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Il rischio dell'irrazionalità nelle strutture di religione.

 

 di Leonardo Ancona

 

LEONARDO ANCONA, nato a Milano il 2/5/22, laureato in Medicina a Milano (1946) e ivi specializzato in Malattie Nervose e Mentali (1951). Ha vinto nel 1950 il concorso di Assistente Ordinario per la Psicologia, alla Università Cattolica del Sacro Cuore (U.C.S.C.) di Milano e nel 1954 ha ottenuto la Libera Docenza in Psicologia. Dallo stesso anno al 1958, Incaricato di Psicologia alla U.C.S.C. Nel 1958 ha vinto il concorso per la cattedra di Psicologia (primo ternato); straordinario di Psicologia nella U.C.S.C. dal 1958, confermato nel 1961, ordinario nella stessa Università (Facoltà di Lettere) fino al 1965. Trasferito alla sede romana della U.C. (Facoltà di Medicina) è stato ivi Ordinario di Psicologia fino al 1973, di Psicologia Clinica sino al 1978 e di Clinica Psichiatrica in seguito, sino alla sua uscita di ruolo, nel 1992. Dal 1959 è stato Direttore dell'Istituto di Psicologia, prima a Milano fino al 1965 poi a Roma fino al 1978 poi dell'Istituto di Psichiatria e Psicologia, sempre nella U.C.S.C e Direttore della Scuola di specializzazione in Psicologia e di Psichiatria.
 Ha pubblicato 8 volumi e ha curato come Editor una diecina di testi di Psicologia e di Psichiatria.

                             

Uno dei modi, e forse il più tipico, in cui può manifestarsi lo stato di irrazionalità di un sistema è quello della violenza, sia essa interna o esteriore allo stesso sistema.

Allo scopo di entrare nel merito del tema proposto è peraltro inderogabile il compito di definire i termini della questione, cioé quelli di <<struttura>>, <<religione>> e <<irrazionale>>; il termine <<rischio>> si riferisce invece a un'evenienza successiva, quindi ha valore di variabile dipendente destinata a manifestarsi in un certo gioco dei dati costitutivi del problema.

Si può comunque cominciare in modo paradossale da quest'ultimo punto, affermando che implicare un rischio nelle strutture di religione significa postulare l'esistenza di una dialettica tra <<struttura>> e <<religione>>, tale per cui l'articolazione dei due termini può condurre alla vita, oppure alla morte; dove per <<vita>> si intende la religione orientata alla salvezza dell'individuo e del suo gruppo, per <<morte>> la stessa negazione della religione. 

Nella Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, è possibile ritrovare numerosi esempi di questa dialettica tra vita e morte: in Osea la volontà divina è chiaramente indicata con le parole: <<Voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti>> (6,6). Nel Nuovo Testamento si afferma essere venuto il momento in cui l'adorazione di Dio non sarebbe stata più legata a un monte della Samaria o della Giudea, ma sarebbe stata guidata dallo Spirito e dalla Verità (Giovanni, 4,21-26). E il cieco nato viene rigettato dal seno dell'Ecclesia ufficiale in nome della sua struttura, nel momento stesso in cui <<crede>> e inizia così la vita di vera religione (Giovanni, 9, 35-38). Nella I lettera di Pietro, ancora, si fa una definitiva contrapposizione tra la <<pietra principale del fondamento>> che posta in Sion si costituisce come la religione della Sinagoga e quella <<viva>>, basata sulla fede nel Cristo, che scartata dai costruttori diviene per loro <<sasso di inciampo>> e di morte (I Pietro, 2, 6-8). Infine la distinzione tra la legge che porta morte e la grazia che dà vita (Romani, 5, 12-15), tra la <<lettera che uccide>> e lo <<spirito che salva>> di tutta la predicazione paolina è una contrapposizione che sottolinea, in sintonia con tutti gli altri passi riportati, la dialettica intercorrente tra una struttura religiosa non più attuale, e quindi rimasta religiosa soltanto di nome, e di fatto negata, e ciò che è invece espressione di religione vivente. 

 

Queste contrapposizioni indicano, inequivocabilmente, che il rischio dell'irreligiosità nella religione è una possibilità reale, continuamente presente e anticipata sin dai tempi della fondazione per quanto riguarda la Chiesa cristiana. Si tratta tuttavia di una possibilità che si estende a qualunque altra istituzione che si qualifichi come di <<religiosa>>, che inerisce anzi alla stessa vita di qualunque organizzazione umana che per la sua particolare coerenza interna, la natura fideistica dei propri principi, la selettività rigorosa dei propri adepti e la militanza globale ad essi richiesta si concreta come <<setta>> o come <<chiesuola>> o, anche come movimento laico detto <<di religione>>. 

 

Stabilita sul piano della prassi la possibilità reale del rischio, si può tentare l'analisi della dialettica da cui la sua evenienza può originare e rispettivamente essere impedita; e ciò tramite lo svolgimento di una riflessione psicologica, e soprattutto metapsicologica, sui termini costitutivi del problema in oggetto, quindi sulla loro razionalità o irrazionalità.

Si definisca per <<religione>>, <<una credenza che lega la natura spirituale dell'uomo a un essere soprannaturale, implicante un sentimento di dipendenza e di responsabilità, insieme con i sentimenti e le pratiche che naturalmente derivano da tale credenza>> (Standard Dictionary di Funk e Wagnalls); oppure <<una credenza in una garanzia soprannaturale offerta all'uomo per la sua salvezza, nonché un insieme di tecniche dirette a ottenere o conservare questa garanzia>> (Grande Dizionario Enciclopedico, UTET); o si veda nella religione <<una voce che deriva da religere, o religare, o rilegere, perché con essa noi trattiamo spesse volte delle cose di Dio (religere, <<rileggere>>), o perché siamo uniti e come legati a Lui (religare, <<rilegare>>), o finalmente perché lo scegliamo iterativamente (rilegare, <<riscegliere>>), come è detto nell'Enciclopedia Ecclesiastica pubblicata a Venezia nel 1860. In ogni definizione vediamo riconosciuto che uno degli aspetti costitutivi della religione è il carattere dell'attività umana (le pratiche, le tecniche, le scelte), pur se questa attività è orientata a un traguardo che trascende l'uomo.    

 Attenendoci a questo primo rilievo, si può dire che un aspetto fondamentale e non eliminabile della religione è il suo carattere di intrapresa, volta come tale, secondo quanto insegna la sociopsicologia, a operare cambiamenti attraverso un lavoro; per la religione si tratta di cambiamenti sia nei riguardi del mondo interiore della soggettività che del mondo esterno della collettività e dell'ambiente in cui questa vive. 

 

Ora, per operare queste trasformazioni la religione non può sfuggire al costituirsi come un'<<organizzazione>>, ed essere pertanto caratterizzata dai seguenti momenti: la definizione di mete, la scelta di una strategia atta a pervenirci, una programmazione impostata su eterogeneicità di funzioni e divisione del lavoro, la previsione di fasi iniziali, intermedie e finali.

Le modalità oerative di questi momenti sono infine riconoscibili come le <<strutture>> dell'organizzazione, in quanto il discorso che si fa per l'aspetto pragmatico dell'impresa religiosa è del tutto uguale a quello che la sociopsicologia ha insegnato a fare per le intraprese propriamente <<laiche>>.

Si può aggiungere che, allo scopo di garantire il raggiungimento dei fini cui l'organizzazione tende, le sue <<strutture>> dovrebbero corrispondere con ragionevole puntualità alle necessità contingenti; ossia, dovrebbero mantenersi in sintonia con la cangiante realtà umana cui intendono applicarsi, quella individuale e quella collettiva. Sarà il tipo specifico assunto da tali strutture, la loro efficienza nonché la loro maggiore o minore sintonia col mondo della realtà a definire, come prima istanza, la tipologia dell'organizzazione di cui esse fanno parte.

La sociopsicologia ha poi riconosciuto  il fatto che quando diverse persone si ritrovano insieme, in un'interazione concertata, si mette inevitabilmente in essere anche un loro modo empatico, ampiamente inconsapevole, di rapportarsi, che nasce dalla funzionalità dello stesso co-agire. Per cui alla dimensione strutturata,obbiettiva e direttamente controllabile dell'organizzazione viene a corrispondere, a un livello meno obbiettivabile e meno avvertito, un'altra dimensione del convivere; in corrispondenza di questa vengono espresse motivazioni, norme, tensioni, fantasie e modalità percettive che sono altre rispetto a quelle dei singoli componenti l'organizzazione e sono di fatto collettive nella genesi e nella dinamica. Ogni gruppo esprime una sua fantasmatica il cui fine, come ha sottolineato R. Carli, è quello di rendere stabile l'organizzazione, di consentirne l'estensione nel tempo, di conferirle spessore astorico, sottraendola così ai processi di cambiamento che la storia realizza. Tale fantasmatica è pertanto di natura interindividuale, e corrisponde all'aspetto istituzionale del processo organizzativo.

L'istituzione si articola così con l'organizzazione, la <<attraversa>> (Lapassade, 1972); e se la seconda esprime gli aspetti esteriori, operativi di un gruppo in interazione, la prima ne esprime la funzionalità, il volto che rimane velato, l'ordito che sottende lo spiegarsi del dipinto che sta in superficie.

 

Proprio per  questa prospettiva, che separa radicalmente il concetto di organizzazione da quello di istituzione, quest'ultima rimane nascosta sino a quando non sia stata resa manifesta da un'analisi ed esprime così il <<non detto>>, il rimosso del collettivo. E' l'equivalente a livello sociale dell'inconscio nel campo della soggettività. Anche qui si dovrà riconoscere che l'aspetto istituzionale non può essere estraneo alla vita di religione, cioé alla religione intesa non solo come un sentimento ma come un'opera umana che si svolge in concretezza ed è tesa alla realizzazione di un progetto trasformativo.

Il concetto della componente <<istituzionale>> del gruppo organizzato amplifica notevolmente e approfondisce il discorso che si sta svolgendo. Due conseguenze derivano infatti dalle considerazioni che sono state svolte. La prima è che l'<<istituzione>> condiziona radicalmente l'<<organizzazione>>, ne definisce in seconda istanza la tipologia, rendendosi indirettamente manifesta nelle sue caratteristiche strutturali: allo stesso modo che l'inconscio individuale sottodetermina la personalità globale, attualizzandosi concretamente nei suoi tratti, ed essendo sempre presente nella determinazione delle motivazioni, sia patologiche che normali.

La seconda conseguenza si riferisce al fatto che l'inconscio individuale non è soltanto fonte di intralcio, di distorsione, di resistenza, di difesa, in una parola non è solo un aspetto negativo che disturba il funzionamento cosciente, ma è oggi riconosciuto matrice di creatività, di fantasie, di sintesi e di scoperta, capace quindi di dare slancio, spessore e artisticità alla vita.

Analogamente ciò può verificarsi a proposito delle istituzioni; esse possono innanzitutto venire intese come il <<luogo di sutura>>, di fissazione, di rimozione degli antagonismi e delle lotte che traversano una determinata formazione sociale (Lapassade, 1972, p.81). In tale accezione le istituzioni <<producono e riproducono la violenza>> (ibidem, p.69), costituendosi come matrici di ideologia, cioé della formazione di codici privilegiati nati per una difesa corporativa e imposti come forza politica alle parti altre. Le motivazioni espresse da questo tipo di istituzioni sono autarchiche, antergiche rispetto a quelle di altri gruppi o di singoli individui, secondo l'aforisma mors tua, vita mea; vita tua, mors mea. La risultante è invariabilmente l'alienazione/mistificazione. Un esempio paradigmatico di questa modalità è offerto dalle osservazioni svolte da R. D. Laing sull'aspetto della relazione tra lavoratore e classe dominante che egli ha chiamato <<sfruttamento come forma di benevolenza>>. Questa relazione, attuata nell'ambito di una situazione <<non sostenibile>>, conduce la persona mistificata alla confusione (1967).

Le istituzioni possono anche servire come un adeguato apparato di difesa contro le angosce persecutorie e depressive, come ha dimostrato E. Jaques con le ricerche alla Glacier Metal Company (1955); anche in questo caso esse appaiono caratterizzate da un aspetto antergico, in quanto regolano la dinamica interna di un sistema chiuso, alienante per chi vi appartiene e alienato per gli altri.

Tuttavia le istituzioni possono anche essere fonte di vita,di arricchimento, di creatività: in questo caso esse risultano, quanto meno nel loro complesso, sinergiche nei confronti degli altri (individui e gruppi), secondo l'aforisma vita tua, vita mea; mors tua, mors mea. L'esempio di questa modalità istituzionale si ritrova nei sistemi sociali aperti, tipicamente nella nascita di nuove istituzioni pubbliche che prendono il posto di altre giunte ormai al decadimento (Lapassade, 1972, p. 72): la decima e la corvée, istituzioni economiche del Medio Evo, cominciarono ad andare in obsolescenza quando si fece avanti il capitalismo; il socialismo è la nuova istituzione che sta oggi subentrando al capitalismo; il movimento dei diritti della donna sta soppiantando il maschilismo e l'istituzione <<codice materno>> descritta da F. Fornari (1975).

In questo caso si tratta di istituzioni che funzionano come un nuovo referente, una nuova realtà sociale e che come tali producono un nuovo discorso, o il ridimensionamento di un discorso tenuto in precedenza. Queste istituzioni <<producono una rielaborazione del senso, producono parole, funzionano come analizzatori>> (Lapassade, 1972, p.101).

Se si vuole ora riassumere il discorso fatto a proposito delle istituzioni, sembra di poter dire che esse costituiscono un territorio transizionale dove il <<privato>> diventa <<pubblico>> (l'alienazione/mistificazione di Laing) o dove il <<pubblico>> diviene <<privato>> (la difesa dalle ansie di base di E. Jaques), nel caso delle istituzioni antergiche. Oppure dove si svolge un continuo processo a due vie, finalizzato a far diventare pubblico ciò che originariamente apparteneva all'area del privato e viceversa, a seconda delle richieste vitali attuali, come si verifica nelle istituzioni neoformate a orientamento sinergico.

Tutto ciò appare vero sia per le istituzioni che come insiemi più ampi si collocano a livello macrosociale, della società globale, veri e propri<<quadrivi delle istanze economiche, politiche, ideologiche>> (Lapassade, 1972, p. 105), sia per quelle più ristrette che si situano al livello micro-sociale, quello depoliticizzato della vita quotidiana.

E' a questo punto che si può articolare convenientemente il discorso del <<razionale/irrazionale>>.

Si può innanzitutto affermare che le strutture organizzative di un'istituzione si configurano come <<irrazionali>> quando in pratica non tengono in adeguata considerazione la realtà umana e sociale cui si applicano, mentre la stessa considerazione è contenuta nel programma dell'istituzione di riferimento; per esempio, in politica, misure estremiste di regolamentazione della vita sociale, l'uso di pratiche sadiche e di gestione terrifica del potere come la tortura, il sequestro, il ricatto, sono manifestazioni di irrazionalità strutturale se l'organizzazione che le attua è parte di un movimento politico, un'istituzione, che si dice (o è) democratica, sinergica.

A un livello sopraordinato è possibile riconoscere un tipo diverso di irrazionalità. Vi sono istituzioni le cui strutture operative appaiono rispettare la realtà umana cui si rapportano e sono invece irrazionali in se stesse; cioé l'irrazionalità che presentano consiste in una non sufficiente congruenza tra l'ispirazione ultima che informa l'istituzione a livello macrosociale e quella contingente che ispira l'organizzazione operativa. Per esempio, un'istituzione medica, la cui ispirazione ultima è quella sinergica di promuovere e di difendere la vita, diventa irrazionale quando istituzionalizza, antergicamente, il servizio dell'eutanasia, della sperimentazione sull'uomo, come la castrazione propria o neurochirurgica o chimica degli stupratori, o dell'interruzione di gravidanza fatta per motivi non terapeutici.

Come si è detto la religione, in quanto istituzione umana emergente da uomini congregati in ecclesia, non sfugge a questi stessi processi; le sue strutture organizzative sono infatti definibili anch'esse nei termini della loro maggiore/minore sintonia col mondo del reale e contemporaneamente del tipo dell'istituzione ecclesiale che le attraversa, e che può essere di natura sinergica o antergica.

E' importante sottolineare al riguardo che nel caso dell'istituzione religiosa che si qualifica come Chiesa, nonché delle sue rappresentanti <<regionali>> a livello microsociale, la necessità della corrispondenza fra l'ispirazione che l'informa e la qualità operativa delle sue strutture, rispettivamente la qualità del modello che l'istituzione <<regionale>> assume, è di inconfrontabile importanza; dato che la Chiesa ha natura contemporaneamente umana e divina, quindi impegna alla fedeltà al di là e al di sotto delle apparenze: vincola in coscienza. Diciamo ora che l'ispirazione radicale della Chiesa, come di ogni altra istituzione che si definisca <<di religione>>, è necessariamente quella dell'amore che Dio ha per l'uomo, per tutti gli uomini, e della risposta che questi Gli debbono in termini di creaturalità: gli uomini riconoscono che Dio viene prima, che essi in tutto dipendono da Lui e debbono manifestarsi reciprocamente lo stesso amore che Dio ha per loro.

Si dirà dunque che sono <<razionali>> quelle strutture di religione nelle quali i modelli trasformativi attualizzano l'amore di Dio verso gli uomini e promuovono in questi il riconoscimento della loro dipendenza da Dio, come fondamento della reciproca solidarietà di amore. Si riconoscerà anche che la modalità istituzionale di queste strutture è di tipo sinergico.

Saranno al contrario riconosciute come <<irrazionali>> quelle strutture di religione dove è possibile verificare rottura, contraddizione o sfasature tra la formalizzazione del lavoro trasformativo e l'ispirazione di creaturalità. Per esempio, in campo politico-religioso il caso della Santa Inquisizione, in quello pedagogico-religioso l'uso della violenza disciplinare sui discenti, o l'istituzionalizzazione totalizzante di questi ultimi, come nei casi ricordati da chi scrive al Congresso AIEMPR di Cincinnati (1975), sono evidenti manifestazioni di irrazionalità strutturale.

Saranno anche riconosciute <<irrazionali>> quelle istituzioni religiose, e quindi le strutture da esse condizionate, che si ispirano a un modello antergico, ideologizzato; per esempio un modello che, invece di riduplicare in sé la creaturalità fa getto di questa dimensione o quanto meno la misconosce in pratica. Come quando un gruppo di ecclesiastici si dissocia clamorosamente dalla gerarchia, fondandone un'altra che è antagonista della prima. O anche quelle istituzioni di religione che propongono una forma unicamente interiore, privata, soggettiva della relazione tra l'uomo e Dio, con rifiuto di tutto ciò che ne è manifestazione esterna.

In questi ultimi due casi la diagnosi di irrazionalità appare più difficile che quando si tratta della rottura tra la forma dell'organizzazione e quella dell'istituzione, come nel primo degli esempi ricordati. Il conflitto è qui infatti razionalizzato, dialettizzato, genera dubbi valutativi: è talvolta difficile stabilire, sul piano della semplice percezione, quale di due gruppi religiosi contrapposti e divisi sia quello <<scismatico>>, chi di due papi contemporanei sia l'antipapa e chi il papa autentico.

Comunque, del tutto manifesto, assolutamente irrazionale e compendio di tutte le varie forme di irrazionalità considerate è l'istituzione che si denomina <<guerra di religione>>; vera e propria contraddizione in termini, perché anziché essere ispirata dall'amor reciproco, dal vissuto della creaturalità, si configura come il tipo più sadico e distruttivo di scontro tra gruppi di uomini, e di tali esempi è purtroppo ricca la storia: dalle Crociate, alla guerra civile spagnola a quelle che hanno insanguinato il Libano e l'Irlanda e attualmente il Salvador e l'Iran.

 La domanda che si impone, a questo punto, è perché e in qual modo un'istituzione si possa trasformare nel suo merito e, nata come un'opera umana volta alla sinergia, luogo e strumento di progresso, non riesca a ispirare in questo senso l'organizzazione cui inerisce, o addirittura si tramuti in istituzione antergica, luogo di <<produzione e riproduzione di violenza>>. Perché, in particolare, la religione la cui ispirazione è addirittura sopraumana, sia anch'essa suscettibile di tale viraggio, costituendo un rischio professionale specifico dei suoi protagonisti.

La risposta sembra risiedere nella complessa natura dell'uomo, quando da singolo diviene componente di un gruppo.

Sintetizzando qui brevemente conoscenze proprie della psicologia sociale, della gruppo-analisi e della sociopsicologia, si può ricordare che quando i singoli si trovano associati le loro motivazioni inconsce tendono a colludere e a rimanere allo stato inconscio sino a quando non vengano svelate dall'analisi. La collusione gratifica enormemente i singoli, perché consente loro di vivere a livello collettivo quanto non risulta accettabile sul piano personale e alleggerisce la colpevolezza inerente all'espressione dei vissuti.

Con la ricerca sul Minotauro F. Fornari (1976) ha confermato il fatto che il nevrotico <<privato>> può diventare <<pubblico>> anche nei consessi riuniti per le incombenze più ufficiali, con una trasformazione della sofferenza personale in festa.

Soggetti portatori di conflitti privati cercano pertanto, più o meno inconsciamente, di strutturare gruppi che consentano loro di esprimere pubblicamente questi conflitti, innescando in modo diacronico il clima generale, la cultura del gruppo in cui si trovano. Oppure questi soggetti vengono come <<risucchiati>> in gruppi già costituiti e che essi esperimentano capaci di gratificare le loro esigenze personali. R. Carli (1972) ha sperimentalmente dimostrato che ciò si verifica in ampia misura nel mondo del lavoro, secondo processi inconsci che sono responsabili di adattamenti patologici molto resistenti al cambiamento.

Orbene, se questo è vero per i raggruppamenti ordinari, per quelli che si qualificano <<di religione>> le cose assumono una maggiore complessità. E' innanzitutto inevitabile che, per il tipo di adesione globale e continua che questi gruppi richiedono, il setting che li tipizza sia definito da ordine, disciplina, rinuncia formale a molti desideri personali.

In tali condizioni l'eventuale nevrosi dei singoli, in quanto essi aderiscono al codice propostogli, può subire la seguente particolare evoluzione: anzitutto una diminuzione della pressione interna del super-Io, perché i soggetti si identificano al super-Io di gruppo (identificazione all'aggressore), quindi deflettono all'esterno le proprie istanze super-egoiche e tendono ad <<agirle>> sugli altri anziché a subirle in se stessi.

In realtà questi soggetti fruiscono anche di un'attenuazione della cosiddetta rimozione <<pulsionale>>, di per sé affidata al super-Io; tuttavia, causa l'adesione al credo religioso dell'istituzione cui appartengono, le pulsioni emergenti vengono utilizzate sul piano sociale, con i meccanismi difensivi della <<formazione reattiva>> e della <<sublimazione>>; la risultante è pertanto quella della caratterializzazione del gruppo.

Si può ritenere, senza ragionevole dubbio, che l'irrazionalità strutturale di cui si è parlato in precedenza, quella che si configura come associata a un'istituzione di tipo alienante/mistificante alla Laing, sia fondata psicologicamente su una simile caratterialità di gruppo.

Se tale appare la risultante comportamentale associata di singoli soggetti nevrotici, che giungono a strutturare gruppi perversi in grado di soddisfare la conflittualità personale, è anche possibile una seconda evenienza.

Il gruppo religioso assicura di per sé una specifica rimozione di ansietà, in quanto strumento assolutore di colpevolezza e veicolo di partecipazione al potere divino. Si tratta di un setting che per tali caratteristiche può diventare estremamente invitante nei riguardi di quei soggetti nevrotici che, piuttosto che essere orientati alla caratterialità, sono atteggiati alla ricerca di difese.

L'istituzione religiosa appare e risulta a questi individui come un adeguato contenitore delle angosce di base, un risolutore dei conflitti profondi a esse inerenti; si verifica così il <<risucchio>> di questi soggetti nell'istituzione religiosa, vissuta come un sistema chiuso capace di proteggere dalle ansie persecutorie e difensive, secondo la processualità descritta da E. Jaques.

Comunque siano le cose, e cioé indipendentemente dal tipo caratteriale o difensivo del processo in atto, la diminuzione di colpevolezza e la gratificazione narcisistica che questi processi comportano non manca di suscitare un senso di onnipotenza, quanto meno di autosufficienza, e ciò si costituisce come la causa diretta dei comportamenti aberranti ricordati al Congresso AIEMPR di Cincinnati e là denunciati come un vero e proprio <<rischio professionale>>  dell'ecclesiastico.

 

In realtà l'onnipotenza produce una tipica diminuzione anche di un'altra rimozione che la ricerca clinica ha dimostrato essere essenziale alla maturazione della personalità (Fornari, 1975): la <<rimozione cognitiva>>, su cui si fonda la capacità di de-illudersi che ha l'adulto nei confronti di ciò che è illusorio, infantile; una rimozione che garantisce lo specifico del pensiero umano, cioé l'abbandono della potenza allucinatoria nonché il superamento del pensiero onirico e confusivo, per l'instaurazione di quello logico, realistico, operativo.

La <<mancanza della rimozione cognitiva>> condiziona di fatto importanti aspetti della regressione, ed è causa di fatti psicopatologici altrettanto notevoli di quelli derivanti dalla più nota <<mancanza di rimozione pulsionale>> che impedisce il superamento del complesso di Edipo (Freud, 1924).

Quando è carente la rimozione cognitiva i soggetti interessati si comportano come se vivessero continuamente di un pensiero di sogno, di carattere prelogico nella sua strategia complessiva e i cui processi di simbolizzazione denotano la prevalenza dell'aspetto confusivo, affettivo, su quello di carattere diacritico, operativo, secondo la distinzione proposta da F. Fornari (1976) tra simbolismo infantile e adulto.

Di conseguenza risulta ardua a questi soggetti la differenziazione tra ciò che è desiderato, sognato, e ciò che è invece realistico; e il funzionamento mentale fondato sul primo tipo di processi spiazza continuamente quello basato sul secondo.

Questo stato di cose alimenta, sul piano individuale, il senso dell'onnipotenza e stravolge fatalmente il merito della creaturalità: anziché riconoscersi dipendenti da Dio, e quindi in un certo senso dipendenti dal prossimo nel quale Dio si fa manifesto (Luca, 10, 25-37) - e ciò tanto più quanto più elevato è il loro grado gerarchico (il pontefice si autodefinisce servus servorum Dei ) - i soggetti cui manca la rimozione cognitiva confondono tutte le cose a questo proposito: pongono se stessi al posto di Dio e pongono gli <<altri>> a livello di proprie creature, verso cui si atteggiano a modo di padre/padrone.

F. Fornari (1975) ha descritto il processo attraverso il quale il bambino, rinnegata la sua reale incapacità di accoppiarsi, esprime la propria onnipotenza; prendendo il posto del padre e della madre, giungendo al progetto superbo-anale di generare se stesso, sulla base dell'equivalenza illusoria tra contenitore anale e contenitore materno e della confusione tra pene, feci e bambino (p. 56).

Per le stesse ragioni dinamiche gli adulti cui manca la rimozione cognitiva, rimasti emozionalmente bambini, in religione si fanno padri del Padre Dio, padri ( e simultaneamente sposi) della Madre Chiesa, in uno sforzo aberrante di autogenerazione che, per il fatto di rimanere completamente inconscio, non è perciò meno reale e meno distruttivo. Questo processo ottiene infatti lo scopo di negare, distruggere il legame generatore stabilito tra Dio e la Chiesa, sul quale si fonda la creaturalità, e in ultima analisi è mosso dalla negazione del legame sussistente tra i propri naturali genitori.

A livello sopraindividuale l'onnipotenza, con l'illusorietà che la contrassegna, si riflette sull'irrazionalità che assume la struttura, quindi l'istituzione <<regionale>> Chiesa, espressa dalla contraddittorietà tra l'ispirazione ecclesiastica e i modelli trasformativi prodotti, dall'estremizzazione delle posizioni che vi vengono collettivamente assunte, dalla loro irriducibilità e scarto nei confronti delle esigenze di realtà, secondo gli esempi aberranti che sono riportati nel rapporto già citato, sulla <<violenza nelle istituzioni ecclesiastiche>>.

Sviluppando qui tale rapporto si è visto che l'irrazionalità di quegli esempi si rivela come vera e propria irreligiosità, quella che è stata sottolineata con le citazioni scritturali ricordate al principio.

A sua volta la razionalità in religione si svela come capacità di integrare a livello di pensiero e di prassi la dipendenza da Dio e quella dalla Chiesa, di unificare in sintesi vitale la Voce di Dio e la Voce del Magistero, secondo un processo nel quale peraltro Dio viene prima degli uomini (Atti, 4, 19), anche se istituzionalmente Dio non si esprime senza i suoi uomini.

Quale criterio obbiettivo si offre allora agli uomini di religione, e a chiunque abbia interesse che essa sia espressione di vita e non di morte, per riconoscere che stanno vivendo la razionalità, anziché l'irrazionalità?

Nel modo più semplice sembra si possa dire che il criterio sia quello del possesso della capacità di ascolto, intesa come disponibilità interiore al cambiamento quando questo viene richiesto dalle circostanze. Con un'ulteriore specificazione si può affermare che questa disponibilità si utilizza in due dimensioni fondamentali: la possibilità di sperimentare lo <<stato nascente>> e la tensione verso l'universale.

F. Alberoni ha chiamato <<stato nascente>> la capacità di vivere, quando che sia, l'amore in termini di dimensione straordinaria, cosmica, monogamica; come si ha nell'innamoramento, lo stato di amore per eccellenza, dove il presente si eternizza e nel quale si fruisce di esaltanti momenti di rinascita e dilatazione fisica/spirituale (1979). Nei termini propri della teologia, allo <<stato nascente>> corrisponde la prontezza della risposta al soffio dello Spirito, sino alle vette dell'incontro mistico e della contemplazione.

La seconda dimensione fondamentale indicante la presenza della razionalità in religione, autonoma anche se intimamente articolata con la prima, è la spinta all'universale. Essa prolunga nello spazio e nel tempo lo <<stato nascente>> e si attua nel perseguimento instancabile del desiderio/progetto di abbattere le divisioni che oppongono gruppi di uomini l'uno all'altro, di ricercare con intelligente sagacia ciò che unisce piuttosto che ciò che divide, nella consapevolezza che in tutti risiede una stessa dignità. Sul piano religioso questa tensione si manifesta come urgenza all'unificazione di strutture religiose innaturalmente separate, cioé come spinta ecumenica secondo l'auspicio di origine: ut unum sint!

E' ovvio che questi traguardi, queste esperienze totalizzanti siano un privilegio a disposizione di ogni uomo; tuttavia essi sono fatalmente destinati a naufragare nel gorgo degli automatismi e delle difese individuali e di gruppo, pertanto non possono coesistere con l'irrazionalità, così come è stata concettualizzata in questo rapporto. Nell'ambito religioso questi particolari vissuti dell'uomo raggiungono un massimo grado di realizzazione, costituendo della religione il perfezionamento ma anche il definitivo superamento, per entrare nei gradi dell'unione con Dio.

Alternativamente l'irrazionalità nella religione stravolge il vissuto di creaturalità e pone al posto dell'onnipotenza di Dio quella dell'uomo.

Si può pertanto conchiudere che per coloro che vivono nella Chiesa l'irrazionalità religiosa si costituisce come il massimo dei mali e la mancanza delle condizioni di stato nascente e di ecumenismo, che la indica, dice che il rischio dell'irreligiosità è già divenuto realtà.

 

Nota iconografica:

le foto che illustrano questo testo sono di Giuseppe Leo e sono state riprese a Guardia Sanframondi (BN) nell'agosto 2003. 

 

 

 Bibliografia:

Alberoni F., Innamoramento e amore, Milano, Garzanti, 1979.

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Lapassade G., L'Analyse institutionelle et l'intervention, <<Connections>>, 4, 1972, pp. 65-106.

 

 

 

 

 

 

 

Articolo apparso su "Frenis Zero" il giorno 9 marzo 2006 come anticipazione del numero semestrale del giugno 2006..

   

 

 

 

 

 

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