Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività

  Home Frenis Zero

        

Chronos. Tempo, Mito, Storia.

 

 

     "Il  mito religioso"

 

 di Gaetano Benedetti

 



            .

 

Il presente  testo è tratto da G. Benedetti, "Riflessioni ed esperienze religiose in psicoterapia", Centro Scientifico Editore, Torino, 2005, euro 14,50 (ISBN 88-7640-725-1). Si ringrazia sentitamente l'editore per aver concesso l'autorizzazione alla pubblicazione su "Frenis Zero" di questo testo.

 

 

 
A.S.S.E.Psi. web site (History of Psychiatry and Psychoanalytic Psychotherapy )

 

Ce.Psi.Di. (Centro di Psicoterapia Dinamica)

 

Biblioteca di Storia della Psichiatria (Our Library for on-line consultations, biblio ressources, old and ancient books)

 

Biblio Reviews (Recensioni)

 

Congressi ECM (in italian)

 

Events (art  exhibitions)

 

Tatiana Rosenthal and ... other 'psycho-suiciders'

 

PsychoWitz - Psychoanalysis and Humor (...per ridere un po'!)

 

Giuseppe Leo's Art Gallery

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini"

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

Click here to order the book

PREMESSA.

Perché dedico tanto spazio a un argomento che non è psicoterapeutico nel senso stretto della parola e in cui studiosi di altre discipline sono certamente, per vasta conoscenza della bibliografia in merito (sempre crescente), ben più competenti di me? Non solo perché sappiamo che, come C. G. Jung per primo seppe riconoscere, molti sintomi psicopatologici, come allucinazioni, deliri, sono radicati regressivamente in conoscenze antichissime, appunto mitiche, dell'uomo;

  Foto: C.G. Jung

 non solo perché Silvano Arieti (1978) interpreta gran parte della psicopatologia schizofrenica come "paleosimbolica"; non solo perché Storch riferisce di impressionanti somiglianze fra credenze mitiche dell'umanità e quelle di molti malati di mente; ma anche perché i sogni degli individui normali si rifanno a un inestinguibile fondo mitico della mente, che si può ben contrapporre al pensiero logico come a un suo lontano antenato ove, come suppone Freud, il simbolo era identico al simboleggiato e ove ci appare in tutta la sua grandiosità la polarità della psiche fra figura e concetto.

L'animo umano è un mito vivente, se per mito intendiamo una visione (più o meno cosciente) di sé e del mondo in cui la creatività immaginifica permette al singolo di inserirsi nel cosmo dei suoi simili e delle cose scientificamente sconosciute dell'universo, che lo urgono di unificarle per trovare un posto nel mondo.

Nella mia pratica psicoanalitica e psichiatrica è tale bisogno profondissimo di re-ligio che mi appare nel mondo psicotico e mi induce alla ricerca della preistoria.

Molti hanno già seguito questo cammino, ma il mondo ove esso ci conduce è incredibilmente vasto e i singoli attori del mondo sia onirico sia psicotico non sono mai gli stessi; e ogni osservazione esistenziale è un impegno.

 

        

        

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 
  Riflettendo sulle immagini tibetane dell'oltretomba, Jung ebbe a scrivere che esse appaiono come una "proiezione dell'Inconscio collettivo". Ma la profonda fede che emana da quelle visioni religiose deve aver scosso la sicurezza "scientifica" di tale affermazione, poiché nella stessa pagina egli si chiede, senza poter arrivare a una risposta: "E se fossero invece l'introiezione del mondo degli dei?"

Il mito religioso è un "soggetto transizionale": è il punto di incrocio di un messaggio divino con un'attitudine ricettiva dell'uomo, per cui quel messaggio, accolto dalla psiche umana, non può che vestirsi dei suoi simboli, non può che figurarsi entro le strutture della mente umana.  Tali strutture sono in parte archetipiche; ancor oggi trasaliamo di fronte all'immagine del Dio nel roveto ardente e inestinguibile, nel Sinai, o a quella del vento nelle fronde della quercia di Dodona, l'Albero Sacro di Zeus.

Quando il messaggio divino viene interpretato dall'Inconscio nella forma che corrisponde alla nostra Coscienza, abbiamo il mito vivente, che non è possibile distinguere dalla fede religiosa. Quando leggiamo Plotino e apprendiamo che questo grande filosofo ebbe a cercare per tutta la vita l'Uno e che per quattro volte nella sua vita cadde in estasi sentendolo vicino, quando leggiamo che egli lo chiama anche "Padre", non siamo lontani dalla preghiera di Gesù Pater noster.

                                                                          Foto: Gaetano Benedetti al convegno dell'A.S.P. di Bergamo (9-11 maggio 2003)
 

 

La presenza del messaggio divino si annuncia, nel mito religioso, nella rottura delle leggi naturali: il fuoco divino arde nel roveto senza estinguersi, il fuoco di Elia cade dal cielo sull'altare del sacrificio, Lazzaro si alza dalla tomba, Gesù risuscita. Mai come oggi la dimensione tragica dell'esistenza umana si configura nella scissione fra queste immagini grandiose e il rigore della ricerca scientifica, che pone sempre in forse il mito. Allora questo rischia di essere "abbassato" a mera proiezione della credulità umana. E' questa la situazione di "spavento" in cui si trova l'uomo d'oggi pensante. Come figlio della scienza, egli non può esimersi, non dico dal diritto (che fa parte, per usare una formula moderna, dei "diritti umani"), ma dal dovere di interrogare, riflettere, ricercare, essere, come disse Nietzsche di sé, quel "fuoco che lascia cenere dietro di sé". Ma in quanto membro di un'umanità che non conosce il senso della propria esistenza, che, come dice il filosofo Rensi (1991), è posta dinanzi all'assurdo, egli entra, pur in questo mondo trasformato in una rete di comunicazioni, in un'economia e in uno spazio globalizzati, nel silenzio di una grande solitudine metafisica. Voglio citare qui alcune righe significative di un grande teologo cattolico dei nostri giorni, Karl Rahner (1974, p. 232):

<<Lo spavento per l'assenza di Dio dal mondo... questa esperienza, che pensa di dover interpretare se stessa come ateismo, è un'esperienza genuina di un'esistenza vissuta in proprietà, un'esperienza di cui il pensiero e il linguaggio coerente del Cristianesimo non hanno di gran lunga preso coscienza in modo adeguato.1>>

E' a questa situazione che le mie brevi righe tentano di dare una risposta parziale, concentrandosi sul tema più scottante del "mito cristiano": la resurrezione di Gesù.

Il mio pensiero è breve e in certo senso "figurativo". Cosa sarebbe avvenuto se Gesù in croce avesse risposto allo scherno dei giudei - "Se sei veramente Figlio di Dio, scendi dalla croce" - scendendo  da essa? Impossibile ? Ma se crediamo alla divinità di Cristo e alla Sua resurrezione, dobbiamo anche accettare di porci tale domanda. Prescindo dalla probabile ondata di terrore e anche di esultanza che avrebbe invaso il popolo ebreo e sarebbe forse giunta sino alle porte di Roma. E prescindo anche dal fatto che l'indifferenza umana è così forte che molti sarebbero tuttavia rimasti scettici. Ma presumo di poter dire che con tale atto Dio avrebbe "costretto" per lo meno gli spettatori di tale evento alla fede. La fede, cioè, non sarebbe stata tale, ma soltanto la presa di coscienza della realtà - come avviene oggi in un laboratorio scientifico. Ancora, immaginiamo (fantascienza) che una coorte di operatori cinematografici del giorno d'oggi potessero trasportarsi a ritroso nel passato e documentare, al di fuori di ogni dubbio, la resurrezione di Cristo.

 

 Vediamo adesso, sullo sfondo di tali paradossi fortunatamente assurdi, il fatto storico: un Corpo che appare e scompare, che in certi momenti, come a Emmaus, si accompagna ai discepoli, ma non viene da essi riconosciuto, fino al momento del gesto con cui spezza il pane; un Gesù risorto "nel corpo" e non solo nello spirito (come mi disse un teologo protestante sul letto di morte, Markus Barth), che tuttavia attraversa le pareti e le porte chiuse - ecco l'apparizione, che non "costringe" affatto il popolo eletto a credere in essa. Chi è in grado di credere qui (ove invece il filosofo Nietzsche, certamente non un male informato, non uno studioso superficiale di testi, esclama: "Manca la prova!") ? In grado di credere è chi ama Gesù: anzitutto i suoi discepoli e,con loro, i primi cristiani.

Che cosa intendo dire con ciò? Che senza una "voce interiore" che è, come appare nelle conversioni subitanee di certi increduli quali Paulo di Tarso, non in loro, ma nella densità stessa del messaggio a loro diretto, l'evento resta ascoso. Quella che Kant chiamava la "ragione teorica" non basta. Piuttosto è invece, per usare il suo linguaggio, la "ragione pratica" a svelarci la presenza di Cristo: nell'atto della preghiera. Penso che fosse così anche nei grandi miti religiosi del passato, come in quello di Osiride, che raffigura il Dio venuto in terra e morto per noi. L'antico Egitto era così commosso da tale mito che il Cristianesimo, non accettato dalla gran parte de popolo ebraico, vi attecchì come in nessun'altra terra e resistette lì, nella Chiesa di Alessandria, a oltre mille anni di invasione islamica.

Non a caso queste riflessioni sono occorse alla mente durante le pause dall'attività psicoterapeutica. La guarigione di un paziente grave, cronico, schizofrenico, mi è sembrata come un mito vivente non sufficientemente spiegabile da un punto di vista scientifico (come dimostra il fatto, occorsomi tante volte nella mia vita di psicoterapeuta, che la psichiatria scolastica a questo punto parlava di una "guarigione spontanea"!), perché profondamente articolata in una situazione intersoggettiva di fede e di speranza ove i grandi problemi dell'umanità divenivano quelli del paziente (che in essi abbracciava la sua singolarità e si comprendeva negli altri) e ove il terapeuta proiettava le sue visioni creatrici di salute su un soggetto che le trasformava in realtà. Non il rendersi conto di rapporti causali (che sono sempre interpretazioni), ma il fatto che tali interpretazioni erano intessute di amore, ricerca di una verità che risultava essere la relazione umana, e che esse, pur aderendo ai fatti accessibili dalla storia del paziente, si continuavano nelle meditazioni dei miti conosciuti o divenivano mitiche nelle loro frange fantasmatiche, questo dava loro il potere di mutare la psicopatologia in psicologia. Talora, dopo una vittoria simile sulla malattia, il terapeuta ringraziava il suo Inconscio per le associazioni e le visioni che esso aveva donato all'Io; ma questo equivale a dire che egli ringraziava silenziosamente anche l'Inconscio del paziente, ringraziava qualcuno che era l'unità dei due Inconsci e che toccava nella sua ineffabilità la Trascendenza stessa.

Pur nelle vesti grigie dei ragionamenti oggi possibili (ove quasi ci si vergogna delle proprie fantasie e ci si vuol attenere all'evidenza dei fatti), lontano dai colori smaglianti del mito religioso, la psicoterapia delle psicosi affonda le sue radici nel fondo mitico del nostro inconscio; e l'amore per il paziente, che giustifica e rende possibile tale "calata", è una forma di re-ligio.

Il terapeuta che è in me è stato "costretto" dall'esperienza del dolore psichico dei suoi malati, con cui egli si è identificato in sessant'anni di lavoro, dal dolore in quanto fatto biologico forse sempre più spiegabile, ma evento esistenziale sempre immerso nel mistero della nostra esistenza, costretto, dico, alla meditazione degli "ultimi problemi", come l'origine dello spirito, la creazione, l'essenza dell'uomo. Certo, vi sono molti individui, filosofi e teologi, che pervengono da sé a questi grandi interrogativi, cui tentano di rispondere sulla base della rivelazione divina, della filosofia, dello studio storico del mito. Io sono pervenuto a tali interrogativi per altra strada, nell'incomprensibilità ultima del dolore umano, personificato da quello dei miei pazienti.

Come chiunque conosca il mio lavoro sa, io mi sono occupato per tutta la vita, nell'incontro diretto o nelle supervisioni del lavoro dei miei colleghi, di gravi pazienti psicotici. Sembra che il potere cognitivo di questi esseri umani, che Kraepelin descriveva come affetti da "demenza precoce", sia limitato.

  Foto: E. Kraepelin

 

  Costoro non sanno risolvere né i loro conflitti giornalieri né le pratiche che la vita ci impone ogni giorno. Ma proprio per questo motivo, per l'incomprensibilità del loro dolore, essi vengono spinti verso i problemi ultimi della loro esistenza, i quali, beninteso, si manifestano in loro sotto forma di deliri, allucinazioni, simboli linguistici patologici. Oso dire, sulla base della mia esperienza pluridecennale, che esiste un sottofondo mistico, spirituale in ogni delirio, sia pure sotto forma di nostalgia per un'esistenza diversa. Conosco pazienti che nel lato sano della loro esistenza non si preoccupano di queste cose, mentre nelle idee deliranti, nelle esperienze allucinatorie, nei loro disegni erompe la voce di un "altro" Inconscio. Ricordo soprattutto una paziente che sviluppava solo motivi religiosi nelle sue pitture, sebbene essa fosse fondamentalmente agnostica. Un giorno le domandai: "Perché scegli questi temi nelle tue pitture?" La sua risposta non mi sorprese: "E' la nostalgia verso la luce che mi impone ciò".

Possiamo dire, se qui vogliamo esprimerci in linguaggio psicologico, che l'eruzione e la debolezza dell'Io favoriscono la fuoriuscita, talora esplosiva, di questi motivi archetipici da un Inconscio che, in quanto partecipe dell'esistenza umana tutta, non viene intaccato e distrutto dalla malattia mentale. Si ricorda infatti che certi malati mentali, giunti alla fine delle loro sofferenze, dinanzi alla morte "depongono" il loro disturbo del pensiero e parlano come noi. Altri, invece, guariscono talora attraverso la psicoterapia, come la mia paziente sopracitata. Questa non dipinse più né si occupò più dei temi religiosi che si manifestavano direttamente nelle sue pitture durante la malattia.

Alla luce della psicoterapia di tale malattia, certi problemi fondamentali non ricevono bensì una risposta originale che non si riscontri altrove; non c'è un nesso diretto fra la psicoterapia e le mie riflessioni, tranne in qualche punto di queste, come quando il sogno di un paziente (il quale in origine odiava sé e il mondo) di venire abbracciato dal Cristo significava per me l'identità fra fenomeno psicologico e fenomeno trascendente nella dualità del rapporto. Una dualità, dico, che io avverto sempre come fenomeno transizionale fra ciò che accade nel transfert e nel controtransfert e ciò che sta "sopra di noi".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 
 
 
Note:

 

1) Si veda anche il titolo stesso del saggio di Rahner: "Non la concezione del mondo della scienza moderna, ma soltanto l'accettazione nella fede della verità di Dio, comunicataci storicamente, può dare all'esistenza il suo ultimo significato".

 

 
 
Bibliografia: 
 

 

Arieti S. (1978). Severe and mild depression. The psychotherapeutic approach. New York: Basic Book. Trad.it. La depressione grave e lieve: l'orientamento psicoterapeutico. Milano: Feltrinelli, 1981.
 

Rahner K. (1974). "Non la concezione del mondo della scienza moderna, ma soltanto l'accettazione nella fede della verità di Dio, comunicataci storicamente, può dare all'esistenza il suo ultimo significato". In W. Kern & G. Stachel (Eds.) Perché credo? La religione in 41 tesi (pp. 231- 241). Milano: Paoline.

Rensi G. (1937). La filosofia dell'Assurdo. Milano: Adelphi, 1991.

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All right reserved 2004-2005-2006-2007