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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte
Psychoanalysis applied to Medicine, Pedagogy, Sociology, Literature and Arts

 

 Sede redazionale: Ce.Psi.Di. (Centro Psicoterapia Dinamica "Mauro Mancia"), via Lombardia, 18 - 73100 Lecce   tel. (0039)3386129995 fax  (0039)0832933507

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Rivista iscritta al n. 978 Registro della Stampa del Tribunale di Lecce

ISSN: 2037-1853

Edizioni Frenis Zero

  Numero 13, anno VII, gennaio 2010

"Malessere delle Culture"

 

   

"L'AMBIGUITA' COME DIFESA IN CONDIZIONI DI TRAUMA ESTREMO"

 

  di Silvia Amati Sas

 

 

Foto: Paolo Ventura, "Iraq" (2008)

   
 

Silvia Amati Sas è medico (laureata all’Università di Buenos Aires, Argentina), pedopsichiatra (specializzata all’Università di Ginevra, Svizzera), membro ordinario AFT della Società Svizzera di Psicoanalisi, membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e dell’IPA. Nel corso della sua carriera ha prestato particolare attenzione alle tematiche della trans-soggettività e della violenza sociale, elaborando teoricamente con grande fecondità la sua particolare esperienza clinica con pazienti reduci da persecuzioni politiche dei regimi dittatoriali. Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo le più recenti: “La violenza sociale traumatica: una sfida alla nostra adattabilità inconscia”,  pubblicato in “Ferenczi oggi” (a cura di F.Borgogno), Bollati Boringhieri (2003); “Situations sociales traumatiques et processus de la cure”.  Revue Française de Psychanalyse, 2002, 3, 923-933; “Honte, ambiguïté et espaces de la subjectivité ».  Revue Française de Psychanalyse, 2003, 5, 1771-1775 ; « Amati Sas, S. (2004).  L’interprétation dans le trans-subjectif: réflexions sur l’ambiguïté et les espaces psychiques ». Psychothérapie, 24, 207-213.

Questo articolo è una rielaborazione della relazione presentata dall'Autrice al "Panel" su "Trauma e tortura" al 44° Congresso dell'"International Psychoanalytic Association"(I.P.A.) tenutosi a Rio de Janeiro nel 2005. L'articolo completo verrà pubblicato in un volume collettivo, curato dalle Edizioni Frenis Zero, che si intitolerà "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria".

 

P Per parlare, in veste di psicoanalisti, del trauma provocato dalla tortura, dobbiamo  considerare che alcune delle nostre consuete premesse (teoriche o tecniche) devono essere modificate quando si lavora con questo tipo di pazienti.

Bisogna considerare che la tortura è uno strumento organizzato da poteri socio-politici, il cui scopo principale è quello di provocare paura catastrofica e conseguenze traumatiche ad un insieme di persone o a un’intera popolazione .

 Il rischio che dobbiamo evitare è di descrivere la tortura con concetti apparentemente ovvii (come, ad esempio, quello di sado-masochismo) senza collocarla in un contesto istituzionale di obbedienza agli ordini e di permesso a compiere azioni crudeli concesso dalle organizzazioni di potere ai propri agenti.

Sapendo che le realtà sociali alterano la soggettività, non c’è bisogno di trovare nel passato di questi pazienti i fattori determinanti della situazione traumatica attuale.

Un’interpretazione di transfert sarebbe fuorviante e fuori luogo, se fatta prima che il paziente abbia riacquistato il suo orientamento nella vita, in termini spazio-temporali, e le sue capacità di integrazione, alterate dall’evento traumatico provocato.

Con questi pazienti, che hanno subito la violenza sociale, lavoriamo contro la nostra ‘adattabilità inconscia’ (tanto del paziente quanto nostra): in una  comune  sfida contro un adattamento, una connivenza e una complicità  non desiderati  che sono  lo scopo degli abusi organizzati dal sistema violento.

Dobbiamo sfidare l’“ambiguità difensiva” dentro di noi, una posizione di elasticità e malleabilità grazie alla quale riusciamo ad evitare il conflitto interno e l’autocritica, e addirittura a far apparire ciò che è perverso come “scontato”.  Per questo motivo è particolarmente importante cercare di percepire i segnali affettivi consci ed inconsci della nostra opposizione all’adattabilità e al conformismo imposto (valore della vergogna, scoraggiamento, indignazione, ecc.).

Uso la parola “sfida” perché sia chiaro che la sopravvivenza psichica ha pretese etiche che sono legittimamente aggressive!  E’ mia intenzione specificare quegli aspetti psichici che evidenziano l’accettazione tacita di qualsiasi contesto o di qualsiasi realtà, persino la più ingiusta ed illegittima, conferendole ovvietà, familiarità, banalità e che facilitano il conformismo.

Dato che il conformismo sociale è l’obiettivo dei metodi violenti istituiti ed usati per ottenere sottomissione ed evitare ogni forma di critica civile o altre forme di ribellione, abbiamo bisogno di modelli psicoanalitici che considerino le dinamiche della soggettività ed il contesto.

Fin da quando, nel 1972, iniziai ad occuparmi di trauma sociale con pazienti latino-americani, ho trovato un valido aiuto concettuale nel modello dell’ambiguità di Bleger.  Ho “coniugato” più tardi queste idee con la descrizione di Puget e di Berenstein degli “spazi della soggettività”.

Con i pazienti traumatizzati socialmente è molto utile prendere in considerazione i tre spazi della soggettività: l’intrasoggettività (la relazione tra l’io e gli oggetti interni), l’intersoggettività (i legami tra il soggetto e l’“altro” o gli altri della realtà esterna), ma in special modo i fenomeni trans-soggettivi, cioè i legami tra il soggetto e il contesto sociale condiviso.

In breve, l’“ambiguità” è l’espressione clinica di un “nucleo ambiguo”, un residuo di “indifferenziazione primaria” che rimane nella personalità matura: la premessa di Bleger è che questo “nucleo” debba essere necessariamente proiettato e depositato in “depositari” esterni attraverso un “legame simbiotico”.  Questa obbligatoria dipendenza inconscia dal contesto esterno offre sentimenti soggettivi  di sicurezza e  di appartenenza.

Quando gli aspetti indifferenziati, incerti, imprecisi del soggetto (nucleo ambiguo) perdono i propri depositari nel mondo esterno (sia per motivi naturali o provocati), il  brusco  ritorno (reintroiezione) dell’ ambiguità   produce insicurezza e diverse forme di ansietà (panico, obnubilamento, perplessità), seguite dalla ri-proiezione del “nucleo ambiguo” in  nuovi depositari (contesti o circostanze) attuali con il conseguente  adattamento e conformismo alla nuova situazione. Possiamo dire che allora il soggetto assume quella che Bleger definisce “posizione ambigua”, una posizione pre-schizoparanoide, pre-conflittuale che dev’essere chiaramente differenziata dall’ambivalenza e dalla contraddittorietà e che può funzionare come difesa.

Vediamo che quando le condizioni del contesto esterno sono estremamente e traumaticamente cambiate, la posizione ambigua diviene una difesa maggiore.  In questi casi, la qualità mimetica dell’ambiguità protegge (coll’obnubilamento, coll’indifferenza, e coll’adattamento) il resto della personalità che  sembra rimanere  allontanata e sospesa.

La  dinamica  dell’ambiguità e il suo essere depositata all’esterno ci permettono di immaginare come i cambiamenti provocati intenzionalmente nel contesto esterno possano toccare gli aspetti più intimi, vulnerabili e dipendenti della soggettività.  Perciò la realtà sociale funziona come “depositario” degli aspetti più imprecisati, incerti, non discriminati e non differenziati di qualsiasi individuo  ad ogni età, e  sostiene  e fornisce al soggetto l’illusione di appartenenza, di sicurezza e di certezza.

La violenza sociale traumatica provoca fenomeni di adattamento soggettivo che conferiscono ovvietà e familiarità a qualsiasi contesto, e che possiamo  considerare come una “difesa tramite l’ambiguità”, che conduce ad un “adattamento a qualsiasi cosa”.  Nello stato di ambiguità c’è un’alterazione della capacità di pensiero critico e dei meccanismi di allarme, che rendono tanto il  soggetto quanto il  gruppo facilmente penetrabili e suggestionabili.

Nella terapia delle situazioni estreme, non si tratta solamente di “rendere conscio l’inconscio”, o di “integrare le dissociazioni”, ma anche di rendere pensabili il trauma e le difese inconsce che vengono attivate (frammentazione, dissociazione, adattamento) e di dare al paziente la possibilità di trasformare l’ambiguità difensiva (il non-conflitto) in ambivalenza critica, di trasformare la propria alienazione in giudizio critico.

 Considero l’alienazione, con P.Aulagnier, come un’alterazione del pensiero – e dell’affettività – provocata  intenzionalmente  da qualcun altro, senza che il soggetto ne sia consapevole.

Durante l’elaborazione dell’esperienza traumatica, il paziente deve riconoscere i sentimenti  che lo disturbano, la vergogna e l’ansietà catastrofica, e le  perturbazioni del  suo sentimento  d’ identità (estraniamento, confusione, discontinuità), e del suo pensiero, però, in più, deve anche riuscire a  scoprire e a legittimare la   propria opposizione e il proprio rifiuto alla violenza subita.

Se a livello intrasoggettivo, la violenza sociale provoca una regressione difensiva allo stato di ambiguità,  a livello intersoggettivo essa provoca importanti alterazioni nelle relazioni umane, introduce fraintendimento  tra le persone (equivoco, paradosso, confusione) e provoca compromessi (consenso, complicità) senza possibilità di scelta.

Il fraintendimento tra le persone diviene obbligatorio quando la violenza traumatica ha luogo in famiglia o nella società.

 La “confusione delle lingue”, descritta da Ferenczi, corrisponde all’ equivoco intersoggetivo e rappresenta  un’incapacità  di percezione e di giudizio sui fatti abusivi  che stanno succedendo.  La “difesa tramite l’ambiguità”  non permette ai terzi di chiarire i propri dubbi e di allarmarsi ed indignarsi   al momento giusto.

La trans-soggettività può essere compresa come la condivisione di contesti istituzionali comuni (Legge, Stato, ecc.) o di regole culturali (ad esempio, la proibizione dell’incesto), che offrono  regole di convivenza e certezze  basilari.  A livello affettivo,  possiamo mettere in  relazione la trans-soggettività  con sentimenti e illusioni condivisi di fede (sicurezza) o  di catastrofe (perdita della fede) provocate dal perdurare o  dallo scomparire di contesti reali o  di riferimenti simbolici significativi.

 Il bersaglio della  violenza sociale traumatica è sempre la trans-soggettività di ognuno in quanto, alterando o distruggendo un contesto condiviso di sicurezza (sia usando apertamente il terrorismo o avvalendosi di altre procedure meno percettibili  quali la propaganda, l’osservanza di pregiudizi,  ecc.), essa conduce un’intera popolazione verso il conformismo e l’assenza di senso critico, la penetrabilità, la suggestionabilità e la facile manipolazione.

Desidero esporre alcuni aspetti della violenza sociale da un punto di vista clinico, portando l’esempio di Altea, una studentessa che circa vent’anni fa militava contro la politica repressiva del suo paese                 latino-americano.  Altea “scomparve”, fu torturata e confinata in un campo di concentramento.  Dopo la sua liberazione e l’esilio, ha intrapreso  una terapia psicoanalitica  con me della  durata di circa  dieci anni.

 

 

 

 
 
 
 
 

(fine della prima parte dell'articolo che verrà pubblicato nella sua interezza in un volume di prossima uscita per le Edizioni Frenis Zero)

 

 

 BIBLIOGRAFIA

 

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