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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria". N.10, anno V, giugno 2008.

    "FRA-I-DUE, O LA VERGOGNA VINTA DALLA COLLERA"

 

di Guy Dana

 

 Questo testo è stato presentato dall'autore al convegno internazionale "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" (Lecce, 5 aprile 2008). Guy Dana è psicoanalista e psichiatra direttore del settore 91G06 di Parigi.

Foto: Guy Dana nel corso della sua relazione nell'ambito della tavola rotonda "La Honte/La Vergogna e il transfert" ( convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" - Lecce, 5 aprile 2008).

 

 

 

 


 

 

 

 

         

 



 

 

Esprimendosi sull’oggetto a partire dalla clinica della malinconia, Freud scrive che in un tale contesto, “L’ombra dell’oggetto cade sull’Io”.

E’ questa nozione d’ombra che, trattandosi della vergogna, può interessarci, perché contiene l’idea di un involucro, di un’ombra, di un accesso non immediato all’oggetto, o ancora l’idea di un doppio fondo.

Se infatti ci mettiamo dal lato dell’Io, possiamo trovare questa nozione di involucro, in parallelo alla concezione di Lacan dell’Io come luogo elettivo delle resistenze. In questo luogo, la metafora embriologica utilizzata da Freud illustra felicemente la costruzione della psiche.

 

Insomma, gli involucri proteggono, anche se a volte in eccesso; quello che è paradossale nella vergogna - Freud lo dice espressamente - , è che la vergogna stessa partecipa alla costruzione degli involucri.

Dal momento che, secondo la formula di Lacan, l’angoscia non è senza oggetto, potremmo sostenere, grazie a una parafrasi, che “la vergogna non è senza soggetto”, a condizione comunque che ciò sia possibile: Così il bambino - a cui la questione del soggetto non si pone che a partire da una certa età - non conosce la vergogna.

 

Freud commenta nell’Interpretazione dei sogni: << Questa infanzia che ignora la vergogna ci appare come un paradiso quando più tardi uno si guarda indietro, e il paradiso stesso non è nient’altro che la fantasia di massa relativa all’infanzia dell’individuo. E’ la ragione per cui, in paradiso, gli esseri umani sono nudi e non hanno vergogna l’uno dell’altro, fino al momento in cui la vergogna e l’angoscia si risvegliano, si produce un’esplosione, la vita sessuale e il lavoro culturale cominciano.>>

 

La vergogna non solamente protegge partecipando al lavoro di civilizzazione che è necessario al soggetto - e si tratta tutto sommato di una resistenza costruita -, ma al contrario, la vergogna può anche comparire bruscamente, fissare, cioè pietrificare, il soggetto quando quest’ultimo si trova in assenza dei suoi involucri, inondato da essa.

Ritroviamo allora un’altra definizione, più filosofica, della vergogna, quella di Levinas: La vergogna come eccesso dell’essere!

 

Inversamente, la problematica dell’essere sarà, tra i cavalli di battaglia di Lacan, una questione di primo ordine, nel senso che per Lacan, la problematica dell’essere si riassorbe, dal momento che il linguaggio - nello stesso tempo habitat e rappresentante del soggetto - entra in gioco, come pure la categoria del desiderio.

Altre coordinate vengono a “provarsi” a partire da questo eccesso d’essere di cui parla Levinas. Cercherò di sviluppare in questo senso la problematica, attraverso un caso clinico.

 

Mi sono ritrovato, qualche anno fa, di fronte a una situazione analitica delicata, una situazione difficile da trattare e della quale non è facile parlare; come sempre, bisogna fare attenzione a non concludere troppo in fretta. Partirò da una lettera che Freud ha scritto a Lou Andréas Salomé nel 1915; in questa lettera , si trova una frase emblematica sul lavoro analitico, lavoro che Freud descrive in termini, tutto sommato, abbastanza semplici; si tratta - dice -  di separare e di organizzare quello che altrimenti si perderebbe in un “bollito originario” (sono proprio i termini utilizzati da Freud).

Questa formula fa valere per antifrase o per metonimia il valore dello scarto, sottolinea il “fra-i-due”, e questo “fra-i-due”, questo intervallo è, secondo Freud, quello che è importante all’interno del metodo.

Possiamo anche ricordare la nozione di dritte Person (Il motto di spirito) che evoca questa volta un interlocutore nello stesso tempo presente e assente, terzo referenziale piuttosto che reale, ma sempre “fra-i-due”!!

Infine, prendendo le cose questa volta dal punto di vista della logica, la differenza fra i significanti costituisce uno dei principi fondamentali su cui si sostiene il metodo; in altre parole, i significanti operano a partire della differenza che esiste fra di loro; è il principio del simbolico che concretizza l’idea di separare e di organizzare.

Contrariamente, il simbolo è l’unione di due parti distinte.

In questa analisi, difficile da condurre, bisognava - lo riassumo così - bisognava salvare, salvaguardare, ricreare due elementi che, riprendendo il filo di quello che vi ho appena detto, si sono trovati improvvisamente in collisione, in amalgama, in una fusione pericolosa.

 

Bisognava quindi salvare - vi dico le cose cosi’, semplificandole -  bisognava salvare, preservare, ricostruire in questa persona la capacità di amare, e secondariamente, bisognava ricostruire il piacere del lavoro analitico, l’analisi in quanto tale, poiché questa infermiera di formazione s’era in seguito orientata verso la sofrologia e si dava solo adesso all’analisi!

Da notare che il corpo, per lei, ha sempre avuto una certa importanza, e la sua prima orientazione didattica è stata la psicosomatica.

Quando ho incontrato per la prima volta questa paziente, questi due elementi - l’attitudine a amare e il gusto del lavoro analitico - erano come sotterrati sotto la vergogna.

Mi sembra a questo punto interessante ricordare che Freud riassume le finalità dell’analisi nell’amare e nel lavorare!

Per riuscire - uno dei punti sui quali vorrei insistere - mi sono servito della collera per guarire dalla vergogna. Winnicott è su questo punto un sostegno indispensabile, quando ci suggerisce di sopportare nel transfert l’aggressività che noi analisti suscitiamo e che può nascere all’interno della cura.

Foto: D.W. Winnicott

La collera come involucro ricoprirà in questo caso, una vergogna subita.

Questa analizzanda - che come vi ho detto è una collega - è passata per diverse terapie; io sono il suo quinto analista; ed è stato nel corso della sua quarta terapia che si sono prodotti certi avvenimenti gravi e traumatizzanti.

Ma non posso assolutamente chiamare psicoanalisi questa terapia che, dal mio punto di vista, non dovrebbe neanche apparire sotto la bandiera della “terapia”; ragione per cui bisogna fare delle distinzioni fra tutte le terapie che sbocciano nella città e la psicanalisi in quanto tale.

Siamo sotto l’entità generica delle somato-terapie, e quello che tratto oggi qui con voi non ha niente a che fare né con la morale, né con il super-Io, e neanche con la problematica di questo tipo di terapie, anche se secondo me, tutto ciò, resta piuttosto discutibile.

Comunque, bisognerebbe fare un dibattito complesso che non potrò fare oggi.

Siamo d’accordo che sotto questo nome, un’intenzione terapeutica è ricercata per mezzo della sessualità attiva del terapeuta, ma non è formulata esplicitamente e sembra partecipare del “chiaro/scuro” che contorna questa tecnica. Cosa che ha prodotto in questa paziente una vergogna che a poco a poco è diventata insormontabile.

 

Questo legame sotto l’egida del “terapeutico” durerà quasi tre anni. Sarà un accidente somatico, un ictus cerebrale spontaneamente risolutosi a mettere un termine, allorché la paziente non aveva trovato nessun interlocutore - né in famiglia, né fra gli amici - per parlare di quello che provava sempre di più come una strumentalizzazione perversa!

L’ictus viene allora a confermare il legame fra il somatico e lo psichico che lei aveva sempre stabilito, e ha contribuito a mettere fine a una relazione che lei presentiva come malsana già da qualche tempo. Gli esami complementari scopriranno inoltre un aneurisma da cui partirà un embolo.

E’ stata un’omeopata, che la donna conosceva da lunga data, a mandarmela in analisi.

 

Non è una storia molto semplice, per quanto il lavoro analitico consista precisamente nel “nuotare” nella complessità.

E’ anche, sotto certi aspetti, una storia in cui è in gioco l’amore e conviene, a mio avviso - è il punto cruciale-  non esonerare il soggetto,  non farne esclusivamente una vittima della strumentalizzazione,  sradicarlo insomma, questo soggetto, dal godimento che consiste nel mettere in questione esclusivamente l’altro, nell' erigere un persecutore, per ricercare contrariamente in lei - cioè nell’Altro (in lei!)-  quello che, in una certa misura, ne faceva parte.

 

Ecco perché dico che in questa analisi bisognava da una parte separare le cose, e dall’altra non cercare di riparare il trauma, perché questo si produce nel tempo dell’après-coup (posteriore) ed è in realtà poco calcolabile ; come dice Freud, bisogna saper ritardare il tempo della sintesi e non offrire a l’analizzando un pacchetto regalo pieno di interpretazioni; aspettare che il soggetto possa riappropriarsi lui stesso di un sapere che è in lui (nel nostro caso lei) ma che non si risveglia se non quando lui/lei lo vuole!

Foto: J. Lacan

 

Dal 1953, Lacan ha fatto valere il fatto che l’analista, se è libero di parlare là dove sceglie di farlo, non vuole niente di tutto cio’ che potrebbe determinare un posto fisso per l’analizzando; ecco perché nella pratica analitica conviene mantenere discreto il desiderio di riparazione, è meglio non volere tutto subito, e fare funzionare, per quanto possibile, l’operatore dell’aperto.

Avevo per l'appunto a che fare con qualcuno che aveva molti conti da sistemare, una persona ferita, per non dire straziata, una persona sensitiva, ritrosa, difesa, che, senza dubbio alcuno, non era nella possibilità di svelare ad un uomo, ad un altro uomo, la sua storia. Pensavo però, ciò nonostante, lo ripeto, che non ne andasse esonerata.

 

Le ho domandato chi dei due avesse cominciato, conscio del rischio indotto dalla collera che inevitabilmente suscitavo sapendo di varcare così la frontiera di ciò che avrebbe potuto essere interpretato come una provocazione da parte mia.

Suscitando collera, assumevo il rischio che proprio la collera (ed è ciò che successe) le impedisse di parlarmi con maggiori dettagli di quanto era avvenuto ; tuttavia le mostravo anche di non essere curioso. Non avrei quindi goduto della sua storia.

 

Non ho aspettato molto per determinarmi nella condotta della cura. Il mio scopo era che la paziente potesse costruire un sintomo, che non si soddisfacesse del solo trauma. Il trauma infatti, come sappiamo, non basta ed è necessario trovare i mezzi che consentano la messa in opera di una tappa supplementare che è, per l'appunto, la costruzione del sintomo.

Partivo dall'ipotesi che se la paziente aveva provato un sentimento di vergogna, era perché, del soggetto in lei, aveva partecipato. In quale modo ? Quale soggetto ?

 

E' qui che la costruzione del sintomo è indispensabile, poiché né il trauma né la vergogna lo sono ; essi preludono di fatto al lavoro nel campo dell'analisi.

 

L'isteria, quella di cui facciamo sovente l'elogio, era in modo certo una componente da non trascurare, ma in questo lavoro appariva costantemente la punta persecutoria, per non dire paranoica.

C'è poco margine fra il testare la resistenza dell'analista, il volerlo distruggere in un sistema saldissimo (posizione paranoica) e il tentativo di prendere il potere sull'altro e di renderlo impotente !! (Posizione dell'isterica).

Per noi, la difficoltà consiste nel sopportare questo tipo di transfert, senza per questo presentarsi protetti da una corazza. Conoscete la formula :

Non c'è resistenza se non quella dell'analista !!

 

E' d'altronde successo che in alcune sedute la paziente si esaltasse e che – vociferando e cercando le sonorità più nascoste di quei suoi affetti altrettanto celati – ripetesse quei suoni, quali Ersatz di parole, come per far valere proprio il muro del linguaggio che si erge fra il parl-essere e il reale.

Ma c'era anche collera !

 

E' successo che entrasse come in transe, che gemesse, che recitasse, che puntasse nuovamente, nel tempo delle sedute, su un qualcosa che evocava il godimento sessuale, sperimentando e provando attraverso sospiri ansimanti il ricordo di quell'intensa desolazione che può suscitare l'amore in un tempo di après-coup (di a posteriori) quando niente veniva detto, quando il terapeuta la lasciava esangue e vergognosa. Era dunque ovvio che lei isterizzasse qualcosa e che tentasse anche di provocare !

 

Con i suoi gemiti, di fatto mi testava. Avrei anch'io passato il guado e dato soddisfazione ad un Dio oscuro ? quello che nell'Altro attira, e al quale si soccombe, vertigine dell'offerta fatta all'altro, ombra di das Dinge.

Come distinguere, all'interno di questa trasgressione - in nome di ciò che è terapeutico e al quale era stata invitata a partecipare - quello che, malgrado la strumentalizzazione, dipendeva dal suo desiderio ?

 

Ciò facendo, come ce lo dice la formula, la ditta restava aperta durante i lavori ; essa continuava a lavorare e mi aveva chiesto un controllore per i suoi analizzandi ! Mi sono allora detto : finalmente una dritte Person ! (terza persona)

Le diedi così il nome di una collega nella quale avevo fiducia.

 

Il transfert con questa collega fu rapidamente positivo, tale da consentire l'apertura fra noi di uno spazio terzo, e capace tuttavia di creare un legame sociale nella comunità analitica, cosa che le permetteva implicitamente di guarire da uno dei tanti volti assunti che in lei assumeva la vergogna.

Nella sua precedente terapia, il cortocircuito provocato dal terapeuta le appariva come detestabile, visto che non le aveva permesso l'analisi. Per di più aveva anche scalfito l'ideale terapeutico poiché aveva implicato le persone in un troppo  reale.

 

D'altra parte, avrebbe scoperto, après-coup (a posteriori), nel lavoro analitico, un'altra forma di vergogna, forma perfettamente illustrata nell'opera di Max Scheler, intitolata Il pudore. Una giovane donna posa nuda per un pittore. Non prova di fatto imbarazzo alcuno. Ma la vergogna s'insinua in lei quando si accorge che il pittore non la guarda più come modella, ma come donna facendo quindi apparire nel suo sguardo il desiderio di vederla nuda.

 

Come l'ha fatto notare il filosofo Guy Samama : nuda, la giovane donna si guarda attraverso lo sguardo del pittore come denudata, ma la sua è oramai nudità offerta e non più solamente esposta. Questo cambiamento d'intenzionalità nel pittore ha su di lei funzione di rimando.

Nel caso della nostra paziente, essa si sottomette in un primo tempo come paziente nel setting della terapia, ritrovandosi di fatto rapidamente intrappolata e nuovamente affrontata alla vergogna.

La vergogna proviene dal fatto di non aver potuto analizzare con il suo precedente terapeuta l'origine della vergogna che provava.

E' quello che scoprirà poco alla volta : sono le relazioni con sua madre e il fatto di percepire quest'ultima come interamente votata al materno, in un falso self alimentato da una posizione molto religiosa.

Ritroviamo qui la questione dell'essere. Ella non vuole per nessun motivo assomigliare a sua madre ; lei stessa è già madre al momento della terapia, ma vuole restare donna, vuole essere desiderata ed è qui che la vergogna si scatena.

Volendo restare donna, si è data al terapeuta come donna e non come paziente ; non trovando di fatto che strumentalizzazione ed infine perversione nella fredda distanza che costui ha mantenuto come una costante ai fini di una supremazia ben calcolata.

La vergogna ha ricoperto il sintomo da lei intuito ma non conosciuto. E' qui che il problema di un 'saperci fare' si pone in modo preciso.

 

Venne poi l'inatteso e con esso le sue virtù ; in effetti, essendosi avventurata a venire ad assistere ad una conferenza nell'associazione dove lavoro, aveva ovviamente assunto il rischio di incrociarmi ; ma, miopia o denegazione da parte mia, oppure semplicemente realtà dell'affluenza di quella sera, non la notai davvero, malgrado fosse seduta appena qualche fila dietro di me, e di ciò mi fece rimprovero, nutrendo nuovamente un'aggressività ed una collera di cui cominciavo però a capire la causa agente !

Chi può pertanto sapere se queste circostanze inattese non siano servite a disciogliere le resistenze ?

Amare e odiare, odiare ed amare tale è l'hainamoration del transfert ; odiare l'analista supponendo una denegazione, ma anche amare colui che è capace di non vederla : perché un miope o un castrato, nell'inconscio, in fondo, sono uguali !! …………………………………

Poco a poco cominciò a parlarmi veramente ;  fu grazie alla deviazione fatta passando per la messa in gioco della mia castrazione ?

Qui, siamo quindi messi di fronte, come potete ben pensare, a svariati livelli d'analisi e di lettura : l'elemento isterico deve essere al contempo, sia considerato, sia messo in movimento.

La cosa essenziale è, come già segnalato, che il soggetto deve lasciare la posizione della vittima malgrado il suo assoggettamento al discorso vero/falso del terapeuta (che occupa una posizione perversa d'ascendente).

 

Di fatto, se il soggetto non recupera il suo desiderio, ovvero il desiderio che lo definisce come soggetto di una storia che è la sua, non ci può essere guarigione né uscita dal trauma. L'analista deve possibilmente far sorgere un sapere d'autore, passando magari anche per la collera, per poter in un primo tempo riuscire a fronteggiare la vergogna. E proprio di questo episodio di non/incontro, ella fece per l'appunto anche un pretesto per sfogare la collera.

 

Molto tempo dopo l'inizio della sua analisi con me, mi disse che, sì,  era stata consenziente e che pure, in un certo senso, era lei che, a volte, aveva preso l'iniziativa, e ora se ne doleva. Ma le feci subito notare che questa sua implicazione (che voleva sottolineare) era proprio ciò che poteva permettere di stroncare l'idra, idra che mi era apparsa come metaforica del nocciolo della questione : l'idra della strumentalizzazione.

 

Allora mi disse che aveva fatto un sogno in cui tagliava in due una scolopendra (millepiedi dal morso pericoloso per l'uomo).

Nella sua precedente terapia, quello che era mancato era la nozione di sembiante, nozione più che necessaria, indispensabile perché il soggetto possa servirsi del terapeuta o dell'analista come di un tramite invece di istituirlo nella posizione di destinatario.

 

Finì con l'ammettere che si dava all'altro in opposizione alla posizione materna, ma che ciò facendo non si concedeva il tempo di mettere in gioco la possibilità di un vero incontro, vale a dire di rischiare la propria castrazione come tale ; in altre parole la sua sessualità era concepita da una parte come un bastione contro il rischio di essere respinta e da un'altra parte come un tentativo di staccarsi dall'identificazione a sua madre.

Mancava alla fin fine un saperci fare (o : savoir-faire) col sintomo : un legame elastico. Così potrebbe essere la parabola di questa storia che ha incontrato la perversione nell'ignoranza di un sintomo ancora non elaborato e mascherato da una probabile struttura isterica.

Ne testimonia anche un'avventura con un chirurgo che l'aveva operata qualche anno prima di un problema benigno, prima che, ripetizione o no, questa terapia non finisse bruscamente. E' in questo senso che la separazione, di cui si era parlato all'inizio di questa presentazione, è operativa ; bisognava in questa analisi, salvare l'analisi ma anche la capacità di amare ; due cose distinte che la perversione dell'uno e la nevrosi a tendenza isterica dell'altra aveva riunito facendo credere ad una fallace congiunzione. Il ruolo dell'analista non è forse - in questo bordo a bordo che è l'analisi, in questa navigazione mantenuta a filo della struttura - di serbare una tensione, un'erotica, che faccia sorgere, all'inverso di una mera conversione, la realtà del desiderio ?

In questa tensione, in questa erotica fra due umane psiche agli antipodi di qualunque passaggio all'atto, si costruisce un futuro non scritto dal sapere. Questa, la mia conclusione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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