"SCRIVERE
DA DENTRO"
ANTONIN
ARTAUD: UNA LETTERA DA RODEZ
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Note introduttive di GIUSEPPE LEO: <<L'elettroshock mi riduce
alla disperazione, si porta via la mia memoria, smorza la mia mente
e il mio cuore, mi trasforma in qualcuno che è assente e che sa di
essere assente e vede se stesso per settimane alla ricerca del suo
essere, come un uomo morto al fianco di uno che vive che non
è più se stesso, ma che sostiene la presenza dell'uomo morto anche
se non può più entrare in lui>>. Queste le parole che in
una lettera Antonin Artaud ( 1896-1948) indirizzava allo psichiatra
del manicomio di
Rodez, cittadina della Francia centro-meridionale e capoluogo del
dipartimento dell'Aveyron, dove era internato dall'11 febbraio del 1943. Qui vi
era pervenuto dopo una serie di ricoveri psichiatrici la cui
sequenza, nella lettera sotto riportata, viene ricostruita da lui
stesso:
dapprima nella clinica di Sotteville-les-Rouen (alla fine del 1937),
quindi all'ospedale Sainte-Anne di Parigi (dove era arrivato il 28 marzo
1938), e da qui a Ville-Evrard a Parigi dove è internato il 23
febbraio 1939. Del soggiorno a Rodez restano i suoi scritti
(raccolti nei Cahiers de Rodez) ed i suoi disegni, tra cui il
bellissimo autoritratto che riportiamo sotto. Uno di essi è stato
possibile ammirarlo alla mostra di Verona del 2003 "La
creazione ansiosa. Da Picasso a Bacon" e ad esso si
riferisce Eugenio Borgna quando scrive che <<di Antonin
Artaud non si osserva una lacerazione dei tratti del volto, come
quella trakliana, ma una loro pietrificazione stupefatta che lascia
intravedere la soglia oltrepassata della metamorfosi psicotica:
immobilizzata e svuotata di emozioni che non siano quelle
dell'angoscia e dell'orrore>> (in Il volto senza fine, Le
Lettere, Firenze, 2004). Ma cosa dire di questa lettera
indirizzata a Pierre Bousquet, come lui stesso vittima di un
processo di internamento, anche se non psichiatrico, ma in un lager
nazista? Il discorso dalla ferrea e crudele consequenzialità di
questa lettera mira a tracciare somiglianze e differenze tra la
propria condizione esistenziale attuale e quella dell'altro, il
destinatario del discorso. L'altro,
come afferma Dotti (in "Antonin Artaud: l'altro ed il suo
doppio", in Kainos, n.2, 2002), per Artaud può avere tre
significati differenti: <<l'altro con cui scrivere: un
medio, necessario ad Artaud per elaborare i propri pensieri; l'altro
a cui scrivere, per liberarlo (spesso si tratta di compagne
di sventura che Artaud, negli anni di detenzione nella clinica
psichiatrica di Rodez, chiama filles de coeur à naitre);
l'altro contro cui scrivere, per liberarsene (questo
"altro", in particolare, è la rappresentazione
problematica di un'assenza, un fantasma contro cui insorgere,
opporre ingiunzioni o reclamare pretese assolute...)>>. L'altro
con cui scrivere è spesso un linguaggio altro, un
linguaggio nuovo e reinventato, che è stato definito 'glossolalico'
e che è animato dall'intenzionalità, come dice lo stesso Artaud,
di <<abbandonare il linguaggio e le sua leggi per
distorcerlo>>. Ma in questa lettera a Bousquet non
è dato rilevare alcuna peculiarità del linguaggio di tal sorta: vi
domina una logica formale ed una consequenzialità concettuale
ferrea, impietosa. Insomma non c'è qui traccia di quel
linguaggio dis-torto, di cui sono pieni gli 'écrits
de Rodez', carico di valenze distruttive. In questa lettera
non è dato cogliere quella distruttività contro il proprio
discorso( di cui ha parlato R. Barthes), testimone di
una disconnessione tra pensiero e linguaggio (per C. Pasi) , ma
semmai una distruttività contro l'altro-persecutore (ad es. Hitler,
la società borghese) mediante l'altro-medium (il proprio
discorso non de-strutturato, ma anche l'interlocutore, Pierre Bouquet, che permette ad
Artaud di identificarsi per confrontarsi con l'altro da sè).
Per quanto riguarda poi aspetti concettuali della
lettera, quando Artaud parla del 'maleficio' dell'esilio
nel ridurre il vinto a colui che si assimila all'oppressore,
anzichè semplicemente a colui che viene distrutto, pensiamo subito al tema del biopotere come cifra della modernità di M.
Foucault (cfr. La volontà di sapere, tr. it. di P. Pasquino
e G. Procacci, Milano, Feltrinelli, 1978, cap. V.), nonché
alla tesi della 'miniaturizzazione del fascismo' di Guattari
esposta in
"La scuola"( in Id., La rivoluzione molecolare, tr.
it. di B. Bellotto, A. Rogghi Pullberg e A. Salsano, Torino, Einaudi,
1978, pp. 99 segg.).
Ancora uno spunto interessante lo offre la
conclusione della lettera nel collegare il tema dell'artista come
martire della propria epoca e del teatro come incarnazione di miti.
A questo proposito C. Pasi, in "Lo specchio della crudeltà:
Antonin Artaud", così delucida tale rapporto: "I miti che hanno
insanguinato la storia dovranno incarnarsi nei corpi vivi degli
attori per esporre la verità da sempre occultata. [...] Le idee si
fanno corpo di teatro per scorrere come un sapere che ci liberi. Da
lì, dalla riconquista di un sapere corporeo strappato
all'asservimento dei cervelli, con un guizzo, una danza, forse si
potrà ricominciare". Il tema
della scrittura, di per sè molto caro a J. Derrida, filosofo
recentemente scomparso, viene ulteriormente approfondito e
indirizzato al 'caso' di Artaud nel saggio del 1965, La parole
soufflée1 . Caso clinico e caso critico (o
esegetico), oggetti di due discorsi il cui dialogo, nonostante gli
sforzi di Blanchot2, è un compito ancora irrisolto, in
quanto <<di fatto i due commenti, - quello medico e
l'altro - non si sono mai confusi in nessun testo3>>. Afferma
infatti Blanchot che <<non bisogna commettere l'errore di
leggere come analisi di uno stato psichico le descrizioni precise,
sicure e minuziose che egli ce ne dà>>.
Foto: J. Derrida Ma per Derrida, sia il discorso del clinico che
del critico si fondano sulla differenza, mentre, all'opposto
<< Artaud ci insegna questa unità anteriore alla
dissociazione>>, per cui <<il critico ed il medico
sarebbero qui senza risorsa di fronte ad un'esistenza che rifiuta di
significare, di fronte ad un'arte che si è voluta senza opera, di
fronte a un linguaggio che si è voluto senza traccia. Cioè senza
differenza>>. Ed ancora prosegue più avanti:
<<Perseguendo una manifestazione che non fosse una
espressione, ma una creazione pura della vita, che non cadesse mai
lontano dal corpo per scadere in segno e in opera, in oggetto,
Artaud ha voluto distruggere una storia, quella della metafisica
dualista che ispirava in modo più o meno sotterraneo i tentativi a
cui abbiamo più sopra accennato: dualità dell'anima e del corpo,
che fonda, in segreto, naturalmente, la dualità della parola e
dell'esistenza, del testo e del corpo, ecc>>. Ed allora la
parola soufflée, è contemporaneamente quella 'sottratta',
'rubata4', sottratta al commentatore, critico o clinico
che sia, il quale la dispone sempre entro un ordine prefissato di
rapporti di significazione5 , ma è anche parola 'suggerita', 'ispirata',
da un'altra voce che mi parla. Infine, per
focalizare la relazione in Artaud tra scrittura e condizione
manicomiale, ci piace concludere con queste parole di Céline
Reully : <<La necessità della scrittura risponde
certamente alla situazione dell'internamento manicomiale, ed è il
motivo per cui l'invenzione di forme linguistiche singolari rende
indissociabili la questione della follia e quella della poesia. I
Cahiers de Rodez sono il lavoro di scrittura per accedere alla più
grande efficacia, quella che trasforma il soggetto man mano che essa
si sviluppa; essi manifestano la specificità di un linguaggio, sul
fondo della dissoluzione della <<parola>> come
<<termine>>, che implica il rifiuto dell'essere,
ultima manifestazione della questione del <<giudizio>>, che le lettere
a Riviere avevano introdotto alla soglia dell'opera>> (da
C. Reully, "Poétique de l'étrang(èr)eté chez Antonin Artaud.
Des phénomènes <<glossolaliques>> à la question de l'identité",
in http://ipt.univ-paris8.fr/~dela/publications/Reuilly.pdf.
). Note editoriali: 1)
"La parole soufflée", uscito nel 1965 in
<<Tel Quel>>, e raccolto nel 1967 in "L'écriture
et la différence" (Editions du Seuil, Paris), tradotto in
italiano da Gianni Pozzi per Einaudi (ultima edizione 2002). 2)
cfr. Blanchot M., "Le livre à venir", Gallimard, Paris,
1959 (traduz. ital. di Guido Ceronetti e Guido Neri, Einaudi,
Torino, 1969). 3) cfr. Derrida, op. cit. 4)
<<Quando scrivo, non c'è altro che quello che io scrivo.
Quello che ho sentito d'altro, che non ho potuto dire, e che mi è
sfuggito sono idee o un verbo rubato che distruggerò per
sostituirlo con un'altra cosa>> Rodez, aprile 1946. 5)
Afferma Derrida (in op. cit.) :<<Il primo commentatore è qui
l'ascoltatore o il lettore, il ricettore che non dovrebbe più
essere il "pubblico" nel teatro della crudeltà. Artaud
sapeva che ogni parola caduta dal corpo, offrendosi per essere
intesa o ricevuta, offrendosi in spettacolo, diventa subito parola
rubata. Significazione di cui io sono espropriato perché è
significazione.>>
G.L. |
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a
Pierre Bousquet
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Rodez, 16 maggio 1946
Essendo
stato deportato dall'Irlanda1, internato a Le Havre,
trasferito da Le Havre a Rouen, da Rouen al manicomio Sainte-Anne
a Parigi, dal manicomio di Sainte-Anne a quello di Ville-Évrard,
dal manicomio di Ville-Évrard a quello di Rodez, conosco le
deportazioni, poiché la medicina si conosce attraverso i dolori e
per curare i dolori bisogna averli sofferti, e non mi sarei
azzardato a parlare della Sua deportazione in Germania nel 1942,
anche se è stato Lei stesso a chiedermelo, se le circostanze non
avessero posto anche me in stato di deportazione.
Effettivamente, essere deportato è un fatto ed una condizione che
non affronterò dal punto di vista medico o scientifico, perché
odio tanto la medicina, quanto la scienza, ma della quale posso
parlarLe come qualcuno che ne abbia lungamente e oserei dire:
meticolosamente sofferto.
Meticolosamente
vuol dire che mi sono visto obbligato, come Lei, a non perdermi
nulla dei tormenti della mia deportazione, perché deportato,
mi sono inoltre visto internato, ed ho avuto, in effetti, molto
tempo in anni di celle e pagliericci, accovacciato sui pagliericci
nelle celle, di pensare alla mia condizione di sradicato e di
esiliato. Infine, caro signor Pierre Bousquet, noi abbiamo un
corpo: a tutti è stato dato un padre, e una madre, data, voglio
dire attribuita, ma in realtà non ce ne ricordiamo
affatto. I ricordi del bambino cominciano verso i 18 mesi o i
2 anni, in generale, e prima non sappiamo affatto dove ci
trovavamo. - In me, i primi ricordi ufficiali cominciano a
18 mesi, prima se dicessi dove mi trovavo e che lo ricordo, mi si
tratterebbe ancora da pazzo, poiché i miei ricordi personali non
concorderebbero con quelli del mio stato civile, perché i bambini
costruiti dalla società, non sono quelli che fa la natura.
Andiamo avanti. Dunque anche Lei, signor Pierre Bousquet, ha
sempre creduto di chiamarsi Pierre Bousquet ed è allora che
Pierre Bousquet e per il fatto che lei si chiamava Pierre Bousquet,
uscito dal nulla, in Francia, in una famiglia di francesi, essendo
la Francia stata in guerra ed avendo perso, Lei si è trovato
obbligato, un certo giorno, a sottomettersi senza protestare ad un
provvedimento di deportazione preso contro tutti i giovani della
sua età dopo la fine dell'ultima guerra, sotto lo schifoso
governo di Vichy. - Lei non c'entrava nulla coi battibecchi tra
Daladier2 e Hitler, ma colui che La ha messa
nella situazione di essere deportato prima di essere silurato come
un imboscato, il suo successore Pierre Laval3, si
incaricò di legarLe le mani alle esigenze del vincitore.
Anche voi, tutti voi, siete dunque stati vinti, ma no, no, eravate
troppo giovani, e fu necessario pagare il prezzo al posto della
fuga dei soldati francesi che preferirebbero farsi rompere il culo
piuttosto che combattere come il sacrosanto dovere li obbliga. -
Ma forse avevano pensato che non fosse più loro dovere
combattere, viste le condizioni in cui il governo Daladier li
aveva acconciati per il massacro.
Foto di Artaud scattata da M.Ray
Qualsiasi
cosa sia successa, un bel giorno Lei si è visto strappato
dal Suo domicilio non dalla forza della tempesta, del mistral, dei
tornado, della burrasca, di un temporale elettrico o dei venti, ma
da quella specie di forza senza nome, che non ebbe mai altro volto
che quello, meschino, degli indifferenti che La rappresentano e
non marciano se non perché sono stati comandati o salariati per
farlo, e non viene, questa forza, che dalla decisione unilaterale
di un certo numero di borseggiatori che rappresentano il governo,
la polizia, l'amministrazione, e nel Suo caso l'inadempienza
dell'esercito.
-
Essere violentemente cacciati dal proprio Paese, per essere
trapiantati in un altro come si fa con una pianta per prevenirne
una carie è spaventoso, ed è spaventoso essere
brutalmente, e dietro un ordine, improvvisamente spaesati.
Come un subacqueo che perdesse l'asse del paesaggio e nel
paesaggio un brandello del proprio corpo, come se improvvisamente
vedesse il proprio corpo passare come il cerchio di un
caleidoscopio che ruota. È un'immagine, una metafora, ma che
traduce una mostruosa e insultante realtà. Il fatto è che non
siamo padroni dei nostri corpi. - I nostri padre-madre ne
disposero per la scuola, quando l'amministrazione non ne dispone
per i riformatori o gli istituti di rieducazione, e la società
per le prigioni e per i manicomi, poi la società ne dispone per
la visita di leva, i preti per il "viatico" e l'estrema
unzione del feretro; e la società ne dispone per la guerra,
mentre se ne resta nelle retrovie per trafficare al mercato nero.
E il governo di
Vichy vende chissà quante volte per trenta denari chissà quante
migliaia di corpi di giovani, per servire da servi in un paese
straniero.
Autoritratto di Artaud
-
Ma l'aspetto orribile della faccenda, signor Pierre Bousquet, non
è per me nel trapianto, e non è neppure nel fatto di non
essere padroni di sé, è, piuttosto, nell'insolito potere di
questa cosa senza nome che in superficie, ma solo in superficie,
si chiama società, governo, polizia, amministrazione e contro la
quale non è servito a nulla, nella storia, neppure ricorrere alla
forza delle rivoluzioni. Perché le rivoluzioni sono scomparse, ma
la società, il governo, la polizia, l'amministrazione, le scuole,
voglio dire le trasmissioni e i contagi di credenze attraverso i totem
dell'insegnamento sono sempre rimasti in piedi. E
potremmo anche credere che non ci sia nulla da fare.
Il
giorno della Sua deportazione in Germania, nel mezzo di quella
piccola angoscia che coglie per il solo fatto di essere condotto
non si sa dove, e trasportato fuori di casa, Lei si è trovato inquadrato.
Passato, si potrebbe dire, di mano in mano, da parte di uomini
che, per quanto in quel momento toccava loro, rappresentavano
quell'indefinibile potere.
Che
la polizia venga a sedersi davanti a Lei in un caffè come è
stato fatto con me, o che gente pagata dal governo Le fissi un
appuntamento un certo giorno, se non un certo mattino, ad una
certa ora, ed in un certo posto, per portarla via con sé in
Germania, è una di queste obbligazioni immorali, una di
queste costrizioni, di questi tranquillanti oppressivi e
coercitivi contro i quali non c'è nulla da fare.
E
possiamo domandarci da dove viene tutto ciò?
Tutto,
in primo piano, passa per così dire alla buona e dapprima
non si viene picchiati. - Per quanto abietta sia la misura
presa contro di lui, colui che si sottomette fiaccamente e
docilmente può sperare per prima cosa in una specie di commutazione
della pena e che la pena, come un commutatore di elettricità
ritorto sulle tenebre dell'odio, cambi, proprio grazie alla sua
disponibilità. C'è anche da considerare che i violentati eludono
lo spirito dello stupro offrendosi con gli arti aperti alla brama
dei violentatori. E non c'è nella deportazione una
violenza, un'entrata per effrazione lenta (lenta
all'inizio) di un'orda di corpi estranei nel vostro,
dapprima quelli della polizia traditrice i quali vi spediscono
all'estero, quelli di tutte le popolazioni del mercato nero che vi
conducono e vi respingono all'estero, e all'estero infine,
in principio i corpi degli uomini stranieri.
Mi
sono sempre domandato che cosa provoca nella storia la
sottomissione di noi individui a questa specie di coercizione
disarmata, che cosa fa in modo che, quando l'apparato sociale,
amministrativo o poliziesco si muove, non pensiamo per prima cosa
a protestare. - Ci sono qua e là delle rivolte, certamente, ma
sempre il vecchio ordinamento ritorna come se fosse
sottinteso che la rivolta non ha altro fine che quello di un
riassestamento dell'ordine, mentre è l'ordinamento stesso: la
società che deve andarsene perché le persone possano vivere in
pace. La società ha contro di noi la forza, beninteso, ma da dove
le viene se non dalla nostra adesione alla forza della società, e
questo non è un fatto, è un'idea. - È una semplice, falsa idea
dei nostri corpi che da così tanto tempo ci opprime, e che cosa
aspettiamo a farla saltare?
Lei
è stato dunque condotto con la forza in Germania. - Si è trovato
costretto ad entrare in un convoglio di giovani francesi
deportati, e il suo corpo che usciva di casa, andava nelle
librerie, alle esposizioni di pittura, nei teatri, nei cinema, nei
caffè, che andava a pranzo o a cena dagli amici, che andava per
biblioteche o musei, che comprava liberamente gli abiti che gli
piacevano, si faceva tagliare i capelli dal parrucchiere secondo
il taglio che preferiva, e sceglieva la lozione migliore (questa
è l'aria della libertà), questo corpo, dice, si è trovato
vestito da macchinista, è stato messo su un treno, e non c'erano
più tagli o shampoo, né completi ben ripassati, né camicie
pulite ogni giorno (La capisco, poiché la camicia che ho avuto
per sei anni d'internamento è quella che mi venne donata dalla
signora Régis su ordine del dottor Ferdière. Una camicia
borghese con un collo e una cravatta, perché il dottor Ferdière
non voleva che fossi vestito come un internato).
Lei,
come camicia e come completo, non ha avuto più altro che un
bombardamento di braci, passando i giorni ad infornare
carbone a palate nel ventre di una meccanica che avrebbe preferito
si facesse timbrare altrove.
E
alla sofferenza della deportazione si mescolava in Lei la
sofferenza dell'esilio.
C'è
nell'esilio un maleficio, quello di questo spirito estraneo che
schiaccia notte e giorno un uomo e gli domanda di trasudare la
propria coscienza nel suo senso. - Mi ha detto di non essere stato percosso. - Poiché non si
percuotono che i recalcitranti, non è il metodo o la maniera,
voglio dire il procedimento segreto, il comportamento profondo
dell'oppressore dinanzi all'oppresso che di questi rovina, per
prima cosa, il corpo. Il conquistatore non distrugge il vinto, non
ha interesse a sbarazzarsi del vinto ma a penetrarlo con un
preciso veleno, fino al punto in cui il simile si assimili in lui
al simile, e il vinto non sia più là, ma il suo corpo solo con
la coscienza del solo vincitore; questa operazione è ricorrente
nel mondo, ma ciò che non si sa è che essa è anche voluta e
concertata ed è fatta, voglio dire vissuta da un certo
numero d'individui, che non hanno altro compito se non quello di
pensare alle individualità interessanti, e fanno di tutto per
trasmettere loro il virus della deportazione, dell'internamento,
dell'imprigionamento, della servitù, e quello della nazionalità.
Hitler
praticava in grande questa operazione. - A dire il vero, non si
chiamava neppure Hitler, perché Hitler non è un nome che in
yugoslavo, in moldo-valacco, in ceco si possa mettere sullo stesso
piano di hip-hip-hurrà, alleluja, osanna, de profundis, ma una
parola, una specie di esclamazione che si può mettere su quel
piano quando il cognome non vi si mette.
Ho
dimenticato il suo cognome, ma lo ho incontrato a Berlino nel 1932
in un caffè che avrebbe voluto essere ciò che era il Dôme
a Montparnasse ma che non ci riusciva affatto, e che si chiamava Romanisches
cafè. - Caffè degli zingari - poiché il sedicente Hitler si
faceva passare per un sedicente bohémien.
Ho
girato un film senza importanza intitolato Coup de feu à l'aube.
Ne avevo girato un altro l'anno precedente al cui ricordo, al
contrario, tengo molto e si chiamava: L'Opéra de quatre-sous,
e in cui avevo ricevuto la visita di un gendarme che mi fece
paura, poi si rivelò come un amico e mi disse di sputare sull'hitlerismo.
Ma l'autentico Hitler del Romanisches cafè, al contrario,
mi disse di voler imporre l'Hit-lerismo come si imporrebbe lo
hip-hip-hurraismo, e come si è voluta creare un giorno l'Eurasia
(Europe-Asie).
Tutto
alla lira, etc. Gli dissi che era un po' toccato ad
avere idee del genere. E che d'altronde io lo conoscevo da tempo
come un sedicente iniziato, come un megalomane ammaliatore, uno
dei tipi più perfetti della razza di coloro che hanno la
pretesa di condurre i popoli non con azioni, ma unicamente con
idee, voglio dire movimenti come magnetiche d'ideazione,
voglio dire onde psichiche, etc.
Ne
seguì una spaventosa baruffa nel corso della quale il sedicente
Hitler fece chiamare la polizia per farmi arrestare. Ed essa venne
e nella ressa prese le mie difese contro questo ripugnante
moldo-valacco che in seguito si pose alla guida della Germania
sotto il nome pretestuoso di Hitler. - Poiché quell'Hitler,
l'Hitler della storia, era in realtà un moldo-valacco, ossia
figlio di una razza di vecchi impiccati ben noti per i propri
tenebrosi traffici sul respiro degli antichi defunti. - Hitler è
morto ma la sua razza non ha finito di nuocere e lo vede e lo
invoca dovunque.
Conoscete
la leggenda della mandragora, questa specie di semenza che cresce,
si dice, ai piedi dei cadaveri degli impiccati, e che sarebbe nata
dall'eiaculazione del loro sperma al momento dello strangolamento.
Hitler in segreto
pretendeva di discenderne. - Poiché non è solo la Sua
deportazione, signor Pierre Bousquet, che i moldo-valacchi di
Berlino avevano premeditato, ma molte altre. - E non hanno finito
con questa congiura, ma sono tornati in Moldo-Valacchia. - Poiché
tutto il mondo ha sofferto dell'hitlerismo tranne gli autentici
hitleriani i quali non si sono dichiarati vinti, ma servendosi di
non so quale stratagemma sono giunti a svignarsela dalla
Germania e sono tornati nel proprio paese.
A
causa dei loro maneggi e dei loro giochetti di prestigio una
deportazione più grave minaccia tutti, qualcosa come un transfert
di non so che cosa di noi stessi verso non si sa dove, quando noi,
noi non saremo più qui, e l'hitlerismo avrà preso dappertutto il
nostro posto, al posto di un'Europa e di un'Eurasia, in qualcosa
come un'Eurasia. È un mito ma ce ne sono altri. Poiché siamo circondati di Miti
che vogliono partorirsi addosso a noi, che cosa fare?
Costruire
un palcoscenico per danzare i miti che ci martirizzano e farne
degli esseri veri prima di imporre a tutti la mandragora seminale
della semenza delle idee.
Amichevolmente
Suo
Antonin
Artaud
P.S.:
- Danzare è soffrire un mito, sostituirlo, quindi, con la realtà.
NOTE:
1 Dopo il viaggio
in Messico, <<ritemprato, Artaud ritornò in Europa e
tentò di sposarsi con la figlia di un uomo d'affari belga, ma il
fidanzamento fu rotto burrascosamente, perché Artaud non voleva
rinunciare al suo anticonformismo. Alla ricerca di altri contatti
con i popoli più semplici, s'imbarcò allora alla volta
dell'Irlanda. Ossessionato da voci divine che gli tormentavano
quotidianamente la mente, Artaud era sempre più agitato, e cercò
allora asilo in un convento di gesuiti. Questi lo consegnarono
però alla polizia, la quale lo imbarcò per rimandarlo in
Francia. In seguito a qualche episodio di violenza avvenuto a
bordo, Artaud fu quindi legato con una camicia di forza allo
sbarco e poi rinchiuso in manicomio nel dicembre 1937, con il
cranio rasato >> (da Roy Porter, "Storia sociale
della follia", Garzanti, Milano, 1991).
2 Daladier , uomo
politico francese che fu Ministro della Difesa Nazionale alla
vigilia dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
3 Laval, politico francese che
fu capo del governo filonazista di Vichy.
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BIBLIOGRAFIA DI ANTONIN ARTAUD
(fonte www.antoninartaud.org)
Les Oeuvres
complètes d'Antonin Artaud
La publication des Oeuvres complètes d'Artaud chez Gallimard
a commencé en 1956 avec le tome I. Il a fallu attendre
ensuite 1970 pour qu'elle reprenne avec une nouvelle édition
revue et corrigée de ce même tome, qui fera en fait deux
volumes. Pendant quarante ans, les héritiers d'Artaud ont
disputé à Paule Thévenin, amie d'Artaud et directrice de l'édition
des Oeuvres complètes, la propriété des cahiers du
poète, s'opposant dès les années 50 à leur publication.
Paule Thévenin est décédée en 1994.
Collection Blanche NRF
Tome I
1956 (1ère édition)
Tome I*
1970 (seconde édition)
Préambule. - Adresse au Pape. - Adresse au Dalaï-Lama. -
Correspondance avec Jacques Rivière. - L'Ombilic des Limbes.
- Le Pèse-Nerfs suivi des Fragments d'un Journal d'Enfer.
- L'Art et la Mort. - Premiers poèmes (1913-1923). - Premières
proses. - Tric Trac du Ciel. - Bilboquet. - Poèmes
(1924-1935).
Tome I**
1970 (supplément au tome I)
Textes surréalistes. - Lettres.
Tome II
1961
L'Évolution du décor. - Théâtre Alfred Jarry. - Trois
oeuvres pour la scène. - Deux projets de mise en scène. -
Notes sur les Tricheurs de Steve Passeur. - Comptes rendus. -
À propos d'une pièce perdue. - À propos de la littérature
et des arts plastiques.
Tome III
1961
Scenari. - À propos du cinéma. - Lettres. - Interviews.
Tome IV
1964
Le Théâtre et son Double. - Le Théâtre de Séraphin. -
Les Cenci. - Dossier du Théâtre et son Double. - Dossier des
Cenci.
Tome V
1964
Autour du Théâtre et son Double. Articles à propos du Théâtre
de la NRF et des Cenci. - Lettres. - Interviews. - Documents.
Tome VI
1966
Le Moine de Lewis raconté par Antonin Artaud.
Tome VII
1967
Héliogabale ou l'Anarchiste couronné. - Les Nouvelles Révélations
de l'Être.
Tome VIII
1971
Sur quelques problèmes d'actualité. - Deux textes écrits
pour "Voilà". - Pages de carnets. Notes intimes. -
Satan. Notes sur les cultures orientales, grecque, indienne, suivies
de le Mexique et la civilisation et de l'Éternelle
Trahison des Blancs. - Messages révolutionnaires. - Lettres.
Tome IX
1971
Les Tarahumaras. - Lettres relatives aux Tarahumaras. -
Trois textes écrits en 1944 à Rodez. - Cinq adaptations de
textes anglais. - Lettres de Rodez suivies de l'Evêque
de Rodez. - Lettres complémentaires à Henri Parisot.
Tome X
1974
Lettres écrites de Rodez (1943-1944).
Tome XI
1974
Lettres écrites de Rodez (1945-1946).
Tome XII
1974
Artaud le Mômo. - Ci-gît précédé de la Culture
Indienne.
Tome XIII
1974
Van Gogh le suicidé de la société. - Pour en finir avec
le jugement de Dieu.
Tome XIV
Suppôts et Supplications.
Tome XV
Cahiers de Rodez (février-avril 1945).
Tome XVI
Cahiers de Rodez (mai-juin 1945).
Tome XVII
Cahiers de Rodez (juillet-août 1945).
Tome XVIII
1983
Cahiers de Rodez (septembre-novembre 1945).
Tome XIX
1984
Cahiers de Rodez (décembre 1945-janvier 1946).
Tome XX
Cahiers de Rodez (février-mars 1946).
Tome XXI
Cahiers de Rodez (avril-25 mai 1946).
Tome XXII
Cahiers du retour à Paris (26 mai-juillet 1946).
Tome XXIII
Cahiers du retour à Paris (août-septembre 1946).
Tome XXIV
Cahiers du retour à Paris (octobre-novembre 1946).
Tome XXV
Cahiers du retour à Paris (décembre 1946-janvier 1947).
Tome XXVI
1994
Histoire vécue d'Artaud-Mômo. Tête-à-tête par Antonin
Artaud.
Nouveaux Écrits de Rodez
1977
Lettres au docteur Ferdière (1943-1946) et autres textes
inédits suivis de Six lettres à Marie Dubuc
(1935-1937). Préface du docteur Gaston Ferdière, présentation
et notes de Pierre Chaleix.
À paraître :
Tome XXVII
Cahiers du retour à Paris (février-mars 1947).
Tome XXVIII
Cahiers du retour à Paris (avril-mai 1947).
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Note :
Cette liste ne prétend à l'exhaustivité.
This list doesn't pretend to be exhaustive.
Bibliographie
- Oeuvres
complètes, tomes I à XXVI, Gallimard,
Paris, 1956-1994.
- Lettre contre la Cabbale, Jacques Haumont, Paris,1949.
- Vie et
Mort de Satan le feu, suivi de Textes mexicains,
coll. "Voyants", Arcanes, Paris, 1953.
- Les Tarahumaras, L'Arbalète, Décines (Isère, France),
1955.
- Lettres à Génica Athanasiou, coll. "Le Point du
jour", Gallimard,
Paris, 1969.
- Lettres à Annie Besnard, Le Nouveau Commerce, Paris,
1977.
- Nouveaux
écrits de Rodez, suivi de Six lettres à Marie Dubuc,
présentation et notes de Pierre Chaleix, Gallimard,
Paris, 1977.
- L'arve et l'aume, suivi de 24 lettres à Marc
Barbezat, L'Arbalète, Décines (Isère, France), 1989.
Textes traduits (Translations)
Le Théâtre et son double
- The Theater and its double, Grove Press, New York,
1958.
- Ea teatro y su doble, Editorial Sudamerica, Buenos
Aires, 1964.
- Teatr i jego sobowtor, Wydawnictwa Artystyczne, Filmowe,
Warszawa, 1966.
- Il teatro e il suo doppio, con altri scritti teatrali e la
tragedia I Cenci, Giulio Einaudi, Torino, 1968.
- The Theatre and its double, Calder and Boyars, London,
1970.
- Pozoriste i njegov dvojnik, Prosveta, Beograd, 1971.
Le Moine
- Il Monaco, raconta da Antonin Artaud, Bompiani, Milano,
1967.
Au pays des Tarahumaras
- Al paese dei Tarahumara e latri scritti, Adelphi,
Milano, 1966.
Artaud le Mômô
- Artaud the Momo, Black Sparrow Press, Santa Barbara,
1976.
Les Cenci
- The Cenci, Calver and Boyars, London, 1969.
- I Cenci, Giulio Einaudi, Torino, 1972.
Le Pèse-Nerfs
- El pesa-nervios, Mundonuevo, Buenos Aires, 1959.
- Die Nervenwaage und Andere Texte, Fischer Doppelpunkt,
Frankfurt, 1964.
L'Ombilic des Limbes suivi du Pèse-Nerfs
- Carta a la vidente, Tusquets, Barcelona, 1971.
Divers (Misc.)
- Selected Writings, edit. and introd. by Susan SONTAG,
trans. by Helen WEAVER, Farrar, Strauss & Giroux, New York,
1976.
- Watchfiends & Rack Screams : Works from the final
period by Antonin Artaud, edited and translated by Clayton
ESHLEMAN, with Bernard BADOR, Exact Change, Boston, 1995.
Bibliographie critique
(A Critical Bibliography)
Livres (Books)
- Danièle ANDRÉ-CARRAZ, L'expérience intérieure d'Antonin
Artaud, Librairie Saint-Germain-des-Prés, Paris, 1973, rééd.
coll. "Étapes de la poésie", Le Cherche-Midi, Paris,
1987.
- Urias Correa ARANTES, Artaud : teatro e cultura,
Editoria da UNICAMP, Campinas-SP-Brasil, 1988.
- Jean-Louis ARMAND-LAROCHE, Antonin Artaud et son Double,
Fanlac, Périgueux (France), 1964.
- Umberto ARTIOLI e Francesco BARTOLI, Theatro e corpo
glorioso, Feltrinelli, Milano, 1978.
- Stephen BARBER, Antonin Artaud: Blows and Bombs, Faber,
1993.
- Alfred BERMEL, Artaud's Theatre of Cruelty, Taplinger
Publishing Company, New York, 1977.
- Michel BOCCARA, Artautotal, Le poète tue ses doubles,
Ductus, Paris, 1996.
- Françoise BONARDEL, Antonin Artaud ou la fidélité à l'infini,
Balland, Paris, 1987.
- André BONNETON, Le Naufrage prophétique d'Antonin Artaud,
Lefebvre,Paris, 1961.
- Pierre BRUNEL, Théâtre de la cruauté ou Dionysos profané,
Librairie des Méridiens, 1982.
- Michel CAMUS, Antonin Artaud : Une autre langue du corps,
Opales-Comptoir d'édition, Paris, 1996.
- Georges CHARBONNIER, Antonin Artaud, coll. "Poètes
d'aujourd'hui", Seghers, Paris, 1957.
- Julia F. COSTICH, Antonin Artaud, Twayne, Boston, 1978.
- Gérard DUROZOI, Antonin Artaud, L'aliénation et la folie,
Larousse, Paris, 1972.
- Martin ESSLIN, Artaud, Fontana/Collins, Glasgow; J.
Calder, London, 1976.
- Jacques GARELLI, Artaud et la question du lieu : essais sur
le théâtre et la poésie d'Artaud, José Corti, Paris,
1982.
- Katell FLOC'H, Antonin Artaud et la conquête du corps,
coll. "Jeunes Talents", Association Découvrir-Larousse-Sélection
du Readers' Digest, 1995.
- Jane GOODALL, Artaud and the Gnostic Drama, Clarendon
Press, Oxford; Oxford
University Press, New York, 1994.
- Henri GOUHIER, Antonin Artaud et l'essence du théâtre,
Vrin, Paris, 1974.
- Naomi GREENE, Antonin Artaud: Poet Without Words, Simon
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- Evelyne GROSSMAN, Artaud, Joyce : Le corps et le texte,
coll. "Le Texte à l'oeuvre", Nathan, Paris, 1996.
- Otto HAHN, Portrait d'Antonin Artaud, Le Soleil Noir,
Paris, 1968.
- Ronald HAYMAN, Artaud and after, Oxford
University Press, 1977.
- Jean HORT, Antonin Artaud, le suicidé de la société,
éd. Connaître, Genève, 1960.
- Daniel JOSKI, Artaud, coll. "Classiques du XXe
siècle", Éditions universitaires, 1970.
- Bettina KNAPP, Antonin Artaud Man of Vision, Swallow
Press, New York, 1969 (rééd. 1980).
- Jean-Jacques LÉVÊQUE, Antonin Artaud, coll. "Les
plumes du temps", Henri Veyrier, Paris, 1985.
- Thomas MAEDER, Antonin Artaud, Plon, Paris, 1978.
- Charles MAROWITZ, Artaud at Rodez, M. Boyars, London;
Drama Book Specialists, New York, 1977.
- Florence de MÉREDIEU, Antonin Artaud, Portraits et
gris-gris, Blusson, Paris, 1983.
- Florence de MÉREDIEU, Antonin Artaud, les couilles de
l'ange, Blusson, Paris, 1992.
- Florence de MÉREDIEU, Antonin Artaud, Voyages, Blusson,
Paris, 1992.
- Florence de MÉREDIEU, Sur l'électrochoc : Le cas d'Antonin
Artaud, Blusson, Paris, 1996.
- Leon MIRAS, Artaud y el teatro moderno, Libreria "El
Ateneo" Editorial, Buenos Aires, 1978.
- Carlo PASI, Sade Artaud, Bulzoni Editore, Roma, 1979.
- Gene A. PLUNKA, Antonin Artaud and the Modern Theatre,
Fairleigh Dickinson UP, 1994.
- Jacques PREVEL, En
compagnie d'Antonin Artaud, Flammarion, Paris, 1974, rééd.
et augmenté en 1994.
- Jean-Michel REY, La naissance de la poésie - Antonin
Artaud, coll. "Littérature", Métailié, Paris,
1991.
- Susan SONTAG, À la rencontre d'Antonin Artaud,
Christian Bourgois, Paris, 1973.
- Paule THÉVENIN et Jacques DERRIDA, Artaud, Dessins et
Portraits, Gallimard,
Paris, 1986.
- Paule THÉVENIN, Antonin Artaud, ce Désespéré qui vous
parle, coll. "Essais", Seuil, Paris, 1993.
- Franco TONELLI, L'esthétique de la crauté, Nizet,
Paris, 1972.
- Jean-Pierre VERHEGGEN, Artaud Rimbur, Éditions de la
Différence, Paris, 1990.
- Odette et Alain VIRMAUX, Artaud : un bilan critique,
Belfond, Paris, 1979.
- Odette et Alain VIRMAUX, Artaud Vivant, coll.
"Lumière sur", NéO, Paris, 1980.
- Odette et Alain VIRMAUX, Qui êtes-vous ? Antonin Artaud,
La Manufacture, Paris, 1986, rééd. 1991 (avec un CD de l'enregistrement
de l'émission "Pour en finir avec le Jugement de Dieu").
- Kenneth WHITE, Le monde d'Antonin Artaud, coll.
"Le regard littéraire", Complexes, Paris, 1989.
- Antonin Artaud : Figures et portraits vertigineux,
collectif dirigé par Simon HAREL, coll. "Théorie et littérature",
essais préntés lors des Journées internationales Antonin
Artaud de Montréal (mai-juin 1993).
- Artaud, collectif dirigé par Philippe SOLLERS (groupe
Tel Quel), Centre culturel international de Cerisy-la-Salle,
Presses-Pocket, Paris, 1973.
- Antonin Artaud, Works on Paper (catalogue de l'exposition),
édité par Margit ROWELL, The
Museum of Modern Art/Harry N. Abrams, New York, 1996.
Textes, Articles (Texts & Articles)
- Leo BERSANI, "Artaud, Birth and Defecation", in Partisan
Review, nº43, 1976.
- Jean-François CHEVRIER, "Artaud et la peinture", in
Cahiers critiques de la littérature, nº1, sept. 1976.
- Tom CONLEY, "Artaud côté verso", in Mélusine,
L'Âge d'Homme, Paris, nº5, 1983.
- Philippe DAGEN, "Antonin Artaud : l'idée pure du dessin",
in Le Monde, 16-17/7/95.
- Gilles DELEUZE, "Le schizophrène et le mot", in Critique,
nº255-256, août-sept. 1968.
- Gilles DELEUZE et Félix GUATTARI, "Comment se faire un
corps sans organes ?", in Minuit, nº10, sept. 1974.
- Jacques DERRIDA, "La parole soufflée" et "Le
Théâtre de la cruauté et la clôture de la représentation",
in L'Écriture et la différence, Seuil, Paris, 1967.
- François GAUDRY, "Un témoin du voyage au Mexique d'Antonin
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- François GAUDRY, "Artaud au Mexique", in Mélusine,
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- Pierre-Jean JOUVE, "Les Cenci d'Antonin Artaud", in NRF,
juin 1935 et Magazine littéraire, nº65, juin 1972.
- J.M.G. LE CLÉZIO, "L'Envoûté", in Les Cahiers
du Chemin, nº19, 16/10/73, Gallimard,
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- J.M.G. LE CLÉZIO, "Antonin Artaud ou le rêve mexicain",
in Le rêve mexicain ou la pensée interrompue, Gallimard,
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- René MÉNARD, "Antonin Artaud et la condition poétique",
in Critique, nº119, avril 1957.
- Jean-Gabriel NORDMANN, "Antonin Artaud et le Surréalisme",
in Europe, nº465-466, nov.-déc. 1968.
- Gaëtan PICON, "Sur Antonin Artaud", in L'usage
de la lecture, t.2, Mercure de France, Paris, 1979.
- P.L. PODOL, "Contradictions and Dualities in Artaud and
Artaudian Theater: The Concept of Mexico and the Conquest of
Peru", in Modern Drama, Toronto, vol. 26, nº4,
1983.
- André ROUSSEAUX, "Nuit et lumière d'Antonin Artaud",
in Littérature du XXe siècle, t.6, Albin
Michel, Paris, 1958.
- Guy SCARPETTA, "Artaud écrit ou La Canne de Saint
Patrick", in Tel Quel, nº81, automne 1979.
- Philippe SOLLERS, "La pensée émet des signes", in Tel
Quel, nº20, hiver 1965.
- Tristan TZARA, "Antonin Artaud et le désespoir de la
connaissance", in Lettres françaises, 25/3/48.
- Tzvetan TODOROV, "L'art selon Artaud", in Poétique
de la prose, Seuil, Paris, 1971.
- Marc WEITZMANN, "Antonin Artaud à corps et à cris",
L'Autre Journal, n°1, 1993.
Numéros spéciaux de revues (Special Issues)
- Cahiers de la Pléiade, nº7, printemps 1949.
- Europe, nº667-668, nov.-déc. 1984.
- La Tour de Feu, nº63-64, déc. 1959, rééd. nº112, déc.
1971.
- Magazine littéraire, nº61, février 1972.
- Magazine littéraire, nº206, avril 1984 (inclus Peinture
rouge, texte inédit retranscrit de l'espagnol par Paule THÉVENIN).
- Planète Plus, numéro dirigé par Marc de SMEDT, nº7,
février 1971.
- Obliques, nº10-11, 1976, rééd. par Harpo, 1986.
- Obsidianes, nº5, mars 1979.
- Revista cultural del IFAL (Institut français de l'Amérique
latine de Mexico), 1996 (voir Actualités).
Thèses (Thesis)
- Camille DUMOULIE, Nietzsche et Artaud, penseurs de la
cruauté, thèse d'État de lettres, Paris IV, 1989.
- Madeleine T. RODACK, Antonin Artaud et la vision du Mexique,
University of
Arizona, Tucson, 1974.
- Kunnischi UNO, Artaud et l'espace des forces, thèse
dirigée par Gilles Deleuze, Université Paris VIII.
Films, documentaires
- En compagnie d'Antonin Artaud, d'après le roman de
Jacques PRÉVEL, réalisé par Gérard MORDILLAT, avec Sami FREY
dans le rôle d'Artaud, coproduit par Archipel/Laura Productions/La
Sept/France 2, 1993.
- La véritable histoire d'Artaud le Mômo, réalisé par
Gérard MORDILLAT et Jérôme PRIEUR, prod. La Sept, 1993.
- Cassettes VHS Pal ou Secam en vente auprès
de :
Pal or Secam VHS tapes on sale from:
Arte/La Sept Vidéo, B630, 60732 Sainte-Geneviève Cedex
9, France.
Fictions
- Chasing Black Rainbows, Jeremy Reed, Peter Owen, London,
1994
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