|
Fase
iniziale
I
primi trapianti sperimentali di polmone
furono effettuati con successo da Metras in Francia nel 1950 e da Hardin e
Kittle negli Stati uniti nel 1954.Il
primo trapianto di polmone umano fu eseguito da Hardy (
figura 1) nel 1963.
(1)
Il
ricevente era affetto da carcinoma del polmone a cellule squamose infiltrante il
bronco principale sinistro e da enfisema cronico con riserva polmonare
inadeguata per tollerare un intervento di pneumectomia.
Il
polmone da trapiantare fu prelevato da un paziente deceduto per arresto cardiaco
dopo un infarto del miocardio.
Al
momento dell’intervento furono notati numerosi microascessi parenchimali
secondari alla natura ostruente del tumore e metastasi linfonodali in regione
ilare.
La
terapia immunosoppressiva praticata postoperatoriamente si basò
sull’associazione di azathioprina, farmaci corticosteroidi
e irradiazione timica.
Il paziente morì 18 giorni dopo l’intervento a seguito
dell'insorgere di una severa insufficienza renale.
Nonostante
la ridotta sopravvivenza del ricevente questo primo intervento di trapianto
polmonare richiamò l’attenzione di diversi ricercatori in tutto il mondo.
Durante i seguenti 15 anni furono effettuati circa 40 trapianti in diversi
centri del mondo ma, in nessuno caso si raggiunsero sopravvivenze accettabili.
Metà
dei pazienti morirono durante la prima settimana dall’intervento chirurgico a
causa di infezioni e rigetto acuto.
Il paziente che sopravvisse più a lungo fu
un uomo di 23 anni affetto da silicosi sottoposto a trapianto di polmone in
Belgio che fu dimesso dall’ospedale 8 mesi dopo l’intervento per
sopravvivere solo altri due mesi a causa di una serie di problemi tra cui
rigetto, sepsi e stenosi bronchiale.(2)
Tra
coloro che sopravvissero più di una settimana all’intervento chirurgico di
trapianto polmonare si notò la comparsa di importanti problemi di
cicatrizzazione dell’anastomosi bronchiale la cui natura multifattoriale fu
compresa successivamente.
A
differenza di quanto accade con altri trapianti di organi solidi, durante il
trapianto di polmone non viene effettuato di routine il ripristino della
circolazione arteriosa bronchiale.
La
vascolarizzazione dei bronchi del polmone trapiantato dipende da rami
collaterali dell’arteria polmonare e non dal ripristino della circolazione
delle arterie bronchiali, di
conseguenza l’anastomosi bronchiale risulta maggiormente esposta al rischio di
ischemia e deiscenza con conseguente contaminazione ed infezione mediastinica.
I rischi infettivi sono altresì accentuati dalla ritenzione
di secrezioni nel polmone donato dovuta alla significativa riduzione
dell’attività mucociliare.
Il
problema della deiscenza dell’anastomosi bronchiale stimolò l’interesse di
molti autori, i contributi più significativi alla comprensione e risoluzione di
questo problema furono apportati dal gruppo di Toronto diretto da J. Cooper che
nel 1981 dimostrò che le alte dose di corticosteroidi utilizzate in quel
periodo per ottenere livelli di immunosoppressione adeguati avevano effetti
avversi alla guarigione dell’anastomosi. (2)
Usando modelli
sperimentali animali di trapianto polmonare gli stessi autori dimostrarono:
1.
L’utilità
di utilizzare un lembo peduncolato di omento per proteggere l’anastomosi
bronchiale, al duplice scopo di favorire la neovascolarizzazione
dell’anastomosi stessa mediante la creazione di collaterali nel bronco
ischemico, e di creare un supporto di contenimento dell’infezione qualora si
verifichi la deiscenza, evitando la diffusione dell’infezione all’intero
mediastino.(2)
2.
L’assenza
di effetti dannosi sulla guarigione
dell’anastomosi da parte della ciclosporina, un potente farmaco
immunosoppressore, all’epoca di recente scoperta, che consentiva di ridurre
l’utilizzo di alte dosi di steroidi per prevenire fenomeni di rigetto.
(2)
Nonostante
questi nuovi importanti contributi alla comprensione delle problematiche
cliniche che fanno seguito al trapianto polmonare, nei primi anni 80 rimanevano
numerose questioni irrisolte, prima fra tutte la definizione di adeguati criteri
di selezione per pazienti potenziali candidati al trapianto di polmone.
Inizialmente furono selezionati per trapianto polmonare pazienti affetti da
fibrosi polmonare, patologia considerata ideale per trattamento con trapianto di polmone singolo, poiché
l’aumentata resistenza sia alla perfusione che alla ventilazione nel polmone
nativo fibrotico residuo garantisce una perfusione e una ventilazione
preferenzialmente dirette verso il polmone “sano” donato.
Sulla
base di queste valutazioni, il 7 novembre 1983 a Toronto fu effettuato con
successo un trapianto di polmone singolo in un paziente di 58 anni con fibrosi
polmonare primitiva il quale sopravvisse circa sei anni all’intervento prima
di morire a seguito di severa insufficienza renale.(1)
Successivamente,
si effettuò il trapianto di polmone bilaterale in pazienti per i quali,
il trapianto di polmone singolo non era appropriato e il trapianto cuore-polmoni
non necessario. Anche questa tecnica comunque si dimostrò essere, almeno
inizialmente, particolarmente difficoltosa a causa della complessità tecnica,
in particolare sanguinamento, rischio di ischemia delle
vie aeree e denervazione cardiaca.
(2)
|
|