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RECENSIONI DI MOSTRE:

"ACTION PAINTING" A MODENA  E "MOI! AUTORITRATTI DEL XX SECOLO" A FIRENZE.

 

(mostre visitate da Giuseppe Leo il 7.12.2004 ed il 8.12.2004)

 

                                                 

"La vita spirituale di cui l'arte è una componente fondamentale, è un movimento ascendente e progressivo, tanto complesso quanto chiaro e preciso. E' IL MOVIMENTO DELLA CONOSCENZA. "

 

Questa frase di Kandinsky, contenuta nel suo Lo spirituale nell'arte, l'ho letta dopo aver visitato la mostra  sull'action painting, ma, a posteriori, mi ha confermato la vocazione di 'conoscenza interiore' che ho intuito nell'ammirare un suo quadro che apriva la mostra modenese. Liberarsi dalla figurazione per accedere ad una conoscenza che va oltre la percezione, che mira alla (auto) consapevolezza da parte dell'artista. Ed all'inizio della mostra, nella prima sala, si potevano avvicinare quegli artisti europei che avevano preannunciato la 'pittura d'azione' americana: oltre a Kandinsky , a  Paul Klee, a Piet Mondrian,  Sebastian Matta con i suoi rimandi al surrealismo nell'automatismo e nell'indagine di una morfologia psichica attraverso cui egli scandaglia le profondità dell'inconscio. Matta si era trasferito da Parigi a New York nel 1939 e costituisce una figura ponte tra il surrealismo europeo e l'espressionismo astratto (o action painting)  che nascerà a New York  grazie alla galleria "Art of this century" di Peggy Guggenheim.

L'automatismo e la randomizzazione del gesto creativo è quindi trasmigrata nel 'dripping' (sgocciolamento) di Pollock, del quale però c'erano anche esposte alcune tele della sua fase iniziale, ancora figurativa. Ma 'action painting' non è solo indice di spostamento semantico dall'azione che crea la pittura all'azione che è pittura. Dalla mostra è risultato un quadro più variegato degli ambiti a cui applicare una tale 'etichetta'. 

Foto: Rothko, Senza titolo (Nero su grigio), 1969-1970

Per es. in questa tela di Rothko, a mio parere  bisogna parlare di 'espressionismo astratto', perchè qui ci troviamo sul solco di Kandinsky più che di Mondrian. Nero e grigio non occupano semplicemente due fasce sovrapposte della tela, ma presentano ciascuno delle fini modulazioni cromatiche che sembrano creare un ponte tra i due campi più che demarcarli. Quasi una finestra nell'anima in cui ci sentiamo immersi nel paesaggio interiore del quadro (la scelta di dimensioni cospicue del quadro deve far pensare ad una precisa volontà di creare nello spettatore un'emozione di panico coinvolgimento DENTRO il quadro), in cui sentiamo che i nostri piedi poggiano su un grigio finito ed il nostro sguardo è affisso dal nero infinito. Ho subito associato questo paesaggio mentale alla morte per suicidio dell'autore.

Sì, chi ha detto che l'espressionismo astratto è trans-figurativo e vuole mirare al di là di un impatto emotivo che invece la 'figura' avrebbe?

A parte altri quadri dello stesso Rothko (ad es. Nero, giallo, rosso su rosso, del 1968) e di Sam Francis (come 'Rosso e nero', del 1954) in cui è dato cogliere come ci fossero degli ascendenti 'fauves' in questa pittura, nella violenza delle esplosioni cromatiche che incendiano letteralmente il quadro, lo stesso Pollock ha teorizzato un modo di fare arte in cui il dipingere non è un'azione che si fa sopra un supporto, ma è un'azione che l'artista opera tutt'intorno a sè, come nella pittura dei pellirossa americani in cui il pittore si muove dentro la pittura e non a debita distanza da essa. Pollock, che sottopose i suoi quadri a degli analisti junghiani,  così descriveva la fase di creazione artistica: "Quando sono nel mio quadro non sono cosciente di quel che faccio. Solo dopo una specie di 'presa di coscienza' vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di fare dei cambiamenti, di distruggere l'immagine, ecc., perché un quadro ha una vita propria".

Voglio concludere con un quadro che rimanda alla morte, alla morte tragica di Pollock. Questi morì per un incidente stradale nel 1956, e Conrad Marca-Relli, nel suo 'La morte di Jackson Pollock", usando il collage,  sembra indicarci attraverso questa frammentazione visiva che contiene, nell'astrazione del soggetto, una dinamicità intrinseca ed una vitalità 'dionisiaca', un omaggio alla genialità del collega prematuramente scomparso.

  Foto: Conrad Marca-Relli, la morte di Jackson Pollock, 1956.

La mostra "Moi!Autoritratti del XX secolo", in corso nella galleria degli Uffizi, e proveniente dal 'Musée Louxembourg' di Parigi, sin dal suo ingresso ci fa subito entrare in uno spazio mitopoietico in cui si intrecciano miti della grecità (Narciso), rinascimentali (la riproduzione su pannelli di ritratti collezionati da Leopoldo de' Medici) e contemporanei (l'attentato alle Twin Towers).

  Foto: Nicolas Alquin, "Ombra portata", 2000-2003

All'interno di questa scenografia dai forti richiami mitologici è stata collocata la scultura di Nicolas Alquin, in cui una donna regge tra le mani un busto, in cui la fisionomia del viso ci suggerisce un senso di macabra alterità. E' l'alterità del doppio-morto, del nostro doppio proiettato nello specchio della 'vanitas' che vuole alludere alla tragedia delle Torri Gemelle di New York, il cui crollo avvenne durante la realizzazione dell'opera e conferì un ulteriore spazio mitologico in cui collocare i riferimenti semantici.

D'altro canto il ritratto ha le sue origini nella maschera funeraria, e l'ombra è menzionata da Plinio con riferimento alle origini della pittura.

La mostra si articola in una serie di sezioni, ognuna delle quali ha un titolo tematico. Dopo la stanza "Somiglianza e diversità" (<<dove si accostano opere che non hanno nulla in comune e mettono in risalto obiettivi e contraddizioni impliciti nella rappresentazione di se stessi>>), si passa a "Maschera & espressione", <<dove si può constatare che le espressioni della fisionomia talvolta nascondono più di quanto non rivelino, mentre le maschere possono svelare più di quanto non occultino>>.

  Foto: Felix Nussbaum, "Autoritratto con maschera", 1928.

Felix Nussbaum, nato a Osnabruck nel 1904, deportato in un lager nazista, vi muore nel 1944. <<Le sue opere, in uno stile meticoloso e particolareggiato, sono espressione di un realismo talvolta tragico e ineluttabile. >>

  Foto: Yang Shaobin, "Number 3, 2000", 2000.

Shaobin, nato nel 1963, <<realizza ammassi di carni dai colori vivaci e volti urlanti che esprimono odio o sofferenza>>.

Nella sezione "Storia & metamorfosi" <<si comprende come essere anacronistici sia un modo per essere contemporanei, e come per rivelarsi possa essere necessario subire una metamorfosi>>.

  Foto: Ron B. Kitaj, "Autoritratto in versione femminile", 1984.

Kitaj , nato in Ohio nel 1932, nella sua arte valorizza le proprie radici culturali ebraiche, avendo tra l'altro realizzato negli anni settanta delle opere sulla Shoah. In questo "Autoritratto in versione femminile" egli non vuole mettere in atto una fantasia di travestitismo. In un suo scritto egli dichiara che non vuole essere donna, piuttosto intende identificarsi con una donna in particolare. Si tratta di Hedwig Bacher, la quale in Austria, dopo l'Anschluss, viene denunciata di avere relazioni con un ebreo. Viene allora costretta ad attraversare nuda  un quartiere di Vienna, con un cartello appeso al collo in cui si dichiaravano i suoi misfatti. Kitaj in questa donna riconosce la propria identità ebraica.

Segue la sezione "Lo studio del pittore & lo sguardo", <<dove si è portati a chiedersi quale intimità l'artista invita a condividere e a porsi la domanda: chi guarda chi?>>. Tra le opere qui raccolte (tra le altre autoritratti di Chagall, Bacon, ecc.) ci piace ricordare l'autoritratto di Zoran Music, il cui aspetto spettrale ci dà l'idea delle proprie condizioni di vita a Dachau nel 1943.

  Foto: Zoran Music, Autoritratto,  1989.

L'intimità viene esibita come relazione tra due artiste che si (auto)ritraggono in "Close up" di  Eva & Adele, del 1998.

  Foto: Eva & Adele, "Close up", 1998.

In "Corpo & vanità" <<ci si accorge che la comparsa del corpo, della sua sessualità, non modifica quella che è la vera posta in gioco della rappresentazione di sé: tenere testa alla morte>>.

  Foto: Egon Schiele, "Eros", 1911.

In questa sezione Esther Ferrer nel suo "Autoretrato en el tiempo" utilizza la fotografia come esercizio implacabile per rivelare le trasformazioni che il tempo incide sul proprio volto. Il volto biografico viene freddamente ricostruito giustapponendo due metà di foto scattate agli estremi di questo arco temporale, 1981 e 1989.

  Foto: Esther Ferrer, "Autoritratto nel tempo 81/89", 1981-1989.

Di Helena Schjerfbeck, artista finlandese nata nel 1862 e morta nel 1946, sono presenti due opere a confronto, quasi in un raffronto da "memento mori": un suo autoritratto giovanile (1884-1885) ed uno "dalla macchia rossa" del 1944, poco prima della morte. Così scriveva nel 1921: <<Siccome sentivo che dipingevo troppo di rado negli ultimi giorni, ho iniziato un autoritratto, il mio modello era sempre a disposizione. Non è divertente fissarsi sempre>>. E qualche settimana prima aveva scritto: <<Forse l'artista non deve far altro che penetrare in se stesso, in questo 'soltanto me' duro e glaciale>>.

  Foto: Helena Schjeferbeck, "Autoritratto dalla macchia rossa", 1944.

Interessante anche un autoritratto di Laszlo Moholy-Nagy del 1919, che egli regalò ad un amico nel 1922.

  Foto: Laszlo Moholy-Nagy, Autoritratto, 1919.

Infine, nella sezione "Specchio & Fotografia" <<ci si rende conto che l'immagine di sé è sempre quella di un altro>>.

 

G.L.

 

 

 

Editor : Giuseppe Leo

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