Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

  Home Frenis Zero

        

"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria". N.10, anno V, giugno 2008.

 

    " RICORDARE, TRAUMA E MEMORIA COLLETTIVA. La lotta per il ricordare in psicoanalisi"

 

di  Werner Bohleber

 

Questo articolo è stato presentato dall'autore (psicoanalista di Francoforte sul Meno) al Congresso dell'"International Psychoanalytical Association" (I.P.A.) tenutosi a Berlino nel luglio 2007. La versione francese è già stata pubblicata su "Thalassa. Portolano of Psychoanalysis". La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.

 

 Riassunto

L'evoluzione della tecnica analitica si è sempre più centrata sull'analisi del qui ed ora della relazione terapeutica. Il ricordare e la ricostruzione biografica sono stati marginalizzati. Il processo di elaborazione dell'esperienza attuale nella relazione terapeutica è considerato in modo globale solo dal punto di vista della cura. Così il passato sparisce da questa prospettiva sia nel suo significato di determinazione sia come referente ermeneutico per comprendere il presente. Nello specchio di un processo analitico così compreso, la ricchezza, la complessità e il peso di una storia reale si spegne in una riflessione sulla relazione che dimentica la storia. La forza del passato, la coazione a ripetere ed il ritorno del rimosso sono elementi topici del pensiero analitico che sono più o meno scomparsi dalla discussione clinica.

Il trauma, le sue conseguenze a lungo termine ed il suo ricordo fanno da ostacolo a questa evoluzione della teoria clinica. Esso costituisce una sorta di corpo estraneo dissociato nella rete delle associazioni psichiche. In questo ambito scisso del Sé regna una dinamica specifica che lo confronta continuamente con l'esperienza dell'essere prigioniero del potere della coazione a ripetere. Per poter integrare questo ambito e dissolvere questa dinamica, è necessario che il ricordare ed il ricostruire gli eventi traumatici si effettuino nel trattamento analitico. Il potere ricorrente dell'identico è allora storicizzato, il dentro ed il fuori trovano un altro quadro di comprensione ed il Sè  ritrova un sentimento di attività psichica (agency).

Ma la realtà traumatica non si accontenta di mettere in discussione le convinzioni teoriche, essa ci fa confrontare anche con l'orrore, con la crudeltà e con l'angoscia di morte che devono poter essere evocati. Ciò suscita difesa ed evitamento non solo nella vittima del trauma, ma anche nell'analista a tal punto che spesso le esperienze traumatiche non trovano nei trattamenti il valore terapeutico che loro spetta. Nella clinica, si presta spesso troppa poca attenzione ai processi specifici di difesa e di stabilizzazione.

Le vittime di guerra, di persecuzioni e di altre forme di violenza socio-politica ne sono allo stesso tempo i testimoni. Il confronto con l'Olocausto, con i crimini mostruosi,  l'orrore senza nome, la sofferenza incommensurabile delle vittime minaccia di sopraffare il ricordare e mette in moto in chi non è coinvolto delle strategie di evitamento ed un rifiuto di sapere. Per la stessa memoria collettiva e per la descrizione storica, si pone il problema di non annoverare l'Olocausto in quelle categorie significanti che farebbero sparire l'orrore ed il carattere traumatico dell'esperienza. E non bisogna solo includere nel ricordare solo le vittime, ma anche gli autori ed i crimini commessi. Ricordarsi dei crimini instaura una dinamica specifica. Così, nella società tedesca del dopo guerra la difesa contro la colpa e la responsabilità da parte dei membri della generazione che era stata coinvolta nel nazional-socialismo, avevano provocato delle strategie del ricordare che avevano perturbato il senso della realtà dei figli ed avevano instaurato una dinamica transgenerazionale con dei processi d'identificazione particolari.

Confrontarsi con questi problemi di una realtà diversamente traumatica ad un livello individuale e sociale e renderli fruttuosi per la discussione teorica e clinica vuol anche dire condurre una lotta per rendere al ricordare un posto appropriato nella psicoanalisi.

 

Resumé

L’évolution de la technique analytique s’est de plus en plus centrée sur l’analyse de l’ici et maintenant de la relation thérapeutique. La remémoration des souvenirs et la reconstruction biographique ont été marginalisés. Le processus d’élaboration de l’expérience actuelle dans la relation thérapeutique est considéré globalement uniquement sous l’angle curatif. Ainsi le passé disparaît de cette perspective tant dans sa signification de détermination que comme référent herméneutique pour comprendre le présent. Dans le miroir d’un processus analytique ainsi compris, la richesse, la complexité et la lourdeur d’une histoire réelle s’estompe en une réflexion sur la relation oublieuse de l’histoire. La force du passé, la compulsion de répétition, et le retour du refoulé sont des éléments topiques de la pensée analytique qui ont plus ou moins disparu de la discussion clinique.

Le traumatisme, ses conséquences à long terme et sa remémoration font barrage à cette évolution de la théorie clinique. Il constitue une sorte de corps étranger dissocié dans le réseau des associations psychiques. Dans ce domaine clivé du Soi règne une dynamique spécifique qui le confronte sans cesse à l’expérience d’être captif du pouvoir de la compulsion de répétition. Pour pouvoir intégrer ce domaine et dissoudre cette dynamique, il faut que la remémoration et la reconstruction des événements traumatiques s’effectuent dans le traitement analytique. Le pouvoir récurrent de l’identique est alors historicisé, dedans et dehors trouvent un autre cadre de compréhension et le soi retrouve un sentiment d’activité psychique (agency).

Mais la réalité traumatique ne se contente pas de mettre en question les convictions théoriques, elle confronte aussi à l’horreur, à la cruauté et l’angoisse de mort, qui doivent pouvoir être évoquées. Cela suscite défense et évitement non seulement chez le traumatisé, mais aussi chez l’analyste, de sorte que souvent les expériences traumatiques ne trouvent pas dans les traitements la valeur thérapeutique qui leur revient. Dans la clinique, on accorde souvent trop peu d’attention aux processus spécifiques de défense et de stabilisation.

Les victimes de guerre, de persécutions et d’autres formes de violence socio-politique en sont en même temps les témoins. La confrontation avec l’Holocauste, avec les crimes monstrueux, l’horreur sans nom, la souffrance incommensurable des victimes menace de submerger la remémoration  et met en marche chez ceux qui ne sont pas concernés des stratégies d’évitement et un refus de savoir. Même pour la mémoire collective et la description historique, le problème se pose de ne pas ranger l’Holocauste dans des catégories signifiantes qui feraient disparaître l’horreur et le caractère traumatique de l’expérience. Et il ne faut pas seulement inclure dans la remémoration les victimes mais aussi les auteurs et les crimes commis. Se remémorer les crimes instaure une dynamique spécifique. Ainsi dans la société allemande d’après-guerre, la défense contre la culpabilité et la responsabilité par les membres de la génération qui avait été impliquée dans le national-socialisme, avait suscité des stratégies de remémoration qui avaient perturbé le sens de la réalité des enfants et avait instauré une dynamique transgénérationnelle avec des processus d’identification particuliers.

Se confronter à ces problèmes d’une réalité diversement traumatique à un niveau individuel et sociétal et les rendre fructueux pour la discussion théorique et clinique, veut aussi dire mener un combat pour rendre à la remémoration une place appropriée en psychanalyse.

 

 

         

1. Introduzione

La psicoanalisi ha esordito come teoria del trauma. Se, secondo la celebre formula di Freud, le isteriche soffrono di reminiscenze, allora è il ricordare che possiede una virtù patogena. Dopo che Freud ebbe rinunciato alla ricerca delle scene sessuali infantili traumatizzanti ed alla teoria della seduzione, la psicoanalisi si è estesa all'indagine della realtà psichica. Col concetto di transfert Freud ha scoperto una nuova dimensione del ricordare, ossia la sua ripetizione senza l'azione. Se per lui lo scopo del trattamento è sempre stato il rendere coscienti i ricordi rimossi, la teoria del trattamento analitico ha seguito un'evoluzione che se ne è allontanata a seguito della dinamica specifica inerente al concetto di transfert. La relazione terapeutica individuale si è sempre più infiltrata nel concetto, e poi con il riconoscimento del controtransfert ha preso nuovamente una svolta specifica allontanandosi dal passato ed orientandosi verso il qui ed ora della relazione analitica. Il ricordare individuale della storia personale ha perso così la sua importanza terapeutica centrale.

E pertanto c'era un punto in cui indiscutibilmente esso era restato il problema da affrontare: il trauma perpetrato sull'essere umano. Certamente Freud si è sempre preoccupato del trauma: in particolare vi è stato spinto dalla catastrofe della prima guerra mondiale e dalla barbarie montante del nazional-socialismo, ma egli non ha mai sistematizzato la sua teoria del trauma. Egli tuttavia si è interrogato, come ad esempio a proposito del sogno post-traumatico e della nevrosi traumatica, un campo oscuro che egli non si augurava di approfondire in seguito. La teoria del trauma è quindi a lungo restata un pio desiderio della ricerca analitica, e il tener conto della violenza politica e sociale e delle sue conseguenze non ha avuto in psicoanalisi il valore che avrebbe dovuto in realtà spettargli. Un motivo essenziale per questo stato di cose era l'opposizione in cui si era trovata la realtà psichica in rapporto alla realtà esterna. La maggior parte degli analisti ha orientato l' attenzione più o meno esclusivamente sul mondo interno e sulla questione dell'influenza che esercitano i fantasmi inconsci sulle percezioni e sulla formazione delle relazioni oggettuali interne. Prendere in conto la realtà esterna sarebbe stato spesso compreso come un attacco alla realtà psichica ed all'importanza dell'inconscio. E' a proposito della comprensione dell'abuso sessuale che questa posizione si è manifestata in modo più chiaro (Simon, 1992; Bohleber, 2000).

Con le catastrofi e le esperienze estreme che gli uomini hanno avuto da vivere e da subire nel corso del XX secolo, il trauma è divenuto emblematico. La psicoanalisi, ma anche altre scienze umane avevano a tal riguardo da recuperare una lacuna di ricerca e di comprensione. Le conseguenze psichiche delle due guerre mondiali hanno obbligato sul piano teorico e terapeutico a confrontarsi con tali traumi, ma ogni volta l'interesse si è spento dopo poco tempo. Così, ad esempio, è solo dopo la guerra del Vietnam che la diagnosi di stress post-traumatico è stata ripresa nella nomenclatura psichiatrica, cosa che ha indotto una moltitudine di ricerche su questa sindrome. Nel cuore di questa caratteristica del XX secolo si trova l'Olocausto, il crimine nazional-socialista contro l'umanità.

La deportazione in campi di concentramento e lo sterminio di milioni di ebrei ha provocato per le vittime dei danni e delle sofferenze inimmaginabili. L'aiuto terapeutico ai sopravvissuti portava a confrontarsi con delle esperienze estreme le cui ripercussioni non erano allora ancora note. Il trauma e il far fronte ad esso attraverso il ricordare non riguardavano solo le vittime sopravvissute, ma avevano anche delle conseguenze specifiche per i loro figli e per i loro nipoti. Parallelamente, ciò ha portato i membri del popolo perpetratore a confrontarsi con una storia criminale pari a nessuna altra le cui conseguenze sono visibili fino ai figli ed ai nipoti della generazione dei perpetratori. Le azioni, le difese contro la colpa e la responsabilità, come anche il diniego e l'oblio non hanno solo contraddistinto la memoria individuale e familiare, ma  anche la memoria collettiva della società tedesca del dopoguerra, in cui il ricordo doloroso, vergognoso della storia criminale, di cui bisognava rispondere, ha sviluppato una dinamica particolare durante decine d'anni.

 

L'Olocausto ha fatto del ricordare un comandamento morale particolare.

Volevo attraverso queste riflessioni introduttive situare il quadro degli sviluppi che seguiranno e che tratteranno del concetto di ricordo, del ricordare e della ricostruzione in psicoanalisi, così come della loro importanza particolare per i traumi ed il loro trattamento. In conclusione, tratterò della dinamica del trauma e del ricordare per la memoria collettiva.

2. Il ricordare: teoria freudiana e funzione terapeutica

 

Per Freud, lo scopo della cura analitica è stato sempre il rendere consci i ricordi rimossi dalla vita psichica precoce. Bisogna ricercarne la ragione nella sua teoria del ricordare. Le percezioni si traducono in memoria, secondo Freud, sotto forma di tracce mnesiche. Certamente queste sono delle copie dell'impressione originale, ma esse non sono conservate sotto forma di elementi isolati come in una teoria ingenua dell'engramma. Freud fa l'ipotesi di una successione di più sistemi di memoria in connessione, che si dispongono secondo dei principi determinati essendo la stessa traccia mnesica immagazzinata a più livelli sotto forma di duplicato. Il primo sistema associa gli elementi secondo il principio di simultaneità, i sistemi che seguono li presentano secondo altri tipi di associazione, ad esempio secondo relazioni di rassomiglianza (1900a, pag. 544 ediz. tedesca) o di contiguità (1899a, pag. 537 edizione tedesca). I ricordi di impressioni e di esperienze passati possono all'inizio essere recuperati senza modifiche. Che ciò non sia il caso come regola generale ha a che fare con desideri inconsci che si legano agli elementi del ricordo e che conducono a degli spostamenti e a delle rimozioni. La riapparizione dei ricordi è allora legata al destino dei destini pulsionali. L'autenticità delle scene dell'infanzia e la loro ricostruzione hanno importanza per Freud nella misura in cui solo l'analisi dei processi che le deformano permette di conoscere il desiderio inconscio  . In <<Ricordare, ripetere, elaborare>> (1914g) egli designa come scopo del trattamento analitico il <<colmare le lacune del ricordo>>, superando le resistenze della rimozione. Il paziente deve ricordarsi certe esperienze vissute ed i movimenti affettivi che esse hanno suscitato, dato che questa è l'unica maniera in cui egli si persuade del fatto che la realtà apparente è in verità <<il riflesso di un passato dimenticato>> (1920g). Ciò che viene ricordato non è dato dagli avvenimenti o dai fatti in sé, ma dalla loro elaborazione psichica. Freud parla generalmente di <<processi psichici>>, quali ad esempio della sfida di un paziente durante l'infanzia contro l'autorità dei genitori. E' esattamente qui che si situa per lui anche la verità storica dei ricordi e non in una riproduzione fedele alla verità dei fatti oggettivi. Freud celebra come <<un trionfo della cura>> il fatto di giungere a liquidare mediante un lavoro di rievocazione ciò che un paziente desidererebbe scaricare con un'azione (1914g). Ma questo non riesce sempre dato che spesso ciò che viene dimenticato e rimosso non è riprodotto sotto forma di ricordo ma come azione. La coazione a ripetere sostituisce l'impulso a ricordarsi ed il transfert diviene il luogo di tale rinvio. La sua interpretazione porta allora al <<risveglio dei ricordi che emergono in seguito, come da soli, una volta superate le resistenze>> (pag. 135 edizione tedesca). Anni dopo Freud è diventato più riservato in rapporto al risveglio dei ricordi, come egli scrive in <<Costruzioni in analisi>>. Certamente, <<ciò che ci auguriamo è  un'immagine fedele degli anni dimenticati dal paziente, immagine completa in tutte le sue parti essenziali>> (1937, pag. 44 edizione tedesca), ma in numerosi casi bisognerebbe fermarsi a delle costruzioni. Queste producono sicuramente una <<spinta del rimosso verso l'alto>> che <<cerca di portare alla coscienza delle tracce mnesiche significative>>, ma che spesso si eclissano. Il divenire conscio allora non può che progredire  fino alla <<convinzione sicura del paziente della verità della costruzione>> (pag. 53 ediz.tedesca). Come dimostra questo riferimento alla teoria del ricordare di Freud, i ricordi sono per lui il reinvestimento di tracce mnesiche durevoli che devono essere considerate come delle copie di processi psichici antichi. E' unicamente grazie all'eliminazione della rimozione e grazie alla perlaborazione dei conflitti che il passato può essere riprodotto, ma senza avere coscienza della reiscrizione del fatto del controinvestimento nella coscienza (1920g, pag. 24 ediz. tedesca; 1923b, pag. 247f ediz. tedesca).

Freud non ha mai unificato la sua teoria del ricordare. Accanto a questa concezione dominante, si trovano altre concezioni e progetti alternativi ai quali si legano degli ulteriori sviluppi.

1. Quando un ricordo viene riprodotto grazie alla ripetizione sotto forma di azione, esso si integra nel presente in un contesto significativo d'azione. Il presente ha da questo fatto non solo la funzione di risvegliare il passato dimenticato, ma esso costringe il fenomeno psichico dimenticato a penetrare nella struttura situazionale presente, lo modella e trasforma così il suo significato. L'esperienza passata viene attivamente adattata al contesto dell'esperienza vissuta attuale. E' per questo che Freud parla in certi momenti di un processo di trasformazione dei ricordi. Nelle lettere a Fliess egli così scrive che le tracce mnesiche conoscono di tanto in tanto <<una risistemazione conseguente a nuove relazioni, una reiscrizione>> (1985c, pag. 217 ediz. tedesca). Tale reiscrizione è il compimento psichico di epoche di vita successive. Così, alla pubertà si formano dei fantasmi sull'infanzia e delle tracce mnesiche sono allora <<sottomesse a un processo di rimaneggiamento complesso>> (1909d, pag. 427 ediz. tedesca). In queste concezioni alternative, emerge una comprensione moderna del ricordo in quanto costruzione determinata dal presente.

2. Questa ipotesi di una trasformazione ulteriore dei ricordi rinvia al concetto di "après-coup" di Freud. A causa di un avvenimento terribile o inquietante che sopravviene dopo l'epoca della maturazione sessuale, una scena infantile più precoce a contenuto sessuale che inizialmente non poteva essere integrata in un contesto significativo, trova 'après-coup' ed in modo retroattivo un effetto traumatico. Le impressioni dell'epoca presessuale ricevono allora <<in quanto ricordi, la loro potenzialità traumatizzante>> (1895d, pag. 194 ediz. francese). Tale concezione dell'"après-coup" è stata soprattutto allargata in una teoria propria dell'"après-coup" nella psicoanalisi francese e si è vista attribuire retroattivamente un nuovo significato. D'altronde il concetto è stato staccato dal suo legame di causalità tra due scene della storia di vita, separate nel tempo l'una dall'altra, e la successione nel tempo è stata allargata in un <<legame in forma di rete>> (Green, 2002, pag. 36).

 

3. La <<colonizzazione del passato>> da parte del presente nella teoria clinica attuale della psicoanalisi

In questo paragrafo, vorrei tracciare il destino del ricordare come fattore curativo nell'evoluzione teorica della clinica, limitandomi tuttavia a qualche posizione essenziale della corrente dominante tralasciando le ramificazioni collaterali. Nella psicologia dell'Io il centro di gravità del lavoro analitico si è pian piano spostato dal ricordare gli avvenimenti della vita alla ricostruzione. Un avvenimento dell'infanzia, significativo dal punto di vista psichico, forma, a causa del suo legame ad un fantasma inconscio, un modello dinamico complesso il quale nel corso dello sviluppo ulteriore andrà secondo i casi ad essere riadattato e dunque trasformato. La ricostruzione tenta di raggiungere, a partire dal materiale della seduta analitica, questo modello ed i suoi rimaneggiamenti successivi per poter risalire nello sviluppo fino all'avvenimento originario ed al fantasma che ad esso è legato. La storia dell'azione reale di questo complesso dinamico è da comprendere come una storia di causalità. Ricordare e ricostruire hanno valore di prova terapeutica dato che possono essere messi in una relazione di causa effetto direttamente con gli effetti psichici durevoli dell'avvenimento (Kris, 1956; Arlow, 1991; Blum, 1994).

Questa concezione dell'efficacia terapeutica del ricordare e del ricostruire è destinata a vacillare enormemente con l'arrivo delle psicologie della relazione oggettuale e con la svolta narrativa e costruttivista. Seguendo la modalità di comprensione narratologica, non siamo mai a contatto col ricordo effettivo, ma sempre unicamente con la sua descrizione da parte del paziente. La verità dunque non è qualcosa di nascosto da scoprire immediatamente, essa è sempre legata in una narrazione che non trova valore di verità se non quando diviene plausibile per il paziente e quando dei frammenti narrativi di vita non legati ne traggono una significatività più coerente (Spence, 1982). Nella relazione transferale, forme antiche dell'esperienza sono quasi incorporate in un contesto narrativo. La chiarificazione storica non può farsi mediante la scoperta di un passato, ciò equivarrebbe ad una distruzione del presente. Il transfert non è per Roy Schafer (1983) una macchina con cui risalire il tempo verso il passato (Freeman, 1984): esso è il risultato di un movimento necessariamente circolare. Presente e passato si costruiscono reciprocamente. Come nel cerchio ermeneutico, vediamo sempre il passato attraverso una comprensione preliminare presente, a sua volta contrassegnata dal passato. Questa concezione del  ricordo fa scomparire dal campo visivo la scoperta degli eventi reali. La verità storica è sostituita dalla verità narrativa. Il quadro della realtà narrativa non può essere abbandonato ed il riferimento al mondo del reale resta muto. Il problema fondamentale di queste concezioni narratologiche o costruttiviste della psicoanalisi risiede nel fatto che esse escludono o oscurano il riferimento alla realtà posta dietro alla narrazione.

Nell'evoluzione della tecnica analitica, l'indagine dell'interazione del transfert e del controtransfert  è così divenuta progressivamente il punto principale della terapia. Percepire in modo sempre più fine i microprocessi psichici e formularli così come si dipanano nella dinamica della relazione terapeutica includerebbe anche il materiale biografico emergente. Che i ricordi non possano essere compresi senza il contesto in cui emergono, lo si sapeva da tempo. Ma ora noi vediamo fino a qual punto l'emergenza dei ricordi è fortemente comandata da una dinamica inconscia che si spiega nella relazione transfero-controtransferale. Inoltre, l'analisi dei disturbi precoci ha messo in luce come dei processi di scissione abbiano potuto deformare e snaturare il materiale autobiografico. Così, quando la triangolazione psichica è insufficiente, lo spazio psichico, condizione preliminare perché una parola significativa sui ricordi sia possibile, fa spesso difetto. Ciò è particolarmente sorprendente nella psicoanalisi britannica, ed in particolare nella scuola kleiniana, in cui l'attività terapeutica si è orientata verso un'analisi delle relazioni oggettuali nel qui ed ora del transfert e del controtransfert. Il paziente modella inconsciamente la relazione con l'analista in modo tale che il suo mondo interno si trasferisce sotto forma di situazione globale del passato verso il presente. Certo, viene detto espressamente che il presente è una funzione del passato, ma ciò che allora viene inteso è che il presente contiene più o meno totalmente il passato e che questo si dispiega nel qui ed ora della relazione analitica. Dal punto di vista della tecnica terapeutica, il passato vi ha perduto ogni propria significatività. L'interpretazione del transfert nel qui ed ora della situazione analitica concerne allo stesso tempo il presente ed il passato. L'uno si fonde più o meno nell'altro. Il fare appello in uno scopo di ricostruzione alla verità storica fa sospettare un movimento difensivo. Se vi è ricostruzione, essa ha come unico obiettivo quello di trasmettere al paziente un sentimento della propria continuità e della sua individualità (Joseph, 1985; Rieseberg Malcolm, 1988; Birksted-Breen, 2004).

Alla fine di questa breve trattazione, possiamo considerare che nella maggior parte delle concezioni attuali del trattamento, il ricordare la storia della vita e la ricostruzione della storia del paziente sono stati relegati in una posizione marginale  e che quindi essi possono essere considerati dal punto di vista terapeutico come secondari. Sotto tale angolazione, le recenti ricerche sulla memoria derivate dalle scienze cognitive e dalle neuroscienze sembrano aver fornito dei risultati e delle ipotesi che possono essere compresi come una conferma proveniente dall'esterno. I modelli clinici che ne derivano partono dall'idea che le relazioni oggettuali precoci reali si concretizzino attraverso dei ricordi <<impliciti>> o <<procedurali>> (si veda Sandler & Sandler, 1998) o sotto forma di <<oggetti di memoria implicita>> (Pugh, 2002) nella memoria implicita non dichiarativa. Essi influenzano il vissuto attuale ed il comportamento senza rappresentare il passato attraverso dei ricordi accessibili consciamente. Nel transfert, essi riemergono sotto forma di schemi relazionali impliciti agiti (Stern et al., 1998). Per contro, i ricordi autobiografici ed episodici sono immagazzinati nella memoria dichiarativa. Mentre Freud era partito da un sistema di memoria unificato, oggigiorno i modelli delle relazioni oggettuali o gli agiti nel transfert ed i ricordi autobiografici sono localizzati in due tipi di processi del ricordare fondamentalmente differenti. Il legame tra ripetizione attraverso l'azione di antichi schemi relazionali nel qui ed ora e ricordo della storia della vita sembra sfaldarsi notevolmente (Fonagy, 1999, 2003; Gabbard & Westen, 2003). In questa prospettiva, il cambiamento psichico avviene grazie all'interpretazione ed all'influenza di modelli mentali delle relazioni oggettuali così come si sono ancorati nella memoria implicita.

Il ricordo dell'autobiografia diviene un puro epifenomeno. Ci si può chiedere a proposito di queste nuove concezioni se esse buttino via il neonato insieme all'acqua sporca, allorché esse dichiarano che il ricordare la storia di vita e la possibilità di ricostruire la realtà storica almeno in modo approssimativo non sono significativi sul piano terapeutico. La psicoanalisi, un tempo consacrata alla rivelazione dei ricordi infantili rimossi, corre il rischio di divenire una tecnica terapeutica che maschera essa stessa la storia. Ciò che è accaduto <<una volta e laggiù>> non si rivela né nel <<qui ed ora>> né nella trasformazione del ricordare attraverso la dinamica della situazione attuale. Nonostante tutte le attribuzioni di significato attraverso il presente, il passato conserva un valore proprio. Anche se la teoria freudiana della traccia mnesica è oggi passata di moda e anche se il paragone metaforico del lavoro dell'analista con quello dell'archeologo viene respinto in quanto inadeguato, tuttavia resta il fatto che la metafora della traccia permette di ottenere un elemento che trae la sua origine dal sapere clinico. La <<traccia>> lascia al passato un fattore di autonomia di cui non tengono  conto le moderne teorie della ritrascrizione e della costruzione del ricordo. Da una parte le promesse non mantenute dei progetti di vita abbandonati o i messaggi enigmatici dell'altro (Laplanche, 1992)  conferiscono un valore ermeneutico proprio al passato, dall'altra i ricordi traumatici possono avere un effetto perturbante e penetrare in modo intrusivo nel contesto attuale della vita, senza essere questi due ambiti tra loro collegati. Il trauma è un fatto grezzo che non può, nel momento in cui è vissuto, essere integrato in una rete di significati poiché esso trapassa da parte a parte la tessitura psichica. Ciò crea delle condizioni particolari per il suo ricordo e per la sua integrazione 'après-coup' in un momento presente in cui lo si risente. Esaminerò ora queste differenti questioni cominciando con qualche sottolineatura sistematica circa la comprensione moderna dei ricordi.

 

4. Ricordi tra passato e presente. Risultati degli studi delle scienze cognitive

 

Le scienze cognitive e le neuroscienze  hanno effettuato nel corso degli ultimi decenni delle scoperte fondamentali che hanno notevolmente ampliato la nostra conoscenza sul funzionamento del cervello e l'hanno anche rivoluzionata. I modelli di immagazzinamento topologico sono stati sostituiti da una concezione molto più dinamica, più flessibile del ricordare e della memoria. Oggi non partiamo più dall'idea che i ricordi siano immagazzinati sotto forma di impressioni o di tracce nella memoria, per essere in seguito riattivati attraverso il richiamo e il ritorno alla coscienza. Il processo del ricordare implica un'interazione molto più complessa tra le circostanze attuali della vita, ciò di cui ci si aspetta di ricordarsi  e ciò che si è conservato del passato. Il cognitivista David Schacter scrive: <<Il nostro cervello funziona in modo differente. Delle nostre esperienze vissute noi filtriamo degli elementi-chiave, che sono i soli che noi registriamo. In seguito noi rimodelliamo o ricostruiamo le nostre esperienze anziché richiamare semplicemente delle copie. Nel processo di ricostruzione s'infiltrano talora sentimenti, convinzioni o anche informazioni che abbiamo acquisito dopo quel dato evento della vita. In altre parole, noi deformiamo i nostri ricordi del passato nel senso in cui noi attribuiamo loro delle emozioni o delle informazioni che noi adattiamo a noi stessi nell'"après-coup">> (2001, pag. 21). Certi autori traggono da questo fatto neuroscientifico della costruzione dei ricordi la conclusione che la questione della verità nel senso della corrispondenza tra ricordi ed eventi passati è divenuta obsoleta. I ricordi sono considerati come delle costruzioni narrative le cui lacune, che sono apparse come dimenticanze, sono colmate dalla narrazione e producono un senso che corrisponde alla situazione attuale dell'io. Tale concezione rischia anche di appiattire quasi del tutto la differenza tra ricordare ed interpretare.

Un'analisi più fine delle ricerche empiriche sulla memoria autobiografica non supporta praticamente questa visione delle cose. Inoltre, si ha l'impressione che qui non si distingua la genesi e la validità. Anche se il cervello costruisce i ricordi, bisogna ancora separare il processo di apparizione ed il risultato, pena il giungere ad una conclusione erronea dal punto di vista genetico. Non si può rispondere direttamente alla questione dell'esattezza e dell'attendibilità dei ricordi autobiografici sulla base delle ricerche empiriche. Il dibattito è diventato particolarmente esplosivo in seguito al confronto scientifico e sociale riguardante i ricordi di abusi sessuali. Loftus (1994) ha dimostrato coi suoi lavori che i ricordi possono essere durevolmente influenzati dalla suggestione di informazioni false. Altri studi sulla suggestionabilità hanno fornito delle solide prove del fatto che i ricordi di avvenimenti reali differiscono dai ricordi suggeriti sulla base di immagini molto più variegate e dettagliate (Schacter, 2001). Shevrin (2001) sottolinea che l'informazione erronea influenza sicuramente il racconto dei ricordi, ma che essa non modifica necessariamente la stessa traccia mnesica. In effetti delle esperienze dimostrano che i veri ricordi lasciano una <<firma sensoriale>> che manca nel caso di falsi ricordi.

I soli studi che hanno un interesse particolare per il nostro tema sono quelli che dimostrano che l'esattezza di un ricordo è spesso in relazione diretta con il movimento emotivo suscitato da un evento. L'intensità emotiva, il significato personale come anche il livello di sorpresa ed il peso delle conseguenze di un avvenimento sono dei fattori determinanti decisivi. Le esperienze vissute in quanto tali possono essere ricordate per lunghi periodi con una grande esattezza e in maniera più dettagliata. Qui, l'intensità della rappresentazione visiva gioca un ruolo centrale. Questi fattori influiscono ad un livello ancora più forte sulla registrazione (nel caso) di esperienze traumatiche. I rapporti tra evento e ricordo sono tuttavia ancora più complessi di quanto lo siano nelle esperienze emotive non traumatiche. Il dibattito a tal riguardo è ancora discordante. Un gruppo di argomenti sostiene che i ricordi traumatici non possono essere in genere ricordati in modo coerente. L'avvenimento verrebbe rappresentato nella memoria implicita, e i ricordi espliciti mancherebbero perciò temporaneamente come ad esempio in un'amnesia psicogena. Il suo sopravvenire è un indice di esperienze traumatiche. I risultati degli studi empirici invalidano ampiamente questi argomenti. Anzi, essi dimostrano che i ricordi di eventi estremamente stressanti e traumatici sono per la maggior parte molto dettagliati, molto presenti e, per quanto si possa giudicare, ugualmente relativamente sicuri. Ciononostante, come per altri ricordi, possono sopravvenire degli errori e, col tempo, dei processi di oblio. Gli avvenimenti che comportano un'intensità affettiva elevata provocano, da un punto di vista neurobiologico, una valutazione subcorticale pre-attentiva delle eccitazioni entranti. L'attivazione dell'amigdala causa un miglioramento della memorizzazione. L'"arousal" molto intenso stimola il ricordo di particolarità essenziali dell'avvenimento. Gli aspetti centrali dell'evento e dell'esperienza sono meglio conservati, i dettagli che non sono in relazione con il nucleo dell'avvenimento lo sono invece molto meno. Il fattore decisivo è allora l'Io che, durante l'avvenimento traumatico, deve almeno poter conservare la sua funzione di osservazione. Laub e Auerhahn (1993) classificano i ricordi secondo un continuum di distanza psicologica in rapporto al trauma. Nel caso di traumi estremi, l'Io che osserva può anche crollare, restano allora solo dei frammenti di ricordi lontani dall'io. Degli avvenimenti traumatici possono ugualmente generare delle amnesie psicogene. Esse sono tuttavia meno frequenti di quanto non suppongano certi studi. Allo stesso modo, dei ricordi rimossi o dissociati possono riapparire ed essere verificati per conferma esterna. Ma si trova anche il contrario, ossia dei ricordi riapparsi che non possono essere confermati. Dopo i tre anni, i bambini si ricordano bene di avvenimenti traumatici e le loro descrizioni degli elementi essenziali sono in genere affidabili. Non posso affrontare qui la questione se si possa supporre nel bambino una maggiore frequenza di amnesie dopo esperienze estremamente stressanti. Sulla base di questi risultati di ricerca, si può stilare un bilancio nel modo seguente. I ricordi traumatici costituiscono un gruppo speciale di esperienze che sono codificate in via preferenziale ed in genere in modo dettagliato, con una grande accuratezza, e che sono conservate in modo durevole. Ma essi non si distinguono fondamentalmente da altri processi di memoria e  si deve piuttosto considerare che i meccanismi della memoria costituiscano un insieme di processi neurocognitivi nei quali il dispiegarsi della codifica, del consolidamento e del richiamo sono combinati in modo specifico (Volbert, 2004, pag. 138). Ciò significa che l'immagazzinamento ed il richiamo delle esperienze traumatiche non sono sottomessi al processo abituale della trascrizione e della trasformazione dei ricordi in funzione della situazione attuale. Nel caso dei ricordi traumatici, il presente  può esercitare solo in modo molto limitato la sua funzione di fonte ermeneutica a partire dalla quale il passato viene percepito e strutturato.

5. Le teorie psicoanalitiche del ricordo traumatico

I risultati degli studi cognitivi e neurobiologici, che abbiamo appena esposto, lasciano intendere che, in caso di esperienze traumatiche, non possiamo in linea di principio considerare che esse siano trattate altrimenti dalle esperienze non traumatiche, ma che tuttavia dobbiamo aspettarci delle perturbazioni della loro registrazione oppure una compromissione nello svolgersi dei processi psichici abituali. Quando degli avvenimenti traumatici sono conservati nella memoria in modo permanente,  dettagliato e relativamente preciso, si tratta allora soprattutto di ricordi di fatti, ma non ancora della descrizione della realtà psichica dell'esperienza traumatica. Come descrivere dal punto di vista psicoanalitico il nucleo interiore del vissuto delle esperienze di terrore, di dolore, di perdita e di angoscia di morte che sconvolgono il supposto equilibrio mentale ? Quale ruolo giocano gli affetti, le operazioni difensive ed i fantasmi inconsci che sono in gioco? Prima di affrontare questa questione più da vicino, vorrei presentare brevemente i due principali modelli del trauma che ci dà la teoria psicoanalitica e che serviranno da fondamento per le ulteriori discussioni.

 

5.1 Il modello psico-economico del trauma di Sigmund Freud

Freud ha concepito nel 1895 il ricordo del trauma come un corpo estraneo nel tessuto psichico, che vi svolge il suo effetto fino a perdere la sua struttura di corpo estraneo attraverso un ricordo affettivo e l'abreazione dell'affetto bloccato.

Egli ha sviluppato questo modello in seguito secondo dei punti di vista economici in <<Al di là del principio di piacere>> (1920g). Il concetto di corpo estraneo vi compare come una quantità di eccitamento che non può essere legata psichicamente, che sommerge l'Io e opera un'effrazione nel sistema di para-eccitazione. La forza dell'assalto delle quantità d'eccitamento è troppo grande per essere padroneggiata e legata psichicamente. Per giungere tuttavia a compiere il suo compito di legame psichico, l'apparato psichico regredisce verso modalità di reazione più primitive. Freud introduce il concetto di coazione a ripetere per descrivere la particolarità di questo vissuto al di là della dinamica piacere-dispiacere. La coazione a ripetere attualizza l'avvenimento traumatico nella speranza di legare psichicamente l'eccitamento e rimettere in gioco il principio di piacere e le modalità di reazione psichica che vi si collegano. Il trauma non disturba questa economia libidica, ma minaccia l'integrità del soggetto in modo radicale (Laplanche & Pontalis). In <<Inibizione, sintomo e angoscia>> (1926d) Freud ritorna sul concetto di angoscia automatica come lo ha sviluppato per le nevrosi attuali. A causa dell'eccesso di eccitamento nella situazione traumatica fa la sua comparsa un'angoscia massiva. Essa inonda l'Io che gli è esposto senza protezione e lo rende assolutamente impotente ( hilflos ). L'angoscia automatica ha un carattere indeterminato ed è senza oggetto. In un primo tentativo di padroneggiarla, l'Io tenta di trasformare l'angoscia automatica in angoscia-segnale, cosa che ha per effetto quello di trasformare l'impotenza assoluta in attesa. L'attività interna che l'io allora svolge ripete <<una riproduzione attenuata della situazione traumatica>>, <<nella speranza di poter dirigerne lo svolgimento>> (1926d, pag. 200 ediz. tedesca). La situazione di pericolo esterno viene così interiorizzata ed assume un significato per l'Io. L'angoscia viene simbolizzata e non resta più indeterminata e senza oggetto. Il trauma ottiene da ciò una struttura ermeneutica e diviene gestibile. Baranger, Baranger e Mom (1988) hanno sottolineato giustamente questo aspetto economico dell'angoscia automatica come qualcosa di centrale per l'esperienza traumatica. Essi chiamano <<trauma puro>> la situazione d'angoscia con la sua indeterminazione psichica e la sua assenza d'oggetto. Il traumatizzato cerca di dominare il trauma puro e di attenuarlo, dandogli un nome ed inserendolo in un sistema di causalità comprensibile. Gli autori parlano di un paradosso: il trauma è davvero intrusivo ed estraneo, ma finché resta estraneo verrà rianimato e si infiltrerà nelle ripetizioni senza poter essere compreso. Non potendo l'uomo, chiunque sia, vivere senza una spiegazione, egli cerca di dare al trauma un senso individuale e di storicizzarlo. Tali storicizzazioni 'après-coup' sono il più delle volte dei ricordi di copertura. Il compito del processo analitico è quello di riconoscere questi ricordi di copertura come tali e di ricostruire la storia autentica, restando la storicizzazione aperta nel futuro. Freud ha descritto più volte in <<Inibizione, sintomo e angoscia>> l'impotenza vissuta dall'Io come la conseguenza di una perdita d'oggetto. Se la madre manca, l'Io infantile non è più nella stessa impotenza poiché può investire l'immagine della madre. Nell'autentica situazione traumatica, non c'è oggetto suscettibile di mancare. L'angoscia è la sola reazione (1926d, pag. 203). Tale tipo di perdita totale degli oggetti protettori interni è nel cuore del secondo modello del trauma.

 

5.2 Il modello del trauma nella teoria delle relazioni oggettuali

Lo sviluppo delle teorie della relazione oggettuale ha fatto respingere le considerazioni quantitative sulla somma di eccitamenti intollerabili che sommergono l'Io. Il modello paradigmatico non è più l'aver vissuto una volta uno shock in quanto evento accidentale, ma la relazione oggettuale.

  Foto: Ferenczi

 

Ferenczi ha anticipato delle concezioni che sono sopraggiunte dopo nella ricerca sul trauma.

  Foto: M. Balint

 

Balint (1969) è stato il primo a seguirlo su questa via. Egli sottolinea che la qualità traumatogena di una situazione dipende dall'esistenza di una relazione intensa tra il bambino e l'oggetto. La relazione oggettuale si vede così attribuire un carattere traumatico. Come gli studi ulteriori (Steele, 1994) lo confermeranno, non sono in prima linea le ferite del bambino da parte della violenza fisica che provocano un disturbo traumatico, ma l'elemento patogeno più forte è il maltrattamento o l'abuso da parte della persona di cui si ha bisogno per essere protetto e curato. Questa prospettiva amplia la comprensione della realtà psichica in una situazione traumatica. Più il trauma è massivo, più la relazione oggettuale interna è danneggiata, ma anche più la comunicazione interna tra le rappresentazioni del sé e dell'oggetto, che protegge ed assicura la sicurezza, crolla. Ne conseguono delle isole di esperienza traumatica che sono isolate dalla comunicazione interna.

Questo tentativo di teorizzazione del trauma a partire dalla relazione oggettuale si è potuto sviluppare a partire dalle ricerche sui traumi estremi, come quelli che sono stati subiti durante l'Olocausto. Una conseguenza psichica centrale di questo tipo di esperienze è stato il crollo del processo empatico. La diade di comunicazione tra il sé ed i suoi oggetti buoni interni si rompe e ciò determina una solitudine interna assoluta ed una disperazione estrema. L'oggetto buono interno si mette a tacere in quanto mediatore empatico tra il Sé e l'ambiente, e la fiducia nella presenza continua dei buoni oggetti e l'attesa di un'empatia solidale vengono distrutti. Questa concezione ci permette di meglio raggiungere il cuore dell'esperienza vissuta nei traumi massivi. Esso consiste in una zona d'esperienza a malapena comunicabile: una solitudine catastrofica, una rinuncia interna in cui il sé non è solo paralizzato nelle sue possibilità d'azione, ma annichilito, accompagnato da angoscia di morte, da odio, da vergogna e da disperazione. Oppure, come lo formula Sue Grand (2000): ne deriva una zona morta, quasi autistica, di non-Sé senza la presenza di un Altro empatico.

Le concezioni derivate dalle teorie della relazione oggettuale rappresentano un grande progresso per la comprensione del trauma. Tuttavia abbiamo bisogno dei due modelli, il modello della teoria della relazione oggettuale così come quello economico per concettualizzare l'esperienza traumatica massiva che mina il fondamento della capacità di sperare distruggendo la fiducia nel mondo circostante, con l'intermediazione dei simboli, che ci lega ad un livello preconscio. Da questa angolazione, il trauma rappresenta un problema per tutte le teorie ermeneutico-narrative e costruttiviste. Dato che esse non possono più comprendere il crollo del processo di costruzione stesso che ci permette di generare dei significati. L'elemento distruttore, la violenza traumatizzante diretta resta un <<troppo>>, un eccesso massivo che passa da parte a parte attraverso la struttura psichica e non può essere legato attraverso la significazione.

 

6. L'ingombro dei ricordi traumatici: il problema della ricostruzione, della narrazione e dell'integrazione psichica

Ho tratto dagli studi di psicologia cognitiva la conclusione che il materiale traumatico si fosse certamente modificato in rapporto al materiale non traumatico, ma che la sua codifica ed il suo richiamo non si effettuassero in modo completamente differente. Prima di studiare più da vicino tali fatti dal punto di vista psicoanalitico, vorrei presentare una concezione del trauma che, a partire dal <<troppo>> di un eccitamento eccessivo, suppone un'altra traduzione delle esperienze traumatiche. Van der Kolk e collaboratori (1996) sulla base delle loro ricerche giungono all'ipotesi di una memoria specifica del trauma nella quale i ricordi traumatici sono conservati in modo differente rispetto alla memoria autobiografica esplicita. L'eccitamento estremo divide il ricordo in differenti elementi somato-sensoriali isolati, in immagini, in stati affettivi, in impressioni somatiche così come in odori ed in rumori. Van der Kolk formula l'ipotesi che questi ricordi impliciti concordano con l'esperienza effettiva, ma che sotto tale forma non possono ancora essere integrati in un ricordare narrativo. Il risultato è un contenuto non simbolico, fisso e non modificabile dei ricordi traumatici dato che il sé, in quanto autore dell'esperienza, è sconnesso al momento dell'esperienza traumatica. L'essenza di questa concezione è che il trauma è per così dire inciso nella memoria con un'esattezza atemporale ed al contempo letterale. Tale esattezza non modificabile del ricordo sembra provare l'esistenza di una verità storica che non è modificata né rimodellata da un senso soggettivo, da schemi cognitivi o da aspettative o fantasmi inconsci. Il valore simbolico per l'autobiografia viene eliminato e, secondo la constatazione di Ruth Leys, una base di causalità meccanica si manifesta in molte delle teorie attuali sul trauma (2000, pag. 7). Si può obiettare in modo critico a questo modello della memoria del trauma che eventi stressanti, significativi sul piano emotivo, sono in genere conservati in modo durevole e possono essere richiamati in modo esplicito, pur non essendo contestabile che esistano delle amnesie psicogene. Anche se la tesi di una memoria particolare del trauma è ugualmente ripresa da certi analisti, tuttavia essa produce una serie di ipotesi a malapena sostenibili dal punto di vista psicoanalitico. Certo, si può affermare che un eccitamento eccessivo nella situazione traumatica disconnetta le funzioni integrative della memoria provocando una dissociazione del Sé con depersonalizzazione e derealizzazione. Si producono spesso ugualmente delle modificazioni della coscienza, dei ricordi traumatici emergono improvvisamente nella coscienza quando questo Sé incapsulato viene attivato. Ma queste intrusioni non sono delle pure ripetizioni poiché i 'flash-backs' possono essere colorati dalle influenze sociali esterne. A tal proposito Lansky (1995) ha mostrato che degli incubi post-traumatici cronici non riproducono solo dei ricordi caricati d'affetto e che essi non sono solo delle ripetizioni visive delle scene traumatiche, ma che questi sogni subiscono anch'essi il lavoro onirico.

Questi stati di fatto confermano la tesi, fondata dal punto di vista psicoanalitico, secondo la quale le esperienze traumatiche ed il loro ricordo sono certamente sottomesse a delle restrizioni e a delle operazioni psicodinamiche specifiche, ma che non sono completamente escluse dal flusso del resto della dinamica psichica e da un rimodellamento da parte dei fantasmi consci ed inconsci.

Come l'abbiamo presentato, Freud definisce già il trauma psichico non come un vissuto del tutto differente rispetto alle caratteristiche generali dello psichico, ma come una sorta di <<dentro-fuori>> che si è formato come un <<palo nella carne>> (Laplanche, 1970). Freud qualifica questo materiale come un corpo estraneo nella struttura psichica, ma ne riduce la portata della metafora: <<L'organizzazione patogena non agisce realmente come un corpo estraneo, ma piuttosto come un infiltrato ... La terapia non consiste nell'estirpare qualcosa, cosa che la psicoterapia non saprebbe realizzare oggi, ma si sforza di far dileguare la resistenza per aprire alla circolazione la via fino ad allora sbarrata>> (1895d, pag. 295 ediz. tedesca).

I ricordi traumatici sviluppano una dinamica propria. In quanto <<dentro>> incapsulato, essi sfuggono ad un adattamento attraverso dei legami associativi a causa di nuove esperienze o mediante rimozione. Queste trasformazioni si producono solo in modo molto limitato oppure non hanno effetto, dato che questi ambiti incapsulati, simili a corpo estraneo, presentano qualche caratteristica specifica. Ne vorrei citare tre, ma anche sottolineare allo stesso tempo che non posso qui fornire una descrizione completa della fenomenologia o della sintomatologia degli stati traumatici. Solo certe operazioni psichiche specifiche qui mi interessano.

Troviamo spesso una regressione ad una modalità di pensiero onnipotente come difesa contro l'impotenza ( Hilflosigkeit ) intollerabile. Quando il traumatizzato si attribuisce la colpa di ciò che è accaduto, il sentimento di essere esposto passivamente si trova trasformato in un'attività propria che è stata la causa di ciò che è avvenuto. Può anche darsi che al momento dell'evento traumatico emerga un fantasma rimosso che esisteva da lungo tempo, una convinzione interiore o una rappresentazione centrale di angoscia, e che si fondano al materiale traumatico  dell'effrazione. Ciò fa nascere allora delle convinzioni scisse o dei ricordi di copertura.

L'attività psichica paralizzata del Sé traumatizzato provoca il gelo del senso psichico del tempo e produce una immobilizzazione interiore del tempo. La descrizione che spesso ritorna è la sensazione che una parte del Sé è fuori gioco, e che resta più o meno identica a se stessa dato che non può essere esposta alla vita. Ciò che si dice anche <<essere da parte>>, o avere una <<esistenza tratteggiata>>. Langer evoca uno stato di perseveranza chiusa in se stessa che <<non può sfuggire dal pezzo sigillato di quell'istante>> (1995). Altri evocano semplicemente il fatto che il loro orologio vitale è rimasto bloccato sull'istante del trauma. Nella situazione traumatica, la persona coinvolta non può più mantenere le frontiere tra se stesso e l'Altro. L'eccitamento debordante e l'angoscia estrema fanno crollare il sentimento di sé e provocano una fusione del sé e dell'oggetto come nodo dell'esperienza traumatica che è difficilmente solubile e che danneggia in modo durevole il sentimento dell'identità personale.

Non posso continuare a descrivere queste operazioni psichiche nelle zone scisse indotte dal trauma. Esse mi servono a rendere concreto ciò che si intende per elaborazione psichica dei ricordi traumatici. Prendo qui una posizione tra le concezioni polarizzate dei ricercatori empirici sul trauma, che suppongono una replica esatta dell'episodio traumatico nella memoria, e le concezioni di coloro che non vogliono comprendere il trauma se non nel quadro del funzionamento generale della realtà psichica. Nessuna di queste posizioni opposte mi sembra sostenibile nella propria esclusività. Se tuttavia dobbiamo partire da una elaborazione specifica dei ricordi traumatici, allora la questione che si pone è di sapere se una ricostruzione terapeutica degli eventi traumatici è possibile e necessaria. I ricordi traumatici sono spesso attivati nel corso del trattamento analitico attraverso dei passaggi all'atto nella relazione transferale. La scoperta della realtà del trauma e degli affetti corrispondenti, ossia la sua storicizzazione, è la condizione preliminare per poter chiarire e rendere comprensibile il suo trattamento successivo ed il suo rimodellamento attraverso dei fantasmi inconsci e dei significati che contengono dei sentimenti di colpa e delle tendenze alla punizione. E' così che fantasma e realtà traumatica vengono sciolti e l'Io ottiene un quadro di comprensione liberatore. Storicizzazione significa anche riconoscimento del fatto traumatico, comprensione del vissuto individuale e delle conseguenze generate a lungo termine. Quando si giunge a questo tipo di interpretazione e di ricostruzione, ne conseguono spesso dei miglioramenti sorprendenti dello stato dei pazienti; essi parlano allora di una sensazione di integrazione psichica, segno che indica una ristrutturazione dell'organizzazione del Sé. Se una parte incapsulata del sé traumatizzato ridiventa permeabile, essa può allora essere meglio legata associativamente. Una ricostruzione inesatta è destinata, al contrario, a restare senza effetto anche se appare sensata. Come accade questo? Una ricostruzione deve concordare con la realtà generata dal trauma. E' necessario riconoscere ciò che è stato subito, verbalizzare i ricordi di copertura e le convinzioni scisse e comprenderle, e interpretarle in collegamento con l'episodio traumatico. L'interpretazione deve comprendere gli elementi che erano già presenti nell'esperienza traumatica o che le erano inerenti, insieme al senso successivamente acquisito. Se d'altronde nel corso della terapia il transfert ed il contro-transfert non sono analizzati se non nel qui ed ora della situazione analitica e se non nella misura in cui ne consegua un racconto sensato senza la ricostruzione della realtà che ha provocato il trauma, allora questi racconti rischiano di non delimitare il fantasma dalla realtà e nel peggiore dei casi di ritraumatizzare il paziente.

 

7. La rappresentazione dei ricordi traumatici: memoria generativa e memoria collettiva

I <<disastri causati dall'uomo>> ( man made disasters ), i <<disastri per mano dell'uomo>>, come l'Olocausto, le guerre, le persecuzioni politiche ed etniche, mirano attraverso le loro forme di disumanizzazione e di distruzione della personalità all'annichilimento dell'esistenza storico-sociale dell'uomo. L'individuo non può integrare mediante un atto idiosincratico tali esperienze traumatiche in un contesto narrativo, egli ha bisogno di un discorso comunitario sulla verità storica dell'episodio traumatico così come sul diniego e sulle difese suscitate. La chiarificazione scientifica ed un riconoscimento collettivo della causa e della colpa permettono di restituire il quadro interumano e quindi la possibilità di liberare senza censura l'esperienza di ciò che è già accaduto nella realtà. E' solo in questo modo che la comprensione di sé e del mondo può essere rigenerata. Se regnano nella società delle tendenze difensive o esistono delle ingiunzioni al silenzio, i sopravvissuti traumatizzati restano soli con le loro esperienze. Al posto di trovare un sostegno nella comprensione degli altri, la colpa personale domina in essi come principio esplicativo.

La società russa e l'assenza di confronto sociale col terrore staliniano ne forniscono un esempio attuale (Merridale, 2001; Solojed, 2006). A causa dell'assenza di un quadro collettivo favorente questo confronto, e a causa dell'assenza di strutture, di punti di repere che potrebbero assicurare la discussione, numerose vittime credono sempre nella propria colpa e non possono ad esempio comprendere ciò che significa una politica di epurazione. I traumatizzati sono non solo vittime di una realtà politica distruttiva, ma ne sono al contempo i testimoni. Essi cadono spesso in una situazione tale per cui nessuna persona vuole intendere la loro testimonianza, poiché questi uditori non vogliono subire il peso dei sentimenti d'angoscia e di dolore, di rabbia e di vergogna o poiché hanno paura dei rimorsi di colpevolezza. Lo storico Friedhelm Boll (2003) ha dimostrato, a partire da interviste dei sopravvissuti dell'Olocausto e di vittime politiche del nazional-socialismo e dello stalinismo, che, di fronte a dei traumatizzati, si viene troppo in fretta a presentarne il carattere di indicibilità, cosa che non è altro che una giustificazione, una razionalizzazione in cui la volontà di non intendere il contesto si poggia sulla volontà di non parlare dei perseguitati. E' per questo che le frontiere del dicibile hanno sempre a che vedere con le restrizioni della società, con le reinterpretazioni e con i tabù. La sofferenza indicibile, insopportabile e opprimente nella sua assurdità esiste, ed il traumatizzato non vuole essere messo a confronto di nuovo con delle pressioni estreme nel raccontarla. L'indicibile esiste anche perché l'esperienza traumatica vissuta e ricordata non può essere costretta a entrare in una struttura narrativa che falserebbe il cuore e la verità dell'esperienza. Vorrei in conclusione spiegare questo tessuto relazionale complesso tra ricordi collettivi e ricordi individuali di avvenimenti traumatici a partire dall'esempio dell'Olocausto e della seconda guerra mondiale.

L'Olocausto si trova finora al centro della cultura della memoria in numerose società. Le dimensioni di tale genocidio perpetrato contro gli ebrei hanno fatto esplodere i modelli usuali di comprensione e di interpretazione del ricordo, della memoria e del riconoscimento storico. Una memoria continuamente assalita da crimini mostruosi, una sofferenza incommensurabile, un orrore senza nome e una inesorabile macchina distruttrice, funzionante in modo industriale, sono ancora oggi una sfida per la cultura della memoria. E' per questo che noi ci sforziamo ancora oggi di spiegare il nazional-socialismo con la sua distruttività radicale, e di raggiungere esattamente il suo nucleo criminale e le dimensioni del genocidio. Saul Friedländer (1997) ed altri hanno sottolineato il paradosso che il posto centrale di Auschwitz nella coscienza storica è oggi molto più distinto di quanto non lo fosse qualche decennio fa. Lo storico Nicolas Berg (2003) dice che l'effetto provocato su dei decenni dalla potenza estrema di ciò che è accaduto <<è stato l'autentico maestro che ha lentamente e retrospettivamente permesso di chiarificare l'avvenimento>> (2003, pag. 10). Una tale visione del lavoro della storia ( Wirkungsgeschichte ) è vicina alla comprensione psicoanalitica del trauma, specie alla scoperta 'après-coup' del suo senso e della sua storicizzazione. Diversi storici si sono d'altronde pronunciati perché il concetto di trauma sia integrato nella teoria della storia. Si pone allora per essi la questione di sapere come descrivere in modo appropriato l'autentica esperienza collettiva perché l'orrore dell'esperienza, ed il fatto scioccante, brutale, insensato del trauma non sia sottomesso a delle categorie storiche esplicative in cui scompaia il carattere traumatico dell'evento. Come scrive Jörn Rüsen: l'Olocausto << va a distruggere le concezioni permettendo di interpretare quando esse si riferiscono esistenzialmente allo strato profondo della soggettività umana in cui si radica l'identità ... Questo problema è difficilmente sopportabile. E pertanto è necessario che divenga un elemento della cultura storica se non si vuole che questa si situi sotto la soglia d'esperienza che annovera oggettivamente l'Olocausto in un ritorno della memoria sull'esperienza del passato ...>> (2001, pag. 214). Ciò che Rüsen  qui sottolinea è  la necessità di ritornare al ricordo individuale del testimone per non perdere il carattere catastrofico e traumatico dell'esperienza nella descrizione e nella categorizzazione storica. Una volta scomparsi gli ultimi testimoni, è la rappresentazione, il ricordo della storia delle loro persecuzioni e delle loro sofferenze che prenderà il loro posto, anche se l'insopportabile dell'esperienza primaria traumatica dei sopravvissuti non riuscirebbe ad essere trasferita nella memoria di coloro che non sono stati coinvolti.

In Germania, non ci siamo potuti accontentare solo di mantenere vivo il ricordo delle vittime e dei crimini che essi avevano subito, bisognava anche che includessimo nella memoria i crimini commessi di cui bisognava rispondere al pari dei loro autori. Gli storici parlano a tal proposito di <<ricordo negativo>> (Knigge & Frey, 2002). Il ricordo e la difesa che esso genera come anche la questione della colpa e della responsabilità ed il loro diniego hanno così instaurato una dinamica transgenerazionale specifica nella società tedesca che ha conferito al concetto di generazione un significato particolare come categoria di memoria (Jureit & Wildt, 2005). La strategia predominante di ricordo della generazione i cui membri erano stati coinvolti, come attori attivi o come simpatizzanti o fanatici del nazional-socialismo, è stata quella in generale di negare la loro propria partecipazione. Ci si fece vittime di Hitler e di un piccolo gruppo di partigiani e di esecutori fanatici. Le sofferenze delle vere vittime, per quanto esse erano percepite, venivano contabilizzate assieme ai propri gruppi di vittime, con i prigionieri di guerra, i feriti di guerra, i rifugiati e gli espulsi. Alexander e Margarete Mitscherlich hanno descritto nel 1967 nel loro celebre studio <<Il lutto impossibile>> le patologie della memoria della società tedesca del dopo guerra. Esse comprendono questa difesa contro il ricordo dei crimini e degli orrori passati come un'auto-protezione per difendersi da una depressione che si sarebbe necessariamente stabilita se i Tedeschi si fossero confrontati con il loro legame con Hitler e col peso della loro colpa. Il narcisismo con l'onnipotenza del suo comportamento e gli ideali del nazional-socialismo avevano escluso dal Sé e distrutto qualsiasi umanità e capacità di empatia per le vittime. La terapia di questa patologia risiedeva per questi autori in un lavoro di lutto che essi concepivano al pari di Freud come un lavoro di ricordo che si deve fare al servizio dell'elaborazione della colpa. Il punto essenziale dell'analisi dei Mitscherlich riguardava la patologia dell'Io Ideale e del Super-Io. Ma dalla presentazione dei loro casi traspariva un testo soggiacente che fa emergere altre condizioni di questa patologia collettiva. Così si può oggi svelare in certe sintomatologie dei pazienti dei Mitscherlich un disturbo post-traumatico. La ricostruzione rapida della società tedesca e il suo successo negli anni cinquanta e sessanta non risiedevano solo sulla rimozione della colpa, ma anche su una tendenza di fondo che si era formata attraverso l'utilizzazione estrema della violenza e attraverso l'esperienza traumatizzante della violenza, attraverso le ripercussioni della guerra, i bombardamenti, l'esodo. Giungiamo qui ad una relazione complessa tra crimini, guerra, colpa, trauma e ricordo. Come noi oggi sappiamo, il gelo dei sentimenti, la derealizzazione del passato e la rimozione delle proprie azioni sono alterati così come le conseguenze dirette dei traumi e la capacità di confrontarsi col passato. Il problema morale della difesa contro la colpa è legato qui ad una patologia della memoria di origine traumatica. La coscienza apologetica di essere vittime, che i membri della generazione degli attori si sono creati 'après-coup', era alimentata da due fonti: la difesa contro la colpa e le esperienze traumatiche. La generazione seguente è cresciuta all'ombra di queste menzogne vitali dei loro genitori che si definivano come vittime. Il silenzio sulla loro propria partecipazione e le lacune nelle biografie familiari avevano generato nei figli un'impressione nebulosa e parzialmente deformata della realtà.  Inoltre la riflessione protettrice verso se stessi contro la quale si difendevano dai genitori ha impedito loro di confrontarsi con gli ideali nazisti e coi valori a cui essi (i genitori) avevano aderito. Molti si assicurarono della loro validità attraverso la strumentalizzazione narcisistica dei loro figli in cui ogni posizione differente era combattuta in modo aggressivo. Il confronto di questa seconda generazione con i propri genitori fece apparire un modello specifico di <<memoria scissa>> (Domansky, 1993) che è importante per comprendere l'evoluzione ulteriore. Agli occhi dei figli, i padri erano più o meno sospettabili globalmente di colpevolezza. Per opposizione e contro-identificazione, i figli si volsero verso le vittime di questa generazione di padri ed autori. Molti si sono impegnati in progetti politici e scientifici che si davano come compito quello di investigare e ricostruire la storia ed il ruolo delle vittime. Ma spesso il confrontarsi pubblico con la generazione dei genitori si fermava alla soglia della casa della propria famiglia. Certo, il silenzio ed il diniego sarebbero stati rotti sul piano dell'insieme della società, ma proseguiva a livello individuale. Ciò appariva troppo doloroso o troppo legato a delle angosce catastrofiche per osare spingersi oltre. Come hanno dimostrato i trattamenti psicoanalitici dei membri di questa generazione, il loro attaccamento emotivo inconscio alla rappresentazioni genitoriali della loro infanzia ha tante volte resistito a qualsiasi confronto ulteriore con il coinvolgimento dei genitori nel nazismo. La rappresentazione era spesso scissa in un'immagine paterna idealizzata della prima infanzia ed in un'immagine del padre compromesso, che aveva assistito o aveva egli stesso partecipato a dei crimini. Anche se le identificazioni del loro Io e la loro posizione conscia li avevano notevolmente allontanati dal mondo dei loro padri, non potevano togliere questa scissione dall'immagine paterna. L'attaccamento positivo persisteva nell'inconscio, generando un conflitto di lealtà che li portava a non mettere in discussione i tabù paterni, ma a rispettarli. Così, spesso lo sforzo per conoscere la verità e scoprire la storia messa a tacere e negata si mescolava a dei processi simultanei di difesa. L'Io era così sempre riesposto al pericolo di divenire inconsciamente complice dei genitori e delle loro posizioni.

Reperire questa costellazione psichica ed elaborarla è stato per i membri di questa generazione un processo estremamente doloroso che ha potuto tuttavia in numerosi casi aprire o risolvere l'aggrappamento emotivo ai genitori ed instaurare una distanza grazie ad un modo di vedere le cose più indipendente. Questo distacco è stato reso possibile e facilitato dal fatto che i tabù, i miti e le leggende sui crimini e sui loro autori siano stati simultaneamente rilevati ed elaborati nell'insieme della società.  Difesa e ricordo sono continuamente riapparsi intricati. Come in una spirale ascendente,  bisognerebbe continuamente aiutare la realtà ed il suo richiamo nella memoria a ottenere giustizia. Nel corso di questa evoluzione, la delimitazione rigida tra ricordo pubblico e ricordo familiare è diventata più permeabile. Dagli anni novanta, delle discussioni coi membri ancora viventi della generazione dei genitori e delle ricerche sul loro coinvolgimento colpevole hanno fatto nascere dei numerosi documenti-ricordi ed anche delle elaborazioni letterarie delle storie familiari. Ma in numerosi casi la chiarificazione e la ricostruzione non sono riusciti ancora ad essere che molto frammentarie poiché era impossibile rompere il silenzio dei genitori oppure perché i figli sono giunti troppo tardi alla chiarificazione quando i loro genitori erano già morti. I segreti di famiglia non potevano allora più essere svelati. Nicolas Abraham (1978) parla in questo caso di un fantasma che si può annidare nelle lacune della memoria familiare e proseguire il suo effetto inconsciamente. Anche se questo stato di cose ha modeste conseguenze patologiche, numerosi membri della seconda generazione devono vivere con un'ambivalenza impossibile da eliminare, ossia riguardante la questione se ed in quale misura i loro genitori siano stati coinvolti nel nazismo e nei suoi crimini. La terza generazione è sul punto di definirsi lungo questa scia. Essa ha uno sguardo personale su ciò che è accaduto e sul coinvolgimento familiare. Tuttavia ritroviamo gli stessi conflitti di lealtà, anche se in una forma attenuata.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA
 

 

Abraham, N. (1978). Aufzeichnungen über das Phantom. Ergänzungen zu Freuds Metapsychologie. Psyche-Z Psychoanal., 45, 1991: 691-698.

Arlow, J. (1991). Methodology and reconstruction.  Psychoanal. Quart. 60: 539-563.

Assmann, A. (1998). Stabilisatoren der Erinnerung – Affekt, Symbol, Trauma. In: J.Rüsen u. J.Straub (Eds.): Die dunkle Spur der Vergangenheit. Psychoanalytische Zugänge zum Geschichtsbewußtsein. Erinnerung, Geschichte, Identität 2. Frankfurt: Suhrkamp, 131-152.

Balint, M. (1969). Trauma and object relationship. Int. J. Psychoanal., 50: 429-436.

Baranger,M.; Baranger,W.; Mom.J.(1988). The infantile trauma from us to Freud: pure trauma, retroactivity and reconstruction. Int. J. Psychoanal., 69: 113-128.

Berg, N.(2003). Der Holocaust und die westdeutschen Historiker. Erforschung und Erinnerung. Göttingen:Wallstein.

Birksted-Breen, D. (2003). Time and the après-coup. Int. J. Psychoanal., 84: 1501-1515.

Blum, H.(1994). Reconstruction in psychoanalysis. Childhood revisited and recreated. Madison: Int.Univ.Press.

Blum, H. (2003). Psychoanalytic controversies. Repression, transference and reconstruction. Int. J. Psychoanal., 84: 497-513.

Bohleber, W. (2000). Die Entwicklung der Traumatheorie in der Psychoanalyse. Psyche-Z Psychoanal., 54, 797-839.

Boll, F. (2001). Sprechen als Last und Befreiung. Holocaust-Überlebende und politisch Verfolgte zweier Diktaturen. Ein Beitrag zur deutsch-deutschen Erinnerungskultur. Bonn: J.H.W.Dietz.

Brenneis, C.B.(1999). The analytic present in psychoanalytic reconstructions of the historical past. J. Amer. Psychoanal. Assn., 47: 187-201.

Domansky, E.(1993). Die gespaltene Erinnerung. In: M.Koeppen (Ed.): Kunst und Literatur nach Auschwitz. Berlin, 178-196.

Cohen, J. (1985). Trauma and repression. Psychoanal. Inquiry, 5: 163–189.

Fonagy, P (1999). Memory and therapeutic action. Int. J. Psychoanal., 80: 215-223.

Fonagy, P.(2003). Psychoanalytic controversies. Rejoinder to Harold Blum. Int. J. Psychoanal., 84: 503-509.

Freeman, M. (1984). Psychoanalytic narration and the problem of historical knowledge. Psychoanal. Contemp. Thought, 7: 133-182.

Freud, S. (1895d). Studien über Hysterie. GW I, 75-312. Trad. franç. par A. Berman, Etudes sur l'hystérie, Paris, PUF, 1956.

Freud, S. (1899a). Über Deckerinnerungen. GW I, 465-488. Trad. franç. Sur les souvenirs-écrans, in Névrose, psychose et perversion, Paris, PUF, 1973.

Freud, S. (1900a). Die Traumdeutung. GW II/III. Trad. franç.  L'interprétation du rêve, OCF.P IV, Paris, PUF, 2003.

Freud, S. (1909d). Bemerkungen über einen Fall von Zwangsneurose. GW VII, 379-463. Trad. franç. par P. Cotet,et F. Robert, L'homme aux rats : remarques sur un cas de névrose de contrainte, OCF.P IX, 131-214, Paris, PUF, 2004.

Freud, S.(1914g). Erinnern, Wiederholen und Durcharbeiten. GW X, 126-136. Trad. franç. A. Berman Remémoration, répétition, perlaboration, in La technique psychanalytique, Paris, PUF, 1953, p.105-115.

Freud, S. (1916-17a). Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse. GW. XI. Trad. franç. de F. Cambon, Conférences d'introduction à la psychanalyse,  Paris, Editions Gallimard, 1999.

Freud, S. (1920g). Jenseits des Lustprinzips. G.W. XIII, 1-69. Trad. franç. par J. Laplanche et J.-B. Pontalis, Au delà du principe de plaisir in Essais de psychanalyse, Paris, Payot, 1981 ou OCF.P XV, 273-338, Paris, PUF, 1996.

Freud, S. (1923b). Das Ich und das Es. GW XIII, 237-289. Trad. franç. Le Moi et le ça, in Essais de psychanalyse,  Paris, Payot, 1981, p.219-275, ou OCF. P XVI, 255-302, Paris, PUF, 1991.

Freud, S. (1926d). Hemmung, Symptom und Angst. G.W. XI, 21-115. Trad. franç. par M. Tort, Inhibition, symptôme et angoisse, Paris, PUF, 1951 ou OCF.P XVII, 203-286, Paris, PUF, 1992.

Freud, S.(1937d). Konstruktionen in der Analyse. GW XVI, 43-56. Trad. franç. Constructions en analyse, in Résultats, idées, problèmes, II, Paris, PUF,1985, p. 269-281.

Freud, S. (1985c). Briefe an Wilhelm Fliess 1887-1904. Hg. von J.M. Masson. Frankfurt (Fischer) 1986. Trad. franç. par F. Kahn et F. Robert, Lettres à Wilhelm Fliess : 1887-1904, Paris, PUF, 2006.

Friedländer, S. (1997). Nazi Germany and the Jews. Vol.I: The years of persecution, 1933-1939. New York: Harper Collins

Gabbard, G. u. Westen, D. (2003). Rethinking the therapeutic action. Int. J. Psychoanal., 84: 823-841.

Gaensbauer, T.(1995). Trauma in the preverbal period. Psychoanal. Study Child, 50: 122-149.

Grand, S. (2000). The reproduction of evil. A clinical and cultural perspective. Hillsdale: Analytic Press.

Granzow, S. (1994). Das autobiographische Gedächtnis. Kognitionspsychologische und psychoanalytische Perspektiven. München: Quintessenz.

Green, A.(2002). Time in psychoanalysis. Some contradictory aspects. London: Free Associations.

Hock, U.(2003). Die Zeit des Erinnerns. Psyche-Z Psychoanal., 57: 812-840.

Joseph, B. (1985). Transference: the total situation. Int. J. Psychoanal., 66: 447-454.

Jureit, U. u. Wildt, M.(2005). Generationen. Zur Relevanz eines wissenschaftlichen Grundbegriffs. Hamburg: Hamburger Edition.

Kennedy, R. (2002). Psychoanalysis, history, and subjectivity. London: Routledge.

Kihlstrom, J.(2006). Trauma and memory revisited. To be published in: B.Uttl; N.Ohta; A. Siegenthaler (Eds.): Memory and emotions: interdisciplinary perspectives. New York: Blackwell

Kirshner, L.(1994). Trauma, the good object and the symbolic: a theoretical integration. Int. J. Psycho-Anal., 75: 235-242.

Kluft, R. (1999). Memory (Book reviews). J. Amer. Psychoanal. Assn., 47: 227-236.

Knigge, V. u. Frei, N.(2002). Verbrechen erinnern. Die Auseinandersetzung mit Holocaust und Völkermord. München: Beck.

Kris, E. (1956). The recovery of childhood memories in psychoanalysis.   Psychoanal. Study Child, 11: 54-88.

Langer, L.(1995). Memory’s time: Chronology and duration in Holocaust testimonies. In: L.Langer, Admitting the Holocaust: Collected papers. New York: John Hopkins Univ.Press, 13-23.

Lansky, M. (1995). Post-traumatic Nightmares. Psychodynamic Explorations. Hillsdale: Analytic Press.

Laplanche,J. & Pontalis, J.-B.(1967). The language of psychoanalysis. New York: Norton. 1973.

Laplanche, J.(1970): Vie et mort en psychanalyse, Paris, Flammarion. Trad. all. Leben und Tod in der Psychoanalyse. Olten und Freiburg (Walter) 1974.

Laplanche, J. (1992). La révolution copernicienne inachevée. Paris: Editions Aubier.

Laub, D. und Auerhahn, N. (1993). Knowing and not knowing massive psychic trauma: forms of traumatic memory. Int. J. Psychoanal.,74: 287-302.

Laub, D. & Podell, D.(1995). Art and Trauma. Int. J. Psycho-Anal., 76: 991-1005.

Leuzinger-Bohleber, M. & R. Pfeiffer (2002): Remembering a depressive primary object. Memory in the dialogue between psychoanalysis and cognitive science. Int. J. Psychoanal., 83: 3-33.

Leys, R.(2000). Trauma. A Genealogy. Chicago: Chicago Univ.Press.

Loftus, E. u. Ketcham, K.(1994): The myth of repressed memory. New York: St. Martin’s Griffin.

McNally, R.(2003). Remembering trauma. Cambridge (MA): Harvard Univ.Press

McNally, R.(2005). Debunking myths about trauma and memory. Can. J. Psychiatry, 50: 817-822.

Merridale, C. (2001). Night of stone – death and memory in Russia. London: Granta Publications.

Mitscherlich, A.u.M. (1967). Inability to mourn. Principles of collective behavior. New York: Grove Press 1975. Trad. franç. Jospin L., Le deuil impossible. Les fondements du comportement collectif. Paris, Payot 1972, 319 p.

Moore. R. (1999). The creation of reality in psychoanalysis. A view of the contributions of Donald Spence, Roy Schafer, Robert Stolorow, Irwin Z. Hoffman, and beyond. Hillsdale: The Analytic Press.

Oliner, M. (1996). External reality: The elusive dimension of psychoanalysis. Psychoanal. Quart., 65, 267-300.

Person, E. u. Klar, H. (1994). Establishing trauma: The difficulty distinguishing between memories and fantasies. J. Amer. Psychoanal. Assn., 42: 1055-1081.

Pugh, G.(2002). Freud's "Problem": cognitive neuroscience & psychoanalysis working together on memory. Int. J. Psychoanal., 83: 1375-1394.

Quindeau, I. (2004). Spur und Umschrift. Die konstitutive Bedeutung von Erinnerung in der Psychoanalyse. München: Wilhelm Fink.

Riesenberg Malcolm, R.(1988). Deutung: Die Vergangenheit in der Gegenwart. In: Bott Spillius, E. (Ed.). Melanie Klein heute. Bd. 2: Anwendungen.  München: Verlag Internationale Psychoanalyse, 1991:  101-122.

Rüsen, J. (2001). Zerbrechende Zeit. Über den Sinn der Geschichte. Köln: Böhlau.

Sandler, J. u. Sandler, A. (1998). Internal  objects revisited. London: Karnac.

Schacter, D. (1996). Searching for memory. The brain, the mind, and the past. New York: Basic Books.

Schacter, D. (2001). The seven sins of memory: How the mind forgets and remembers. New York: Houghton Mifflin.

Schafer, R.(1982). The relevance of the ‚here and now‘ transference interpretation to the reconstruction of early development. Int. J. Psychoanal., 63: 77-82.

Shevrin, H.(2002). A psychoanalytic view of memory in the light of recent cognitive and neuroscience research. Neuro-psychoanalysis, 4: 131-139.

Simon, B. (1992). „Incest – see under Oedipus complex“: the history of an error in psychoanalysis. J. Amer. Psychoanal. Assn., 40: 955-988.

Solojed, K.(2006). Psychische Traumatisierung in den Familien von Opfern des Stalinismus. Psyche-Z Psychoanal., 60: 587-624.

Spence, D.(1982). Narrative truth and historical truth. Meaning and interpretation in psychoanalyis.  New York: Norton.

Steele, B.F. (1994).  Psychoanalysis and the maltreatment of children. J. Amer. Psychoanal. Assn., 42: 1001-1025.

Stern, D. et al. (1998). Non-interpretive mechanisms in psychoanalytic therapy: the ‚something more’ than interpretation. Int. J. Psychoanal., 79: 903-921.

van der Kolk, B., McFarlane, A. & Weisaeth, L. (Eds.) (1996). Traumatic Stress. The effects of overwhelming experience on mind, body, and society. New York: Guilford Press.

Volbert,  R. (2004): Beurteilung von Aussagen über Traumata. Erinnerung und ihre psychologische Bewertung. Bern (Huber)

Welzer, H. (2002): Das kommunikative Gedächtnis. Eine Theorie der Erinnerung. München: Beck.

 

 

 

 
 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All rights reserved 2004-2005-2006-2007-2008