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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Autobiografie dell'inconscio.

Numero 11, anno VI, gennaio 2009

 

 

     "NARCISO E IL DIARIO PSICOANALITICO"

 

 di Michel David

 


Questo saggio è apparso nel 1987 nel libro "La cultura psicoanalitica" (Edizioni Studio Tesi), a cura di Anna Maria Accerboni. Michel David è storico della psicoanalisi e dei suoi rapporti con la letteratura. E' Professore di letteratura Italiana all'Università di Grenoble.

            

 

 

    Foto: un'opera di Carlo Levi ispirata alla figura mitologica di Narciso

 
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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini"

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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1) Partendo da un'osservazione di Jung sull'abuso volgare del termine narcisismo per qualificare l'opera d'arte o l'artista, si tenterà qui di presentare in una rapida disamina i principali punti da considerare per dare una risposta un po' approfondita al dubbio junghiano.

 

2) La consultazione di vocabolari (italiano e francese, per stare nel mio limite di competenza) rivela già l'ambiguità dei termini "narciso, narcisismo/sista/sistico" non tanto nelle definizioni essenziali quanto negli usi tecnici. Venuta dal vecchio "narciso", la categoria caratterologica famigliare coperta da quel sostantivo si è impadronita in fretta del vocabolo coniato da un sessuologo (1899) e ripresa da Freud nel 1914. Sicché oggi, anche se la psicoanalisi può rivendicare legittimamente il narcisismo nel suo vocabolario specifico,  - e Trieste con il federniano Weiss e il danubiano Spitz vi ha la sua parte teorica da non dimenticare - , il sostantivo in -ismo (=tendenza esagerata) e l'aggettivo derivato sono passati nel gruppo non tanto numeroso delle parole volgarizzate dalla psicoanalisi.

3) Un'analisi del racconto di Ovidio permette, figuralmente, di definire secondo la psicologia naive del poeta le intuizioni profonde che lo hanno guidato: associando genialmente l'anoressica Eco, forma estroversa del narcisismo e forma freudiana della "passività" femminile, con l'autistico schizofrenico Narciso (più borderline di così, con la sua frontiera d'acqua!), Ovidio ha descritto miticamente due casi di malattie mortifere per amor di sé nella versione femminile e in quella maschile (e forse intersessuale). Un finale, forse timidamente sublimante, lascia però intendere che, anche da quelle due figure consunte dal desiderio di morte, si possa ricavare un simbolo di creatività minima, labile, freddo e narcotizzante: un fiore bianco, emblema superegoico o legato all'Ideale dell'Io, e una voce ridondante, produzione orale e linguistica. Il mito secondo Ovidio che l'ha imposto alle metamorfosi moralizzanti o allegoriche di tutto l'Occidente (L. Vigne, The Narcissus Theme in Western European Litterature ..., Lund, 1967), implica, mi pare, una resistenza estrema alla tentazione dell'amor di sé totale e un invito alla produzione (alla metamorfosi) della stessa malattia d'illusione in oggetto riparatore per sé e transizionale verso gli altri. Ma, se il fiore rimane presso la fonte, Narciso si contemplerà ancora nelle acque nere dello Stige.

4) Il Narcisismo, invece, è un concetto che usa soltanto alcuni elementi, e a volte errori di lettura (quanti Narcisi sono annegati dai distratti), del mito: ne viene tolta Eco la quale non trova eco in Freud, se non per un caso di ecolalia, nel 1882, e non pare abbia interessato molto gli psicoanalisti; non si scava il valore di "frontiera" - la famosa "sbarra" lacaniana tra significante e significato ne è rappresentazione grafica algebrica - che ha la pellicola d'acqua, o la superficie del miroir; vi si legge anzitutto la dinamizzazione inspiegabile di una pulsione ritorta verso la propria origine, oppure un'istanza che accompagna l'uomo sano, ancor prima che patologico, per tutta la vita, in una dialettica tra pulsione oggettuale e pulsione autistica della libido, con tutti gli scompensi e compromessi possibili in ogni esperienza individuale. Il campo infido del narcisismo, lasciato da Freud appena segnato con paletti mobili, è stato recentemente oggetto di infinite analisi, di grande complessità topologica, per buona parte oggi inverificabili, e tuttora in grande fervore di scavi, come se l'evolversi della malattia mentale dopo le prime teorizzazioni sull'isterismo, spingesse gli analisti, dopo l'incontro con "il narcisismo sociale" del dopoguerra, ad approfondire le nevrosi narcisistiche, nell'attesa profetizzata da alcuni di una fase in arrivo di sadomasochismo postmoderno.

Ma, che si accetti l'ipotesi metapsicologica (mitologica se si vuole) di un narcisismo primario (e mortifero nella psiche adulta) e secondario (produttivo, nella sua dialettica con l'oggettivazione), linguaggio e punto di vista psicoanalitici difficilmente possono essere adoperati senza metafora né precauzioni nel campo culturale, artistico e letterario. La riduzione temuta da Jung è sempre in agguato per chi voglia "ricondurre" un'opera creativa umana alle sue radici inconscie e alle fissazioni infantili della psiche del produttore di quella.

 

   

 
 
 
 
   

 

 

5) Il narcisismo letterario è quindi una categoria critica da evitare. La si potrebbe forse sostituire con quella proposta da Starobinski, con il pigmalionismo, proiettivo di sé, l'amor proprio che si aliena nell'opera, oppure magari conservare la dizione "narcisismo" con l'aggettivo "terziario" o "metaforico" per indicare un momento delle realizzazioni simboliche della caratterologia degli stili e delle esperienze umane. Totalmente alieno dal narcisismo primario, legato in modo difficilmente dimostrabile al narcisismo secondario nelle sue dialettiche infinite, il narcisismo terziario, la cui pulsione alla produzione simbolica si accompagna sempre con la pulsione d'oggetto e non può mai, se non nel silenzio e i bloccaggi del catatonico, essere privilegiato nei confronti di questa ultima. Il narcisismo o il pigmalionismo letterario sono categorie, del resto, troppo vaste per produrre novità esegetiche di dettaglio o interpretazioni non generalizzanti. Possono servire come duttili visioni distintive (del tipo del régime diurne e régime nocturne di G. Durand) per organizzare preliminarmente il campo della complessità che è la letteratura.

6) In questa prospettiva, la diaristica non dovrebbe più apparire come esempio privilegiato di narcisismo, come si è sempre fatto in modo quasi istintivo. Specchio di sé, onfalopsichia, nombrilismo - l'ombelico è il residuo della vecchia frontiera edenica - , egoismo, egotismo, amor proprio, ombra/riflesso ..., sono tutte metaforizzazioni durature, topoi, per un'attività che ha meno di quasi tutti gli altri generi letterari la possibilità di essere detta narcisistica. Basterebbe riflettere, strutturalmente, alla differenza radicale che passa tra la figura dello specchio di Narciso e la scrittura volontaria, la prima puramente spaziale e cancellabile, la seconda temporale e fissata nel marmo (come la povera Eco pietrificata) dei segni incancellabili, per accorgersi di come, se la pulsione che porta al diario è certamente quella del momento regressivo, la sua attuazione concreta appartenga già alla sfera della pulsione oggettivizzante. Mentre sarebbe pur facile dimostrare come la lirica sia invece legata essenzialmente al momento regressivo del grido, della preghiera o del lamento (riparativo o meno), e comunque meno riflessivo (e già!), meno distaccato, meno perso nell'onnipotenza del sé grandioso o nel terrore del sabotatore interno. L'impietosa analisi di sé difficilmente può convivere con l'amore dell'immagine di sé (il diario della Castiglione pare essere uno dei più infantili e insignificanti di tutti). Narciso, secondo la profezia di Tiresia, almeno si era conosciuto, in termini quasi socratici.

 

 

 

 
 

7)  Entrando nella storia stessa del genere Diario, si potrà osservare l'effetto prodotto dalla "rottura" freudiana. Freud stesso non si è preoccupato molto di diari, se non in una nota dedicata al parallelismo tra apparato psichico e "notes magico", o come divertimento occasionale per la prefazione ad un diario ingenuo di una ragazza viennese. I suoi veri diari profondi sono stati realizzati sotto la copertura delle lettere a Fliess o nella Traumdeutung, oppure negli appunti delle sedute analitiche di cui alcuni sono stati recentemente pubblicati. Ma proprio l'elaborazione riflessiva vi ha tentato una dissimulazione radicale (per ferita narcisistica?) del vissuto sotto le "razionalizzazioni". La cura, però, fondata sul linguaggio e sulle associazioni libere non poteva non entrare in competizione con il diario intimo stesso.  Anzi, era come un invito a tener diario davanti ad un ascoltatore nascosto e quasi assente. Anche se il ritardo a pubblicare i diari, nel 1900, permetteva di conoscerne solo pochi esempi (Byron, Amiel, Goncourt, i De Guérin ... oppure quelli dei pazzi di Lombroso), i contatti tra la produzione diaristica e l'esperienza psicoanalitica sono cronologicamente perturbati,  con zone laterali immuni, ancora oggi del resto, e zone prematuramente immerse nel "ciclone" analitico, il che non facilita il compito del classificatore, o la ricerca delle "influenze", delle innovazioni, dei risultati estetici autentici.

 

   

Foto: Un ritratto di Anais Nin realizzato da Giuseppe Leo

 

 8) Bisognerebbe naturalmente distinguere una fase storica, per così dire prefreudiana in cui certi diaristi spingono l'analisi di sé a scoperte (di dettagli, o di ampia generalità) che anticipano elementi delle sistemazioni freudiane [Amiel, Constant, Kierkegaard,  Svevo (Diario alla fidanzata) e suo fratello Elio, C. Dossi, Lombroso stesso, Tommaseo...], una fase che si presterà più a considerazioni di "parallelismi" o di anticipazioni fortuite, che non a influenze causali. Si potrebbe poi distinguere una fase di produzione analitica propria, che si tratti di diari di lavoro di Freud stesso (vedi quello sull'uomo dei lupi oggi criticamente ritrascritto), di Ferenczi, di Lou Salomé (pre- e post-freudiana nei frammenti pubblicati), di Levi Bianchini forse (quando ne saranno trovati i taccuini), di Jozsej Brenner, di S. Blanton...), sia quelli di persone coinvolte in analisi (individuali o dirette alla didattica: Spielrein, con Jung, diarista impubblicato, Rilke forse). Vicino a questi coesistono diari stesi da gente non ignara di psicoanalisi ma non implicati esistenzialmente: Kafka, Musil - più "narciso" nella creazione romanzesca, se si pensa al fantastico sforzo immaginativo dell'unione incestuosa dell'Uomo senza qualità che non nei più oggettivi diari di lavoro -, Mann, Pavese, Gide (il cui diario è già stato oggetto di analisi da parte di Jean Delay e ora di E. Marty), Rivière, Du Bos, V. Woolf. Vi sarebbero poi gli scrittori analizzati del periodo più stabilizzato dell'entre-deux-guerres: se non si ha di Saba che il sublimatissimo diario poetico del Canzoniere e di Bazlen frammenti di un diario più o meno mitico (e non so quali altri diari pudicamente nascosti) per testimoniare del "ciclone" triestino, sono ormai notissimi quelli di A. Nin, la quale fu ascoltata da Allendy, Rank, e M. Jaeger, di Attila Jozsef, di Artaud, forse di Jouve e Bataille, di Sando Màrai. Con Nin  abbiamo un caso di narcisismo coltivato come resistenza al secondo grado all'analisi: il diario le serve più per affermare la propria autoanalisi compiacente che non per aiutare l'analista, anzi gli analisti.  Bernhard, lo junghiano romano ha tenuto un diario negli anni Trenta e poi dal '45 alla morte, di cui sono pubblicati alcuni frammenti.

Con il secondo dopoguerra, con la pubblicazione in extenso, o quasi, di casi che un tempo, sotto forma abbreviata formavano la parte più viva dei saggi di psicoanalisi e che gli analisti spingono i loro pazienti a pubblicare, inizia una produzione ormai regolare e degna di costituire un genere a sé. Sechehaye, Diel, A. Adler, Blanton, Allendy, P. Mauco..., oppure direttamente sotto la firma del paziente stesso (E. Kauffman, F. Fornari, Domenico Vaiti, Franco e Fiorella, M. Marcone, F. Cordelli, R. Paris, Ph. Rupp, A. Del Bo Boffino), stanno tra diarismo e romanzo, analisi autentica e tentativi ingenui di autoanalisi; in Francia, Giauque, Mara, M. Cardinal, M. Chapsal, Weyergans (Lacan in poltrona), P. Giron, M. Manceaux, gli Yelnick, ecc., offrono diari più o meno puri di analisi individuali o familiari. In Italia, casi letterari come Il male oscuro (1964) di G. Berto e Porci con le ali, diario sessuale-politico (1976) hanno fatto epoca attorno al decennio convulso, e stanno a provare come il diario si sia metamorfosato recentemente, per una moda non terminata, in un resoconto più o meno formalmente ascrivibile al genere diario, di un'esperienza ideologico-tecnica esposta all'influenza psicoanalitica.

 

 

 

9) La storia del diario è quindi complessissima: diari d'analisti al lavoro (E. Bernhard, Ecrire la psychanalyse), diari d'analisti in crisi (Allendy e la malattia), diari di analisi didattica (Nin, Spielrein, Blanton), diari di analizzati (Nin e tanti altri), diari di casi (Sechehaye, Adler), diari stesi su consiglio del consultante (Diel), sedute rubate al magnetofono dal paziente polemico, tutte le combinatorie possibili hanno ormai un rappresentante eponimo, nella sola area italiana e francese. Figurarsi nel mondo americano o tedesco, o britannico! Ma il caso più fantasioso, è quello di Morris West che si permette d'inventare un diario alternante di Jung ed una sua presunta amante, proprio negli anni dell'idillio con la Spielrein e in cui Jung teneva un diario che faceva leggere (sarà narcisismo?) alla moglie e all'amica.     

   
 

10) A parte casi di resistenza ideologica o d'ignoranza fortunata, il diario oggi non può più fare a meno dell'apporto psicoanalitico. In forme svariate che vanno dal semplice uso di termini tecnici e di alcuni concetti orecchiati o no,  a quello tecnicissimo di un analista attento all'esame di sé. Così lo psicoanalismo  rafforza il narcisismo secondario e la pulsione oggettiva per creare un oggetto riparatore della ferita "narcisistica". Ma ogni individuo lo fa con "stile" suo, con scelte personali che lasciano all'analisi letteraria ogni possibilità di lettura ermeneutica o di "piacere". Il diarista, ad ogni modo, se è come noi tutti Narciso, è sempre nello stesso tempo Pigmalione, attivo, sublimato, oblativo (ma è ancora permesso usare questo aggettivo?), o meglio ancora Prometeo che ruba il fuoco e si rode il fegato iniziando l'Umanità a nuove forme di cultura. Il diarismo che Bourget condannava nel 1884 come decadente (la paralysie progressive de la sensibilité par égotocentrisme) come tutte le altre forme del "decadentismo" ha permeato di sé la cultura democratizzata del nostro tempo. La cultura di sé può apparire oggi come prodotto dell'alienazione del "narcisismo sociale" e prendere forme  più corporali che non scritte. Ma il diario intimo, che è, secondo i caratterologi, possibilità offerta specialmente ai "sentimentali" (affettivi-non attivi-secondari), rimane però a disposizione per un mucchio di usi proficui, dall'analisi alla riparazione, al transfert simbolico, alla fuga dall'Es, alla trasformazione del Super-Ego in Ideale dell'Io. Il narcisismo terziario corrisponde, sembra, alla sublimazione (altro concetto problematico) e con altrettanta legittimità che le due prime fasi entra nel campo psicoanalitico. Il diario, la cui prima forma "esteriore" è il protocollo scientifico di laboratorio, conserva di questo suo uso iperrazionale una valenza oggettuale più forte di qualsiasi altro genere letterario: la poesia o l'epica può ancora convivere con la paranoia ossessiva, con la schizofrenia, ma con il diario intimo autentico, non credo.

 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
   
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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