1. Introduzione
La psicoanalisi ha esordito
come teoria del trauma. Se, secondo la celebre formula di Freud, le
isteriche soffrono di reminiscenze, allora è il ricordare che possiede
una virtù patogena. Dopo che Freud ebbe rinunciato alla ricerca delle
scene sessuali infantili traumatizzanti ed alla teoria della
seduzione, la psicoanalisi si è estesa all'indagine della realtà
psichica. Col concetto di transfert Freud ha scoperto una nuova
dimensione del ricordare, ossia la sua ripetizione senza l'azione. Se
per lui lo scopo del trattamento è sempre stato il rendere coscienti i
ricordi rimossi, la teoria del trattamento analitico ha seguito
un'evoluzione che se ne è allontanata a seguito della dinamica
specifica inerente al concetto di transfert. La relazione terapeutica
individuale si è sempre più infiltrata nel concetto, e poi con il
riconoscimento del controtransfert ha preso nuovamente una svolta
specifica allontanandosi dal passato ed orientandosi verso il qui ed
ora della relazione analitica. Il ricordare individuale della storia
personale ha perso così la sua importanza terapeutica centrale.
E pertanto c'era un punto
in cui indiscutibilmente esso era restato il problema da affrontare:
il trauma perpetrato sull'essere umano. Certamente Freud si è sempre
preoccupato del trauma: in particolare vi è stato spinto dalla
catastrofe della prima guerra mondiale e dalla barbarie montante del
nazional-socialismo, ma egli non ha mai sistematizzato la sua teoria
del trauma. Egli tuttavia si è interrogato, come ad esempio a
proposito del sogno post-traumatico e della nevrosi traumatica, un
campo oscuro che egli non si augurava di approfondire in seguito. La
teoria del trauma è quindi a lungo restata un pio desiderio della
ricerca analitica, e il tener conto della violenza politica e sociale
e delle sue conseguenze non ha avuto in psicoanalisi il valore che
avrebbe dovuto in realtà spettargli. Un motivo essenziale per questo
stato di cose era l'opposizione in cui si era trovata la realtà
psichica in rapporto alla realtà esterna. La maggior parte degli
analisti ha orientato l' attenzione più o meno esclusivamente
sul mondo interno e sulla questione dell'influenza che esercitano i
fantasmi inconsci sulle percezioni e sulla formazione delle relazioni
oggettuali interne. Prendere in conto la realtà esterna sarebbe stato
spesso compreso come un attacco alla realtà psichica ed all'importanza
dell'inconscio. E' a proposito della comprensione dell'abuso sessuale
che questa posizione si è manifestata in modo più chiaro (Simon, 1992;
Bohleber, 2000).
Con le catastrofi e le
esperienze estreme che gli uomini hanno avuto da vivere e da subire
nel corso del XX secolo, il trauma è divenuto emblematico. La
psicoanalisi, ma anche altre scienze umane avevano a tal riguardo da
recuperare una lacuna di ricerca e di comprensione. Le conseguenze
psichiche delle due guerre mondiali hanno obbligato sul piano teorico
e terapeutico a confrontarsi con tali traumi, ma ogni volta
l'interesse si è spento dopo poco tempo. Così, ad esempio, è solo dopo
la guerra del Vietnam che la diagnosi di stress post-traumatico è
stata ripresa nella nomenclatura psichiatrica, cosa che ha indotto una
moltitudine di ricerche su questa sindrome. Nel cuore di questa
caratteristica del XX secolo si trova l'Olocausto, il crimine
nazional-socialista contro l'umanità.
La deportazione in campi di
concentramento e lo sterminio di milioni di ebrei ha provocato per le
vittime dei danni e delle sofferenze inimmaginabili. L'aiuto
terapeutico ai sopravvissuti portava a confrontarsi con delle
esperienze estreme le cui ripercussioni non erano allora ancora note.
Il trauma e il far fronte ad esso attraverso il ricordare non
riguardavano solo le vittime sopravvissute, ma avevano anche delle
conseguenze specifiche per i loro figli e per i loro nipoti.
Parallelamente, ciò ha portato i membri del popolo perpetratore a
confrontarsi con una storia criminale pari a nessuna altra le cui
conseguenze sono visibili fino ai figli ed ai nipoti della generazione
dei perpetratori. Le azioni, le difese contro la colpa e la
responsabilità, come anche il diniego e l'oblio non hanno solo
contraddistinto la memoria individuale e familiare, ma anche la
memoria collettiva della società tedesca del dopoguerra, in cui il
ricordo doloroso, vergognoso della storia criminale, di cui bisognava
rispondere, ha sviluppato una dinamica particolare durante decine
d'anni.
L'Olocausto ha fatto del
ricordare un comandamento morale particolare.
Volevo attraverso queste
riflessioni introduttive situare il quadro degli sviluppi che
seguiranno e che tratteranno del concetto di ricordo, del ricordare e
della ricostruzione in psicoanalisi, così come della loro importanza
particolare per i traumi ed il loro trattamento. In conclusione,
tratterò della dinamica del trauma e del ricordare per la memoria
collettiva.
2. Il ricordare: teoria
freudiana e funzione terapeutica
Per Freud, lo scopo della
cura analitica è stato sempre il rendere consci i ricordi rimossi
dalla vita psichica precoce. Bisogna ricercarne la ragione nella sua
teoria del ricordare. Le percezioni si traducono in memoria, secondo
Freud, sotto forma di tracce mnesiche. Certamente queste sono delle
copie dell'impressione originale, ma esse non sono conservate sotto
forma di elementi isolati come in una teoria ingenua dell'engramma.
Freud fa l'ipotesi di una successione di più sistemi di memoria in
connessione, che si dispongono secondo dei principi determinati
essendo la stessa traccia mnesica immagazzinata a più livelli sotto
forma di duplicato. Il primo sistema associa gli elementi secondo il
principio di simultaneità, i sistemi che seguono li presentano secondo
altri tipi di associazione, ad esempio secondo relazioni di
rassomiglianza (1900a, pag. 544 ediz. tedesca) o di contiguità (1899a,
pag. 537 edizione tedesca). I ricordi di
impressioni e di esperienze passati possono all'inizio essere
recuperati senza modifiche. Che ciò non sia il caso come regola
generale ha a che fare con desideri inconsci che si legano agli
elementi del ricordo e che conducono a degli spostamenti e a delle
rimozioni. La riapparizione dei ricordi è allora legata al destino dei
destini pulsionali. L'autenticità delle scene dell'infanzia e la loro
ricostruzione hanno importanza per Freud nella misura in cui solo
l'analisi dei processi che le deformano permette di conoscere il
desiderio inconscio . In <<Ricordare, ripetere, elaborare>>
(1914g) egli designa come scopo del trattamento analitico il <<colmare
le lacune del ricordo>>, superando le resistenze della rimozione. Il
paziente deve ricordarsi certe esperienze vissute ed i movimenti
affettivi che esse hanno suscitato, dato che questa è l'unica maniera
in cui egli si persuade del fatto che la realtà apparente è in verità
<<il riflesso di un passato dimenticato>> (1920g). Ciò che viene
ricordato non è dato dagli avvenimenti o dai fatti in sé, ma dalla
loro elaborazione psichica. Freud parla generalmente di <<processi
psichici>>, quali ad esempio della sfida di un paziente durante
l'infanzia contro l'autorità dei genitori. E' esattamente qui che si
situa per lui anche la verità storica dei ricordi e non in una
riproduzione fedele alla verità dei fatti oggettivi. Freud celebra
come <<un trionfo della cura>> il fatto di giungere a liquidare
mediante un lavoro di rievocazione ciò che un paziente desidererebbe
scaricare con un'azione (1914g). Ma questo non riesce sempre dato che
spesso ciò che viene dimenticato e rimosso non è riprodotto sotto
forma di ricordo ma come azione. La coazione a ripetere sostituisce
l'impulso a ricordarsi ed il transfert diviene il luogo di tale
rinvio. La sua interpretazione porta allora al <<risveglio dei ricordi
che emergono in seguito, come da soli, una volta superate le
resistenze>> (pag. 135 edizione tedesca). Anni dopo Freud è diventato
più riservato in rapporto al risveglio dei ricordi, come egli scrive
in <<Costruzioni in analisi>>. Certamente, <<ciò che ci auguriamo è
un'immagine fedele degli anni dimenticati dal paziente, immagine
completa in tutte le sue parti essenziali>> (1937, pag. 44 edizione
tedesca), ma in numerosi casi bisognerebbe fermarsi a delle
costruzioni. Queste producono sicuramente una <<spinta del rimosso
verso l'alto>> che <<cerca di portare alla coscienza delle tracce mnesiche
significative>>, ma che spesso si eclissano. Il divenire conscio
allora non può che progredire fino alla <<convinzione
sicura del paziente della verità della costruzione>> (pag. 53 ediz.tedesca). Come dimostra questo riferimento alla teoria del
ricordare di Freud, i ricordi sono per lui il reinvestimento di tracce
mnesiche durevoli che devono essere considerate come delle copie di
processi psichici antichi. E' unicamente grazie all'eliminazione della
rimozione e grazie alla perlaborazione dei conflitti che il passato
può essere riprodotto, ma senza avere coscienza della reiscrizione del
fatto del controinvestimento nella coscienza (1920g, pag. 24 ediz.
tedesca; 1923b, pag. 247f ediz. tedesca).
Freud non ha mai unificato la sua teoria del ricordare. Accanto a
questa concezione dominante, si trovano altre concezioni e progetti
alternativi ai quali si legano degli ulteriori sviluppi.
1. Quando un ricordo viene
riprodotto grazie alla ripetizione sotto forma di azione, esso si
integra nel presente in un contesto significativo d'azione. Il presente
ha da questo fatto non solo la funzione di risvegliare il passato
dimenticato, ma esso costringe il fenomeno psichico dimenticato a
penetrare nella struttura situazionale presente, lo modella e
trasforma così il suo significato. L'esperienza passata viene
attivamente adattata al contesto dell'esperienza vissuta attuale. E'
per questo che Freud parla in certi momenti di un processo di
trasformazione dei ricordi. Nelle lettere a Fliess egli così scrive
che le tracce mnesiche conoscono di tanto in tanto <<una
risistemazione conseguente a nuove relazioni, una reiscrizione>>
(1985c, pag. 217 ediz. tedesca). Tale reiscrizione è il compimento
psichico di epoche di vita successive. Così, alla pubertà si formano
dei fantasmi sull'infanzia e delle tracce mnesiche sono allora
<<sottomesse a un processo di rimaneggiamento complesso>> (1909d, pag.
427 ediz. tedesca). In queste concezioni alternative, emerge una
comprensione moderna del ricordo in quanto costruzione determinata dal
presente.
2. Questa ipotesi di una
trasformazione ulteriore dei ricordi rinvia al concetto di "après-coup"
di Freud. A causa di un avvenimento terribile o inquietante che
sopravviene dopo l'epoca della maturazione sessuale, una scena
infantile più precoce a contenuto sessuale che inizialmente non poteva
essere integrata in un contesto significativo, trova 'après-coup' ed
in modo retroattivo un effetto traumatico. Le impressioni dell'epoca
presessuale ricevono allora <<in quanto ricordi, la loro potenzialità
traumatizzante>> (1895d, pag. 194 ediz. francese). Tale concezione
dell'"après-coup" è stata soprattutto allargata in una teoria propria
dell'"après-coup" nella psicoanalisi francese e si è vista attribuire
retroattivamente un nuovo significato. D'altronde il concetto è stato
staccato dal suo legame di causalità tra due scene della storia di
vita, separate nel tempo l'una dall'altra, e la successione nel tempo
è stata allargata in un <<legame in forma di rete>> (Green, 2002, pag.
36).
3. La <<colonizzazione del
passato>> da parte del presente nella teoria clinica attuale della
psicoanalisi
In questo
paragrafo, vorrei tracciare il destino del ricordare come fattore
curativo nell'evoluzione teorica della clinica, limitandomi tuttavia a
qualche posizione essenziale della corrente dominante tralasciando le
ramificazioni collaterali. Nella psicologia dell'Io il centro di
gravità del lavoro analitico si è pian piano spostato dal ricordare
gli avvenimenti della vita alla ricostruzione. Un avvenimento
dell'infanzia, significativo dal punto di vista psichico, forma, a
causa del suo legame ad un fantasma inconscio, un modello dinamico
complesso il quale nel corso dello sviluppo ulteriore andrà secondo i
casi ad essere riadattato e dunque trasformato. La ricostruzione tenta
di raggiungere, a partire dal materiale della seduta analitica, questo
modello ed i suoi rimaneggiamenti successivi per poter risalire nello
sviluppo fino all'avvenimento originario ed al fantasma che ad esso è
legato. La storia dell'azione reale di questo complesso dinamico è da
comprendere come una storia di causalità. Ricordare e ricostruire
hanno valore di prova terapeutica dato che possono essere messi in una
relazione di causa effetto direttamente con gli effetti psichici
durevoli dell'avvenimento (Kris, 1956; Arlow, 1991; Blum, 1994).
Questa
concezione dell'efficacia terapeutica del ricordare e del ricostruire
è destinata a vacillare enormemente con l'arrivo delle psicologie
della relazione oggettuale e con la svolta narrativa e costruttivista.
Seguendo la modalità di comprensione narratologica, non siamo mai a
contatto col ricordo effettivo, ma sempre unicamente con la sua
descrizione da parte del paziente. La verità dunque non è qualcosa di
nascosto da scoprire immediatamente, essa è sempre legata in una
narrazione che non trova valore di verità se non quando diviene
plausibile per il paziente e quando dei frammenti narrativi di vita
non legati ne traggono una significatività più coerente (Spence, 1982).
Nella relazione transferale, forme antiche dell'esperienza sono quasi
incorporate in un contesto narrativo. La chiarificazione storica non
può farsi mediante la scoperta di un passato, ciò equivarrebbe ad una
distruzione del presente. Il transfert non è per Roy Schafer (1983)
una macchina con cui risalire il tempo verso il passato (Freeman,
1984): esso è il risultato di un movimento necessariamente circolare.
Presente e passato si costruiscono reciprocamente. Come nel cerchio
ermeneutico, vediamo sempre il passato attraverso una comprensione
preliminare presente, a sua volta contrassegnata dal passato. Questa
concezione del ricordo fa scomparire dal campo visivo la
scoperta degli eventi reali. La verità storica è sostituita dalla
verità narrativa. Il quadro della realtà narrativa non può essere
abbandonato ed il riferimento al mondo del reale resta muto. Il
problema fondamentale di queste concezioni narratologiche o
costruttiviste della psicoanalisi risiede nel fatto che esse escludono
o oscurano il riferimento alla realtà posta dietro alla narrazione.
Nell'evoluzione
della tecnica analitica, l'indagine dell'interazione del transfert e
del controtransfert è così divenuta progressivamente il punto
principale della terapia. Percepire in modo sempre più fine i
microprocessi psichici e formularli così come si dipanano nella
dinamica della relazione terapeutica includerebbe anche il materiale
biografico emergente. Che i ricordi non possano essere compresi senza
il contesto in cui emergono, lo si sapeva da tempo. Ma ora noi vediamo
fino a qual punto l'emergenza dei ricordi è fortemente comandata da
una dinamica inconscia che si spiega nella relazione
transfero-controtransferale. Inoltre, l'analisi dei disturbi precoci
ha messo in luce come dei processi di scissione abbiano potuto
deformare e snaturare il materiale autobiografico. Così, quando la
triangolazione psichica è insufficiente, lo spazio psichico,
condizione preliminare perché una parola significativa sui ricordi sia
possibile, fa spesso difetto. Ciò è particolarmente sorprendente nella
psicoanalisi britannica, ed in particolare nella scuola kleiniana, in
cui l'attività terapeutica si è orientata verso un'analisi delle
relazioni oggettuali nel qui ed ora del transfert e del
controtransfert. Il paziente modella inconsciamente la relazione con
l'analista in modo tale che il suo mondo interno si trasferisce sotto
forma di situazione globale del passato verso il presente. Certo,
viene detto espressamente che il presente è una funzione del passato,
ma ciò che allora viene inteso è che il presente contiene più o meno
totalmente il passato e che questo si dispiega nel qui ed ora della
relazione analitica. Dal punto di vista della tecnica terapeutica, il
passato vi ha perduto ogni propria significatività. L'interpretazione
del transfert nel qui ed ora della situazione analitica concerne allo
stesso tempo il presente ed il passato. L'uno si fonde più o meno
nell'altro. Il fare appello in uno scopo di ricostruzione alla verità
storica fa sospettare un movimento difensivo. Se vi è ricostruzione,
essa ha come unico obiettivo quello di trasmettere al paziente un
sentimento della propria continuità e della sua individualità (Joseph,
1985; Rieseberg Malcolm, 1988; Birksted-Breen, 2004).
Alla fine di
questa breve trattazione, possiamo considerare che nella maggior parte
delle concezioni attuali del trattamento, il ricordare la storia della
vita e la ricostruzione della storia del paziente sono stati relegati
in una posizione marginale e che quindi essi possono essere
considerati dal punto di vista terapeutico come secondari. Sotto tale
angolazione, le recenti ricerche sulla memoria derivate dalle scienze
cognitive e dalle neuroscienze sembrano aver fornito dei risultati e
delle ipotesi che possono essere compresi come una conferma
proveniente dall'esterno. I modelli clinici che ne derivano partono
dall'idea che le relazioni oggettuali precoci reali si concretizzino
attraverso dei ricordi <<impliciti>> o <<procedurali>> (si veda
Sandler & Sandler, 1998) o sotto forma di <<oggetti di memoria
implicita>> (Pugh, 2002) nella memoria implicita non dichiarativa.
Essi influenzano il vissuto attuale ed il comportamento senza
rappresentare il passato attraverso dei ricordi accessibili
consciamente. Nel transfert, essi riemergono sotto forma di schemi
relazionali impliciti agiti (Stern et al., 1998). Per contro, i
ricordi autobiografici ed episodici sono immagazzinati nella memoria
dichiarativa. Mentre Freud era partito da un sistema di memoria
unificato, oggigiorno i modelli delle relazioni oggettuali o gli agiti
nel transfert ed i ricordi autobiografici sono localizzati in due tipi
di processi del ricordare fondamentalmente differenti. Il legame tra
ripetizione attraverso l'azione di antichi schemi relazionali nel qui
ed ora e ricordo della storia della vita sembra sfaldarsi notevolmente
(Fonagy, 1999, 2003; Gabbard & Westen, 2003). In questa prospettiva,
il cambiamento psichico avviene grazie all'interpretazione ed
all'influenza di modelli mentali delle relazioni oggettuali così come
si sono ancorati nella memoria implicita.
Il ricordo
dell'autobiografia diviene un puro epifenomeno. Ci si può chiedere a
proposito di queste nuove concezioni se esse buttino via il neonato
insieme all'acqua sporca, allorché esse dichiarano che il ricordare la
storia di vita e la possibilità di ricostruire la realtà storica
almeno in modo approssimativo non sono significativi sul piano
terapeutico. La psicoanalisi, un tempo consacrata alla rivelazione dei
ricordi infantili rimossi, corre il rischio di divenire una tecnica
terapeutica che maschera essa stessa la storia. Ciò che è accaduto
<<una volta e laggiù>> non si rivela né nel <<qui ed ora>> né nella
trasformazione del ricordare attraverso la dinamica della situazione
attuale. Nonostante tutte le attribuzioni di significato attraverso il
presente, il passato conserva un valore proprio. Anche se la teoria
freudiana della traccia mnesica è oggi passata di moda e anche se il
paragone metaforico del lavoro dell'analista con quello
dell'archeologo viene respinto in quanto inadeguato, tuttavia resta il
fatto che la metafora della traccia permette di ottenere un elemento
che trae la sua origine dal sapere clinico. La <<traccia>> lascia al
passato un fattore di autonomia di cui non tengono conto le moderne
teorie della ritrascrizione e della costruzione del ricordo. Da una
parte le promesse non mantenute dei progetti di vita abbandonati o i
messaggi enigmatici dell'altro (Laplanche, 1992) conferiscono un
valore ermeneutico proprio al passato, dall'altra i ricordi traumatici
possono avere un effetto perturbante e penetrare in modo intrusivo nel
contesto attuale della vita, senza essere questi due ambiti tra loro
collegati. Il trauma è un fatto grezzo che non può, nel momento in cui
è vissuto, essere integrato in una rete di significati poiché esso
trapassa da parte a parte la tessitura psichica. Ciò crea delle
condizioni particolari per il suo ricordo e per la sua integrazione 'après-coup'
in un momento presente in cui lo si risente. Esaminerò ora queste
differenti questioni cominciando con qualche sottolineatura
sistematica circa la comprensione moderna dei ricordi.
4. Ricordi
tra passato e presente. Risultati degli studi delle scienze cognitive
Le scienze
cognitive e le neuroscienze hanno effettuato nel corso degli
ultimi decenni delle scoperte fondamentali che hanno notevolmente
ampliato la nostra conoscenza sul funzionamento del cervello e l'hanno
anche rivoluzionata. I modelli di immagazzinamento topologico sono
stati sostituiti da una concezione molto più dinamica, più flessibile
del ricordare e della memoria. Oggi non partiamo più dall'idea che i
ricordi siano immagazzinati sotto forma di impressioni o di tracce
nella memoria, per essere in seguito riattivati attraverso il richiamo
e il ritorno alla coscienza. Il processo del ricordare implica
un'interazione molto più complessa tra le circostanze attuali della
vita, ciò di cui ci si aspetta di ricordarsi e ciò che si è
conservato del passato. Il cognitivista David Schacter scrive: <<Il
nostro cervello funziona in modo differente. Delle nostre esperienze
vissute noi filtriamo degli elementi-chiave, che sono i soli che noi
registriamo. In seguito noi rimodelliamo o ricostruiamo le nostre
esperienze anziché richiamare semplicemente delle copie. Nel processo
di ricostruzione s'infiltrano talora sentimenti, convinzioni o anche
informazioni che abbiamo acquisito dopo quel dato evento della vita.
In altre parole, noi deformiamo i nostri ricordi del passato nel senso
in cui noi attribuiamo loro delle emozioni o delle informazioni che
noi adattiamo a noi stessi nell'"après-coup">> (2001, pag. 21). Certi
autori traggono da questo fatto neuroscientifico della costruzione dei
ricordi la conclusione che la questione della verità nel senso della
corrispondenza tra ricordi ed eventi passati è divenuta obsoleta. I
ricordi sono considerati come delle costruzioni narrative le cui
lacune, che sono apparse come dimenticanze, sono colmate dalla
narrazione e producono un senso che corrisponde alla situazione
attuale dell'io. Tale concezione rischia anche di appiattire quasi del
tutto la differenza tra ricordare ed interpretare.
Un'analisi più
fine delle ricerche empiriche sulla memoria autobiografica non
supporta praticamente questa visione delle cose. Inoltre, si ha
l'impressione che qui non si distingua la genesi e la validità. Anche
se il cervello costruisce i ricordi, bisogna ancora separare il
processo di apparizione ed il risultato, pena il giungere ad una
conclusione erronea dal punto di vista genetico. Non si può rispondere
direttamente alla questione dell'esattezza e dell'attendibilità dei
ricordi autobiografici sulla base delle ricerche empiriche. Il
dibattito è diventato particolarmente esplosivo in seguito al
confronto scientifico e sociale riguardante i ricordi di abusi
sessuali. Loftus (1994) ha dimostrato coi suoi lavori che i ricordi
possono essere durevolmente influenzati dalla suggestione di
informazioni false. Altri studi sulla suggestionabilità hanno fornito
delle solide prove del fatto che i ricordi di avvenimenti reali
differiscono dai ricordi suggeriti sulla base di immagini molto più
variegate e dettagliate (Schacter, 2001). Shevrin (2001) sottolinea
che l'informazione erronea influenza sicuramente il racconto dei
ricordi, ma che essa non modifica necessariamente la stessa traccia
mnesica. In effetti delle esperienze dimostrano che i veri ricordi
lasciano una <<firma sensoriale>> che manca nel caso di falsi ricordi.
I soli studi
che hanno un interesse particolare per il nostro tema sono quelli che
dimostrano che l'esattezza di un ricordo è spesso in relazione diretta
con il movimento emotivo suscitato da un evento. L'intensità emotiva,
il significato personale come anche il livello di sorpresa ed il peso
delle conseguenze di un avvenimento sono dei fattori determinanti
decisivi. Le esperienze vissute in quanto tali possono essere
ricordate per lunghi periodi con una grande esattezza e in maniera più
dettagliata. Qui, l'intensità della rappresentazione visiva gioca un
ruolo centrale. Questi fattori influiscono ad un livello ancora più
forte sulla registrazione (nel caso) di esperienze traumatiche. I
rapporti tra evento e ricordo sono tuttavia ancora più complessi di
quanto lo siano nelle esperienze emotive non traumatiche. Il dibattito
a tal riguardo è ancora discordante. Un gruppo di argomenti sostiene
che i ricordi traumatici non possono essere in genere ricordati in
modo coerente. L'avvenimento verrebbe rappresentato nella memoria
implicita, e i ricordi espliciti mancherebbero perciò temporaneamente
come ad esempio in un'amnesia psicogena. Il suo sopravvenire è un
indice di esperienze traumatiche. I risultati degli studi empirici
invalidano ampiamente questi argomenti. Anzi, essi dimostrano che i
ricordi di eventi estremamente stressanti e traumatici sono per la
maggior parte molto dettagliati, molto presenti e, per quanto si possa
giudicare, ugualmente relativamente sicuri. Ciononostante, come per
altri ricordi, possono sopravvenire degli errori e, col tempo, dei
processi di oblio. Gli avvenimenti che comportano un'intensità
affettiva elevata provocano, da un punto di vista neurobiologico, una
valutazione subcorticale pre-attentiva delle eccitazioni entranti.
L'attivazione dell'amigdala causa un miglioramento della
memorizzazione. L'"arousal" molto intenso stimola il ricordo di
particolarità essenziali dell'avvenimento. Gli aspetti centrali
dell'evento e dell'esperienza sono meglio conservati, i dettagli che
non sono in relazione con il nucleo dell'avvenimento lo sono invece
molto meno. Il fattore decisivo è allora l'Io che, durante
l'avvenimento traumatico, deve almeno poter conservare la sua funzione
di osservazione. Laub e Auerhahn (1993) classificano i ricordi secondo
un continuum di distanza psicologica in rapporto al trauma. Nel caso
di traumi estremi, l'Io che osserva può anche crollare, restano
allora solo dei frammenti di ricordi lontani dall'io. Degli
avvenimenti traumatici possono ugualmente generare delle amnesie psicogene. Esse sono tuttavia meno frequenti di quanto non suppongano
certi studi. Allo stesso modo, dei ricordi rimossi o dissociati
possono riapparire ed essere verificati per conferma esterna. Ma si
trova anche il contrario, ossia dei ricordi riapparsi che non possono
essere confermati. Dopo i tre anni, i bambini si ricordano bene di
avvenimenti traumatici e le loro descrizioni degli elementi essenziali
sono in genere affidabili. Non posso affrontare qui la questione se si
possa supporre nel bambino una maggiore frequenza di amnesie dopo
esperienze estremamente stressanti. Sulla base di questi risultati di
ricerca, si può stilare un bilancio nel modo seguente. I ricordi
traumatici costituiscono un gruppo speciale di esperienze che sono
codificate in via preferenziale ed in genere in modo dettagliato, con
una grande accuratezza, e che sono conservate in modo durevole. Ma
essi non si distinguono fondamentalmente da altri processi di memoria
e si deve piuttosto considerare che i meccanismi della memoria
costituiscano un insieme di processi neurocognitivi nei quali il
dispiegarsi della codifica, del consolidamento e del richiamo sono
combinati in modo specifico (Volbert, 2004, pag. 138). Ciò significa
che l'immagazzinamento ed il richiamo delle esperienze traumatiche non
sono sottomessi al processo abituale della trascrizione e della
trasformazione dei ricordi in funzione della situazione attuale. Nel
caso dei ricordi traumatici, il presente può esercitare solo in
modo molto limitato la sua funzione di fonte ermeneutica a partire
dalla quale il passato viene percepito e strutturato.
5. Le teorie
psicoanalitiche del ricordo traumatico
I risultati
degli studi cognitivi e neurobiologici, che abbiamo appena esposto,
lasciano intendere che, in caso di esperienze traumatiche, non
possiamo in linea di principio considerare che esse siano trattate
altrimenti dalle esperienze non traumatiche, ma che tuttavia dobbiamo
aspettarci delle perturbazioni della loro registrazione oppure una compromissione
nello svolgersi dei processi psichici abituali. Quando degli
avvenimenti traumatici sono conservati nella memoria in modo
permanente, dettagliato e relativamente preciso, si tratta
allora soprattutto di ricordi di fatti, ma non ancora della
descrizione della realtà psichica dell'esperienza traumatica. Come
descrivere dal punto di vista psicoanalitico il nucleo interiore del
vissuto delle esperienze di terrore, di dolore, di perdita e di
angoscia di morte che sconvolgono il supposto equilibrio mentale ?
Quale ruolo giocano gli affetti, le operazioni difensive ed i fantasmi
inconsci che sono in gioco? Prima di affrontare questa questione più
da vicino, vorrei presentare brevemente i due principali modelli del
trauma che ci dà la teoria psicoanalitica e che serviranno da
fondamento per le ulteriori discussioni.
5.1 Il
modello psico-economico del trauma di Sigmund Freud
Freud ha
concepito nel 1895 il ricordo del trauma come un corpo estraneo nel
tessuto psichico, che vi svolge il suo effetto fino a perdere la sua
struttura di corpo estraneo attraverso un ricordo affettivo e l'abreazione
dell'affetto bloccato.
Egli ha
sviluppato questo modello in seguito secondo dei punti di vista
economici in <<Al di là del principio di piacere>> (1920g). Il
concetto di corpo estraneo vi compare come una quantità di eccitamento
che non può essere legata psichicamente, che sommerge l'Io e opera
un'effrazione nel sistema di para-eccitazione. La forza dell'assalto
delle quantità d'eccitamento è troppo grande per essere padroneggiata
e legata psichicamente. Per giungere tuttavia a compiere il suo
compito di legame psichico, l'apparato psichico regredisce verso
modalità di reazione più primitive. Freud introduce il concetto di
coazione a ripetere per descrivere la particolarità di questo vissuto
al di là della dinamica piacere-dispiacere. La coazione a ripetere
attualizza l'avvenimento traumatico nella speranza di legare
psichicamente l'eccitamento e rimettere in gioco il principio di
piacere e le modalità di reazione psichica che vi si collegano. Il
trauma non disturba questa economia libidica, ma minaccia l'integrità
del soggetto in modo radicale (Laplanche & Pontalis). In <<Inibizione,
sintomo e angoscia>> (1926d) Freud ritorna sul concetto di angoscia
automatica come lo ha sviluppato per le nevrosi attuali. A causa
dell'eccesso di eccitamento nella situazione traumatica fa la sua
comparsa un'angoscia massiva. Essa inonda l'Io che gli è esposto
senza protezione e lo rende assolutamente impotente ( hilflos
). L'angoscia automatica ha un carattere indeterminato ed è senza
oggetto. In un primo tentativo di padroneggiarla, l'Io tenta di
trasformare l'angoscia automatica in angoscia-segnale, cosa che ha per
effetto quello di trasformare l'impotenza assoluta in attesa.
L'attività interna che l'io allora svolge ripete <<una riproduzione
attenuata della situazione traumatica>>, <<nella speranza di poter
dirigerne lo svolgimento>> (1926d, pag. 200 ediz. tedesca). La
situazione di pericolo esterno viene così interiorizzata ed assume un
significato per l'Io. L'angoscia viene simbolizzata e non resta più
indeterminata e senza oggetto. Il trauma ottiene da ciò una struttura
ermeneutica e diviene gestibile. Baranger, Baranger e Mom (1988) hanno
sottolineato giustamente questo aspetto economico dell'angoscia
automatica come qualcosa di centrale per l'esperienza traumatica. Essi
chiamano <<trauma puro>> la situazione d'angoscia con la sua
indeterminazione psichica e la sua assenza d'oggetto. Il traumatizzato
cerca di dominare il trauma puro e di attenuarlo, dandogli un nome ed
inserendolo in un sistema di causalità comprensibile. Gli autori
parlano di un paradosso: il trauma è davvero intrusivo ed estraneo, ma
finché resta estraneo verrà rianimato e si infiltrerà nelle
ripetizioni senza poter essere compreso. Non potendo l'uomo, chiunque
sia, vivere senza una spiegazione, egli cerca di dare al trauma un
senso individuale e di storicizzarlo. Tali storicizzazioni 'après-coup'
sono il più delle volte dei ricordi di copertura. Il compito del
processo analitico è quello di riconoscere questi ricordi di copertura
come tali e di ricostruire la storia autentica, restando la
storicizzazione aperta nel futuro. Freud ha descritto più volte in
<<Inibizione, sintomo e angoscia>> l'impotenza vissuta dall'Io come la
conseguenza di una perdita d'oggetto. Se la madre manca, l'Io
infantile non è più nella stessa impotenza poiché può investire
l'immagine della madre. Nell'autentica situazione traumatica, non c'è
oggetto suscettibile di mancare. L'angoscia è la sola reazione (1926d,
pag. 203). Tale tipo di perdita totale degli oggetti protettori
interni è nel cuore del secondo modello del trauma.
5.2 Il
modello del trauma nella teoria delle relazioni oggettuali
Lo sviluppo
delle teorie della relazione oggettuale ha fatto respingere le
considerazioni quantitative sulla somma di eccitamenti intollerabili
che sommergono l'Io. Il modello paradigmatico non è più l'aver vissuto
una volta uno shock in quanto evento accidentale, ma la relazione
oggettuale.
Foto: Ferenczi
Ferenczi ha
anticipato delle concezioni che sono sopraggiunte dopo nella ricerca
sul trauma.
Foto:
M. Balint
Balint (1969) è
stato il primo a seguirlo su questa via. Egli sottolinea che la
qualità traumatogena di una situazione dipende dall'esistenza di una
relazione intensa tra il bambino e l'oggetto. La relazione oggettuale
si vede così attribuire un carattere traumatico. Come gli studi
ulteriori (Steele, 1994) lo confermeranno, non sono in prima linea le
ferite del bambino da parte della violenza fisica che provocano un
disturbo traumatico, ma l'elemento patogeno più forte è il
maltrattamento o l'abuso da parte della persona di cui si ha bisogno
per essere protetto e curato. Questa prospettiva amplia la
comprensione della realtà psichica in una situazione traumatica. Più
il trauma è massivo, più la relazione oggettuale interna è
danneggiata, ma anche più la comunicazione interna tra le
rappresentazioni del sé e dell'oggetto, che protegge ed assicura la
sicurezza, crolla. Ne conseguono delle isole di esperienza traumatica
che sono isolate dalla comunicazione interna.
Questo
tentativo di teorizzazione del trauma a partire dalla relazione
oggettuale si è potuto sviluppare a partire dalle ricerche sui traumi
estremi, come quelli che sono stati subiti durante l'Olocausto. Una
conseguenza psichica centrale di questo tipo di esperienze è stato il
crollo del processo empatico. La diade di comunicazione tra il sé ed i
suoi oggetti buoni interni si rompe e ciò determina una solitudine
interna assoluta ed una disperazione estrema. L'oggetto buono interno
si mette a tacere in quanto mediatore empatico tra il Sé e l'ambiente,
e la fiducia nella presenza continua dei buoni oggetti e l'attesa di
un'empatia solidale vengono distrutti. Questa concezione ci permette
di meglio raggiungere il cuore dell'esperienza vissuta nei traumi
massivi. Esso consiste in una zona d'esperienza a malapena
comunicabile: una solitudine catastrofica, una rinuncia interna in cui
il sé non è solo paralizzato nelle sue possibilità d'azione, ma
annichilito, accompagnato da angoscia di morte, da odio, da vergogna e
da disperazione. Oppure, come lo formula Sue Grand (2000): ne deriva
una zona morta, quasi autistica, di non-Sé senza la presenza di un
Altro empatico.
Le concezioni
derivate dalle teorie della relazione oggettuale rappresentano un
grande progresso per la comprensione del trauma. Tuttavia abbiamo
bisogno dei due modelli, il modello della teoria della relazione
oggettuale così come quello economico per concettualizzare
l'esperienza traumatica massiva che mina il fondamento della capacità
di sperare distruggendo la fiducia nel mondo circostante, con
l'intermediazione dei simboli, che ci lega ad un livello preconscio.
Da questa angolazione, il trauma rappresenta un problema per tutte le
teorie ermeneutico-narrative e costruttiviste. Dato che esse non
possono più comprendere il crollo del processo di costruzione stesso
che ci permette di generare dei significati. L'elemento distruttore,
la violenza traumatizzante diretta resta un <<troppo>>, un eccesso
massivo che passa da parte a parte attraverso la struttura psichica e
non può essere legato attraverso la significazione.
6.
L'ingombro dei ricordi traumatici: il problema della ricostruzione,
della narrazione e dell'integrazione psichica
Ho tratto dagli
studi di psicologia cognitiva la conclusione che il materiale
traumatico si fosse certamente modificato in rapporto al materiale non
traumatico, ma che la sua codifica ed il suo richiamo non si
effettuassero in modo completamente differente. Prima di studiare più
da vicino tali fatti dal punto di vista psicoanalitico, vorrei
presentare una concezione del trauma che, a partire dal <<troppo>> di
un eccitamento eccessivo, suppone un'altra traduzione delle esperienze
traumatiche. Van der Kolk e collaboratori (1996) sulla base delle loro
ricerche giungono all'ipotesi di una memoria specifica del trauma
nella quale i ricordi traumatici sono conservati in modo differente
rispetto alla memoria autobiografica esplicita. L'eccitamento estremo
divide il ricordo in differenti elementi somato-sensoriali isolati, in
immagini, in stati affettivi, in impressioni somatiche così come in
odori ed in rumori. Van der Kolk formula l'ipotesi che questi ricordi
impliciti concordano con l'esperienza effettiva, ma che sotto tale
forma non possono ancora essere integrati in un ricordare narrativo.
Il risultato è un contenuto non simbolico, fisso e non modificabile
dei ricordi traumatici dato che il sé, in quanto autore
dell'esperienza, è sconnesso al momento dell'esperienza traumatica.
L'essenza di questa concezione è che il trauma è per così dire inciso
nella memoria con un'esattezza atemporale ed al contempo letterale.
Tale esattezza non modificabile del ricordo sembra provare l'esistenza
di una verità storica che non è modificata né rimodellata da un senso
soggettivo, da schemi cognitivi o da aspettative o fantasmi inconsci.
Il valore simbolico per l'autobiografia viene eliminato e, secondo la
constatazione di Ruth Leys, una base di causalità meccanica si
manifesta in molte delle teorie attuali sul trauma (2000, pag. 7). Si
può obiettare in modo critico a questo modello della memoria del
trauma che eventi stressanti, significativi sul piano emotivo, sono in
genere conservati in modo durevole e possono essere richiamati in modo
esplicito, pur non essendo contestabile che esistano delle amnesie
psicogene. Anche se la tesi di una memoria particolare del trauma è
ugualmente ripresa da certi analisti, tuttavia essa produce una serie
di ipotesi a malapena sostenibili dal punto di vista psicoanalitico.
Certo, si può affermare che un eccitamento eccessivo nella situazione
traumatica disconnetta le funzioni integrative della memoria provocando
una dissociazione del Sé con depersonalizzazione e derealizzazione. Si
producono spesso ugualmente delle modificazioni della coscienza, dei
ricordi traumatici emergono improvvisamente nella coscienza quando
questo Sé incapsulato viene attivato. Ma queste intrusioni non sono
delle pure ripetizioni poiché i 'flash-backs' possono essere colorati
dalle influenze sociali esterne. A tal proposito Lansky (1995) ha
mostrato che degli incubi post-traumatici cronici non riproducono solo
dei ricordi caricati d'affetto e che essi non sono solo delle
ripetizioni visive delle scene traumatiche, ma che questi sogni
subiscono anch'essi il lavoro onirico.
Questi stati di
fatto confermano la tesi, fondata dal punto di vista psicoanalitico,
secondo la quale le esperienze traumatiche ed il loro ricordo sono
certamente sottomesse a delle restrizioni e a delle operazioni
psicodinamiche specifiche, ma che non sono completamente escluse dal
flusso del resto della dinamica psichica e da un rimodellamento da
parte dei fantasmi consci ed inconsci.
Come l'abbiamo
presentato, Freud definisce già il trauma psichico non come un vissuto
del tutto differente rispetto alle caratteristiche generali dello
psichico, ma come una sorta di <<dentro-fuori>> che si è formato come
un <<palo nella carne>> (Laplanche, 1970). Freud qualifica questo
materiale come un corpo estraneo nella struttura psichica, ma ne
riduce la portata della metafora: <<L'organizzazione patogena non
agisce realmente come un corpo estraneo, ma piuttosto come un
infiltrato ... La terapia non consiste nell'estirpare qualcosa, cosa
che la psicoterapia non saprebbe realizzare oggi, ma si sforza di far
dileguare la resistenza per aprire alla circolazione la via fino ad
allora sbarrata>> (1895d, pag. 295 ediz. tedesca).
I ricordi
traumatici sviluppano una dinamica propria. In quanto <<dentro>>
incapsulato, essi sfuggono ad un adattamento attraverso dei legami
associativi a causa di nuove esperienze o mediante rimozione. Queste
trasformazioni si producono solo in modo molto limitato oppure non
hanno effetto, dato che questi ambiti incapsulati, simili a corpo
estraneo, presentano qualche caratteristica specifica. Ne vorrei
citare tre, ma anche sottolineare allo stesso tempo che non posso qui
fornire una descrizione completa della fenomenologia o della
sintomatologia degli stati traumatici. Solo certe operazioni psichiche
specifiche qui mi interessano.
Troviamo spesso
una regressione ad una modalità di pensiero onnipotente come difesa
contro l'impotenza ( Hilflosigkeit ) intollerabile. Quando il
traumatizzato si attribuisce la colpa di ciò che è accaduto, il
sentimento di essere esposto passivamente si trova trasformato in
un'attività propria che è stata la causa di ciò che è avvenuto. Può
anche darsi che al momento dell'evento traumatico emerga un fantasma
rimosso che esisteva da lungo tempo, una convinzione interiore o una
rappresentazione centrale di angoscia, e che si fondano al materiale
traumatico dell'effrazione. Ciò fa nascere allora delle
convinzioni scisse o dei ricordi di copertura.
L'attività
psichica paralizzata del Sé traumatizzato provoca il gelo del senso
psichico del tempo e produce una immobilizzazione interiore del tempo.
La descrizione che spesso ritorna è la sensazione che una parte del Sé
è fuori gioco, e che resta più o meno identica a se stessa dato che
non può essere esposta alla vita. Ciò che si dice anche <<essere da
parte>>, o avere una <<esistenza tratteggiata>>. Langer evoca uno
stato di perseveranza chiusa in se stessa che <<non può sfuggire dal
pezzo sigillato di quell'istante>> (1995). Altri evocano semplicemente
il fatto che il loro orologio vitale è rimasto bloccato sull'istante
del trauma. Nella situazione traumatica, la persona coinvolta non può
più mantenere le frontiere tra se stesso e l'Altro. L'eccitamento
debordante e l'angoscia estrema fanno crollare il sentimento di sé e
provocano una fusione del sé e dell'oggetto come nodo dell'esperienza
traumatica che è difficilmente solubile e che danneggia in modo
durevole il sentimento dell'identità personale.
Non posso
continuare a descrivere queste operazioni psichiche nelle zone scisse
indotte dal trauma. Esse mi servono a rendere concreto ciò che si
intende per elaborazione psichica dei ricordi traumatici. Prendo qui
una posizione tra le concezioni polarizzate dei ricercatori empirici
sul trauma, che suppongono una replica esatta dell'episodio traumatico
nella memoria, e le concezioni di coloro che non vogliono comprendere
il trauma se non nel quadro del funzionamento generale della realtà
psichica. Nessuna di queste posizioni opposte mi sembra sostenibile
nella propria esclusività. Se tuttavia dobbiamo partire da una
elaborazione specifica dei ricordi traumatici, allora la questione che
si pone è di sapere se una ricostruzione terapeutica degli eventi
traumatici è possibile e necessaria. I ricordi traumatici sono spesso
attivati nel corso del trattamento analitico attraverso dei passaggi
all'atto nella relazione transferale. La scoperta della realtà del
trauma e degli affetti corrispondenti, ossia la sua storicizzazione, è
la condizione preliminare per poter chiarire e rendere comprensibile
il suo trattamento successivo ed il suo rimodellamento attraverso dei
fantasmi inconsci e dei significati che contengono dei sentimenti di
colpa e delle tendenze alla punizione. E' così che fantasma e realtà
traumatica vengono sciolti e l'Io ottiene un quadro di comprensione
liberatore. Storicizzazione significa anche riconoscimento del fatto
traumatico, comprensione del vissuto individuale e delle conseguenze
generate a lungo termine. Quando si giunge a questo tipo di
interpretazione e di ricostruzione, ne conseguono spesso dei
miglioramenti sorprendenti dello stato dei pazienti; essi parlano
allora di una sensazione di integrazione psichica, segno che indica
una ristrutturazione dell'organizzazione del Sé. Se una parte
incapsulata del sé traumatizzato ridiventa permeabile, essa può allora
essere meglio legata associativamente. Una ricostruzione inesatta è
destinata, al contrario, a restare senza effetto anche se appare
sensata. Come accade questo? Una ricostruzione deve concordare con la
realtà generata dal trauma. E' necessario riconoscere ciò che è stato
subito, verbalizzare i ricordi di copertura e le convinzioni scisse e
comprenderle, e interpretarle in collegamento con l'episodio
traumatico. L'interpretazione deve comprendere gli elementi che erano
già presenti nell'esperienza traumatica o che le erano inerenti,
insieme al senso successivamente acquisito. Se d'altronde nel corso
della terapia il transfert ed il contro-transfert non sono analizzati
se non nel qui ed ora della situazione analitica e se non nella misura
in cui ne consegua un racconto sensato senza la ricostruzione della
realtà che ha provocato il trauma, allora questi racconti rischiano di
non delimitare il fantasma dalla realtà e nel peggiore dei casi di
ritraumatizzare il paziente.
7. La
rappresentazione dei ricordi traumatici: memoria generativa e memoria
collettiva
I <<disastri
causati dall'uomo>> ( man made disasters ), i <<disastri per
mano dell'uomo>>, come l'Olocausto, le guerre, le persecuzioni
politiche ed etniche, mirano attraverso le loro forme di
disumanizzazione e di distruzione della personalità all'annichilimento
dell'esistenza storico-sociale dell'uomo. L'individuo non può
integrare mediante un atto idiosincratico tali esperienze traumatiche
in un contesto narrativo, egli ha bisogno di un discorso comunitario
sulla verità storica dell'episodio traumatico così come sul diniego e
sulle difese suscitate. La chiarificazione scientifica ed un
riconoscimento collettivo della causa e della colpa permettono di
restituire il quadro interumano e quindi la possibilità di liberare
senza censura l'esperienza di ciò che è già accaduto nella realtà. E'
solo in questo modo che la comprensione di sé e del mondo può essere
rigenerata. Se regnano nella società delle tendenze difensive o
esistono delle ingiunzioni al silenzio, i sopravvissuti traumatizzati
restano soli con le loro esperienze. Al posto di trovare un sostegno
nella comprensione degli altri, la colpa personale domina in essi come
principio esplicativo.
La società
russa e l'assenza di confronto sociale col terrore staliniano ne
forniscono un esempio attuale (Merridale, 2001; Solojed, 2006). A
causa dell'assenza di un quadro collettivo favorente questo confronto,
e a causa dell'assenza di strutture, di punti di repere che potrebbero
assicurare la discussione, numerose vittime credono sempre nella
propria colpa e non possono ad esempio comprendere ciò che significa
una politica di epurazione. I traumatizzati sono non solo vittime di
una realtà politica distruttiva, ma ne sono al contempo i testimoni.
Essi cadono spesso in una situazione tale per cui nessuna persona
vuole intendere la loro testimonianza, poiché questi uditori non
vogliono subire il peso dei sentimenti d'angoscia e di dolore, di
rabbia e di vergogna o poiché hanno paura dei rimorsi di colpevolezza.
Lo storico Friedhelm Boll (2003) ha dimostrato, a partire da
interviste dei sopravvissuti dell'Olocausto e di vittime politiche del
nazional-socialismo e dello stalinismo, che, di fronte a dei
traumatizzati, si viene troppo in fretta a presentarne il carattere di
indicibilità, cosa che non è altro che una giustificazione, una
razionalizzazione in cui la volontà di non intendere il contesto si
poggia sulla volontà di non parlare dei perseguitati. E' per questo
che le frontiere del dicibile hanno sempre a che vedere con le
restrizioni della società, con le reinterpretazioni e con i tabù. La
sofferenza indicibile, insopportabile e opprimente nella sua assurdità
esiste, ed il traumatizzato non vuole essere messo a confronto di
nuovo con delle pressioni estreme nel raccontarla. L'indicibile esiste
anche perché l'esperienza traumatica vissuta e ricordata non può
essere costretta a entrare in una struttura narrativa che falserebbe
il cuore e la verità dell'esperienza. Vorrei in conclusione spiegare
questo tessuto relazionale complesso tra ricordi collettivi e ricordi
individuali di avvenimenti traumatici a partire dall'esempio
dell'Olocausto e della seconda guerra mondiale.
L'Olocausto si
trova finora al centro della cultura della memoria in numerose
società. Le dimensioni di tale genocidio perpetrato contro gli ebrei
hanno fatto esplodere i modelli usuali di comprensione e di
interpretazione del ricordo, della memoria e del riconoscimento
storico. Una memoria continuamente assalita da crimini mostruosi, una
sofferenza incommensurabile, un orrore senza nome e una inesorabile
macchina distruttrice, funzionante in modo industriale, sono ancora
oggi una sfida per la cultura della memoria. E' per questo che noi ci
sforziamo ancora oggi di spiegare il nazional-socialismo con la sua
distruttività radicale, e di raggiungere esattamente il suo nucleo
criminale e le dimensioni del genocidio. Saul
Friedländer (1997)
ed altri hanno sottolineato il paradosso che il posto centrale
di Auschwitz nella coscienza storica è oggi molto più distinto di
quanto non lo fosse qualche decennio fa. Lo storico Nicolas Berg
(2003) dice che l'effetto provocato su dei decenni dalla potenza
estrema di ciò che è accaduto <<è stato l'autentico maestro che ha
lentamente e retrospettivamente permesso di chiarificare
l'avvenimento>> (2003, pag. 10). Una tale visione del lavoro della
storia ( Wirkungsgeschichte ) è vicina alla comprensione
psicoanalitica del trauma, specie alla scoperta 'après-coup' del suo
senso e della sua storicizzazione. Diversi storici si sono d'altronde
pronunciati perché il concetto di trauma sia integrato nella teoria
della storia. Si pone allora per essi la questione di sapere come
descrivere in modo appropriato l'autentica esperienza collettiva
perché l'orrore dell'esperienza, ed il fatto scioccante, brutale,
insensato del trauma non sia sottomesso a delle categorie storiche
esplicative in cui scompaia il carattere traumatico dell'evento. Come
scrive Jörn
Rüsen: l'Olocausto << va a distruggere le concezioni
permettendo di interpretare quando esse si riferiscono
esistenzialmente allo strato profondo della soggettività umana in cui
si radica l'identità ... Questo problema è difficilmente sopportabile.
E pertanto è necessario che divenga un elemento della cultura storica
se non si vuole che questa si situi sotto la soglia d'esperienza che
annovera oggettivamente l'Olocausto in un ritorno della memoria
sull'esperienza del passato ...>> (2001, pag. 214). Ciò che
Rüsen qui
sottolinea è la necessità di ritornare al ricordo individuale
del testimone per non perdere il carattere catastrofico e traumatico
dell'esperienza nella descrizione e nella categorizzazione storica.
Una volta scomparsi gli ultimi testimoni, è la rappresentazione, il
ricordo della storia delle loro persecuzioni e delle loro sofferenze
che prenderà il loro posto, anche se l'insopportabile dell'esperienza
primaria traumatica dei sopravvissuti non riuscirebbe ad essere
trasferita nella memoria di coloro che non sono stati coinvolti.
In Germania,
non ci siamo potuti accontentare solo di mantenere vivo il ricordo
delle vittime e dei crimini che essi avevano subito, bisognava anche
che includessimo nella memoria i crimini commessi di cui bisognava
rispondere al pari dei loro autori. Gli storici parlano a tal
proposito di <<ricordo negativo>> (Knigge & Frey, 2002). Il ricordo e
la difesa che esso genera come anche la questione della colpa e della
responsabilità ed il loro diniego hanno così instaurato una dinamica
transgenerazionale specifica nella società tedesca che ha conferito al
concetto di generazione un significato particolare come categoria di
memoria (Jureit & Wildt, 2005). La strategia predominante di ricordo
della generazione i cui membri erano stati coinvolti, come attori
attivi o come simpatizzanti o fanatici del nazional-socialismo, è
stata quella in generale di negare la loro propria partecipazione. Ci
si fece vittime di Hitler e di un piccolo gruppo di partigiani e di
esecutori fanatici. Le sofferenze delle vere vittime, per quanto esse
erano percepite, venivano contabilizzate assieme ai propri gruppi di
vittime, con i prigionieri di guerra, i feriti di guerra, i rifugiati
e gli espulsi. Alexander e Margarete Mitscherlich hanno descritto nel
1967 nel loro celebre studio <<Il lutto impossibile>> le patologie
della memoria della società tedesca del dopo guerra. Esse comprendono
questa difesa contro il ricordo dei crimini e degli orrori passati
come un'auto-protezione per difendersi da una depressione che si
sarebbe necessariamente stabilita se i Tedeschi si fossero confrontati
con il loro legame con Hitler e col peso della loro colpa. Il
narcisismo con l'onnipotenza del suo comportamento e gli ideali del
nazional-socialismo avevano escluso dal Sé e distrutto qualsiasi
umanità e capacità di empatia per le vittime. La terapia di questa
patologia risiedeva per questi autori in un lavoro di lutto che essi
concepivano al pari di Freud come un lavoro di ricordo che si deve
fare al servizio dell'elaborazione della colpa. Il punto essenziale
dell'analisi dei Mitscherlich riguardava la patologia dell'Io Ideale e
del Super-Io. Ma dalla presentazione dei loro casi traspariva un testo
soggiacente che fa emergere altre condizioni di questa patologia
collettiva. Così si può oggi svelare in certe sintomatologie dei
pazienti dei Mitscherlich un disturbo post-traumatico. La
ricostruzione rapida della società tedesca e il suo successo negli
anni cinquanta e sessanta non risiedevano solo sulla rimozione della
colpa, ma anche su una tendenza di fondo che si era formata attraverso
l'utilizzazione estrema della violenza e attraverso l'esperienza
traumatizzante della violenza, attraverso le ripercussioni della
guerra, i bombardamenti, l'esodo. Giungiamo qui ad una relazione
complessa tra crimini, guerra, colpa, trauma e ricordo. Come noi oggi
sappiamo, il gelo dei sentimenti, la derealizzazione del passato e la
rimozione delle proprie azioni sono alterati così come le conseguenze
dirette dei traumi e la capacità di confrontarsi col passato. Il
problema morale della difesa contro la colpa è legato qui ad una
patologia della memoria di origine traumatica. La coscienza
apologetica di essere vittime, che i membri della generazione degli
attori si sono creati 'après-coup', era alimentata da due fonti: la
difesa contro la colpa e le esperienze traumatiche. La generazione
seguente è cresciuta all'ombra di queste menzogne vitali dei loro
genitori che si definivano come vittime. Il silenzio sulla loro
propria partecipazione e le lacune nelle biografie familiari avevano
generato nei figli un'impressione nebulosa e parzialmente deformata
della realtà. Inoltre la riflessione protettrice verso se stessi
contro la quale si difendevano dai genitori ha impedito loro di
confrontarsi con gli ideali nazisti e coi valori a cui essi (i
genitori) avevano aderito. Molti si assicurarono della loro validità
attraverso la strumentalizzazione narcisistica dei loro figli in cui
ogni posizione differente era combattuta in modo aggressivo. Il
confronto di questa seconda generazione con i propri genitori fece
apparire un modello specifico di <<memoria scissa>> (Domansky, 1993)
che è importante per comprendere l'evoluzione ulteriore. Agli occhi
dei figli, i padri erano più o meno sospettabili globalmente di
colpevolezza. Per opposizione e contro-identificazione, i figli si
volsero verso le vittime di questa generazione di padri ed autori.
Molti si sono impegnati in progetti politici e scientifici che si
davano come compito quello di investigare e ricostruire la storia ed
il ruolo delle vittime. Ma spesso il confrontarsi pubblico con la
generazione dei genitori si fermava alla soglia della casa della
propria famiglia. Certo, il silenzio ed il diniego sarebbero stati
rotti sul piano dell'insieme della società, ma proseguiva a livello
individuale. Ciò appariva troppo doloroso o troppo legato a delle
angosce catastrofiche per osare spingersi oltre. Come hanno dimostrato i
trattamenti psicoanalitici dei membri di questa generazione, il loro
attaccamento emotivo inconscio alla rappresentazioni genitoriali della
loro infanzia ha tante volte resistito a qualsiasi confronto ulteriore
con il coinvolgimento dei genitori nel nazismo. La rappresentazione
era spesso scissa in un'immagine paterna idealizzata della prima
infanzia ed in un'immagine del padre compromesso, che aveva assistito
o aveva egli stesso partecipato a dei crimini. Anche se le
identificazioni del loro Io e la loro posizione conscia li avevano
notevolmente allontanati dal mondo dei loro padri, non potevano
togliere questa scissione dall'immagine paterna. L'attaccamento
positivo persisteva nell'inconscio, generando un conflitto di lealtà
che li portava a non mettere in discussione i tabù paterni, ma a
rispettarli. Così, spesso lo sforzo per conoscere la verità e scoprire
la storia messa a tacere e negata si mescolava a dei processi
simultanei di difesa. L'Io era così sempre riesposto al pericolo di
divenire inconsciamente complice dei genitori e delle loro posizioni.
Reperire questa
costellazione psichica ed elaborarla è stato per i membri di questa
generazione un processo estremamente doloroso che ha potuto tuttavia
in numerosi casi aprire o risolvere l'aggrappamento emotivo ai
genitori ed instaurare una distanza grazie ad un modo di vedere le
cose più indipendente. Questo distacco è stato reso possibile e
facilitato dal fatto che i tabù, i miti e le leggende sui crimini e
sui loro autori siano stati simultaneamente rilevati ed elaborati
nell'insieme della società. Difesa e ricordo sono continuamente
riapparsi intricati. Come in una spirale ascendente,
bisognerebbe continuamente aiutare la realtà ed il suo richiamo nella
memoria a ottenere giustizia. Nel corso di questa evoluzione, la
delimitazione rigida tra ricordo pubblico e ricordo familiare è
diventata più permeabile. Dagli anni novanta, delle discussioni coi
membri ancora viventi della generazione dei genitori e delle ricerche
sul loro coinvolgimento colpevole hanno fatto nascere dei numerosi
documenti-ricordi ed anche delle elaborazioni letterarie delle storie
familiari. Ma in numerosi casi la chiarificazione e la ricostruzione
non sono riusciti ancora ad essere che molto frammentarie poiché era
impossibile rompere il silenzio dei genitori oppure perché i figli
sono giunti troppo tardi alla chiarificazione quando i loro genitori
erano già morti. I segreti di famiglia non potevano allora più essere
svelati. Nicolas Abraham (1978) parla in questo caso di un fantasma
che si può annidare nelle lacune della memoria familiare e proseguire
il suo effetto inconsciamente. Anche se questo stato di cose ha
modeste conseguenze patologiche, numerosi membri della seconda
generazione devono vivere con un'ambivalenza impossibile da eliminare,
ossia riguardante la questione se ed in quale misura i loro genitori
siano stati coinvolti nel nazismo e nei suoi crimini. La terza
generazione è sul punto di definirsi lungo questa scia. Essa ha uno
sguardo personale su ciò che è accaduto e sul coinvolgimento
familiare. Tuttavia ritroviamo gli stessi conflitti di lealtà, anche
se in una forma attenuata.
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