Autobiografie dell'inconscio.
Numero 11, anno VI, gennaio 2009
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"AMARCORD" |
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di Leonardo Ancona |
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Leonardo Ancona è venuto a mancare nella tarda estate del 2008.
L’insigne psichiatra e psicoanalista romano ci aveva fatto l’onore
di aderire al board scientifico della nostra rivista Frenis Zero. In
essa avevamo già pubblicato, o meglio ri-pubblicato, alcuni suoi
lavori. Tra questi “Amarcord”, un interessante articolo
autobiografico che ripercorreva le principali tappe della sua
formazione personale e psichiatrica, tratteggiando anche i vividi
profili di psicoanalisti e personalità con cui egli aveva stabilito
intensi rapporti, come ad es. Agostino Gemelli. Una prima parte di
questo articolo era accessibile all’indirizzo
http://web.tiscali.it/cepsidi/ancona.htm . L'articolo completo
viene proposto in questo numero monografico di Frenis Zero dedicato
alle "Autobiografie dell'inconscio", commemorando in questo modo,
con profonda commozione, l’infinita gentilezza e disponibilità
nonché il calore umano di una personalità che lascia un vuoto
incolmabile nel mondo psicoanalitico.
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Foto:
Leonardo Ancona
A.S.S.E.Psi.
web site (History of Psychiatry and Psychoanalytic Psychotherapy )
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(Centro di Psicoterapia Dinamica)
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PsychoWitz - Psychoanalysis and Humor (...per ridere un po'!)
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-0-4
Anno/Year: 2008
Prezzo/Price: € 18,00
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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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Fermo per un istante il mio girovagare quotidiano, rallento il respiro
e mi guardo all'indietro, lungo la ormai non breve strada percorsa...
si perde lontano lontano, ma nel suo incerto e vago contorno si fanno
salienti alcuni avvenimenti che hanno segnato l'itinerario della mia
vita sino ad oggi; ognuno passato eppur sempre presente per essersi
inserito in una trama priva di discontinuità, insieme professionale ed
esistenziale.
E allora li racconto.
All'inizio ad attirarmi fu la Psichiatria, e non ne so esattamente il
perchè. La scarsa esperienza che ne avevo avuto durante gli anni
universitari e di specializzazione in verità era stata devastante: era
quella del manicomio.
Un luogo dove la speranza era morta, i ricoverati piuttosto che malati
erano oggetti, qualche volta gioco, più sovente dramma, comunque un
campo di relitti a consumazione, nei casi migliori di recuperi non
certo programmati e rinviati all'origine solo nell'attesa di un
immancabile ritorno, nei casi peggiori di esseri in agitazione, da
contenere con la forza dei mezzi fisici e dei quali non ci si assumeva
responsabilità morale, ma solo giudiziaria. Dei cosiddetti <<sudici>>
poi non ci si occupava affatto, perchè il compito era assegnato agli
infermieri, generalmente uomini forti e scaltriti, molto poco
corrispondenti alla loro designazione sanitaria.
Poi, onnipresente, l'inconfrontabile <<odore dei matti>>.
E non potevo nemmeno confrontarmi con la professione extra-moenia, che
non esisteva; per quanto celebrato sul piano della produzione
scientifica o letteraria il Direttore dell'Ospedale Psichiatrico
Provinciale (di Milano), non aveva né avrebbe mai avuto un solo
paziente privato...
Eppure la Psichiatria mi attirava, ne intuivo una realtà sottostante,
o trascendente, che produceva uno scotoma del presente: era il
desiderio di entrare in comunicazione con la vita più intima di quei
sofferenti, attraverso la porta aperta del loro dissesto mentale: un
desiderio che si poteva trasformare in poesia, come era successo a
Tobino.
Fu Gemelli che al nostro primo incontro, nel 1947, mi mise d'un tratto
a contatto con una realtà da me non avvertita, dicendomi con
bruschezza: <<lascia stare la Psichiatria, qui in Italia l'hanno
distrutta e per impararla ti manderò negli Stati Uniti; dove è altra
cosa. Ma per ora rimani con me, in Psicologia, e vedi di farti le ossa
dal punto di vista scientifico>>.
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Foto: Padre Agostino Gemelli |
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Rimasi; e ci restai perchè degli Stati Uniti non si parlò più. Ma
l'intuizione di Gemelli, anch'egli in origine psichiatra e già
allievo di Kraepelin, era corretta. Perché per approdare ad una
Psichiatria autentica l'orientamento di base aveva da essere
psicologico.
La
psicologia sociale: luci e ombre di un'esperienza fondamentale |
Iniziò allora per me un lungo, sofferto travaglio, reso più
complicato, se non addirittura assurdo, dal fatto che
contemporaneamente al mio inoltrarmi nella Psicologia,
nell'aspetto sperimentale insegnatomi da Gemelli e a me
assolutamente sconosciuto, esercitavo la mia formazione medica in
Neurologia; questa si declinò prima come allievo della Scuola di
specializzazione di Milano e qui diplomato nel 1950, in seguito
come tirocinante e poi assistente, di chi me ne fu vero Maestro,
Lucio Micheli, nell'Ospedale Resnati di Milano.
Alla sua scomparsa diventai io il responsabile del servizio, con
l'incarico di assistenza e cura di malati dell'ambulatorio e anche
di quelli ricoverati in reparto di Medicina.
Il guaio fu che la mia strada non era la Neurologia, un campo in
cui comunque ero diventato francamente competente e provetto, ma
la Psicologia cui mi spingeva la <<vis a tergo>> promanante da
Gemelli; che mi inviò infine in Nord-America con una borsa
Rockfeller. Ma non per la Psichiatria, per la Psicologia Sociale.
La mia confusione giunse così al colmo: con un sofferto
rivolgimento mentale ero in qualche modo riuscito a fare il
difficile salto dalla Neurologia alla Psicologia di laboratorio,
una acrobazia perché quella di Gemelli non era pura
psicofisiologia, come tale in continuità con la Neurologia, ma era
una ricerca sulla <<soggettività>>, pertanto trascendente il dato
organico. Non ancora consolidato in questa dimensione, ricevevo
l'impatto sconcertante con una psicologia nord-americana per la
quale non avevo la minima base epistemologica.
Dico di più: l'impatto fu con la Dinamica di Gruppo di tipo
Lewiniano, una frontiera avanzata della Psicologia Sociale, e di
essa un massimo di astrazione, come veniva elaborata al Group
Dynamic Center di Ann Arbour (Michigan).
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Foto: Kurt Lewin |
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In un anno intenso di permanenza (1952-1953) in questa scuola
riuscii a fare solo quanto mi fu possibile, cioé una mera
traduzione di quella psicologia sociale nella psicologia
individuale che avevo appreso a Milano; e scrissi, al ritorno in
Italia, un libro riduzionistico di Psicologia Sociale nel quale
sferrai un deciso attacco ai metodi della Dinamica di Gruppo. un
peccato di gioventù, perché a quel momento non avevo capito niente
di ciò che avevo ricevuto in Michigan.
Tuttavia quella esperienza aveva pur significato qualcosa,
soprattutto per uno stage di 4 mesi, fatto alla fine
dell'esperienza di Ann Arbor, allo Swarthmore College di
Pennsylvania, dove Wertheimer insegnava una dinamica di gruppo ben
diversa da quella lewiniana, comprendente cioé non solo il campo
sociale ma anche il soggetto in esso immerso.
Foto: Wertheimer
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L'approdo alla
psicoanalisi |
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L'esperienza Nord-Americana coincise comunque, a Milano, con
l'abbandono delle pure ricerche di laboratorio per indagini più
ampie, declinate sulla motivazione in vari campi, sulla relazione,
sulla Personalità. Mi avviavo così gradualmente, e
inconsapevolmente, verso la Psicologia Clinica e mi si proponeva
inevitabilmente la necessità di un secondo salto acrobatico:
quello dalla psicologia della coscienza alla Psicoanalisi.
Un'operazione, questa, già da me temuta, combattuta e negata con
tutte le forze, anche con attacchi violenti e gratuiti verso una
disciplina che pure era una componente fondamentale della
Psicologia generale... in un Congresso Nazionale della Psicologia
Italiana, a Chianciano nel 1954, fui talmente tracotante nei
confronti della Psicoanalisi che Cesare Musatti, Presidente della
sessione, mi tolse d'un botto la parola e mi obbligò a tornarmene
a posto.
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Foto: Cesare Musatti |
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Ma questa metanoia alfine si verificò: fu determinante al
proposito la introduzione al nuovo campo che ebbi in Canada da
Noel Maillox, nel 1956-57, poi la analisi didattica fatta a Roma
con Ignacio Matte Blanco, dal 1967 al 1974.
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Foto: Ignacio Matte Blanco |
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Mailloux era un domenicano, Direttore dell'Istituto di Psicologia
dell'Università di Montreal, uno psicologo clinico analizzato da
Zilboorg e promotore molto efficace della Psicoanalisi nel suo
ambito di insegnamento e di azione: un merito riconosciutogli come
tale e con gratitudine dalla Psicoanalisi istituzionale (I.P.A.)
in occasione del suo Congresso Internazionale svoltosi a Montreal.
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Foto: Gregory Zilboorg |
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Matte Blanco
mi ebbe come allievo in training fino alla mia entrata nella
Società picoanalitica ialiana, poi come collega in una seconda
tranche di analisi nel 1975, dopo la mia nomina a ordinario di
psichiatria all’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Roma.
Fatto che mi consentì infine di inoltrarmi in un tipo di
psichiatria dinamica che scelsi come programma di insegnamento e
di lezioni e che approfondii progressivamente con seminari,
congressi, letture e soprattutto tramite la collaborazione con S.
Resnik.
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Foto: Salomon Resnik |
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Ma la storia
non è ancora finita. Dopo il viraggio dalla neurologia alla
psicologia, dalla psicologia alla psicoanalisi, dalla psicoanalisi
alla psichiatria dinamica, una nuova metanoia, un nuovo salto si
delineò come irrinunciabile. La psicoanalisi era centrata
esclusivamente sul mondo interno dei soggetti, nella evoluzione
pregressa e nel trattamento psicoanalitico, e mi risultava
stretta. Non riuscivo a sbarazzarmi dall’impressione che, al pari
del mondo interno e della relazione inter-personale giocata in
esso, aveva un ruolo altrettanto importante lo spazio eccedente la
coppia e la relazione inconscia transpersonale declinata a questo
livello. Promuoveva questo rivolgimento non solo il contenuto
della psichiatria dinamica, soprattutto l’insegnamento di
Swarthmore si faceva sentire e mi apriva naturalmente la porta
alla gruppo-analisi, dove mi fu Pigmalione M. Foulkes con i suoi
epigoni della scuola di Londra, e qui in Italia Fabrizio
Napolitani.
Anche qui un
intimo dramma, come avevo provato per i precedenti viraggi: per
l’abbandono di posizioni rassicuranti, precise e certe, in favore
di orizzonti sfumati e ineffabili.
Per le
resistenze, le rampogne, le emarginazioni subite da parte di chi
lavorava nel campo da me preterito e che era incapace di
comprendere la mia evoluzione. In più, l’ansietà del salto in un
vuoto dinamico e ingolfante, come quello stabilito da un gruppo
analitico in azione: il vissuto della dis-identificazione e della
spersonalizzazione. Che riuscii tuttavia a compiere, ricuperando
molto di quanto avevo appreso negli Stati Uniti (il modello
concettuale di Foulkes è identico a quello di Wertheimer!).
Finalmente
un’ultima metanoia, quella più vaga, più temuta e quindi più
contestata, anche da parte dei gruppo-analisti: la dinamica del
gruppo allargato e del gruppo cosiddetto Balint, dove 30-40-50 e
più persone sono immerse in un’inter-azione analitica di
particolare profondità. È l’immersione voluta in una folla, allo
scopo di renderla gruppo capace di pensiero e di trasformazione
personale e professionale. È questa la mia posizione attuale,
mediata non tanto da un singolo maestro, ma dall’elaborazione
collettiva della scuola di gruppo-analisi di Londra, e dalla
collaborazione feconda, qui in Italia, con Alice von Platen.
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Il frutto
di oggi: la psichiatria dinamica |
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Al termine
di queste multiple e subentranti giravolte, una domanda clinica
emerge dalla loro considerazione di insieme: ho mantenuto il
desiderio iniziale di mettermi a contatto appropriato con i miei
pazienti? E come è variata la mia modalità di approccio agli
stessi? Muovendo dalla seconda domanda si può dire che essa è
partita dalla completa inconsistenza, al di là del semplice
contenimento, della psichiatria di manicomio. Si è svolta come
operazione galenica e puntuale nella neurologia medicamentosa, è
rimasta sospesa nel moratorium terapeutico della fase sperimentale
della psicologia ed è poi ridiventata protagonista nel seguito: i
pazienti sono rientrati in scena con la psicoanalisi, in assenza
di farmaci, con la psichiatria dinamica, declinata anche
farmacologicamente, e con la gruppo-analisi, in possibile
integrabilità con i medicamenti.
Tuttavia la
stessa gruppo-analisi, e in particolar modo la dinamica del gruppo
allargato, mi hanno consentito il raggiungimento di un traguardo
certamente non previsto, perchè si configura puntualmente con la
collaborazione del paziente nella utilizzazione endogena di
farmaci naturali. Per dire che, se l’analisi gruppale pretende di
trattare forme cliniche inagibili o difficilmente gestibili da
altri approcci terapeutici (forme psico-somatiche, disturbi
alimentari, turbe della personalità e casi di grave regressione
psicotica), lo può fare in quanto gli sconvolgimenti emotivi che
la dinamica gruppale è capace di produrre in tutti quelli che vi
si immergono stimolano l’intero assetto trasmettitoriale del
sistema nervoso centrale e dell’organismo. Questo fatto può
giungere persino a interagire con le modulazioni dell’espressione
genica, instaurando una dialettica farmacologica interna che si
sostituisce a quella dissestata relativa alla malattia mentale e
può portare, attraverso emozioni pilotate, a insperati e veri
cambiamenti di natura psichiatrica.
Guardando
allora all’indietro mi pare ora possibile una sintesi conoscitiva
e di prassi terapeutica che non manca di darmi una risposta:
attraverso tante peripezie non ho perduto i malati di mente, anche
quando mi erano usciti dalla visuale. Sono così approdato a una
psichiatria comprensiva, che si dice dinamica e che non esclude,
ma neppure si rinchiude nell’uso dei farmaci e dell’analisi
individuale. Perchè, se richiesta dalle circostanze, supera,
integra o approfondisce farmaci e analisi individuale, tramite
l’utilizzazione delle emozioni trasformative di gruppo.
E allora la
mia parabola pare proprio essersi conclusa in positivo!
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