Fonte: Lindzey, Thompson, Spring. Psicologia. Zanichelli

N.B. Documento presente esclusivamente per fini didattici. Il suo inserimento in una pagina pubblica é finalizzato esclusivamente a consentire agli studenti di psicologia di integrare il testo consigliato (Grey) con informazioni in grado di migliorare la comprensione di alcuni argomenti. Per i riferimenti contenuti nel testo sottostante si rimanda alla pubblicazione originale, disponibile presso la Biblioteca del Dipartimento.

 

LE TEORIE CLASSICHE DELLE EMOZIONI

Che cosa fa sì che proviamo delle emozioni? Quali sono le componenti di un’emozione che vengono per prime e provocano le altre? I primi studiosi cercarono di scoprire la sequenza, o ordine causale, di tre componenti: la sensazione soggettiva di un’emozione, le modificazioni fisiologiche e il comportamento espressivo. Oggi l'interesse si è focalizzato in larga misura sulla connessione causale fra due componenti: la valutazione cognitiva (i pensieri) e le emozioni soggettive (le sensazioni).

 

LA TEORIA DI JAMES-LANGE

Negli anni 1884-1885, il più eminente psicologo americano, William James, e uno psicologo danese, Carl Lange, pubblicarono, indipendentemente l’uno dall’altro, una teoria analoga dell’emozione. Lo scopo che entrambi si proponevano era di sfidare quella che essi definivano la teoria del senso comune, secondo la quale, quando a qualcuno viene chiesto perché trema, di solito risponde: "Perché ho paura", oppure, alla domanda perché piange, replica: "Perché sono triste". Queste risposte implicano la convinzione che prima vengono le sensazioni, le quali, a loro volta, producono gli aspetti fisiologici ed espressivi delle emozioni. Secondo James e Lange, bisogna combattere la teoria del senso comune, dal momento che non piangiamo perché siamo tristi, ma ci sentiamo tristi perché piangiamo; non tremiamo perché siamo spaventati, ma proviamo paura perché stiamo tremando. Il cuore non batte più in fretta perché siamo arrabbiati, ma siamo in collera perché il cuore batte più in fretta. Gli studi successivi (Izard, 1979; Schwartz et al.,1976) hanno sostenuto la tesi a proposito delle espressioni facciali: non ridiamo perché siamo felici, ma proviamo una sensazione piacevole perché ridiamo. La teoria di James-Lange sostiene che l’emozione è la sensazione di modificazioni fisiologiche.

 

Le modificazioni corporee seguono direttamente la percezione di un fatto eccitante…la nostra sensazione delle modificazioni che intervengono è l’emozione…Se immaginiamo un’emozione intensa e poi cerchiamo di estrarre dalla consapevolezza che ne abbiamo tutte le sensazioni relative ai suoi sintomi somatici, scopriamo che non abbiamo tralasciato nulla, nessun "contenuto mentale" senza il quale non vi può essere emozione e che tutto ciò che resta è uno stato, freddo e neutrale, di percezione intellettuale (James,1890).

 

Per quanto concordassero sul fatto che l’emozione è la sensazione di modificazioni fisiologiche, James e Lange evidenziarono meccanismi fisiologici differenti. Per James, le basi fisiologiche delle sensazioni erano le viscere (lo stomaco e il cuore, ad esempio), le espressioni del volto, l’attività motoria e la tensione muscolare, mentre per Lange erano le modificazioni del battito cardiaco e la pressione sanguigna.

 

LA TEORIA DI CANNON-BARD

La teoria di James-Lange ha dominato per parecchi anni e ha stimolato numerose ricerche sui processi fisiologici implicati negli stati emotivi. In seguito un fisiologo, Walter Cannon (1927), ne pubblicò una critica che incontrò un notevole successo. I suoi scritti sollevarono molte ed importanti obiezioni alla teoria di James-Lange e convinsero molti psicologi che era una teoria insostenibile.

Cannon mise in evidenza che gli organi viscerali sono strutture relativamente insensibili, scarsamente fornite di nervi. Per questo motivo, le modificazioni viscerali sono piuttosto lente - più lente delle modificazioni che noi sentiamo negli stati emotivi. Ma allora come è possibile che siano le modificazioni viscerali a produrre i nostri rapidi cambiamenti di umore? Inoltre, le reazioni emotive sono presenti anche quando gli organi viscerali sono stati chirurgicamente isolati dal SNC. Quando in un cane venivano resecati il midollo spinale e i nervi del vago, in modo che le viscere non avevano più nessuna connessione con il cervello, l’animale si comportava ancora come se provasse delle emozioni. Quando veniva minacciato o colpito, si metteva ad abbaiare, ringhiava e tentava di azzannare, esattamente come faceva prima dell’intervento.

Secondo la teoria di James-Lange, veniamo a conoscenza delle nostre emozioni per i cambiamenti fisiologici specifici che segnalano ogni sensazione. Cannon, invece fece rilevare che le ricerche non avevano affatto dimostrato che ogni emozione è accompagnata da un unico evento fisiologico. Lo stesso stato generale di attivazione del sistema nervoso simpatico è presente, anzi, in molte e differenti emozioni. Ad esempio, gli stati viscerali che accompagnano la paura e la rabbia sono esattamente gli stessi che sono associati alle sensazioni di freddo e alla febbre. Non sembra, dunque, possibile che le modificazioni fisiologiche negli organi viscerali provochino emozioni riconoscibilmente differenziate.

L’ultima obiezione sollevata da Cannon è che certe sostanze producono modificazioni viscerali identiche a quelle notate negli stati di attivazione emotiva intensa, ma non generano un’autentica esperienza emotiva. Ad esempio, Gregorio Maranon (1924) iniettò ad un gruppo di volontari dell’adrenalina, l’ormone secreto dal midollare del surrene. Nella maggior parte dei soggetti, l’adrenalina provocò modificazioni fisiologiche - ad esempio un aumento del battito cardiaco e una restrizione delle pupille. Alla richiesta di scrivere quello che sentivano, il 71% dei volontari riferì i sintomi fisici, ma nessuna emozione. Cannon (1927) avanzò una sua ipotesi sull’origine delle emozioni, ipotesi che venne successivamente elaborata da Philip Bard (1929), secondo la quale è il talamo a svolgere un ruolo critico nell’esperienza emotiva. Per Cannon e Bard (teoria di Cannon — Bard), gli impulsi nervosi che fanno passare le informazioni sensoriali vengono poi ritrasmessi attraverso il talamo. Ricevendo questo input verso l’alto della corteccia (provocando un’esperienza emotiva soggettiva) e verso il basso ai muscoli, alle ghiandole e agli organi viscerali (producendo delle modificazioni fisiologiche). Cannon e Bard sostenevano che le componenti soggettive e fisiologiche dell’emozione sono simultanee, discordando, in ciò da James, il quale sosteneva che le modificazioni fisiologiche precedono e attivano gli stati soggettivi.

Altre ricerche, successive, hanno indicato che sono l’ipotalamo e il sistema limbico — e non il talamo — le principali strutture cerebrali implicate nella regolazione delle emozioni. A Cannon resta, comunque il merito di avere sollevato alcune importanti critiche sulla teoria di James — Lange e di avere introdotto nel dibattito un importante punto di vista alternativo sulla sequenza degli eventi emotivi.

 

LA CRITICA DI CANNON — BARD RIVISITATA

Nei sessant’anni trascorsi da quando Cannon avanzò le sue critiche alla teoria di James — Lange si sono accumulate nuove prove che mettono in dubbio alcune delle sue argomentazioni. Queste scoperte evidenziano ulteriormente la necessità di riconsiderare le ipotesi fondamentali sulle emozioni.

Cannon aveva osservato che gli animali manifestavano alcuni comportamenti emotivi anche dopo che erano state praticate delle lesioni nelle connessioni dei nervi afferenti che forniscono al cervello il feedback proveniente dalle viscere. Cannon quindi contestò l’ipotesi di James, secondo cui le sensazioni viscerali sono l’ingrediente centrale delle sensazioni emotive.

Questa critica è stata messa in dubbio per vari motivi. Innanzi tutto i primi esperimenti erano stati contestati perché non erano state resecate tutte le connessioni nervose fra il cervello e gli organi interni. In secondo luogo, James non aveva mai sostenuto che le modificazioni viscerali fossero le uniche sensazioni delle emozioni, in quanto aveva sottolineato il contributo del feedback proveniente dai cambiamenti verificatisi nelle espressioni facciali e nei muscoli scheletrici. Queste fonti di feedback fisiologico rimanevano attive negli animali in cui Cannon aveva prodotto delle lesioni. Infine, per quanto gli esperimenti sugli animali avessero dimostrato che il comportamento emotivo persiste in assenza di un feedback viscerale, tuttavia non dicevano se le sensazioni soggettive dell’emozione venissero limitate dall’operazione. Può essere rischioso ipotizzare che comportamento e sensazioni corrispondano esattamente. Per quanto la teoria di James- Lange faccia delle previsioni specifiche sulle sensazioni, risulta difficile studiarle nei cani, che non possono dire nulla sulle loro esperienze emotive interne.

Per cercare di scoprire se le sensazioni fisiologiche sono necessarie per produrre delle emozioni, George Hohmann (1966) ha intervistato dei veterani dell’esercito a cui era stato reciso il midollo spinale. Alcuni di questi uomini avevano delle lesioni nella parte alta del midollo spinale, per cui avevano perso la sensibilità della maggior parte delle funzioni somatiche che si producevano al di sotto delle spalle (rimanevano comunque le sensazioni provenienti dal cuore). Questi individui, rimasti privi di un feedback viscerale e di quello relativo ai muscoli scheletrici, descrivevano di avere esperienze emotive meno intense, anche se spesso si comportavano in modo del tutto emotivo. Erano diminuite, in modo particolare, le sensazioni di autentica paura e rabbia. Come disse uno di loro:

Ora non ho più una sensazione di animazione fisica, è una specie di rabbia fredda. A volte mi comporto come se fossi arrabbiato, quando vedo qualche ingiustizia. Mi metto a gridare e impreco e mando al diavolo, perché se non si fa così qualche volta, ho imparato che gli altri hanno il sopravvento, ma non c’è alcun calore nel fare ciò. E’ un tipo di rabbia mentale (Hohmann,1966).

Cannon, inoltre, affermò che le modificazioni viscerali sono molto generali e troppo indistinte per arrivare a comunicare differenti emozioni. Per quanto le ricerche fatte negli anni ’20 e ’30 non riuscissero a dimostrare le modificazioni fisiologiche caratteristiche che accompagnano ogni emozione, le scoperte fatte successivamente ne rivelano alcune. Ad esempio Albert Ax (1953) ha usato un poligrafo per registrare la pressione del sangue, la RGP, la respirazione e la tensione muscolare. Mentre venivano fatte le registrazioni, gli sperimentatori mettevano i soggetti in uno stato di irritazione riempiendoli di insulti oppure li impaurivano facendo uscire delle scintille dal poligrafo. Ax scoprì che la metà (7 su 14) dei dati fisiologici raccolti con il poligrafo differenziava la rabbia dalla paura. Ad esempio la pressione diastolica del sangue era notevolmente più alta nello stato di collera.

Altre ricerche, successivamente, hanno convalidato ed esteso questi dati. Schwartz e i suoi colleghi (Schwartz,Weinberger e Singer, 1981) hanno studiato 32 studenti universitari che erano stati addestrati a fingere alcune situazioni. Questi ricercatori registrarono la pressione sanguigna ed il battito cardiaco dei soggetti mentre immaginavano di salire e scendere le scale, mentre si sentivano felici, tristi, arrabbiati, impauriti o rilassati. Gli sperimentatori, inoltre, registrarono le risposte fisiologiche dei soggetti mentre salivano e scendevano le scale, come avrebbero fatto normalmente. Infine i soggetti salirono le scale mentre i loro atteggiamenti facciali e posturali esprimevano ciascuna delle emozioni considerate; anche in questo caso vennero registrate le loro risposte fisiologiche. I risultati indicarono che, dopo aver immaginato uno stato di collera, la pressione sanguigna diastolica era più alta rispetto a quando avevano immaginato tutte le altre emozioni. Sembra, quindi, che la pressione sanguigna diastolica aumenti notevolmente quando i soggetti sono realmente arrabbiati, come avveniva nelle ricerche di Ax (1953) o anche se immaginavano di esserlo. Inoltre, quando nelle ricerche di Schwartz e dei suoi colleghi gli studenti universitari si erano esercitati a mimare uno stato di collera, il loro battito cardiaco accelerava più del solito. Oltre a ciò, aumentava anche la pressione sanguigna sistolica, che rimaneva abnormemente elevata anche dopo che avevano finito di rimanere in quello stato. Questi dati inducono alla formulazione di una interessante ipotesi su ciò che accada quando le persone si sottopongono ad un faticoso esercizio fisico in uno stato mentale di frustrazione e di collera. Allenarsi quando le condizioni psichiche sono di questo tipo può mettere sotto sforzo il sistema cardiovascolare.

E’ possibile che Cannon abbia sottovalutato l’importanza di sensazioni fisiologiche differenziate nella produzione di esperienze emotive, ma a lui spetta, indubbiamente, il merito di aver introdotto il concetto che per provocare delle emozioni sono necessari gli input che provengono sia dalla corteccia cerebrale sia dal SNA.

Verso la fine degli anni ’50 gli psicologi cognitivisti hanno ampliato questo punto di vista, suggerendo che il fattore più importante dell’emozione che sentiamo è il modo in cui valutiamo ed interpretiamo le situazioni. In altre parole, non è l’ambiente in sé che influisce su di noi, bensì il modo in cui ci rappresentiamo l’ambiente stesso.

 

ARNOLD : LA TEORIA DELLA VALUTAZIONE COGNITIVA

Una delle prime teorie cognitiviste dell’emozione è stata quella formulata da Magda Arnold (Arnold, 1960; Mandler, 1982; Sommers e Scioli, 1986). La sua teoria della valutazione cognitiva suggerisce che quando ci imbattiamo per la prima volta in una situazione la valutiamo spontaneamente come buona o cattiva, utile o dannosa. Secondo Arnold queste prime valutazioni sono mediate dal sistema limbico. Le valutazioni, a loro volta, introducono delle "tendenze ad agire". Una sensazione di attrazione ci trascina verso situazioni che abbiamo valutato come cattive. Le emozioni emergono sia dalla nostra valutazione della situazione sia dalle nostre azioni. Ad esempio, la gioia compare quando valutiamo qualcosa come buono e siamo spinti nella sua direzione. Si ha, invece, uno stato di rabbia quando giudichiamo cattivo un evento e ne proviamo avversione.

 

SCHACHTER: LA TEORIA DEI DUE FATTORI

Nel 1964, Stanley Schachter ha formulato una teoria che per più di due decenni è rimasta il modello interpretativo dominante dell’emozione. Rientrano nella sua teoria sia l’importanza attribuita da Arnold alla valutazione cognitiva sia il rilievo dato da James alle sensazioni fisiologiche. Per questo motivo, il modello di Schachter viene definito teoria dei due fattori.

Secondo Schachter, si prova un’emozione quando si sceglie un’etichetta cognitiva per designare uno stato diffuso di attivazione fisiologica cui diamo il nome di una particolare sensazione. A differenza di James, Schachter non avanza l’ipotesi che le sensazioni fisiologiche sono emozioni e che ciascuna emozione è accompagnata da modificazioni fisiologiche differenziate. Schachter suggerisce, invece, che lo stato di attivazione è soltanto un’attivazione generalizzata del SNA, finché non lo colleghiamo cognitivamente a un’interpretazione relativa ad un’emozione. Ad esempio, al giudizio: " I crampi allo stomaco mi sono venuti perché quest’uomo mi sta minacciando" seguirà una sensazione di paura. Comunque, non si proveranno emozioni se gli stimoli esterni non vengono associati su basi cognitive allo stato di attivazione. Può succedere, ad esempio, che io noti di avere mal di stomaco e che quell’individuo sembri molto irritato, ma questi due eventi, non correlati tra loro non provocano alcuna emozione. Per Schachter, le sensazioni sono come un jukebox, un’analogia suggerita quasi negli stessi anni anche da George Mandler (1962). Se le monete non mettono in moto la macchina, non verrà suonato nessun disco. Ma una volta che il jukebox si è messo in funzione, possiamo scegliere quale canzone ascoltare. Mettere in funzione la macchina con le monete è un processo analogo all’attivazione fisiologica. L’attivazione determina l’intensità di una esperienza emotiva. Il processo di selezione di un disco è analogo a quello della valutazione cognitiva e produce la qualità dell’esperienza emotiva. Secondo la teoria dei due fattori, o del jukebox, perché si abbia una sensazione, devono esserci sia un’attivazione sia un’etichetta (o spiegazione) adeguata dello stato interiore. Prendiamo ad esempio l’amore. Noi siamo sempre a contatto con persone attraenti e piacevoli, eppure nessuna cattura la nostra fantasia perché dentro di noi non "si accende" niente. Pio, ad una festa, nel corso di una gradevole conversazione tra più persone, fra cui alcune che conosciamo, un vassoio cade facendoci sussultare e producendo un aumento del nostro battito cardiaco. Quando la conversazione riprende, può succedere che noi attribuiamo lo stato di attivazione ai sentimenti evocati da una persona presente.

Gli esperimenti di Schachter e Singer

In un esperimento classico, Schachter e Jerome Singer (1962) sottoposero a verifica la teoria dei due fattori. Il loro lavoro era stato in parte anticipato da un’osservazione fatta quasi quarant’anni prima da Gregorio Maranon (1924), il quale aveva osservato che un’iniezione di adrenalina non provoca reazioni autentiche, anche se produce uno stato di attivazione fisiologica.

Ma Maranon riferì anche un interessante aneddoto. Prima di fare l’iniezione, a volte parlava ai soggetti della perdita dei loro genitori o di un bambino malato. Quando si trovavano in uno stato fisiologico di non attivazione, i partecipanti dell’esperimento affrontavano con calma questi argomenti. Quando, però, Maranon proponeva gli stessi temi dopo l’iniezione, i soggetti esprimevano sensazioni molto più intense. Secondo Maranon, i pensieri che risultavano innocui in uno stato di tranquillità provocano emozioni nel corso dell’attivazione fisiologica prodotta dall’adrenalina.

Schachter e Singer dedussero che i soggetti di Maranon avevano capito che le loro sensazioni erano causate da un farmaco e quindi non tendevano a interpretare il loro stato di attivazione come il segno di un’emozione. Nelle loro previsioni, i soggetti ai quali non era stata fornita un’adeguata spiegazione del loro stato di attivazione ne avrebbero cercato la causa nella situazione immediata, avrebbero cioè pensato di provare effettivamente delle emozioni invece che gli stati emotivi del "come se" riferiti dai soggetti di Maranon.

Schachter e Singer dissero ai loro soggetti che erano stati reclutati per un esperimento che doveva valutare gli effetti prodotti sulla vista da un prodotto vitaminico, il Suproxin. Al gruppo di controllo venne iniettato un placebo, vale a dire una sostanza inattiva. I restanti soggetti vennero poi suddivisi in tre gruppi - quelli informati, quelli non informati e quelli informati inadeguatamente — tutti ricevettero una piccola dose di adrenalina. Al gruppo informato venne detto che doveva aspettarsi determinati effetti dal Suproxin, fra cui alterazione del battito cardiaco e tremiti (gli effetti prodotti in realtà dall’adrenalina). Al gruppo non informato gli sperimentatori riferirono che il Suproxin era una medicina molto blanda che non produceva alcun effetto. Infine, al gruppo informato inadeguatamente dissero di aspettarsi alcuni effetti improbabili , come intorpidimento ai piedi, prurito e leggero mal di testa. Schachter e Singer si aspettavano che i soggetti degli ultimi due gruppi, che non avevano ricevuto spiegazioni soddisfacenti per lo stato di attivazione in cui sarebbero entrati, avrebbero cercato nell’ambiente gli indizi per capire perché si sentivano così attivati.

Alcuni indizi li fornirono i ricercatori, usando un "complice" che fingeva di essere uno studente che aspettava di fare il test della vista e si comportava in modo da suscitare euforia o rabbia. Nella condizione di euforia rideva e scherzava, giocava con hula hoop e invitava i soggetti a partecipare al gioco. Nella condizione di rabbia, il complice e i soggetti erano seduti l’uno accanto all’altro e dovevano completare un questionario di cinque pagine, molto personale, che comprendeva domande impertinenti del tipo:

Quante volte alla settimana ha rapporti sessuali?

Con quanti uomini, al di fuori del matrimonio, ha avuto delle relazioni sua madre?

Quale componente della sua famiglia non si fa il bagno o non si lava regolarmente?

Quale, tra i suoi familiari, sembra aver bisogno di cure psichiatriche?

Mentre compilavano il questionario, il complice si mostrava sempre più irritato, fino ad arrivare a strappare il questionario e a precipitarsi fuori dalla stanza.

I risultati dell’esperimento hanno confermato per molti versi le aspettative dei ricercatori. Chi non aveva ricevuto informazioni o ne aveva ricevute di inadeguate tendeva ad assumere l’umore del complice: si lamentava nella situazione che produceva uno stato di collera e si comportava in modo frivolo in quella euforizzante. I soggetti informati, che sapevano come spiegare il loro stato di attivazione fisiologica, tendevano in misura minore ad imitare il complice.

Alcune delle scoperte fatte da Schachter e Singer, tuttavia, non coincidono con la teoria dei due fattori. Ad esempio, il gruppo di controllo — i soggetti ai quali era stato dato un placebo e non avevano subito alcuna attivazione a livello del SNS — apparivano più arrabbiati rispetto a quelli informati. Perché, se non erano in uno stato di attivazione, i soggetti del gruppo di controllo agivano come se fossero in collera? Nel tentativo di risolvere questa discrepanza Schachter e Singer avanzarono l’ipotesi che un placebo non impedisce il verificarsi di uno stato di attivazione. Di conseguenza, è possibile che anche in alcuni soggetti che avevano ricevuto il placebo si fosse verificato un incremento dell’attivazione provocata dal SNS, per il solo fatto di partecipare all’esperimento. Un’attenta analisi dimostrò che, fra i soggetti chi era stato somministrato il placebo, i soli ad imitare il complice erano quelli che erano stati attivati fisiologicamente nel corso dell’esperimento. Secondo Schachter e Singer, questo dato è coerente con quanto avevano sostenuto fin dall’inizio: gli studenti si comportavano emotivamente solo se si sentivano attivati e obbligati a scoprire una spiegazione al loro stato di attivazione.

Anche il fatto che i soggetti i quali agivano in modo irritato insieme con il complice non riferissero sensazioni di fastidio è sconcertante. In realtà, dicevano di sentirsi felici. Questa discrepanza ci ricorda che è possibile che i comportamenti emotivi e le esperienze emotive soggettive non si presentino sempre insieme. I veterani con lesioni al midollo spinale studiati da Hohmann (1966) esprimevano molto chiaramente questo punto, quando riferivano che a volte si comportavano in modo emotivo, anche quando sentivano che le loro sensazioni non corrispondevano alle azioni che compivano. La maggior parte di noi evidenzia regolarmente lo stesso principio nella vita di tutti i giorni, come quando ci comportiamo come se fossimo tristi per mostrare solidarietà con i problemi di una persona o quando sembriamo felici, malgrado i problemi che ci affliggono.

Una valutazione della teoria di Schachter

R. Reisenzein (1983) ha passato in rassegna i numerosi esperimenti condotti per verificare la teoria di Schachter, allo scopo di stabilire quanto reggesse al test del tempo.

Dapprima Reisenzein valutò se un calo dell’attenzione attutisse le emozioni e criticò le conclusioni tratte dalle ricerche sui pazienti con lesioni al midollo spinale. Poiché queste persone risentono di una diminuzione dell’attivazione fisiologica e delle emozioni, si è dedotto che la perdita della possibilità di attivarsi fisiologicamente produce un ottundimento delle emozioni. Secondo Reisenzein, è possibile che le cause di questo ottundimento non siano necessariamente fisiologiche. Di fronte a persone handicappate ci si può sentire imbarazzati , incapaci di interagire o in grado soltanto di trattarle diversamente da come erano prima dell’incidente. I pazienti con lesioni probabilmente affrontano questa situazione imparando a reprimere le emozioni, come un mezzo per affrontare un senso di disagio e di scoraggiamento. L’attenuazione dell’esperienza emotiva, quindi, può essere più in relazione con la situazione depressiva della persona che con la perdita di stimoli fisiologici.

Reisenzein ha passato in rassegna anche i dati provenienti da ricerche che avevano fatto uso di una nuova classe di farmaci, i beta-bloccanti. Il propranololo e altri beta-bloccanti impediscono che l’attivazione prodotta dal SNA agisca sul cuore. Se la teoria di Schachter è esatta, alcuni farmaci, fra cui il propranololo, dovrebbero attutire l’esperienza emotiva, dal momento che riducono le sensazioni cardiache. E invece succede che i beta-bloccanti non impediscono alle persone sane di sentirsi in ansia o in collera quando queste emozioni vengono indotte in una situazione di laboratorio. In alcuni pazienti che denunciano come segnale di ansia un’accelerazione del battito cardiaco, il propranololo, riportando alla normalità il battito cardiaco, allevia la sensazione di ansia. I beta-bloccanti, tuttavia, non aiutano gli altri pazienti che soffrono di ansia e non producono alcun effetto ansiolitico, come fanno il Librium e il Valium.

Basandosi su queste ricerche, Reisenzein è arrivato a una conclusione drastica, suggerendo che tutte le teorie classiche sull’emozione, comprese quelle di William James, Walter Cannon e Stanley Schachter, hanno sopravvalutato il ruolo delle sensazioni fisiologiche nel produrre le esperienze emotive. A suo parere, non esistono prove convincenti a sostegno della tesi che è necessario uno stato di attivazione perché si verifichino delle emozioni.

Reinsenzein trovò un supporto ad una versione più moderata della teoria dei due fattori di Schachter. Se l’attivazione è indotta artificialmente, ad esempio per mezzo di un’iniezione di adrenalina e se una persona è portata a interpretare l’attivazione come segnale di uno stato emotivo, allora viene intensificato uno stato di sensazione.

In questa congiuntura, è difficile valutare la teoria di Schachter. Sembra che sia possibile riprodurre numerosi dati rilevati da Schachter e Singer se esistono effettivamente alcune circostanze specifiche. Rimane comunque aperta una questione importante, vale a dire se il fenomeno studiato da Schachter sia rappresentativo di una normale esperienza emotiva. Quante volte ci capita di provare uno stato inspiegabile di attivazione emotiva e di sentirci costretti a cercare una spiegazione? Indubbiamente, succede più spesso che sappiamo che cosa proviamo e perché.

 

PROCESSI COGNITIVI O EMOZIONALI: CHI VIENE PRIMA?

In questi ultimi anni sono state avanzate due teorie sulle normali esperienze emotive, teorie che dedicano un’attenzione relativamente scarsa al ruolo delle modificazioni biologiche e dell’attivazione fisiologica. La controversia è attualmente centrata su che cosa venga prima, se la valutazione cognitiva o le sensazioni soggettive.

 

ZAJONC: VIENE PRIMA L’EMOZIONE

Nel 1980, Robert Zajonc ha pubblicato un articolo provocatorio intitolato "Feeling and Thinking: preference need no Inferences". Nell’articolo Zajonc cita i versi di E. E. Cummings che sostengono con la massima semplicità che " per primo viene il sentimento". Concordando con questa affermazione, Zajonc contesta l’ipotesi avanzata dalla psicologia cognitivista secondo cui, per provare una sensazione relativa a un evento, prima si deve interpretare o valutare l’evento stesso. Secondo Zajonc, le emozioni soggettive e volte sono la primissima risposta che una persona fornisce ad un evento; le reazioni emotive, inoltre, non sono necessariamente accompagnate da pensieri e non compaiono più rapidamente rispetto alle valutazioni cognitive. A volte, ad esempio, noi proviamo una simpatia immediata per qualcuno che attraversa una stanza o un’avversione per qualcun altro, per il modo in cui risponde al telefono.

In questi casi, si tratta di reazioni emotive che compaiono prima che noi disponiamo di informazioni sufficienti per valutare una persona su basi razionali.

Zajonc ha messo in dubbio la convinzione che noi di solito affrontiamo la vita come bravi scienziati, vagliando le prove prima che prima di decidere quali sensazioni proviamo. A volte, quando vengono per prime le sensazioni, ci comportiamo da veri romantici, lasciando che i pensieri cadano dove possono. Per Zajonc, è ragionevole concludere che le sensazioni soggettive e le valutazioni cognitive sono, almeno in parte, indipendenti. A suo parere, le sensazioni possono comparire prima, dopo o contemporaneamente ai processi cognitivi. Inoltre, le sensazioni a volte forniscono energie al comportamento emotivo, indipendentemente dal fatto che siano o meno rinforzate dal pensiero. Secondo Zajonc, "Non è sulla base di una dettagliata analisi cognitiva dei pro e dei contro delle loro azioni che le persone si sposano o divorziano, uccidono o si suicidano oppure rinunciano alla libertà".

A riprova del fatto che può esserci emozione senza elaborazione cognitiva , Zajonc cita una ricerca di William Wilson (1979). In un esperimento programmato allo scopo di verificare se la simpatia (sensazione soggettiva) può comparire in assenza di riconoscimento (valutazione cognitiva) , Wilson ha usato un test basato sull’ascolto dicotomico, facendo ascoltare un breve racconto attraverso uno dei due auricolari di una cuffia stereo. Ai soggetti si chiedeva di correggere le bozze del racconto su di un foglio scritto a macchina, individuando gli errori. Attraverso l’altro auricolare Wilson faceva ascoltare alcuni brani musicali ripetendoli cinque volte. Nella seconda parte dell’esperimento, Wilson faceva riascoltare i brani precedenti più alcuni altri, e chiedeva ai partecipanti di segnalare quelli che avevano già sentito. I soggetti erano talmente assorbiti dal compito principale, che la percentuale delle risposte esatte (il 53% in una ricerca e il 59% nell’altra) non risultava molto superiore a quella che si ottiene quando si cerca di indovinare. I soggetti, inoltre, dovevano segnalare la preferenza per ciascun brano, usando una scala da 0 a 6 punti, dove 6 segnalava il gradimento maggiore. I risultati dimostrano che le preferenze andavano alle melodie che erano già state ascoltate, piuttosto che a quelle nuove, anche se i soggetti non erano in grado di riconoscere le nuove rispetto a quelle già ascoltate. Questi dati concordano con la premessa fatta da Zajonc, secondo cui l’attrazione che è una sensazione soggettiva, si manifesta prima del riconoscimento, che è una valutazione cognitiva.

Una ricerca più recente fatta da W. R. Kunst- Wilson e Zajonc (1980) dimostra che le preferenze emotive per le forme si sviluppano anche quando le figure sono visibili per un periodo di tempo estremamente breve. Ai soggetti vennero mostrate delle diapositive che riproducevano forme ottogonali irregolari, cinque volte ciascuna per un solo millisecondo. Successivamente, gli sperimentatori fecero vedere alcune coppie di ottagoni, all’interno delle quali chiesero di scegliere quella preferita e che sembrava già nota. Solo 5 soggetti su 34 riconobbero gli stimoli a un livello superiore rispetto al caso, mentre 16 preferirono gli ottagoni "vecchi" rispetto ai "nuovi".

Quando i soggetti dicevano che stavano cercando di indovinare, sia il riconoscimento sia la discriminazione emotiva rientravano nella casualità. La precisione del riconoscimento rimaneva in questo ambito anche quando i soggetti erano più sicuri delle proprie scelte, mentre il riconoscimento emotivo diventava molto più accurato. Non si è scoperto il motivo per cui le valutazioni emotive possono venire affinate con tanta maggiore rapidità rispetto a quelle cognitive. Una spiegazione potrebbe essere che la nostra sopravvivenza è legata ad un meccanismo potente — ad una sensazione di attrazione- che ci porta a dirigerci verso ciò che è familiare e ad allontanarci da ciò che non lo è e che quindi è potenzialmente pericoloso.

 

LAZARUS: VIENE PRIMA LA VALUTAZIONE COGNITIVA

Opponendosi nettamente al punto di vista di Zajonc, Richard Lazarus (1982) afferma che perché compaia un’emozione è necessario e sufficiente il pensiero (la valutazione cognitiva) ( i termini necessario e sufficiente descrivono i requisiti logici per ogni evento: nessun evento può avere luogo senza la condizione necessaria, mentre può accadere in presenza della condizione sufficiente). La tesi di Lazarus assomiglia a quella di Magda Arnold ( di cui abbiamo parlato in precedenza), in quanto entrambi ipotizzano che le nostre esperienze emotive sono sempre il risultato del pensiero, vale a dire di una valutazione cognitiva del significato degli eventi responsabili del nostro benessere qui ed ora.

Secondo Lazarus, Zajonc ha dato un’interpretazione errata dei processi cognitivi, equiparandoli al pensiero intenzionale, razionale e consapevole. Per Lazarus un processo cognitivo così ponderoso non è la condizione necessaria e sufficiente dell’emozione. Al contrario, Lazarus sostiene che prima di provare una normale emozione noi valutamo gli eventi in modo rapido o inconscio, basando i nostri pensieri su informazioni minime, facendo ricorso perfino a premesse irrazionali. Le valutazioni cognitive che si formano molto rapidamente e provocano una risposta emotiva istantanea (ad esempio "Quell’orso sta per assalirmi") prendono il nome di processi cognitivi caldi e sono i precursori dell’emozione. Altri processi cognitivi, più lenti (ad esempio "Quell’orso ha una pelliccia nera molto folta") non destano alcuna emozione e vengono quindi definiti processi cognitivi freddi. Secondo Lazarus, i processi cognitivi caldi precedono sempre le emozioni.

 

IL DIBATTITO SUCCESSIVO SULLE CAUSE DELL’EMOZIONE

Lazarus (1984) e Zajonc (1984) hanno continuato a polemizzare sulle pagine dell’American Psychologist. Ancora una volta Zajonc ha ribadito la tesi che prima vengono le sensazioni, le quali si formano senza essere necessariamente precedute dai processi cognitivi. Per Zajonc, inoltre la spiegazione di Lazarus è di tipo circolare, o tautologico (una tautologia è una semplice definizione che si maschera dietro una spiegazione causale). Poiché Lazarus ha già definito l’emozione come lo stato psicologico che deriva da un processo di valutazione, la sua conclusione — che ogni volta che si osserva un’emozione deve essersi verificata una valutazione- è vera solo per definizione. Zajonc ha insistito sul fatto che deve essere possibile misurare i processi cognitivi indipendentemente dalle emozioni al fine di verificare se il pensiero è sempre il precursore di una sensazione. Quando Wilson (1975) ha valutato i processi cognitivi, verificando se le persone sono in grado di riconoscere gli oggetti per cui affermano di provare attrazione, ha trovato che in realtà non vi riescono.

In risposta alla critica di Zajonc, Lazarus ha respinto l’esperimento di Wilson come irrilevante. Secondo Lazarus, quando troviamo gradevoli una musica, delle parole o delle immagini, non esprimiamo una vera emozione, ma ci muoviamo nell’ambito di una valutazione estetica; l’affermazione "Mi piace questa melodia" è soltanto un processo cognitivo freddo, non è il precursore di una sensazione. Perché si abbia un processo cognitivo caldo, emotivo, l’argomento deve essere più significativo per la persona: le emozioni autentiche devono essere provocate da oggetti, eventi o persone che potenzialmente possano portarci un vantaggio o un danno.

Non è possibile stabilire rigorosamente che abbia ragione, se Zajonc o Lazarus, in quanto le critiche sollevate da entrambi sono certamente importanti e significative. Zajonc può avere ragione quando afferma che la teoria di Lazarus non è verificabile, dal momento che questi afferma che le valutazioni — i processi cognitivi caldi — sono presenti indipendentemente dal fatto che possano venire osservati. Poiché la posizione di Lazarus è vera per definizione, non può essere ritenuta falsa sulla base di un’indagine scientifica. D’altra parte, Lazarus ha probabilmente ragione quando afferma che quando diciamo che una musica è gradevole difficilmente siamo di fronte a una vera emozione. Le sensazioni che accompagnano la domanda "Mi piace questa musica?" sono tutt’altra cosa rispetto a quelle che accompagnano l’interrogativo "Affronterei la morte per i miei compatrioti?".

Gli esperimenti di Wilson, comunque, sollevano alcuni problemi importanti su come si possano misurare le valutazioni cognitive. Anche se i suoi soggetti non erano in grado di dire con sufficiente affidabilità quali musiche avevano ascoltato, quando ne preferivano alcune si comportavano come se le ricordassero. Wilson si è chiesto se essi, in realtà avessero riconosciuto quei brani, senza esserne consapevoli. Sembra che i soggetti potessero inconsciamente dimostrare di averne conservato il ricordo tramite la preferenza che esprimevano per essi. A livello cosciente, però, non potevano dimostrare di ricordarli, in quanto non erano in grado di fornire un resoconto cognitivo del riconoscimento. Questo dato indica che mancava una valutazione cognitiva oppure che questa era presente, ma al di sotto del livello di consapevolezza? Il dibattito promette di essere denso di importanza. Paradossalmente può essere che gli psicologi cognitivisti siano stati i primi a fornire un supporto convincente a uno principi della teoria freudiana: l’esistenza di eventi mentali inconsci.