Tra disagio e illusione, la storia della psicoanalisi e i contributi di Freud e collaboratori hanno una funzione sociale e culturale da realizzare.

Freud stesso, tra il 1927 e il 1932, si pone il problema della storia della comprensione dell’inconscio nella vita e del suo destino. Durante questi anni Freud scriverà L’avvenire di un’illusione nel 1927, Il disagio della civiltà nel 1929 e l’epistolario con Einstein nel 1932 intorno al “Perché la guerra?”.

Noi, come Freud, siamo preoccupati per il destino della psicoanalisi e le sue implicazioni nella nostra cultura. Il termine in tedesco Kultur corrisponde in parte al concetto di civiltà. In Italia la tradizione dell’Umanesimo rinascimentale, acquista un significato specifico nel processo di rinascita della cultura occidentale, come più tardi l’Illuminismo in Francia e nel resto dell’Europa. Forse oggi quelli che sono ottimisti possono immaginare un nuovo Umanesimo.

L’evoluzione della civiltà (Kulturentwicklung) propone, in un periodo di disagio e di conflitto sociale, l’idea di un possibile  e nuovo tipo di civiltà. Il termine civilizzazione, come in tedesco Zivilisation, allude all’aspetto apparentemente estrinseco della civiltà, ma alla luce del concetto d’inconscio e di mondo interno implica un processo intrinseco e ontologicamente approfondito.

Il percorso dello sviluppo della psicoanalisi e del significato dell’inconscio come materia viva propone un approccio fenomenologico-analitico attualizzato. Si tratta di cercare, alla luce della psicanalisi, una comprensione umanistica dell’aspetto inconscio  delle trasformazioni sociali che sono avvenute nella nostra cultura.

“Qual è il probabile futuro della nostra civiltà?” si chiede già Freud nel 1927, “e qual è la posizione dell’uomo nel mondo e forse nell’Universo”? Max Scheler propone una sua posizione rispetto alle trasformazioni della natura umana e la responsabilità dell’essere nel “cosmo” nel suo saggio Die Stellung des Menschen im Kosmos. Ernst Cassirer nella sua Antropologia filosofica, essendo professore all’Università di Yale, si confronta con i fatti e gli ideali della nostra cultura attuale. Qual è il destino della conoscenza umana e quale il luogo dell’uomo nella società attuale? Nel suo libro sulla logica delle scienze della cultura[1] propone un confronto tra scienze della natura, scienze dell’uomo e la nostra cultura attuale. Egli parla della comprensione del mondo e della logica delle scienze della cultura. Cassirer cita anche Eduard von Hartmann a proposito di una possibile filosofia dell’inconscio, ma lo critica, in un certo modo. Secondo lui Hartmann ha un’immagine troppo idealizzata, come se l’inconscio fosse una “forza superiore”, un’immagine un po’ mitica che non coincide con quella di Freud.

Freud, con il suo apporto sul concetto “vivo” e quotidiano dell’inconscio, non solo nella psicopatologia ma nella vita di tutti i giorni, introduce la sua luce (Freud illuminista, seguace dell’ Aufklärung) e il suo umanesimo.

Sigmund Freud grande viaggiatore della mente ma anche nella avventura del vivere, con la Psicopatologia della vita quotidiana (1901)[2] riscopre quella che io nomino “visibilità dell’inconscio”.

Per Freud l’inconscio abita la realtà, e nel reale.

Il suo approccio avventuroso ed intuitivo lo situa in una dimensione per me spontaneamente “surrealista”. Egli è attento all’inatteso come lo sono io stesso e come lo erano André Breton ed il suo gruppo rispetto a l’objet trouvé e a l’hasard objectif. La mitologia Surrealista non era simpatica a Freud visto il modo arrogante con cui il giovane Breton lo aveva intervistato (Les pas perdues).

Freud “surrealista” per me scopre l’inatteso, l’inconscio nell’oggettualità del mondo, scopre la visibilità dell’inconscio, tema che ha ispirato in me uno scritto, un piccolo libro e adesso una versione ampliata in francese.

Ritornando alla psicopatologia nel quotidiano, Freud descrive le vicissitudini di un viaggio da Ragusa in Dalmazia verso  la Bosnia-Herzegovina. Vista la sua curiosità e spontaneità conversava, durante il viaggio, con il suo compagno al quale chiedeva: “Lei è stato ad  Orvieto? Ha visto il famoso affresco del pittore…….”[3] e non riusciva a ricordarne il nome. Freud cercava di evocare l’artista del magnifico affresco chiamato “La fine del mondo” che si trova nella cattedrale di Orvieto, cioè il nome di Luca Signorelli. Signorelli (1441-1523), allievo di Piero della Francesca e considerato il Dante della pittura del quindicesimo secolo, triste e di un’energia quasi selvaggia, secondo S.Reinach[4], commuove profondamente il nostro Sigmund.

Le fantasie sulla “Fine del mondo” diventano attuali, viste le proporzioni della presente psicopatologia politica e religiosa. Lottando per ricordare il nome del pittore del Giudizio Universale gli vengono in mente i nomi di Botticelli e Boltraffio; ma egli si rende conto che la sua evocazione non è corretta. Freud, molto motivato e forse ferito narcisisticamente, utilizza l’associazione libera per risolvere il mistero. Entra così in contatto con le zone oscure della propria coscienza/incoscienza per ritrovare il luogo dove l’oblio ha depositato il ricordo. Come ritrovarlo e portarlo alla luce del giorno? Come renderlo precosciente? Per qualche motivo intimo il suo Io non riusciva a ricordare il nome esatto dell’autore dell’affresco? Freud, parla del fenomeno inconscio di spostamento, avvenuto dal nome di Signorelli a quelli di Botticelli e Boltraffio.

Perché il nome di Signorelli si perde nei suoi ricordi? In inglese quando si tenta con difficoltà di ricordare un nome, si utilizza l’espressione: “it is in the back of my mind”; come se per ricordare fosse necessario viaggiare indietro in un tempo localizzato anatomicamente nello spazio posteriore della testa, e portare il ricordo mascherato verso la parte anteriore: là dove si apre la coscienza lucida. Come nel mito narrato ai bambini greci: quando nascono hanno due sacchetti, secondo il Prof Renzo Mulato, in quello dietro stanno i difetti, le cose oscure, i pregi invisibili; in quello davanti i pregi visibili. Nello stesso spazio mentale, contemporaneamente, c’è una dimensione oscura del tempo che l’Io avventuroso tenta di scoprire, di colorare, d’illuminare. Qui, scrivendo il capitolo “biografia dell’inconscio” per il mio nuovo libro in francese (La visibilité de l’inconscient), riprendo il discorso di Leibniz e poi di Maine de Biran sulle impressioni oscure della coscienza, che leggo – ispirato dalle riflessioni di Aristotele nel De somno- anche come anticipazione, come futuro. Freud, nella sua odissea ispirata da Mnemosyne –figlia della Notte- cerca di risolvere il problema dell’oblio e del ricordo. Non è a caso che in Dante i fiumi che portano rispettivamente il nome “fiume dell’oblio” e “fiume del ricordo” si completino. Non c’è ricordo senza oblio e viceversa. La storia mitica della memoria in Freud si drammatizza nei termini relazionali e dinamici del viaggio in Bosnia. La psicoanalisi è anche un viaggio verso l’oscuro dell’essere che talvolta, svelato, diventa subitamente luminoso e talvolta accecante. Freud e il suo compagno di viaggio drammatizzano un’esperienza di transfert (il transfert nasce con la vita, dirà la Klein)  nella quale si gioca con la presenza viva dell’oblio.

Freud ricorda ancora che un collega, il quale lavorava con i Turchi nella zona che stavano attraversando, gli ha raccontato che questi ultimi hanno un grande rispetto per la professione medica: per esempio se uno deve informarli che non c’è niente da fare per una persona malata, diranno “Herr (Signore) che cosa c’è da dire? Se poteva essere salvato so che l’avreste fatto”. In quel momento Freud associa Bosnia, Her-zegovina e Herr (signore). Si configura così una catena associativa tra Botticelli, Boltraffio e Herr, signore e Signorelli. Mentre Freud attraversava lo spazio del tempo e collegava la geografia con la storia, associava ancora con la posizione che i Turchi avevano sulla sessualità.

Poi pensa ad un suo paziente che si è suicidato a causa di una malattia sessuale incurabile e del quale gli hanno raccontato mentre si trovava a Trafori nel Sud Tirolo. Tutto ciò gli passa per la testa durante il viaggio nell’Herzegovina. Poi pensa alla relazione fonetica tra Trafoi e Boltraffio e parla in quel momento di reminescenze. Che differenza c’è tra ricordo e reminescenza? Forse una distanza nel tempo oppure si tratta di qualità temporali ed affettive diverse? Credo che Platone si preoccupi di questa differenza: il primo indica immediatezza; la seconda lontananza, percorso da fare, meno investita apparentemente di affettività, ma in realtà può diventare desiderio, nostalgia romantica per l’astro assente o lontano (de-siderare).

Freud si rende conto che il nome Signorelli si collega alla relazione medico-paziente e al loro mutuo rispetto, cioè all’etica dell’incontro. Lui stesso dice: “Io ho rimosso qualche cosa”. Evidentemente è a Trafoi che ha avuto notizia del suo paziente morto e dell’impatto sulla propria problematica di relazione tra vita, morte e sessualità. Freud con la sua onestà abituale interpreta sé stesso dicendo che quello che voleva dimenticare nel nome dell’artista Luca Signorelli era la connessione associativa perturbante e dolorosa.

Anche io associo rileggendo Freud. Il termine Trafoi mi ha fatto pensare alla parola treffen  (trovare, incontrare). Freud vive le peripezie di voler trovare o incontrare il luogo e il significato dell’oblio. Il luogo dell’oblio rimanda a qualche cosa di sepolto nella mente e quindi a un’archeologia del lutto. Anni dopo egli scriverà il suo importantissimo saggio Lutto e melanconia (1915)[5]. approfondendo in questo lavoro la depressione melancolica come reazione alla perdita dell’oggetto d’amore. In questo lavoro egli anticipa la Klein segnalando che quello che si perde non è soltanto l’oggetto ma la relazione con esso. Dice Freud: “l’ombra dell’oggetto perduto cade sul’Io del soggetto”. Credo di capire che, anche l’ombra del soggetto si perde in parte, attaccandosi inconsciamente all’oggetto assente.

Husserl nelle sue Ideen zur einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie (1928) utilizza il termine Abschattung dove c’è Schatten che significa ombra. Ciò che Freud nomina rimozione per Husserl sarebbe una ritenzione ombrosa dell’oggetto esterno nella mente dell’uomo, nella sua interiorità. Il concetto di inconscio in Husserl è invisibile ma implicitamente presente, solo che fenomenologicamente a lui interessa, come a Platone, seguire il gioco o teatro di ombre che si svolge nel profondo dell’essere. Platone aveva il suo teatro di ombre sempre con lui che gli ispirerà l’allegoria della caverna nella Repubblica. Nella Psicopatologia per Freud dimenticare si accompagna al fenomeno della paramnesia. In una certa età della vita la gente si preoccupa quando comincia a dimenticare e pensa che la senilità si avvicini. In realtà, dal punto di vista psicoanalitico e fenomenologico, la memoria è sempre là velata o da svelare, invisibile o visibile in modo inatteso.

Freud è anche poeta e ha la tentazione di esprimersi come tale in molti suoi saggi letterari. Il premio Goethe, che gli fu concesso, conferma un apprezzamento del suo talento come scrittore. Ma Freud è anche un grande umanista e lo preoccupa il futuro della nostra civiltà e sente il disagio di un mondo alienato dalla vita stessa.

A proposito di alienazione, anni fa, in una serie di conferenze fatte all’Hôspital Sainte-Anne di Parigi, ho sentito la necessità di parlare della relazione tra psicoanalisi e vita, soprattutto di fronte a tentativi, da parte di alcuni analisti, di disumanizzare la lettura dell’inconscio con presupposti teorici troppo freddi e razionali. Forse l’apporto sull’inconscio di Eduard von Hartmann è anch’esso troppo razionale, ma ha il  merito di essere anticipatore.

Il concetto d’inconscio è presente nella nostra cultura già nell’antichità classica. Il concetto di syneidesis, come attività  non razionale privilegia l’intuitività ontologica. Tutti i filosofi della Grecia e della Magna Grecia hanno dimostrato la loro preoccupazione per la posizione dell’uomo nella società. L’idea di corpo umano rimane latente, piuttosto proiettata nei corpi celesti o nella natura, ma ancora in modo separato dall’uomo che pensa la quotidianità e dimentica il “corpo vissuto” (Leib in Husserl).

Lavorando sul territorio autistico, mi hanno colpito le “sue etiche” rispetto al proprio topos o territorio, o luogo di vita. In realtà, Ethos cambia di significato a seconda che si scriva con epsilon o con eta. Secondo il primo modo può significare luogo, topos; con il secondo assume il significato di costume, modo di essere: o essere là o spazio dell’essere (Da-Sein). Nell’etica animale : la sua  tana. “Essere è stare” dirà Parmenide; è una manifestazione etica dell’individuo che vive anche il suo “divenire” dirà Eraclito.

 Per Parmenide ciò che conta nel divenire è la pausa, uno spazio per pensare il divenire stesso. Ogni impedimento al proprio spazio di vita o spazio di pensiero è vissuto come un attacco alla propria identità, alla libertà di essere.

Il bambino autistico, come l’adulto schizofrenico (l’autismo viene descritto prima da Bleuler come forma di pensiero chiuso) protegge il suo spazio autistico, data la sua vulnerabilità.

L’essere umano che non controlla il suo spazio psichico e non è consapevole delle proprie forze distruttive si comporta in modo cieco e spesso senza autocritica. Faccio qui riferimento alla personalità di base dominante nella nostra cultura (Kardiner e Linton) che secondo me è fondamentalmente paranoica. Gli ideologi del nostro tempo, sia in campo sociopolitico,  che in quello religioso e talvolta scientifico si comportano in modo assolutista e spesso senza autocritica. Questo ricorda gli studi di Kraepelin ed altri sul pensiero paranoide o paranoico caratterizzato dalla mancanza di autocritica e da convinzioni “deliranti”. Anche nel campo psicanalitico alcuni si comportano come se fossero in possesso di una verità che non richiede critica. Alcuni concetti di Freud, Melanie Klein e Bion sono spesso presi come verità indiscutibili o come una Bibbia in cui tutto è stato detto. Noi psicoanalisti allievi di alcuni di loro dobbiamo confrontarci con tale psicopatologia ereditata.

 La relazione col paziente richiede invece spontaneità e spirito d’avventura: andare alla ricerca insieme di quell’altra realtà, di quell’altra storia, di quell’altra memoria che è presente nel transfert e bisogna scoprire, svelare. Questo implica eticamente entrare in contatto con l’aspetto sacro di ogni intimità. Il contatto con l’altro richiede tatto e responsabilità. “Attenzione, voi psicoanalisti”, mi diceva un paziente psicotico cronico dell’ Hôsptal Sainte-Anne di Parigi, “attenzione a toccare vecchie ferite, se non conoscete bene il coefficiente di coagulazione del paziente.” In ogni caso entrare in contatto con la memoria inconscia è anche “toccare” tracce archeologiche della mente che si confondono, vista la fragilità dell’essere, con ferite. Le prime sensazioni del bambino, le prime esperienze, lasciano il segno, il marchio di un ricordo spesso doloroso e persecutorio. C’è un livello arcaico nel neonato che abita in noi, nel quale un ricordo tracciato di una scoperta senso-percettiva diventa un fatto confuso tra fascino e dolore.

L’archeologia dell’inconscio mi attrae ed il trauma della nascita descritto da Otto Rank mi ha sempre interessato. Trattando pazienti psicotici e bambini autistici in stati regressivi ho potuto osservare l’esperienza di rinascita , come la reminiscenza, quando lo stato delirante e la difesa autistica cominciano a sparire.

Il paziente si sente dolorosamente nudo nel mondo, con il sentimento depressivo di perdere l’universo della malattia: la costruzione delirante. Tale fenomeno, che io chiamo “depressione narcisistica” (perdita dei personaggi e dell’ideologia narcisistica del delirio), riappare come esperienza di rinascita alla vita e quindi traumatica. “Che cosa farò?” mi diceva un paziente schizofrenico a Londra - “adesso che non ho più the plastiline of my mind” con la quale poteva trasformare la effigie della città.

In un mio lavoro in francese su “Il trauma della guarigione” analizzo il problema dello psicotico, dell’alienato che si riscopre tornando alla vita. Otis, un paziente che fa parte di un gruppo di psicotici, cade spesso in stati di crisi. Nella crisi riappare in modo allucinatorio un’immagine infernale del padre che brucia. In realtà è la riattualizzazione traumatica di un pensiero intollerabile: il padre era morto bruciato in un incidente aereo anni prima. Nella sua ambivalenza di amore e odio all’oggetto paterno, tra nostalgia e “guerra edipica”, il dramma del lutto patologico ritorna in modo critico. Risvegliandosi dal delirio, il ricordo intollerabile appare come un pensiero persecutorio. Egli sente che il gruppo lo critica ed è contro di lui fino a che impara che i suoi pensieri persecutori e critici si ritrovano proiettivamente nella mente degli altri membri del gruppo. Diventa piano piano consapevole della presenza di tali pensieri “gettati” (verwerft) nello spazio mentale del gruppo. Dopo una serie di sedute la persecutorietà sparisce e sentimenti depressivi appaiono. “Come stai oggi Otis?” gli chiede un membro del gruppo. Egli risponde: “Quanto è difficile tornare alla vita.” Un altro membro del gruppo, Samuele, ha dato la migliore definizione del suo mondo allucinato persecutorio dicendo: “Le mie allucinazioni erano una volta pensieri”. Elis, fisico atomico, anch’egli schizofrenico, in generale nel gruppo non parla ma muove gli occhi, come cercando di catturare ciò che sta ascoltando per proiettarlo di fronte a lui sul muro della stanza. Siccome il muro è pieno di libri cerca gli spazi bianchi come schermo. In un’altra occasione conta i numeri di spazi bianchi tra i miei libri. Io gli chiedo che cosa stia facendo e ricordiamo ambedue che lavora in un laboratorio astronomico con un apparato che serve per contare gli atomi che egli chiama il “tubo”. D’altra parte lui si sente chiuso in sé stesso e chiama il su corpo “la torre”. Pare che in questa torre le due feritoie aperte siano gli occhi con i quali cerca di entrare in contatto con il mondo ed i suoi atomi. Ma come uscire dalla sua torre o attraversarne i muri? Come ricominciare la vita fuori? Come riconciliare il sistema di credenze del delirio con il principio di realtà? Come ristabilire un dialogo tra la logica del delirio e la logica della vita quotidiana?

Nel 1915 Freud, nel suo articolo sull’inconscio, dirà: “l’ipotesi dell’inconscio è necessaria e legittima”. Il lavoro psicanalitico sarebbe per lui entrare in contatto con i messaggi inconsci, quindi con l’inconscio come linguaggio. Poi dirà: “Abbiamo molteplici prove dell’esistenza dell’inconscio”. 

Una volta ho chiesto al grande, Bion durante un suo seminario a Parigi da me organizzato nel 1978, che cosa pensasse dell’inconscio e lui mi ha risposto: “è qualche cosa di reale e vivo come un albero, che ha le sue radici, il suo corpo- tronco e i suoi frutti”.

Quali sono i frutti della nozione di inconscio per il futuro umano? Quale il suo avvenire? Questo è il dilemma e la preoccupazione, tra disagio e illusione, che mi prende particolarmente e che corrisponde al mio contributo in questo incontro. Nel seminario citato Bion si pone la seguente domanda: “Se Freud fosse stato un pittore o un musicista, sarebbero esistite la psicoanalisi e la nozione di inconscio?”

A proposito del linguaggio e della logica dell’inconscio Freud si ispira al lavoro di K. Abel “Uber den Gegensinn der Urworte” (1884) e scrive un articolo per me fondamentale con lo stesso titolo “Sul significato antitetico delle parole primitive (Urworte).” Questo ha ispirato a Ignazio Matte Blanco i suoi lavori e libri sulla logica dell’inconscio.[6]

L’inconscio è materia viva, linguaggio primordiale e occupa un posto privilegiato nello spazio mentale.

Jaques Lacan, nel suo scritto[7] Position de l’inconscient,[8] ripreso dal Congresso di Bonneval nel 1960 e completato nel 1964 riprende in parte la fenomenologia di Hegel. Si ispira anche agli studi di Alexandre Kojeve[9] per parlare del discorso dell’inconscio strutturato come un linguaggio. Parla anche della patologia del linguaggio inconscio come forma di alienazione. Ma come farebbe oggi Lacan per risolvere l’eredità del principio di contraddizione in Hegel rispetto alla non-contraddizione dell’inconscio in Freud e Matte Blanco? Il concetto di alienazione è ispirato in parte, dal lavoro di Hegel[10] come estraniamento della coscienza a sé stessa e da Marx[11] come obbiettivazione dell’alienazione nel sociale. Ma quello che mi pare fondamentale in Lacan, come comprensione del linguaggio e crisi dell’inconscio, è il concetto di forclusione nella psicosi. Io credo di aver capito questo: come se dopo la rottura e la catastrofe dell’Essere (l’esplosione della crisi acuta), frammenti o particelle dell’apparato psichico venissero eiettate (verwerft) con forza sulla natura e forse sul cosmo. La visione del cosmo produce un paesaggio bizzarro.

All’idea di esplosione dell’apparato psichico si aggiunge quindi, in Jacques Lacan[12], la nozione di “forclusione”. Lacan stesso ha introdotto questo termine per esprimere un meccanismo specifico del fatto psicotico; si tratterebbe secondo lui di un rigetto primordiale, di un “significante” fondamentale. Il Fallo o il Nome del Padre in quanto significanti paterni del complesso di castrazione, durante la crisi sono messi fuori dall’universo simbolico del soggetto. Il significante “forcluso” o “rigettato” (Verwerft secondo Freud) è escluso dall’inconscio del soggetto. Secondo Lacan i frammenti paterni espulsi non ritornano.

         Da parte mia io sono più ottimista; considero che quello che è stato espulso non è solo il significante paterno, ma anche il mondo del soggetto globale esploso. L’avvenire terapeutico risiede nella possibilità di avventurarsi, col paziente, nel paesaggio del transfert per s-coprire, s-mascherare e raccogliere i pezzi esplosi. Questo paesaggio deve essere concepito nella sua doppia prospettiva esterna e interna, d’altronde non sempre ben differenziata.

La ricerca psicoanalitico-fenomenologica nella psicosi consisterebbe per me nello svelare un panorama del mondo camouflé dove le particelle, forse particelle autistiche che rimangono chiuse e nascoste nel panorama della natura o del cosmo si confondono con la realtà stessa. L’interpretazione clinica per me sarebbe tentare una lettura, insieme col paziente, delle maschere circostanti: lo psicotico vive in gran parte fuori di sé nel mondo, nel paesaggio, nell’Universo dissociato da sè stesso (alienato). Egli non si riconosce fino a che lo svelamento interpretativo provoca in lui tale risposta: perché non l’ho visto prima se era di fronte a me? Si rende visibile una volta smascherato dalla confusione e dalla invisibilità o negazione (Verneinung).

Ma che cos’é lo spazio mentale per uno psicotico? Che cos’è il mondo circostante? Che cos’è il cosmo? Otis dice: “Non posso pensare nel mio vuoto, non posso pensare nel buco nero che c’è tra il mio naso e il mio teschio; talvolta diventa una specie di spugna terrificante che succhia tutto quello che ho dentro. Questa spugna è sempre in espansione e diventa un universo con le sue galassie. Mi ricorda l’inizio della mia malattia quando prendevo l’acido lisergico.”

Elis parla del suo magma mentale in espansione nel quale si trovano confusi tanti pensieri e parole frammentate, a pezzi… Così si stabilisce un dialogo tra la spugna ed il magma espansivo, quindi tra due inconsci invasi dalla psicosi.

Otis e Elis vivono le loro crisi dentro lo spazio grippale. La cosa preziosa dopo la crisi è il poter raccogliere i “pezzi” di un io frantumato; metterli insieme, fare un lavoro di riparazione e restauro. Tutto ciò fa parte di una trasformazione del campo analitico stesso. Così tra esplosione, implosione del sé, proiezioni violente (Verwerfung) dei pensieri da rifiutare, da espellere, il lavoro psicoanalitico sulla psicosi diventa un campo operativo di comprensione e riparazione di vecchie ferite, di antiche lacerazioni e di un possibile progetto di vita.

Freud nel 1923 propone l’idea che l’inconscio, la sua realtà psichica, abbia una presenza corporea e che l’Io psichico e l’Io corporeo facciano parte di un’unica identità. Quando Freud parla di un Io di superficie si riferisce, secondo me, consciamente o inconsciamente, all’essere umano, alla persona come maschera viva. Ma che cosa accade nel futuro della civiltà in un mondo destabilizzato nel quale la verità appare come realtà ideologica assoluta contrapposta in tante sette e gruppi nazionali o etnici diversi?

Oggi c’è troppa informazione e poco dialogo: siamo dominati da un robot molto utile, il computer. Ma quando le ideologie diventano condizioni assolute, quello che viene proposto è la guerra e la morte al posto del dialogo, fondamento della co-esistenza.

Quello che colpisce noi psichiatri psicoanalisti rispetto al sociale, è l’estrema “lucidità razionale” dei fondamentalisti religiosi e laici. L’irrazionale, negli argomenti politico-religiosi e scientifici, è presente dietro un’eccessiva razionalità con-vincente. Dietro la maschera vestita di verità c’è spesso una mancanza di plasticità, si perde la condizione civile, lasciare spazio all’altro: rispettare il dialogo.

Il dialogo è fondamentalmente asimmetrico e propone una diversità di punti di vista e il rispetto per l’alterità. Il logos  richiede uno spazio, una pausa, e  deve essere nutrito d’affetto e di idee fruttifere. La nozione di inconscio è fondamentale ed i suoi frutti sono infiniti. In questo momento a Parigi vi è un’esposizione alla Biblioteca Nazionale sull’Illuminismo e le sue implicazioni nella cultura attuale. Todorov[13], un noto linguista, dice che anche Mozart insieme con Rousseau, Voltaire, Montesquieu potrebbe essere considerato un illuminista. Naturalmente tutta la tradizione dell’Enciclopedia di Diderot e D’Alambert è d’attualità. Potrebbe essere Freud considerato un illuminista attuale? La sua luce, come quella di Schönberg sul piano della musica, introduce una logica viva e procreativa nel dominio delle scienze, della cultura e dell’arte.

 Quando nel 1957 mi sono imbarcato a Buenos Aires per l’Europa mi sono portato una pesantissima valigia con la Standard Edition di Freud e un disco di Alban Berg allievo di Schönberg, il famoso Kammerkonzert per 11 strumenti, che mi ha fatto scoprire anche la logica dell’inconscio quando ero un giovane studente nel campo psicanalitico. Così, ascoltandolo, ho capito che l’inconscio è strutturato come la musica dodecafonica: nella apparente discordanza c’è una logica e la possibilità di nuove armonie o dis-armonie estetiche. Ritrovo la stessa dimensione, tra il fascino e il perturbante, nella pittura di Egon Schiele. L’ascolto di Berg mi ha accompagnato durante molti anni, fino a che ho conosciuto il direttore d’orchestra che aveva eseguito il concerto nel mio disco-feticcio. Si trattava del grande Renè Leibowitz, che ha introdotto la musica di Schoenberg in Francia. Per circostanze della vita, nella mia esistenza avventurosa e forse anche nella sua, ci siamo ritrovati; così abbiamo stabilito una profonda amicizia durata fino agli ultimi anni della sua vita.

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