Ad un primo sguardo può sembrare strano discutere gli enactment terapeutici come una potenziale fonte di empatia. Sebbene concettualmente questi due processi interpersonali appaiono occupare polarità opposte, in realtà essi sono processi intersoggettivi tra loro correlati. Dato che implicano scambi emotivi intensi, sia gli enactment che l’empatia costituiscono importanti pilastri in qualsiasi processo terapeutico. Come vedremo, analogamente all’empatia, gli enactment sono una forma di mutua risonanza, in cui entrambi i partecipanti riecheggiano l’uno gli stati interni dell’altro. E sebbene il contesto possa essere quello di un conflitto e di una lotta – una rottura nell’alleanza terapeutica (Safran, 1993)  – gli elementi intersoggettivi sottostanti agli enactment comprendono anche per essi una modalità non mediata di rispondere e di accedere all’”altro”.

   Ciò che conferisce all’empatia il suo potere interpersonale di “sentire” l’altro è la risonanza affettiva (Mühlhoff, 2015), la sintonizzazione affettiva (Stern, 1985), la mentalizzazione (Fonagy, 2008) ed i comportamenti che li possono accompagnare. è degno di nota il fatto che ci sono circuiti cerebrali innati che mediano i sentimenti di empatia (Decety et al., 2016; Gallese, 2009). L’empatia incarna, quindi, la coordinazione inconscia e l’espressione del linguaggio, il movimento sincronizzato (Scheidt et al., 2021) e gli stati emotivi. È anche un processo intersoggettivo per eccellenza.  Analogamente, sebbene spesso occupino un ambito riservato agli stati emotivi problematici, gli enactment esprimono anche complesse comunicazioni consce-inconsce, sia verbali che non.

   Inoltre, sfruttando gli aspetti inconsci sia del paziente che del terapeuta, gli enactment possono anche presentare l’opportunità di una comprensione empatica degli stati del sé caratterizzati da vissuti di ansia e dal sentirsi feriti. Il punto di partenza consiste nella nozione che, come tutti gli intrecci interpersonali, gli enactment rivelano i modelli relazionali ed emotivi impliciti dei partecipanti. Tali stati del sé inconsci inevitabilmente prendono vita all’interno della diade analitica, e di ogni altra relazione. Si è suggerito che l’ autoconsapevolezza dell’analista sul proprio contributo e partecipazione, a seguito della ‘self-disclosure’ della propria esperienza, possa generare una risonanza empatica verso il paziente. Una tale azione da parte dell’analista può promuovere una comprensione conscia, espressa verbalmente e in modo compassionevole, delle tendenze interne del paziente così come delle proprie.

LA NATURA DEGLI ENACTMENT

Gli enacment possono essere descritti come sistemi del sé reciprocamente riattivati oppure come schemi relazionali impliciti sia del paziente che dell’analista. Ed in quanto tali essi servono da porta per accedere nei sistemi del sé emotivi, relazionali e comportamentali inconsci del paziente.

   Spesso descritti come ‘impasse’ relazionali, gli enactment possono creare un campo intersoggettivo in cui sia il paziente che l’analista si trovino in un coinvolgimento emotivo continuo che temporaneamente diminuisce la probabilità di riflettere in modo significativo (Aron, 1996; Bromberg, 2006, 2011; Chused, 1998; Mann, 2009, Maroda, 1991; D. B. Stern, 2010; D. N. Stern, 2004). Ciò che era uno sforzo collaborativo cosciente può sembrare a rischio di collassare sotto il peso di sentimenti e comportamenti problematici, minacciosi ed apparentemente inspiegabili sia nel paziente che nell’analista.

   Nei casi più estremi, in quanto rotture gravi che minacciano l’alleanza terapeutica, gli enactment possono bloccare completamente il processo analitico. Che si verifichino in modo improvviso o insidioso, presto o tardi nel corso della terapia, che durino a lungo o per breve tempo, gli enactment sono quasi sempre una sorpresa ed una minaccia per l’alleanza terapeutica. Derivando da continue o improvvise percezioni e (distorte) interpretazioni intersoggettive, l’enactment può assumere la forma di un confronto o di un ritiro (si veda Safran, 2017).

   Essi possono includere sentimenti di essere stati feriti provenienti da entrambi i partecipanti, di crescente sfiducia oppure, in alternativa, un’atmosfera mortifera e soffocante di star fermi e non in movimento. Possiamo affermare che gli enactment indicano che qualcosa è ‘fuori sincrono’. Questo “qualcosa”, comunque, può aprire la porta ad importanti processi di consapevolezza, di comprensione ed in questo modo offrire nuove modalità di vedere e di comprendere l’altro. Questo è un tipo differente di empatia; non riguardante la mentalizzazione bensì l’esperienza emotiva e la reazione alle paure e difese più nascoste dell’altro.

   Il focus sugli enactment, come modalità  per meglio afferrare il potere dei modelli relazionali inconsci, riflette il riconoscimento che il contenuto esplicito e le interpretazioni verbali sono risorse insufficienti per comprendere i pazienti. Schore (2012) ha sottolineato questo cambio di paradigma da modalità solo verbali di relazionarsi e comprendere l’altro alla responsività emotiva non mediata. Dato che paziente e terapeuta diventano parte di un campo intersoggettivo invischiato, essi generano una potente modalità di comunicazione inconscia. Durante un enactment, al di fuori della consapevolezza, entrambi sollecitano e rispondono a fattori scatenanti personali che portano alla disregolazione all’interno della diade.

   In realtà, gli enactment sono intense manifestazioni di intrecci transfero-controtransferali. Inevitabilmente tali comunicazioni male interpretate, tali percezioni travisate e tali credenze distorte riguardanti l’altro producono un’ampia gamma di reazioni interne ed interpersonali. Tali reazioni esprimono automaticamente vecchie ferite e rigide difese che sono state utilizzate per far fronte a queste. Possiamo dire che le risposte del paziente al terapeuta e le reazioni dello stesso terapeuta pongono le basi per accedere direttamente e non verbalmente al mondo rappresentazionale del paziente. In questo modo, gli enactment ci portano oltre il transfert e le interpretazioni, e ci forniscono una nuova considerazione di ciò che significa conoscere l’altro.

GLI ENACTMENT COME COMUNICATORI DI SISTEMI RELAZIONALI

Bromberg (Chefetz & Bromberg, 2004) parla dell’enactment come dello sforzo del paziente di negoziare stati del sé dissociati che, a causa di esperienze traumatiche, non sono simbolizzate a livello verbale. Analogamente, D. B. Stern (2010) come anche Maroda (1991) considerano l’enactment come la manifestazione interpersonale di stati del sé dissociati e non formulati a cui non è concesso di entrare in conflitto con quelli consci. I loro punti di vista, permeati di tanta esperienza clinica e di tanti incontri coi pazienti, sono pienamente in accordo con la visione dell’inconscio come costituito da processi integrati del cervello/mente/corpo in azione. Nella visione di Bromberg gli stati del sé dissociati non hanno “nessuna scelta” se non quella di coinvolgersi con gli altri e di rivelarsi. In effetti, una tale nozione va di pari passo con le recenti scoperte che descrivono i processi neuropsicologici che automaticamente e al di fuori della consapevolezza generano la messa in azione (enactment) di circuiti o mappe neurali inconsce, dando così voce ai modelli consolidati del cervello/mente.

   Bromberg considera  le inevitabili impasse relazionali  che accompagnano gli enactment. Ma egli li vede anche come una comunicazione inconscia il cui messaggio reale diretto all’analista è quello di farlo coinvolgere con il paziente in modo autentico e veritiero. Un tale coinvolgimento, alla base del controtransfert dell’analista, può aiutare sia il paziente che l’analista a riconoscere e risolvere modelli dolorosi di attaccamento con tutte le loro paure e difese. Come sappiamo, uno dei più grandi benefici dell’analisi e della psicoterapia è il processo di riconoscere ed identificare modelli che non funzionano più, ma che creano problemi ripetuti nella vita del paziente. Se lasciati non individuati e non soggetti a riflessione, tali modelli consci-inconsci sono destinati a ripetersi e ad essere automaticamente ed inconsciamente messi in atto (‘enacted’) (Bucci, 2011; Chefetz & Bromberg, 2004; Chused, 1998; Ginot, 2009, 2015; Jacobs, 1991; Pizer, 2003; Renik, 1998).

 (fine prima parte)

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