"11
Settembre 2021.
A
vent’anni dal crollo alle Torri Gemelle Sipem Fvg1
raccontail
convegno Lontano ma Vicino"
Recensione
di Amione
F., Cusin A., Guglielmetto V., Santini I., Scubla D., Segulin
N., Orrico K., Zaccariotto M., Zanello L.
1Sipem
Sos Fvg – Odv, Società Italiana Psicologia dell’Emergenza
Social Support Friuli Venezia Giulia – Organizzazione di
Volontariato presente in Friuli Venezia Giulia dal 2006 (Sezione
Regionale Autonoma iscritta alla Federazione Nazionale SIPEM). Sipem
SoS Fvg – Odv (abbreviata nel testo con la dicitura Sipem Fvg) è
un’associazione di volontariato professionale di psicologia
dell’emergenza ed è una realtà multidisciplinare aperta a tutte
le professionalità impegnate nel supporto psicosociale in
situazioni emergenziali e maxi emergenziali. Si occupa di interventi
di sostegno psicologico a persone e comunità vittime di eventi
critici, di formazione degli operatori di soccorso e, infine, dello
studio e ricerca delle dimensioni psico-sociali dell’emergenza e
dell’operatività in tali contesti.
Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, W.
Bohleber, M. El Husseini, R. El Khayat, Y. Gampel R. Kaës, J.
Kristeva, G. Leo, A. Loncan, P. Matvejević, M.-R. Moro, S.
Resnik, S. Varvin
Writings by: H. Catz, A. Ferruta,
M. Francesconi, P. R. Goisis, R. D. Hinshelwood, G.
Leo, N. McWilliams,
G. Riefolo, M. Roth, C.
Schinaia, D. Scotto Di Fasano, R. D. Stolorow
Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, W.
Bohleber, M. El Husseini, R. El Khayat, Y. Gampel R. Kaës, J.
Kristeva, G. Leo, A. Loncan, P. Matvejević, M.-R. Moro
Edited
by/a cura di: Giuseppe Leo
Writings by/scritti di:
S.
Araùjo Cabral,L.
Curone,M. Francesconi,L.
Frattini, S.
Impagliazzo,
D. Centenaro Levandowski, G. Magnani,M. Manetti, C. Marangio,G. A. Marra e Rosa, M. Martelli,
M. R. Moro,R. K. Papadopoulos,A. Pellicciari, G. Rigon,D.
Scotto di Fasano,
E. Zini, A. Zunino
Edited
by/a cura di: Ambra Cusin & Giuseppe Leo
Prefaced by/prefazione
di:
Anna Sabatini Scalmati
Writings by/scritti di:
H. Abramovitch A. Cusin M. Dwairy
A. Lotem M.
Mansur M. P. Salatiello Afterword
by/ Postfazione
di:
Ch. U. Schminck-Gustavus
Notes by/ Note di: Nader Akkad
Edited
by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione
di:
R.D.Hinshelwood
Writings by/scritti di: J. Altounian
W. Bohleber J. Deutsch
H. Halberstadt-Freud Y. Gampel
N. Janigro R.K. Papadopoulos
M. Ritter S. Varvin H.-J. Wirth
Writings by: A.
Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B.
Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S.
Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L.
Tarantini, A. Zurolo.
Writings by:J.
Altounian, S. Amati Sas, M. e M. Avakian, W. A.
Cusin, N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A.
Sabatini Scalmati, G. Schneider, M.Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Video "9/11: MOURNING, MEMORY, REBUILDING" by Giuseppe
Leo
Ad
Alessio Pellegrini collega e amico
Il
10 e l’11 settembre 2021 si è svolto a Trieste, presso l’aula
Magna del Seminario Vescovile, il convegno dal titolo “Lontano ma
vicino”. Non è stato facile condensare in poche righe, tutte le
emozioni vissute, le stimolazioni ricevute e gli interventi ascoltati,
ma abbiamo cercato attraverso la forma narrante del diario di
illustrare la nostra esperienza gruppale.
L’idea
del Convegno “9/11 Lontano…
ma vicino”, organizzato da Sipem Sos Fvg - Odv e dedicato al
ventennale del trauma collettivo della caduta delle Torri Gemelle,
è nata da una domanda a cui il gruppo di lavoro Sipem Fvg ha voluto
dare risposta: quale forma può assumere oggi il racconto
dell’evento traumatico che ha mostrato al mondo occidentale la sua
fragilità? La caduta delle Torri Gemelle, attentato contro il potere
e il supposto sentimento di sicurezza della nostra cultura, ha
rappresentato un momento di grave incertezza per tutti. Negli incontri
di preparazione al Convegno si è cercato di raccogliere non solo il
ricordo che ciascuno aveva dell’evento, ma anche quale narrazione
comune/gruppale si sarebbe potuta produrre.
Il
Convegno è stato organizzato con modalità specifiche, volte a
cogliere la profondità e la tridimensionalità di quanto detto dal singolo e dal gruppo. Per
tale ragione sono state adottate tecniche di conduzione gruppale non
direttiva, quali il Gruppo
Esperienziale e il Social
Dreaming (The Social Dreaming Matrix).
Il
Gruppo Esperienziale è una
modalità di lavoro volto al dialogo, alla riflessione e allo studio
dell’importante esperienza emotiva che questo dialogo genera;
contemporaneamente è un lavoro orientato a una vera e propria
esperienza/osservazione delle dinamiche gruppali.
Il
Social Dreaming valorizza,
invece, il contributo che i sogni possono offrire alla comprensione
della realtà sociale e istituzionale in cui si è inseriti. I sogni,
senza essere interpretati, rivelano nuove connessioni e nuovi pensieri
su ciò che ci circonda.
L’ampia
gamma di età degli intervenuti ha determinato una pluralità di
ricordi diretti o indiretti, nondimeno ugualmente intensi e
coinvolgenti e la partecipazione emotiva di tutti gli interlocutori al
percorso sviluppato.
Quanto
emerso in queste fasi di preparazione, ha posto le basi per l’idea e
la struttura del convegno che si è rivolto non solo agli psicologi ma
a diversi target di
partecipanti: ai colleghi, a studenti del corso magistrale in
psicologia, a operatori del soccorso e dell’emergenza e, infine,
alla cittadinanza tutta. L’intento è stato quello di promuovere un
ulteriore passo nell’elaborazione gruppale/collettiva/sociale del
trauma causato dall’attacco dell’11 settembre 2001. Si sono
intrecciaticosì
linguaggi,
figure, ruoli professionali e funzioni svolte dai diversi
partecipanti.
Tutto
il convegno è stato un work in progress iniziato come un progetto sulla carta, divenuto
esperienza condivisa nel gruppo esperienziale e nel Social Dreaming, esitato nelle relazioni presentate al convegno;
queste, a loro volta, hanno coinvolto i convenuti generando ulteriore
materiale narrativo,
esperienziale e gruppale. Una sorta di intreccio cognitivo-emotivo via
via sempre più ricco e complesso, non una semplice commemorazione e
neppure un evento “in memoria” del ventennale delle Torri Gemelle.
Il
Convegno si è svolto, mentre avvenivano fatti simili, di
inquietudine, timore e vergogna, come ha evidenziato nel suo
intervento il Presidente Onorario Zanello: la frettolosa partenza
dell’esercito statunitense dall’Afghanistan, il timore della
popolazione che cercava disperatamente salvezza tentando di salire
sugli aerei nell’aeroporto di Kabul. Eventi che hanno fatto da
sfondo alla giornata di lavoro. Attraverso le immagini del dramma del
popolo afgano, trasmesse dalla televisione e dai social durante il
Convegno, si rivivevano il trauma, l’angoscia e l’impotenza
sperimentati l’11 settembre 2001, per una coincidenza sincronica
veramente perturbante. Una
sorta di tragica e violenta coazione a ripetere.
Entrando
nel vivo dei lavori, si evidenziano alcuni aspetti significativi, in
particolare la dimensione del perturbante. Nell’intervento
portato dal gruppo di lavoro Sipem Fvg ci si immerge da subito nell’esperienza
impattante del “lontano, ma vicino” che caratterizza ogni evento
traumatico, quel ricordo che fa bolla a sé e che sfida in maniera
imperiosa la capacità psichica di integrazione ed elaborazione. Il
fenomeno perturbante si è presentificato con un isomorfismo, anche
all’interno del percorso associativo, preparatorio al Convegno di
Sipem, nell’esperienza vissuta sia come gruppo sia individualmente,
in quanto vissuto e riportato dai singoli partecipanti, ripercorrendo
fatti, emozioni e pensieri.
Nel
primo intervento “Dove eravamo[1]
” viene descritto come il gruppo esperienziale, dal titolo appunto
“Dove Eravamo”, abbia permesso quasi inavvertitamente di far
sperimentare ai suoi partecipanti una particolare forma della tecnica,
specifica della psicologia dell’emergenza, che è il debriefing.
Infatti, il discorso che si articola nel gruppo risponde gradualmente
alle domande: cosa è successo/cosa hai fatto, cosa hai pensato, cosa
hai provato; con l’obbiettivo implicito di dare così un maggior
ordine non solo personale ma anche gruppale/sociale a quella
esperienza così lontana nel tempo, ricordando la rete di supporto
utilizzata allora attraverso l’esperienza di una nuova rete gruppale
che veicoli vicinanza e faciliti l’utilizzo delle proprie risorse di
fronte a un evento critico. Questo
primo intervento ha presentato un excursus di esperienze che hanno
permesso di osservare da più angolazioni il Virtual
trauma, terminologia proposta da Meek
(2010), intorno al rapporto tra le esperienze traumatiche e l’orrore
suscitato dalla loro rappresentazione mediatica all’interno della
comunità.
Nel
secondo intervento[2]
presentato da Sipem Fvg, è stato sottolineato come le memorie siano
trasmesse alle nuove generazioni, che raccolgono l’eredità della
narrazione emotiva oltre che gli effetti diretti del trauma. Durante
un evento traumatico, hanno ricordato, si è nelle condizioni di
percepire la propria vulnerabilità, in relazione alla vulnerabilità
degli altri e anche di percepire la fragilità della struttura sociale
quale sistema che ‘tiene/regge/contiene’. Se è fondamentale che
il processo post impatto sia costituito da interventi operativi e
pragmatici d’aiuto, è altrettanto rilevante come si sviluppi e come
si modifichi la narrazione che porta al riconoscimento stesso del
trauma. Hanno, infine, evidenziato come i traumi attraversino le
generazioni, lascino un segno sia all’interno del mondo personale
sia di quello sociale: in entrambi i casi si adottano modalità per
poter utilizzare il ricordo, così da recuperare i segni e le ferite,
per avviare un processo, individuale, gruppale e sociale, di
trasformazione del dolore e della sofferenza, spesso repressa, rimossa
e scissa. Il tema del gruppo “Dove Siamo” ha permesso alle
relatrici di evidenziare la sincronia tra eventi traumatici molto
distanti nel tempo: 2001 Le Torri - 2021 Kabul, descrivendo come i
fatti, che avvenivano in contemporanea allo svolgimento del convegno,
evidenziassero una carenza, un’assenza di questo processo
trasformativo a livello sociale.
Hanno
ricordato come l’elaborazione e anche il processare l’evento
traumatico richiede tempo e necessita di entrare in una
storicizzazione: dal qui e ora al là ed allora. In particolare nei
traumi collettivi è tutta la comunità che si trova impegnata in
questa azione atta a recuperare le sue radici mandate in frantumi. Tutto cambia, non necessariamente solo con un lavoro terapeutico, ma
semplicemente vivendo. Si deve tener conto che il vivere può avere
una sua funzione terapeutica.
E’
interessante come entrambe le relazioni, dei primi due interventi di
sabato mattina, abbiano utilizzato, talora, uno stesso sogno o uno
stesso ricordo per rispondere alle domande Come Eravamo e Come Siamo, rilevando come l’espressione delle intense
emozioni dell’allora e dell’oggi si siano condensate in unica e
complessa rappresentazione.
Il
convegno ha dato spazio anche all’altro volto del trauma collettivo
del 9/11: il fanatismo e il terrorismo. Rodolfo Picciulin nel suo
contributo ha condotto l’uditorio all’interno di questo fenomeno
sociale che può essere compreso soltanto attraverso un doppio sguardo
clinico al contempo individuale e gruppale. L’interessante relazione
si è articolata intorno a due nuclei centrali: il terrorismo come
progetto di immortalità e il comportamento terroristico in persone
apparentemente normali. E’ stato dunque descritto come i progetti di
immortalità richiedano lo scambio della vita biologica (la propria
vita terrena, corporea) con quella simbolica (la vita eterna, la
vittoria della mia religione, ideologia, razza, cultura).
All’interno dell’individuo avviene uno scarto attraverso cui il
singolo rinuncia alla vita biologica mortale per raggiungere
l’immortalità attraverso una sopravvivenza simbolica. Ed è proprio
attraverso questa struttura simbolica che un singolo individuo accede
attraverso il gruppo all’immortalità. L’immortalità, aggiunge il
relatore, può essere pensata soltanto se i confini del proprio sé si
confondono, fondendosi, con quelli del gruppo di appartenenza che
sopravviverà alla morte del singolo. Infine, a partire dal pensiero
di Arendt con la sua concettualizzazione della banalità del male e
dell’essere ‘spaventosamente normale’, Picciulin ha descritto il
terrorista come una figura
bistabile: dietro
l’apparente normalità individuale il singolo mostra se stesso come
animale di gruppo. Come tale esprime dunque nel gruppo e per il gruppo
i fenomeni protomentali e arcaici trascendendo il funzionamento
individuale: dà voce a quegli istinti primitivi e gregari
dell’appartenenza a un gruppo/comunità andando a riprodurre lo
schema originario di lotta per la continuità della vita. Nella sua
conclusione ha affermato come nessun istinto nuovo faccia la sua
apparizione: ciò che emerge nel comportamento terrorista è in realtà
sempre stato presente. L’unico elemento nuovo è che l’esperienza
di gruppo e l’osservazione delle sue dinamiche offrono la possibilità
di osservare come operano le caratteristiche politiche dell’essere
umano.
Il
resoconto di Isabel Fernandez, Presidente EMDR Italia, ben si coniuga
a quanto espresso nella sezione ‘Dov’eravamo e Dove siamo’-
relativo alla potenza del Virtual
Trauma - sottolineando la necessità di contatto, vicinanza,
unione nelle gravi esperienze traumatiche. Nel suo intervento ha
illustrato l’esperienza di supporto, attraverso questa tecnica, ai
bambini appartenenti alla comunità americana a Milano e
parallelamente alle loro famiglie. In questa esperienza diretta del
9/11 la Fernandez descrive come, quel giorno, i genitori fossero corsi
a prendere i propri figli a scuola, o dagli amici, per riportarli a
casa propria attivandosi come se fossero in un grave pericolo
concreto, come se fossero dentro il perimetro critico del crollo delle
Twins Towers.
Gli
interventi successivi sono stati un viaggio nelle testimonianze degli
operatori che intervengono nelle maxi-emergenze, come quelle del 9/11.
In
tali contesti operatori come il personale dell’aeroporto, i Vigili
del Fuoco, gli Operatori Sanitari e le Forze dell’Ordine,
s’intrecciano in un lavoro armonico di collaborazione durante un
evento che coinvolge un numero di vittime superiore al numero dei
soccorritori per i quali “L’Emergenza è sinonimo di
paura organizzata” (Consigliere, 2004, p.198).
L’impatto emotivo che ne consegue, genera in loro una sofferenza che
anestetizza. Sotto quelle divise però c’è sempre un “uomo” con
i propri vissuti, emozioni, paure, angosce capace di essere resiliente
nel momento dell’attività in cui viene proiettato.
Diana
Scubla[3],
operatrice aereoportuale al momento dell’attentato, riagganciandosi
al costrutto del primitivo-persecutorio che riemerge dall’inconscio
delle menti dei terroristi, illustra cos’è un aeroporto, secondo la
teoria dei non-luoghi
dell’antropologo Marc Augè. Un non-luogo possiede le qualità negative del luogo. E’ uno
spazio globalizzato, uguale e identico in tutti i paesi del mondo:
spazio di circolazione, di consumo, di comunicazione, di transito. Con
la sua testimonianza diretta, ha riportato l’uditorio a rivivere il
momento dell’impatto traumatico in quel luogo-non
luogo. Racconta come stesse lavorando ai banchi di check-in e
ricorda come all'epoca pochi avessero i cellulari che, per altro,
durante il servizio dovevano restare spenti. Dai passeggeri, che
procedevano incerti e guardinghi e dalle loro domande, circa la
puntualità dei voli in partenza e dall’effettività della
registrazione dei passeggeri, capisce che qualcosa non torna e si
interfaccia con la cabina di regia. L’attentato era appena avvenuto.
Nessuno sapeva ancora come procedere e anche se in casi del genere,
vengono immediatamente chiusi gli spazi aerei aeroportuali, ci si
interrogava su quale spazio aereo sarebbe rimasto aperto. Ricorda la
difficoltà di agire senza aver accesso alle immagini per almeno tre
ore. Scubla ha affermato: “E' stato un bene per me essere operativa
e non avere avuto accesso immediato alle ‘dirette’ TV. La mia
reazione a tale evento è stata di mettermi a disposizione
dell’azienda, per ovviare all’enorme disagio dei passeggeri, per
cui ho saltato alcuni turni di riposo”. L’esito più importante
seguito a quella tragica giornata è stato l’inasprimento dei
controlli in entrata, uscita e transito, la militarizzazione del luogo
di lavoro conosciuto, tanto da risultare ‘pesante’ anche per il
personale. Nel suo vissuto è riemerso il ricordo di un clima di
terrore simile a quello sperimentato a Milano, nella sua adolescenza,
durante gli anni di piombo.
Daniela
Quarello, Ispettore della Polizia di Stato in servizio presso la
Scuola Allievi Agenti di Trieste, ha descritto quanto la percezione
del pericolo post 9/11 sia il prodotto della reazione non solo
all’evento critico ma soprattutto alla sua comunicazione, in
particolare modo alla comunicazione non verbale e quella veicolata
attraverso le immagini. Ha sottolineato così l’importanza, per chi
fa parte delle Forze dell’Ordine, di apprendere e costruire un
atteggiamento mentale specifico che sappia arginare ed evitare il più
possibile le interferenze nel quotidiano del proprio lavoro, anche di
fronte a tali funzionamenti comunicativi.
E’
seguita la testimonianza di un Vigile del fuoco in pensione, Roberto
De Piccoli, che porta nel vivo emotivo del soccorritore. Coinvolgente
il suo resoconto dove ha spiegato come vedere in tv le immagini dei
colleghi americani intervenuti nel crollo delle Torri Gemelle,
osservando così il proprio mestiere dall’esterno, abbia attivato
un’importante presa di coscienza degli effetti traumatizzanti del
lavoro del Vigile del Fuoco. In tal senso è stata riportata come
immagine significativa il disorientamento osservato in un capo-squadra
americano, fermo come se non sapesse che fare, davanti al silenzio
percepito sulla scena della catastrofe in contrasto con l’abituale e
caratteristico grande rumore e confusione onnipresenti nelle
emergenze. A partire da ciò l’intervento è stato una riflessione
sul coraggio e la paura nel proprio lavoro quotidiano. De Piccoli ha
affermato come di fatto non si possa parlare di coraggio o paura
infatti “Il nostro non è coraggio, è il nostro lavoro!”
aggiungendo come, alla stessa maniera, la paura debba essere
utilizzata e incanalata come una tensione per svolgere al meglio
l’intervento. Il momento più difficile inizia con il suono della
campanella, chiamata di un nuovo intervento, e perdura lungo tutto il
tragitto dalla caserma al luogo dell’incidente: tale tempo infatti
implica uno sforzo mentale molto elevato il cui obiettivo è quello di
ottenere le maggiori informazioni possibili via radio per immaginare
la realtà che si troverà sul posto, per impartire al meglio gli
ordini e gestire i colleghi nel modo migliore possibile. In
conclusione De Piccoli spiega come, dopo l’11 settembre, i Vigili
del Fuoco siano diventati professionisti e non più solo dei
“pompieri”; infatti dopo lo storico evento si sono aggiunte
specializzazioni e formazioni specifiche con il fine di “conoscere
il nemico”, preparandosi a cosa può fare un “terrorista”. Da
allora i Vigili del Fuoco seguono corsi per l’attivazione di squadre
NBCR, ovvero squadre che intervengono sulle situazioni critiche
nucleari, chimiche, batteriologiche, radiologiche, biologiche non
convenzionali spesso legate agli atti terroristici e corsi per la
formazione di squadre SAF ovvero squadre speleo alpino fluviale.
La
parte dedicata alle testimonianze si conclude con un intervento sul
post-evento critico e nello specifico a supporto degli operatori che
vivono l’evento traumatico in ambulanza. Focus dell’intervento è
stato descrivere cosa accade non solo a livello fisico ma anche a
livello psicologico nel post impatto e come tutto ciò può essere
gestito attraverso un intervento di psicologia dell’emergenza. I
relatori hanno centrato il loro contributo sulla tecnica del Debrifing[4].
Hanno descritto come tale tecnica si focalizzi dapprima sui fatti, poi
sui pensieri e infine sulle emozioni scaturite durante l’intervento
e successive a esso. Tale modalità permette di costruire una
narrazione più coerente e completa dell’accaduto, dare indicazioni
utili per garantire un’adeguata cura di sé e permettere
l’operatività in uno stato psicofisico maggiormente stabilizzato e
dunque in maggior sicurezza. L’operatore sanitario, Nicoletta
Segulin, affiancata da uno psicologo dell’emergenza, Alessio
Pellegrini[5],
hanno dunque messo in scena un breve spaccato di Debriefing relativo a
un intervento di un incendio: “Ieri
è stata una giornata intensa, non riuscivo a pensare ad altro! C’è
stato uno scoppio... un palazzo è andato a fuoco … sono intervenuti
tutti, i Vigili del fuoco, la Polizia e noi come 118. Io ho preso
servizio come ogni giorno, sul posto c’erano tante persone…” con
voce bassa esclama “non può nemmeno immaginare quante, uscivano
dai palazzi, folle intere… Dovevamo fare tante cose … soccorrere i
feriti, dare uno sguardo significativo a chi stava perdendo le cose più
care e la casa….Il fumo
che usciva dall’intero palazzo, la sinergia di coloro che gestivano
i soccorsi che, guardandolo dal di fuori, sembrava un “caos”, le
persone sfollate che ricercavano sguardi di rassicurazione, le urla,
l’odore di carne bruciata di un ragazzo soccorso, un ragazzo giovane
senza sopracciglia e capelli, questi fatti sono ancora vividi nella
mia mente … non sono andati via nemmeno durante la giornata! In quei
momenti non hai tempo per fermarti, ci pensi quando tutto è finito.
Ma non finisce! Eravamo in tanti… ma non bastavamo! Mi son lavata più
volte ma l’odore restava… anche i colleghi son rimasti
frastornati… non abbiamo avuto nemmeno il tempo di parlarci… solo
uno scambio di sguardi che però erano pieni di significato! Forse in
quel momento non eravamo disposti a condividere quel dolore assieme! I
miei pensieri al momento non avrei immaginato che fossero di quella
entità, non eravamo immersi nel danno, nel disastro che abbiamo
visto. È stato un impatto emotivo fortissimo, non potevo esserci per
tutti, un senso di impotenza. Io son rientrata a casa e loro erano
senza casa!”.
Il
racconto ha portato il pubblico ad avvicinarsi non solo ai vissuti
riportati dall’operatore, ma ad immaginare con maggior vividezza,
intensità e ricchezza emotiva quanto esperito dai soccorritori che
intervengono quotidianamente in queste situazioni emergenziali e
quanto questo possa rispecchiare quanto provato dagli operatori di
soccorso alle Torri Gemelle.
Altrettanto
stimolante anche la parte dedicata agli studenti di Psicologia che si
è strutturata in due parti: Segulin e Pellegrini hanno illustrato la
cornice teorica e tecnica della psicologia dell’emergenza;
Guglielmetto e Zaccariotto hanno successivamente condotto una
riflessione sulla specificità del trauma collettivo del 9/11 e sulla
trasmissione transgenerazionale di quanto accaduto. In quest’ultimo
intervento sono stati proiettati alcuni disegni dei bambini e ragazzi
americani, rappresentazione e tentativo di prima elaborazione della
caduta delle Torri, che hanno coinvolto significativamente gli
studenti di psicologia. Infatti, attraverso l’osservazione di tali
disegni, hanno compreso come per tutti i bambini la realtà, non
comprensibile, fosse l’atto terroristico espresso però in forme
grafiche e simboliche differenti: la sofferenza
concreta (le Torri Gemelle che piangono o le persone che cadono nel
vuoto), la negazione di quanto accaduto (Superman che blocca gli
aerei), la capacità di riparazione con disegni di elementi di
speranza e ricostruzione.
Il
convegno si è concluso con un appuntamento dedicato all’immaginario
collettivo e alla risposta, dell’arte e del mondo simbolico alla
potenza del trauma dell’11 settembre 2001. Dare un tempo al dialogo
con l’opera iconica, all’interno di un convegno dedicato al
discorso collettivo del traumatico e dunque alla conseguente
inibizione del pensiero e del simbolico, ha permesso un’interessante
e coinvolgente conclusione dei lavori. D’Errico, laureato in
Psicologia socio-culturale e Art Dealer presso M77 Gallery di Milano,
dialogando con Amione, ha presentato una carrellata di opere dedicate
al 9/11 e a chiosa l’attrice Elena De Cecco[6]
ha letto la poesia ‘Fotografia dell’11 settembre’ di W.
Szymborska. Il percorso artistico ha avviato, fra i partecipanti in
presenza e da remoto, un piacevole e ricco scambio di osservazioni e
riflessioni che si sono aggregate intorno alle seguenti tematiche:
impotenza, irrealtà del reale e precarietà.
[4]
Il Debriefing è un intervento psicologico-clinico strutturato e singolo o di gruppo, condotto da uno psicologo esperto di situazioni
di emergenza, che si tiene, a seguito di un avvenimento potenzialmente traumatico, allo scopo di eliminare o alleviare le conseguenze emotive spesso generate
da questo tipo di esperienze.
[5]
Segulin N., Operatrice S.O.G.I.T. (Soccorso Ordine di San Giovanni
Italia – Organizzazione di Volontariato) - Sezione di Trieste
nonché psicologa come il collega Pellegrini A. per a S.O.G.I.T.
– Odv (Soccorso Ordine di San Giovanni Italia – Organizzazione
di Volontariato) – Servizio di Consulenza Psicologica - Sezione
di Triestesono anche soci Sipem
Fvg. Purtroppo il collega Pellegrini è venuto prematuramente a
mancare nel mese di marzo 2022.
Arendt A., La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli
Editore, Milano, 1964
Augè M, Non luoghi. Introduzione a una antropologia
della surmodernità, Eléuthera Editore, 2008
Britton R., Book review: Guilt and Depression by Leon Grinberg, Int. J.
Psyco-Anal. 75, 1994
Buonauro
A., Cinema americano post-11 settembre, trauma vicario e senso di
colpa occidentale. Il caso di Babel, in “Imago”, vol. 6 pp. 47-59
(47), 2013
Consigliere,
S., Sul piacere e sul dolore. Sintomi della mancanza di felicità,
DeriveApprodi Editore, Roma, 2004
Meek A, Trauma and Media, Routledge, New York e Londra,
2010