Uno dei
modi, e forse il più tipico, in cui può manifestarsi lo stato di
irrazionalità di un sistema è quello della violenza, sia essa interna o
esteriore allo stesso sistema.
Allo scopo
di entrare nel merito del tema proposto è peraltro inderogabile il
compito di definire i termini della questione, cioé quelli di <<struttura>>,
<<religione>> e <<irrazionale>>; il termine
<<rischio>> si riferisce invece a un'evenienza successiva,
quindi ha valore di variabile dipendente destinata a manifestarsi in un
certo gioco dei dati costitutivi del problema.
Si può
comunque cominciare in modo paradossale da quest'ultimo punto, affermando
che implicare un rischio nelle strutture di religione significa postulare
l'esistenza di una dialettica tra <<struttura>> e <<religione>>,
tale per cui l'articolazione dei due termini può condurre alla vita,
oppure alla morte; dove per <<vita>> si intende la religione
orientata alla salvezza dell'individuo e del suo gruppo, per <<morte>>
la stessa negazione della religione.
Nella
Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, è possibile ritrovare numerosi
esempi di questa dialettica tra vita e morte: in Osea la volontà divina
è chiaramente indicata con le parole: <<Voglio l'amore e non il
sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti>> (6,6). Nel
Nuovo Testamento si afferma essere venuto il momento in cui l'adorazione
di Dio non sarebbe stata più legata a un monte della Samaria o della
Giudea, ma sarebbe stata guidata dallo Spirito e dalla Verità (Giovanni,
4,21-26). E il cieco nato viene rigettato dal seno dell'Ecclesia ufficiale
in nome della sua struttura, nel momento stesso in cui
<<crede>> e inizia così la vita di vera religione (Giovanni,
9, 35-38). Nella I lettera di Pietro, ancora, si fa una definitiva
contrapposizione tra la <<pietra principale del fondamento>>
che posta in Sion si costituisce come la religione della Sinagoga e quella
<<viva>>, basata sulla fede nel Cristo, che scartata dai
costruttori diviene per loro <<sasso di inciampo>> e di morte
(I Pietro, 2, 6-8). Infine la distinzione tra la legge che porta morte e
la grazia che dà vita (Romani, 5, 12-15), tra la <<lettera che
uccide>> e lo <<spirito che salva>> di tutta la
predicazione paolina è una contrapposizione che sottolinea, in sintonia
con tutti gli altri passi riportati, la dialettica intercorrente tra una
struttura religiosa non più attuale, e quindi rimasta religiosa soltanto
di nome, e di fatto negata, e ciò che è invece espressione di religione
vivente.
|
Queste
contrapposizioni indicano, inequivocabilmente, che il rischio
dell'irreligiosità nella religione è una possibilità reale,
continuamente presente e anticipata sin dai tempi della
fondazione per quanto riguarda la Chiesa cristiana. Si tratta
tuttavia di una possibilità che si estende a qualunque altra
istituzione che si qualifichi come di
<<religiosa>>, che inerisce anzi alla stessa vita
di qualunque organizzazione umana che per la sua particolare
coerenza interna, la natura fideistica dei propri principi, la
selettività rigorosa dei propri adepti e la militanza globale
ad essi richiesta si concreta come <<setta>> o
come <<chiesuola>> o, anche come movimento laico
detto <<di religione>>.
|
Stabilita
sul piano della prassi la possibilità reale del rischio, si può tentare
l'analisi della dialettica da cui la sua evenienza può originare e
rispettivamente essere impedita; e ciò tramite lo svolgimento di una
riflessione psicologica, e soprattutto metapsicologica, sui termini
costitutivi del problema in oggetto, quindi sulla loro razionalità o
irrazionalità.
Si
definisca per <<religione>>, <<una credenza che lega la
natura spirituale dell'uomo a un essere soprannaturale, implicante un
sentimento di dipendenza e di responsabilità, insieme con i sentimenti e
le pratiche che naturalmente derivano da tale credenza>> (Standard
Dictionary di Funk e Wagnalls); oppure <<una credenza in una
garanzia soprannaturale offerta all'uomo per la sua salvezza, nonché un
insieme di tecniche dirette a ottenere o conservare questa garanzia>>
(Grande Dizionario Enciclopedico, UTET); o si veda nella religione
<<una voce che deriva da religere, o religare, o rilegere,
perché con essa noi trattiamo spesse volte delle cose di Dio (religere,
<<rileggere>>), o perché siamo uniti e come legati a Lui
(religare, <<rilegare>>), o finalmente perché lo
scegliamo iterativamente (rilegare, <<riscegliere>>),
come è detto nell'Enciclopedia Ecclesiastica pubblicata a Venezia nel
1860. In ogni definizione vediamo riconosciuto che uno degli aspetti
costitutivi della religione è il carattere dell'attività umana (le
pratiche, le tecniche, le scelte), pur se questa attività è orientata a
un traguardo che trascende l'uomo.
|
Attenendoci
a questo primo rilievo, si può dire che un aspetto fondamentale e
non eliminabile della religione è il suo carattere di intrapresa,
volta come tale, secondo quanto insegna la sociopsicologia, a
operare cambiamenti attraverso un lavoro; per la religione si tratta
di cambiamenti sia nei riguardi del mondo interiore della
soggettività che del mondo esterno della collettività e
dell'ambiente in cui questa vive.
|
|
|
Ora,
per operare queste trasformazioni la religione non può sfuggire al
costituirsi come un'<<organizzazione>>, ed essere
pertanto caratterizzata dai seguenti momenti: la definizione di
mete, la scelta di una strategia atta a pervenirci, una
programmazione impostata su eterogeneicità di funzioni e divisione
del lavoro, la previsione di fasi iniziali, intermedie e finali.
Le
modalità oerative di questi momenti sono infine riconoscibili come
le <<strutture>> dell'organizzazione, in quanto il
discorso che si fa per l'aspetto pragmatico dell'impresa religiosa
è del tutto uguale a quello che la sociopsicologia ha insegnato a
fare per le intraprese propriamente <<laiche>>.
Si
può aggiungere che, allo scopo di garantire il raggiungimento dei
fini cui l'organizzazione tende, le sue <<strutture>> dovrebbero
corrispondere con ragionevole puntualità alle necessità contingenti;
ossia, dovrebbero mantenersi in sintonia con la cangiante realtà
umana cui intendono applicarsi, quella individuale e quella
collettiva. Sarà il tipo specifico assunto da tali strutture, la
loro efficienza nonché la loro maggiore o minore sintonia col mondo
della realtà a definire, come prima istanza, la tipologia
dell'organizzazione di cui esse fanno parte.
La
sociopsicologia ha poi riconosciuto
il fatto che quando diverse persone si ritrovano insieme, in
un'interazione concertata, si mette inevitabilmente in essere anche
un loro modo empatico, ampiamente inconsapevole, di rapportarsi, che
nasce dalla funzionalità dello stesso co-agire. Per cui alla
dimensione strutturata,obbiettiva e direttamente controllabile
dell'organizzazione viene a corrispondere, a un livello meno
obbiettivabile e meno avvertito, un'altra dimensione del convivere;
in corrispondenza di questa vengono espresse motivazioni, norme,
tensioni, fantasie e modalità percettive che sono altre rispetto a
quelle dei singoli componenti l'organizzazione e sono di fatto
collettive nella genesi e nella dinamica. Ogni gruppo esprime una
sua fantasmatica il cui fine, come ha sottolineato R. Carli, è
quello di rendere stabile l'organizzazione, di consentirne
l'estensione nel tempo, di conferirle spessore astorico,
sottraendola così ai processi di cambiamento che la storia realizza.
Tale fantasmatica è pertanto di natura interindividuale, e
corrisponde all'aspetto istituzionale del processo organizzativo.
L'istituzione si articola così con l'organizzazione, la
<<attraversa>> (Lapassade, 1972); e se la seconda esprime gli
aspetti esteriori, operativi di un gruppo in interazione, la prima
ne esprime la funzionalità, il volto che rimane velato, l'ordito che
sottende lo spiegarsi del dipinto che sta in superficie.
Proprio per
questa prospettiva, che separa radicalmente il concetto di
organizzazione da quello di istituzione, quest'ultima rimane
nascosta sino a quando
non sia stata resa manifesta da un'analisi ed esprime così il <<non
detto>>, il rimosso del collettivo. E' l'equivalente a livello
sociale dell'inconscio nel campo della soggettività. Anche qui si
dovrà riconoscere che l'aspetto istituzionale non può essere
estraneo alla vita di religione, cioé alla religione intesa non solo
come un sentimento ma come un'opera umana che si svolge in
concretezza ed è tesa alla realizzazione di un progetto
trasformativo.
Il
concetto della componente <<istituzionale>> del gruppo organizzato
amplifica notevolmente e approfondisce il discorso che si sta
svolgendo. Due conseguenze derivano infatti dalle considerazioni che
sono state svolte. La prima è che l'<<istituzione>> condiziona
radicalmente l'<<organizzazione>>, ne definisce in seconda istanza
la tipologia, rendendosi indirettamente manifesta nelle sue
caratteristiche strutturali: allo stesso modo che l'inconscio
individuale sottodetermina la personalità globale, attualizzandosi
concretamente nei suoi tratti, ed essendo sempre presente nella
determinazione delle motivazioni, sia patologiche che normali.
La seconda
conseguenza si riferisce al fatto che l'inconscio individuale non è
soltanto fonte di intralcio, di distorsione, di resistenza, di
difesa, in una parola non è solo un aspetto negativo che disturba il
funzionamento cosciente, ma è oggi riconosciuto matrice di
creatività, di fantasie, di sintesi e di scoperta, capace quindi di
dare slancio, spessore e artisticità alla vita.
Analogamente
ciò può verificarsi a proposito delle istituzioni; esse possono
innanzitutto venire intese come il <<luogo di sutura>>, di
fissazione, di rimozione degli antagonismi e delle lotte che
traversano una determinata formazione sociale (Lapassade, 1972, p.81).
In tale accezione le istituzioni <<producono e riproducono la
violenza>> (ibidem, p.69), costituendosi come matrici di ideologia,
cioé della formazione di codici privilegiati nati per una difesa
corporativa e imposti come forza politica alle parti altre. Le
motivazioni espresse da questo tipo di istituzioni sono autarchiche,
antergiche rispetto a quelle di altri gruppi o di singoli individui,
secondo l'aforisma mors tua, vita mea; vita tua, mors mea. La
risultante è invariabilmente l'alienazione/mistificazione. Un
esempio paradigmatico di questa modalità è offerto dalle
osservazioni svolte da R. D. Laing sull'aspetto della relazione tra
lavoratore e classe dominante che egli ha chiamato <<sfruttamento
come forma di benevolenza>>. Questa relazione, attuata nell'ambito
di una situazione <<non sostenibile>>, conduce la persona
mistificata alla confusione (1967).
Le
istituzioni possono anche servire come un adeguato apparato di
difesa contro le angosce persecutorie e depressive, come ha
dimostrato E. Jaques con le ricerche alla Glacier Metal Company
(1955); anche in questo caso esse appaiono caratterizzate da un
aspetto antergico, in quanto regolano la dinamica interna di un
sistema chiuso, alienante per chi vi appartiene e alienato per gli
altri.
Tuttavia
le istituzioni possono anche essere fonte di vita,di arricchimento,
di creatività: in questo caso esse risultano, quanto meno nel loro
complesso, sinergiche nei confronti degli altri (individui e
gruppi), secondo l'aforisma vita tua, vita mea; mors tua, mors
mea. L'esempio di questa modalità istituzionale si ritrova nei
sistemi sociali aperti, tipicamente nella nascita di nuove
istituzioni pubbliche che prendono il posto di altre giunte ormai al
decadimento (Lapassade, 1972, p. 72): la decima e la corvée,
istituzioni economiche del Medio Evo, cominciarono ad andare in
obsolescenza quando si fece avanti il capitalismo; il socialismo è
la nuova istituzione che sta oggi subentrando al capitalismo; il
movimento dei diritti della donna sta soppiantando il maschilismo e
l'istituzione <<codice materno>> descritta da F. Fornari (1975).
In
questo caso si tratta di istituzioni che funzionano come un nuovo
referente, una nuova realtà sociale e che come tali producono un
nuovo discorso, o il ridimensionamento di un discorso tenuto in
precedenza. Queste istituzioni <<producono una rielaborazione del
senso, producono parole, funzionano come analizzatori>> (Lapassade,
1972, p.101).
Se si
vuole ora riassumere il discorso fatto a proposito delle
istituzioni, sembra di poter dire che esse costituiscono un
territorio transizionale dove il <<privato>> diventa <<pubblico>>
(l'alienazione/mistificazione di Laing) o dove il <<pubblico>>
diviene <<privato>> (la difesa dalle ansie di base di E. Jaques),
nel caso delle istituzioni antergiche. Oppure dove si svolge un
continuo processo a due vie, finalizzato a far diventare pubblico
ciò che originariamente apparteneva all'area del privato e
viceversa, a seconda delle richieste vitali attuali, come si
verifica nelle istituzioni neoformate a orientamento sinergico.
Tutto
ciò appare vero sia per le istituzioni che come insiemi più ampi si
collocano a livello macrosociale, della società globale, veri e
propri<<quadrivi delle istanze economiche, politiche, ideologiche>>
(Lapassade, 1972, p. 105), sia per quelle più ristrette che si
situano al livello micro-sociale, quello depoliticizzato della vita
quotidiana.
E' a
questo punto che si può articolare convenientemente il discorso del
<<razionale/irrazionale>>.
Si può
innanzitutto affermare che le strutture organizzative di
un'istituzione si configurano come <<irrazionali>> quando in pratica
non tengono in adeguata considerazione la realtà umana e sociale cui
si applicano, mentre la stessa considerazione è contenuta nel
programma dell'istituzione di riferimento; per esempio, in politica,
misure estremiste di regolamentazione della vita sociale, l'uso di
pratiche sadiche e di gestione terrifica del potere come la tortura,
il sequestro, il ricatto, sono manifestazioni di irrazionalità
strutturale se l'organizzazione che le attua è parte di un movimento
politico, un'istituzione, che si dice (o è) democratica, sinergica.
A un
livello sopraordinato è possibile riconoscere un tipo diverso di
irrazionalità. Vi sono istituzioni le cui strutture operative
appaiono rispettare la realtà umana cui si rapportano e sono invece
irrazionali in se stesse; cioé l'irrazionalità che presentano
consiste in una non sufficiente congruenza tra l'ispirazione ultima
che informa l'istituzione a livello macrosociale e quella
contingente che ispira l'organizzazione operativa. Per esempio,
un'istituzione medica, la cui ispirazione ultima è quella sinergica
di promuovere e di difendere la vita, diventa irrazionale quando
istituzionalizza, antergicamente, il servizio dell'eutanasia, della
sperimentazione sull'uomo, come la castrazione propria o
neurochirurgica o chimica degli stupratori, o dell'interruzione di
gravidanza fatta per motivi non terapeutici.
Come si
è detto la religione, in quanto istituzione umana emergente da
uomini congregati in ecclesia, non sfugge a questi stessi processi;
le sue strutture organizzative sono infatti definibili anch'esse nei
termini della loro maggiore/minore sintonia col mondo del reale e
contemporaneamente del tipo dell'istituzione ecclesiale che le
attraversa, e che può essere di natura sinergica o antergica.
E'
importante sottolineare al riguardo che nel caso dell'istituzione
religiosa che si qualifica come Chiesa, nonché delle sue
rappresentanti <<regionali>> a livello microsociale, la necessità
della corrispondenza fra l'ispirazione che l'informa e la qualità
operativa delle sue strutture, rispettivamente la qualità del
modello che l'istituzione <<regionale>> assume, è di inconfrontabile
importanza; dato che la Chiesa ha natura contemporaneamente umana e
divina, quindi impegna alla fedeltà al di là e al di sotto delle
apparenze: vincola in coscienza. Diciamo ora che l'ispirazione
radicale della Chiesa, come di ogni altra istituzione che si
definisca <<di religione>>, è necessariamente quella dell'amore che
Dio ha per l'uomo, per tutti gli uomini, e della risposta che questi
Gli debbono in termini di creaturalità: gli uomini riconoscono che
Dio viene prima, che essi in tutto dipendono da Lui e debbono
manifestarsi reciprocamente lo stesso amore che Dio ha per loro.
Si dirà
dunque che sono <<razionali>> quelle strutture di religione nelle
quali i modelli trasformativi attualizzano l'amore di Dio verso gli
uomini e promuovono in questi il riconoscimento della loro
dipendenza da Dio, come fondamento della reciproca solidarietà di
amore. Si riconoscerà anche che la modalità istituzionale di queste
strutture è di tipo sinergico.
Saranno
al contrario riconosciute come <<irrazionali>> quelle strutture di
religione dove è possibile verificare rottura, contraddizione o
sfasature tra la formalizzazione del lavoro trasformativo e
l'ispirazione di creaturalità. Per esempio, in campo
politico-religioso il caso della Santa Inquisizione, in quello
pedagogico-religioso l'uso della violenza disciplinare sui discenti,
o l'istituzionalizzazione totalizzante di questi ultimi, come nei
casi ricordati da chi scrive al Congresso AIEMPR di Cincinnati
(1975), sono evidenti manifestazioni di irrazionalità strutturale.
Saranno
anche riconosciute <<irrazionali>> quelle istituzioni religiose, e
quindi le strutture da esse condizionate, che si ispirano a un
modello antergico, ideologizzato; per esempio un modello che, invece
di riduplicare in sé la creaturalità fa getto di questa dimensione o
quanto meno la misconosce in pratica. Come quando un gruppo di
ecclesiastici si dissocia clamorosamente dalla gerarchia, fondandone
un'altra che è antagonista della prima. O anche quelle istituzioni
di religione che propongono una forma unicamente interiore, privata,
soggettiva della relazione tra l'uomo e Dio, con rifiuto di tutto
ciò che ne è manifestazione esterna.
In
questi ultimi due casi la diagnosi di irrazionalità appare più
difficile che quando si tratta della rottura tra la forma
dell'organizzazione e quella dell'istituzione, come nel primo degli
esempi ricordati. Il conflitto è qui infatti razionalizzato,
dialettizzato, genera dubbi valutativi: è talvolta difficile
stabilire, sul piano della semplice percezione, quale di due gruppi
religiosi contrapposti e divisi sia quello <<scismatico>>, chi di
due papi contemporanei sia l'antipapa e chi il papa autentico.
Comunque, del tutto manifesto, assolutamente irrazionale e compendio
di tutte le varie forme di irrazionalità considerate è l'istituzione
che si denomina <<guerra di religione>>; vera e propria
contraddizione in termini, perché anziché essere ispirata dall'amor
reciproco, dal vissuto della creaturalità, si configura come il tipo
più sadico e distruttivo di scontro tra gruppi di uomini, e di tali
esempi è purtroppo ricca la storia: dalle Crociate, alla guerra
civile spagnola a quelle che hanno insanguinato il Libano e
l'Irlanda e attualmente il Salvador e l'Iran.
La
domanda che si impone, a questo punto, è perché e in qual modo
un'istituzione si possa trasformare nel suo merito e, nata come
un'opera umana volta alla sinergia, luogo e strumento di progresso,
non riesca a ispirare in questo senso l'organizzazione cui inerisce,
o addirittura si tramuti in istituzione antergica, luogo di
<<produzione e riproduzione di violenza>>. Perché, in particolare,
la religione la cui ispirazione è addirittura sopraumana, sia
anch'essa suscettibile di tale viraggio, costituendo un rischio
professionale specifico dei suoi protagonisti.
La risposta
sembra risiedere nella complessa natura dell'uomo, quando da singolo
diviene componente di un gruppo.
Sintetizzando
qui brevemente conoscenze proprie della psicologia sociale, della
gruppo-analisi e della sociopsicologia, si può ricordare che quando
i singoli si trovano associati le loro motivazioni inconsce tendono
a colludere e a rimanere allo stato inconscio sino a quando non
vengano svelate dall'analisi. La collusione gratifica enormemente i
singoli, perché consente loro di vivere a livello collettivo quanto
non risulta accettabile sul piano personale e alleggerisce la
colpevolezza inerente all'espressione dei vissuti.
Con la
ricerca sul Minotauro F. Fornari (1976) ha confermato il fatto che
il nevrotico <<privato>> può diventare <<pubblico>> anche nei
consessi riuniti per le incombenze più ufficiali, con una
trasformazione della sofferenza personale in festa.
Soggetti
portatori di conflitti privati cercano pertanto, più o meno
inconsciamente, di strutturare gruppi che consentano loro di
esprimere pubblicamente questi conflitti, innescando in modo
diacronico il clima generale, la cultura del gruppo in cui si
trovano. Oppure questi soggetti vengono come <<risucchiati>> in
gruppi già costituiti e che essi esperimentano capaci di gratificare
le loro esigenze personali. R. Carli (1972) ha sperimentalmente
dimostrato che ciò si verifica in ampia misura nel mondo del lavoro,
secondo processi inconsci che sono responsabili di adattamenti
patologici molto resistenti al cambiamento.
Orbene, se
questo è vero per i raggruppamenti ordinari, per quelli che si
qualificano <<di religione>> le cose assumono una maggiore
complessità. E' innanzitutto inevitabile che, per il tipo di
adesione globale e continua che questi gruppi richiedono, il setting
che li tipizza sia definito da ordine, disciplina, rinuncia formale
a molti desideri personali.
In tali
condizioni l'eventuale nevrosi dei singoli, in quanto essi
aderiscono al codice propostogli, può subire la seguente particolare
evoluzione: anzitutto una diminuzione della pressione interna del
super-Io, perché i soggetti si identificano al super-Io di gruppo
(identificazione all'aggressore), quindi deflettono all'esterno le
proprie istanze super-egoiche e tendono ad <<agirle>> sugli altri
anziché a subirle in se stessi.
In realtà
questi soggetti fruiscono anche di un'attenuazione della cosiddetta
rimozione <<pulsionale>>, di per sé affidata al super-Io; tuttavia,
causa l'adesione al credo religioso dell'istituzione cui
appartengono, le pulsioni emergenti vengono utilizzate sul piano
sociale, con i meccanismi difensivi della <<formazione reattiva>> e
della <<sublimazione>>; la risultante è pertanto quella della
caratterializzazione del gruppo.
Si può
ritenere, senza ragionevole dubbio, che l'irrazionalità strutturale
di cui si è parlato in precedenza, quella che si configura come
associata a un'istituzione di tipo alienante/mistificante alla Laing,
sia fondata psicologicamente su una simile caratterialità di gruppo.
Se tale
appare la risultante comportamentale associata di singoli soggetti
nevrotici, che giungono a strutturare gruppi perversi in grado di
soddisfare la conflittualità personale, è anche possibile una
seconda evenienza.
Il gruppo
religioso assicura di per sé una specifica rimozione di ansietà, in
quanto strumento assolutore di colpevolezza e veicolo di
partecipazione al potere divino. Si tratta di un setting che per
tali caratteristiche può diventare estremamente invitante nei
riguardi di quei soggetti nevrotici che, piuttosto che essere
orientati alla caratterialità, sono atteggiati alla ricerca di
difese.
L'istituzione
religiosa appare e risulta a questi individui come un adeguato
contenitore delle angosce di base, un risolutore dei conflitti
profondi a esse inerenti; si verifica così il <<risucchio>> di
questi soggetti nell'istituzione religiosa, vissuta come un sistema
chiuso capace di proteggere dalle ansie persecutorie e difensive,
secondo la processualità descritta da E. Jaques.
Comunque
siano le cose, e cioé indipendentemente dal tipo caratteriale o
difensivo del processo in atto, la diminuzione di colpevolezza e la
gratificazione narcisistica che questi processi comportano non manca
di suscitare un senso di onnipotenza, quanto meno di
autosufficienza, e ciò si costituisce come la causa diretta dei
comportamenti aberranti ricordati al Congresso AIEMPR di Cincinnati
e là denunciati come un vero e proprio <<rischio professionale>>
dell'ecclesiastico.
In realtà l'onnipotenza produce una tipica diminuzione anche di
un'altra rimozione che la ricerca clinica ha dimostrato essere
essenziale alla maturazione della personalità (Fornari, 1975): la
<<rimozione cognitiva>>, su cui si fonda la capacità di de-illudersi
che ha l'adulto nei confronti di ciò che è illusorio, infantile; una
rimozione che garantisce lo specifico del pensiero umano, cioé
l'abbandono della potenza allucinatoria nonché il superamento del
pensiero onirico e confusivo, per l'instaurazione di quello logico,
realistico, operativo.
La <<mancanza
della rimozione cognitiva>> condiziona di fatto importanti aspetti
della regressione, ed è causa di fatti psicopatologici altrettanto
notevoli di quelli derivanti dalla più nota <<mancanza di rimozione
pulsionale>> che impedisce il superamento del complesso di Edipo (Freud,
1924).
Quando è
carente la rimozione cognitiva i soggetti interessati si comportano
come se vivessero continuamente di un pensiero di sogno, di
carattere prelogico nella sua strategia complessiva e i cui processi
di simbolizzazione denotano la prevalenza dell'aspetto confusivo,
affettivo, su quello di carattere diacritico, operativo, secondo la
distinzione proposta da F. Fornari (1976) tra simbolismo infantile e
adulto.
Di
conseguenza risulta ardua a questi soggetti la differenziazione tra
ciò che è desiderato, sognato, e ciò che è invece realistico; e il
funzionamento mentale fondato sul primo tipo di processi spiazza
continuamente quello basato sul secondo.
Questo stato
di cose alimenta, sul piano individuale, il senso dell'onnipotenza e
stravolge fatalmente il merito della creaturalità: anziché
riconoscersi dipendenti da Dio, e quindi in un certo senso
dipendenti dal prossimo nel quale Dio si fa manifesto (Luca, 10,
25-37) - e ciò tanto più quanto più elevato è il loro grado
gerarchico (il pontefice si autodefinisce servus servorum Dei
) - i soggetti cui manca la rimozione cognitiva confondono tutte le
cose a questo proposito: pongono se stessi al posto di Dio e
pongono gli <<altri>> a livello di proprie creature, verso cui
si atteggiano a modo di padre/padrone.
F. Fornari
(1975) ha descritto il processo attraverso il quale il bambino,
rinnegata la sua reale incapacità di accoppiarsi, esprime la propria
onnipotenza; prendendo il posto del padre e della madre, giungendo
al progetto superbo-anale di generare se stesso, sulla base
dell'equivalenza illusoria tra contenitore anale e contenitore
materno e della confusione tra pene, feci e bambino (p. 56).
Per le stesse
ragioni dinamiche gli adulti cui manca la rimozione cognitiva,
rimasti emozionalmente bambini, in religione si fanno padri del
Padre Dio, padri ( e simultaneamente sposi) della Madre Chiesa, in
uno sforzo aberrante di autogenerazione che, per il fatto di
rimanere completamente inconscio, non è perciò meno reale e meno
distruttivo. Questo processo ottiene infatti lo scopo di negare,
distruggere il legame generatore stabilito tra Dio e la Chiesa, sul
quale si fonda la creaturalità, e in ultima analisi è mosso dalla
negazione del legame sussistente tra i propri naturali genitori.
A livello
sopraindividuale l'onnipotenza, con l'illusorietà che la
contrassegna, si riflette sull'irrazionalità che assume la
struttura, quindi l'istituzione <<regionale>> Chiesa, espressa dalla
contraddittorietà tra l'ispirazione ecclesiastica e i modelli
trasformativi prodotti, dall'estremizzazione delle posizioni che vi
vengono collettivamente assunte, dalla loro irriducibilità e scarto
nei confronti delle esigenze di realtà, secondo gli esempi aberranti
che sono riportati nel rapporto già citato, sulla <<violenza nelle
istituzioni ecclesiastiche>>.
Sviluppando
qui tale rapporto si è visto che l'irrazionalità di quegli esempi si
rivela come vera e propria irreligiosità, quella che è stata
sottolineata con le citazioni scritturali ricordate al principio.
A sua volta
la razionalità in religione si svela come capacità di integrare a
livello di pensiero e di prassi la dipendenza da Dio e quella dalla
Chiesa, di unificare in sintesi vitale la Voce di Dio e la Voce del
Magistero, secondo un processo nel quale peraltro Dio viene prima
degli uomini (Atti, 4, 19), anche se istituzionalmente Dio non si
esprime senza i suoi uomini.
Quale
criterio obbiettivo si offre allora agli uomini di religione, e a
chiunque abbia interesse che essa sia espressione di vita e non di
morte, per riconoscere che stanno vivendo la razionalità, anziché
l'irrazionalità?
Nel modo più
semplice sembra si possa dire che il criterio sia quello del
possesso della capacità di ascolto, intesa come disponibilità
interiore al cambiamento quando questo viene richiesto dalle
circostanze. Con un'ulteriore specificazione si può affermare che
questa disponibilità si utilizza in due dimensioni fondamentali: la
possibilità di sperimentare lo <<stato nascente>> e la tensione
verso l'universale.
F. Alberoni
ha chiamato <<stato nascente>> la capacità di vivere, quando che
sia, l'amore in termini di dimensione straordinaria, cosmica,
monogamica; come si ha nell'innamoramento, lo stato di amore per
eccellenza, dove il presente si eternizza e nel quale si fruisce di
esaltanti momenti di rinascita e dilatazione fisica/spirituale
(1979). Nei termini propri della teologia, allo <<stato nascente>>
corrisponde la prontezza della risposta al soffio dello Spirito,
sino alle vette dell'incontro mistico e della contemplazione.
La seconda
dimensione fondamentale indicante la presenza della razionalità in
religione, autonoma anche se intimamente articolata con la prima, è
la spinta all'universale. Essa prolunga nello spazio e nel tempo lo
<<stato nascente>> e si attua nel perseguimento instancabile del
desiderio/progetto di abbattere le divisioni che oppongono gruppi di
uomini l'uno all'altro, di ricercare con intelligente sagacia ciò
che unisce piuttosto che ciò che divide, nella consapevolezza che in
tutti risiede una stessa dignità. Sul piano religioso questa
tensione si manifesta come urgenza all'unificazione di strutture
religiose innaturalmente separate, cioé come spinta ecumenica
secondo l'auspicio di origine: ut unum sint!
E' ovvio che
questi traguardi, queste esperienze totalizzanti siano un privilegio
a disposizione di ogni uomo; tuttavia essi sono fatalmente destinati
a naufragare nel gorgo degli automatismi e delle difese individuali
e di gruppo, pertanto non possono coesistere con l'irrazionalità,
così come è stata concettualizzata in questo rapporto. Nell'ambito
religioso questi particolari vissuti dell'uomo raggiungono un
massimo grado di realizzazione, costituendo della religione il
perfezionamento ma anche il definitivo superamento, per entrare nei
gradi dell'unione con Dio.
Alternativamente l'irrazionalità nella religione stravolge il
vissuto di creaturalità e pone al posto dell'onnipotenza di Dio
quella dell'uomo.
Si può
pertanto conchiudere che per coloro che vivono nella Chiesa
l'irrazionalità religiosa si costituisce come il massimo dei mali e
la mancanza delle condizioni di stato nascente e di ecumenismo, che
la indica, dice che il rischio dell'irreligiosità è già divenuto
realtà.
Nota iconografica:
le foto che illustrano questo testo sono di Giuseppe Leo e
sono state riprese a Guardia Sanframondi (BN) nell'agosto
2003.
|
|
|
|
Bibliografia: |
Alberoni F., Innamoramento e amore, Milano,
Garzanti, 1979.
Ancona L., <<La violence dans les
institutions ecclesiastiques en Italie>>, in L. Cassiers et
al., La violence: individus, institutions, organisations et procés,
<<Supplement de la vie spirituelle>>, 119, Paris, Ed. du
Cerf, 1976, pp. 469-488.
Carli R., <<Fenomenologia
dell'adattamento sociale>>, in L. Ancona (a cura di), Nuoe
questioni di psicologia, Brescia, La Scuola, 1972, pp. 49-88.
Fornari F., Genitalità e cultura, Milano,
Feltrinelli, 1975.
Fornari F., Simbolo e codice, Milano, Feltrinelli,
1976.
Freud S. (1924), <Il tramonto del complesso
edipico>>, in Opere, vol. X, Torino, Boringhieri, 1978.
Jaques E. (1948), <<Sistemi sociali come difesa
contro l'ansia persecutoria e depressiva>>, in M. Klein et al. (a
cura di), Nuove vie della psicoanalisi, Milano, Il Saggiatore, 1956, pp.
609-633.
Laing R.D. (1967), La politica dell'esperienza e
l'uccello del paradiso, Milano, Feltrinelli, 1968.
Lapassade G., L'Analyse institutionelle et l'intervention,
<<Connections>>, 4, 1972, pp. 65-106.
|