero i primi abitanti. Alcuni propendono a credere che la prima gente facesse parte di alcune famiglie di pastori, che in primavera venivano a guardare il loro gregge sui monti di Taleggio. Altri invece affermano (e fra questi don Francesco Biava Salvioni, che fu parroco di Pizzino per 46 anni) che i primi abitanti fossero oriundi della vicina Valsassina; essi per trovare scampo alle frequenti incursioni barbariche, si rifugiarono tra le boscaglie della valle, le quali occupavano tutta l'area dei pascoli montani di Pizzino. Questo sarebbe avvenuto all'incirca nel X secolo. Anche secondo il perito agrimensore Giuseppe Locatelli di Vedeseta, sembra più probabile che i primi abitanti siano giunti fin qui dalla parte del Culmine di S.Pietro in seguito alle frequenti incursioni barbariche (vedasi la sua opera intitolata "Cenni e osservazioni sulla vallata di Taleggio").

La tradizione vuole che la vallata fosse già abitata fin dall'anno 1010,come è provato da una pietra segnata da una croce con la data MX scoperta sopra un arco della vecchia Parrocchiale di Pizzino ed oggi ancora visibile nel porticato presso il campanile dell'attuale Parrocchiale. Secondo poi l'ingegner Giuseppe Arrigoni di Introbio, la prima contrada costruita in valle fu quella del Retaggio e i primi popoli che incominciarono ad abitare la Valsassina furono gli Orobi i quali in seguito si inoltrarono nelle valli di Averara e Taleggio; si ignora però da dove venissero e in quale epoca si stabilirono in quei luoghi. Per altri, fra cui Giuseppe Locatelli, originario della frazione Lavina di Vedeseta, perito agrimensore morto a Bergamo nel 1840, i primi abitatori si stabilirono in quella parte di Pizzino ancor oggi detta Caravèr, confinante con la Chiesa Parrocchiale.Non è difficile accettare Caravèr come prima località abitata, ricordando che qui è sorta anche la prima chiesa cristiana.

Che la Chiesa di S.Ambrogio di Pizzino sia stata la prima chiesa costruita anticamente in valle, sotto l'invocazione di S.Ambrogio patrono della valle stessa, può essere dimostrato in vari modi. Prova fondamentale di "matricità" sono gli atti di smembramento e separazione di tutte le Parrocchiali, Vedeseta compresa, che in origine dipendevano dall'unica e primaria Chiesa Parrocchiale in Valle, appunto quella di S.Ambrogio. Infatti Vedeseta fu staccata da Pizzino ed eretta in parrocchia circa l'anno 1442 sotto il parroco Filippo Bevilacqua de Molteno; Peghera fu separata da Pizzino il 2 gennaio 1474; Olda e Sottochiesa vengono erette in parrocchie, separandosi da Pizzino, il 22 aprile 1494. Nell'inventario stilato nel 1368 relativo alle chiese dipendenti da Primaluna, vengono elencate soltanto la Cappellanìa di Santa Brigida, quella di Valtorta e di S.Ambrogio in Pizzino.

Di che cosa vivevano i primi abitanti ?

Sembra certo che quelle popolazioni vivessero di agricoltura e pastorizia, di caccia e pesca. I boschi, assai estesi, dovevano fornire cospicui mezzi di sostentamento. Per quanto riguarda la pastorizia, importantissimo era l'allevamento delle pecore, colla lana delle quali sì facevano dei panni venduti sui mercati di Averara e in Valsassina. Dopo il 1000 si sviluppa l'arte casearia, con l'allevamento bovino e la lavorazione del latte.

Sotto Carlo Magno, la Val Taleggio con Averara (esse formavano un unico ambito amministrativo) diventa feudo del vescovo di Milano. Inizia quindi la dipendenza di Taleggio e Averara dal capoluogo lombardo. Bernabò Visconti che nel 1355 aveva ereditato, con Galeazzo, il dominio visconteo, stabili di dare maggiore autonomia alle valli di Taleggio e Averara. Cosi quelle genti poterono darsi uno Statuto con leggi proprie.

Fra i primi e più importanti documenti che riguardano la vita dei nostri comuni, sono senza dubbio da annoverare gli statuti. Accanto agli statuti di carattere generale, si ebbero anche statuti di carattere particolare, relativi a cariche e uffici temporanei, ad associazioni e a particolari attività. Si ebbero così statuti di collegi di giudici e di notai, e di associazioni di arti e mestieri. Anche Bergamo ebbe i suoi statuti, ed è probabile che le disposizioni siano cominciate prima del 1183; comunque dopo tale data si ebbero compilazioni statutarie. Non solo il comune cittadino aveva raccolte di norme di carattere generale, ma ne aveva anche il territorio; avevano statuti circoscrizioni formate da più comuni, riuniti da ragioni amministrative e politiche, ed anche singoli comuni. Vi erano gli statuti di Averara, di Val Taleggio e Averara, della Val Brembana Superiore, della Val di Scalve, ecc. Ognuno di questi statuti era dettato per le particolari necessità della circoscrizione o del comune: da qui la varietà delle disposizioni. Veniamo ora ad esaminare lo Statuto di Valle Taleggio e Averara. Esso fu approvato dal doge Francesco Foscari il 26 ottobre 1443; dello statuto furono eseguite traduzioni per la miglior comprensione di tutti. Il codice membranaceo che abbiamo avuto in visione per gentile concessione della Biblioteca Civica "A.Mai" di Bergamo è una copia autentica fatta dal notaio Luchino q. Giacomo Bottagisi di Averara l'anno 1448. Tutti i nostri antichi statuti incominciano con una invocazione al Signore, alla Vergine e a qualche Santo. Quelli di Val Taleggio e Averara, poiché a quel tempo tali terre erano soggette al ducato di Milano e vi si seguiva il rito ambrosiano, hanno un'invocazione a S.Ambrogio e si dicono poi fatti e stabiliti anche a onore di Bernabò Visconti, signore di Milano e delle terre predette:

In Nomine Domini nostri Jesu Christi Amen. Anno MCCCLXoctavo indictione duodecima. Die XVII mensi decembris. Haec sunt Statuta et Ordinamenta Communis Terrarum Talegii et Averariae facta et ordinata ad honorem Dei et Gloriosae eius Matris Virginis Mariae et beatissimi Confessoris Sancti Ambrosii et Beatorum Apostolorum Petri et Pauli Bartholomei et Jacobi: Et ad honorem Magnifici et Excelsi Domini Domini Bernabovis Vicecomitis et nec non praedictarum Terrarum Domini generalis ..."

Come in genere tutti gli statuti, anche questo contiene disposizioni che regolano la vita del comune, altre relative ai reati ed alle pene, altre ancora relative ai doveri del cittadino, ai suoi diritti ed al modo di tutelarli. E' formato da centododici capitoli. Nei primi si tratta del Vicario delegato da Bernabò Visconti. Egli doveva risiedere in Taleggio, ma poteva nominare un suo luogotenente in Averara, per evitare a quegli abitanti di andare a Taleggio per ogni questione. Vengono elencati poi gli obblighi del Vicario, fra i quali curare che le pubbliche strade fossero in ordine, nominare sei uomini fra i migliori di quelle terre per comporre pacificamente i litigi, far fare, in presenza del Consiglio, i conti del Comune. Tutto il territorio di Taleggio e Averara era diviso in Quadre ed alla sua amministrazione doveva provvedere un Consiglio di diciotto uomini, dodici di Taleggio e sei di Averara, eletti dalle proprie Ouadre per un periodo di tre mesi. il Consiglio rappresentava la popolazione da cui era eletto ed aveva i più ampi poteri per l'amministrazione del Comune. I suoi poteri erano cosi ampi che si estendevano anche all'amministrazione della giustizia: era compito del Vicario curare l'amministrazione della giustizia, sia penale che civile, ma nello statuto è prescritto che tutte le condanne inflitte dal Vicario dovevano esser lette e pubblicate nel Consiglio di quelle Terre stesse. A queste norme fanno seguito quelle di diritto penale. Per i vari reati erano comminate pene gravi: essere marcato nel volto con un ferro rovente, sopportare il taglio di una mano o della lingua, aver troncata la testa o essere arso vivo. Accanto alla sanzione che riguarda il diritto del padre di percuotere i figli dissipati e rissosi anche col bastone, lo stesso vale per il maestro verso gli scolari o per il padrone nei confronti dei servi, si dice che i mariti possono battere le mogli, del cui corpo sono padroni, se non stanno in casa con la dovuta onestà. Era severamente vietato fabbricare monete false; i colpevoli venivano arsi vivi. Era vietato ingiuriare e percuotere; se le percosse cagionavano lesioni con perdita di qualche membro, il colpevole incorreva nella stessa pena. Fra le disposizioni di diritto privato, interessante quella in forza della quale si riteneva che i contratti fossero perfetti quando erano confermati con vino o con altro, o anche solo col tocco della mano. Degno di rilievo è anche lo spirito religioso che traspare da questo Statuto e il nobile precetto di aiutarsi vicendevolmente.

Continuando la trattazione delle vicende storiche, aggiungeremo che la vita della valle è lungamente tormentata dalle lotte tra le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini. I Ghibellini erano rappresentati dalle famiglie Arrigoni di Vedeseta, legate ai Visconti; i Guelfi dalle famiglie Salvioni, Bellaviti ,Offredi e Danelli. Il 26 dicembre 1395 le due parti firmarono la pace. Nel 1419 la popolazione di Taleggio giurava fedeltà a Filippo Maria Visconti, nonostante egli fosse fautore della politica ghibellina. La fedeltà di Taleggio ai Visconti, però, durò poco.

Nel 1427 la Repubblica Veneta, dopo aver mosso guerra al ducato di Milano, era entrata nel territorio bergamasco, per cui i nemici dei ghibellini ripresero le armi, tornando a dominare. Nel 1428 ecco la riscossa del duca di Milano che organizza una grande spedizione militare contro Venezia. In quest'occasione la fortezza di Pizzino(sulla rocca dì Pizzino i Guelfi avevano costruito un castello) resistendo agli assalti, impedì alle truppe viscontee di passare nella Val Brembana e Seriana Superiore. In una lettera ducale del 10 gennaio 1428 si ricorda che le famiglie de Salvionibus, de Bellavitis, de Fraggis, de Stavellis, de Pagaria, de Testoribus, de Olda, de la Romera, de Cacorvelio e de Piggono si presentarono al Serenissimo Principe ed esposero le loro benemerenze, fra le quali quella di aver sostenuto per l'attaccamento a Venezia la persecuzione dei duchi di Milano fomentata dagli Arrigoni, loro partigiani. Per questo il Principe accordò loro molti privilegi.

Seguono altre lotte fra i Visconti e Venezia.

Gli anni dal 1428 al 1433 sono decisivi per la provincia di Bergamo che passa dalla dominazione milanese-viscontea a quella veneta. Le valli dì Taleggio e Averara ottennero dai nuovi governanti di continuare a reggersi con gli statuti che esse si erano date sotto Bernabò Visconti. Taleggio rimase alla repubblica veneta, mentre la parte più vicina alla Valsassina, cioè il Canto, la Lavina, Vedeseta, Avolasio e Pratogiugno passarono a Milano. Dopo una lunga serie di lotte fra gli abitanti di Vedeseta, sudditi di Milano, e quelli dì Taleggio, sudditi di Venezia, furono meglio stabiliti i confini e posti anche dei "termini".

Nel 1620 vengono regolate alcune violente contese di confine e di pascolo tra gli abitanti di Sottochiesa e quelli di Vedeseta. Nel 1788 avviene il distacco spirituale di Taleggio con le sue quattro parrocchie dall'autorità arcivescovile di Milano e la sua aggregazione alla diocesi di Bergamo; Vedeseta resta legata alla diocesi di Milano. Il 13 marzo 1797 il gonfalone della Serenissima in Bergamo veniva ammainato e la città si proclamava repubblica e si fondeva nella Cisalpina. Finiva così, dopo circa quattro secoli, il dominio veneto su questo territorio.