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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività

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NUMERO SPECIALE DI "FRENIS ZERO" SULLA PSICOPATOLOGIA DELL'ETA' EVULUTIVA 

 

Terapia familiare dell’autismo infantile, approccio integrato utilizzando il MPE.

 

di Andrea De Giacomo* e Francesca Colella**

                           

*Ricercatore di Neuropsichiatria Infantile

** Psicologa  

Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche - Università di Bari     

 

   

 

 

L’autismo infantile, come riporta il DSM IV-TR, rientra nei Disturbi  Pervasivi dello Sviluppo, i quali sono caratterizzati da una menomazione grave e qualitativa nello sviluppo della relazione sociale reciproca, delle abilità di comunicazione verbale e non verbale, e/o un repertorio gravemente ristretto di attività ed interessi, che possono essere stereotipati e ripetitivi. In realtà l’autismo in questo gruppo di disturbi è l’entità meglio definita e con le caratteristiche meglio integrate,  tanto che potremmo anche definire l’insieme dei disturbi generalizzati dello sviluppo come l’insieme comprendente l’autismo e i disturbi simili. La sindrome autistica vera e propria, così come è descritta nel DSM-IV-TR non è molto frequente, le attuali ricerche parlano di 10 casi per 10.000 bambini con autismo, e di 40/10.000 bambini all’interno dello Spettro Autistico, definito come  l’insieme dei disturbi che presentano menomazioni nella relazione sociale  reciproca. In questo "spettro" le caratteristiche difficoltà di sviluppo compaiono in modo sfumato, senza soluzione di continuità, dal più grave al più lieve, dalla presenza di tutte le caratteristiche fondamentali alla presenza solo di una in forma leggera.

L’autismo, dunque, è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo, che insorge precocemente nei 3 anni ed ha un’evoluzione che varia notevolmente, nel senso che ogni soggetto autistico presenta caratteristiche peculiari che subiscono evoluzioni uniche e necessitano modalità di cura specifiche ed individualizzate.

Per quanto riguarda l’eziologia della patologia, molti autori distinguono tra:

      - autismo infantile primario psicogeno, caratterizzato dalla triade di Kanner: esordio nel 1°anno di vita; aloneless (assenza di contatto con gli altri); samenness (necessità di mantenere immutata la situazione esterna, con forte angoscia per i cambiamenti); potenzialità intellettive conservate e uso anomalo del linguaggio;

-   autismo infantile secondario, in cui sono evidenti i segni di cerebropatia e il difetto intellettivo.

In realtà sappiamo che mente e corpo sono in interazione così stretta  che ben difficilmente sono scindibili in un bambino, specie nella primissima infanzia, soma e psiche sono poco differenziati al punto che , se un sistema neuronale non viene adeguatamente stimolato entro un certo periodo “critico”, può subire una lesione definitiva. Tale bidirezionalità prospetta la possibilità e necessità di influenzare i disturbi mentali agendo dal basso verso l’alto, ossia dal biologico allo psicologico (dal mondo della sostanza al mondo della forma, cioè la comunicazione) e dall’alto verso il basso, cioè dallo psicologico al biologico (dal mondo della forma al mondo della sostanza).

Ogni bambino è diverso dall’altro, non solo come capacità intellettive, carattere, stile, interessi, presenza o meno di altri disturbi associati, ma proprio nel modo in cui si manifesta la disabilità sociale e comunicativa. Avremo quindi il bambino ritirato, che non cerca il contatto nemmeno dei genitori; il bambino che al contrario è costantemente attaccato in modo esagerato alla mamma , e ha però difficoltà nello scambio sociale e "usa" quindi il contatto come rassicurazione o gioco o mezzo per soddisfare le sue necessità; il bambino interessato ai coetanei anche se incapace di reggere la difficoltà dello scambio sociale e del gioco; il bambino che se aiutato e guidato, opportunamente diretto può interagire in semplici scambi sociali. E’ possibile comunque delineare alcune caratteristiche salienti e presenti nella gran parte dei casi all’interno del quadro psico-patologico dei bambini autistici:

-        Iperselettività: consiste nell’avere un approccio cognitivo legato ai dettagli e non al contesto generale; per una persona affetta da autismo il  cambiamento di un dettaglio equivale al cambiamento del tutto, provoca disorientamento, e può dare origine a crisi di comportamento.

-        Rapporto con gli oggetti: anche nel rapporto con gli oggetti, i bambini sono molto attenti ad alcuni dettagli e componenti di essi, inoltre  assumono ben presto abitudini di gioco coatte, ma anche notevoli abilità manipolative: con questi oggetti riescono a giocare a lungo, ma in modo ripetitivo ossessivo e stereotipato. Con essi sembra quasi che instaurino un profondo rapporto affettivo e la loro perdita sembra gettarli in un profondo stato di disperazione; il bambino utilizza gli oggetti per creare intorno a sé un ambiente in cui sentirsi sicuro; Bettelheim definisce tale modalità relazionale “comportamento di frontiera”: il bambino utilizza gli oggetti come una barriera per proteggere la propria vulnerabilità da stimolazioni esterne, alla quali non potrebbe far fronte.

-        Caratteristiche cognitive dell’autismo: il bambino autistico presenta delle difficoltà ad andare al di là dell’informazione data, nello sviluppo del linguaggio e allo stesso tempo nello sviluppo della comprensione sociale: sono degli iperrealisti, così come noi, per loro, siamo dei surrealisti. I bambini, dunque, presentano un deficit nel processamento delle emozioni e nella capacità di rappresentarsi lo stato mentale di sé stessi e degli altri; mancano di attenzione condivisa e di capacità imitativa.

-        Linguaggio:  in ¼ dei casi il linguaggio è totalmente assente; i più tipici disturbi del linguaggio sono:  inversione pronominale, il bambino autistico non usa mai il pronome personale “io” e al suo posto usa il tu o la terza persona e ripete i pronomi così come li ha uditi; anomalie della prosodia: alterazione del tono e della modulazione della voce, che si presenta monotona e inespressiva; assenza di funzione simbolica del linguaggio; ecolalia: il soggetto ripete intere frasi o la parte finale di esse, subito dopo averle udite o a distanza di tempo.

-        Mancanza di teoria della mente:  con la teoria della mente, noi siamo in grado di dedurre lo stato d’animo delle persone nelle diverse situazioni osservandone l’aspetto, e la prima cosa che ci permette di capirlo sono gli occhi. Per le persone affette da autismo è estremamente difficile comprendere le emozioni e le idee degli altri, perché per comprendere le emozioni e le idee bisogna andare di nuovo al di là del letterale e senza l'immaginazione è impossibile andare al di là della percezione letterale.

Sebbene nelle linee guida per l’autismo recentemente pubblicate sul Giornale di Neuropsichiatria Infantile la terapia familiare, non è considerata  tra gli approcci terapeutici di elezione per il trattamento dell’autismo, nelle stesse indicazioni la famiglia è considerata come uno spazio privilegiato, unico e necessario per raggiungere obiettivi critici soprattutto dopo la diagnosi quando la famiglia si trova in una fase di disorientamento ed è necessario convogliare le sue energie come destinatario dell’intervento, inizialmente. Successivamente, sarà parte attiva nella realizzazione di un progetto coordinata con e la scuola e la riabilitazione.

L’obiettivo di questo lavoro non è descrivere il panorama internazionale degli approcci terapeutici quali: quello comportamentale: approccio UCLA di Lovaas, TEACCH - Treatment and Education of  Autistic and Related Communication Handicapped Children, TED: Terapie d’Echange et Dèveloppement, ma è semplicemente descrivere la prima presa in carico della famiglia al momento della diagnosi al Policlinico di Bari.

Considerando che viene fatto un lavoro con la famiglia è necessario parlare dell’origine della terapia familiare con i soggetti autistici.

La terapia familiare, la cui origine risale agli anni 60, quando i ricercatori della Scuola di Palo Alto hanno spostato il focus della psicoterapia da ciò che succede all’interno dell’individuo alle relazioni che si stabiliscono fra soggetti, si basa su presupposti multidisciplinari, derivanti da progressi nel campo delle scienze della comunicazione, della teoria generale dei sistemi e della cibernetica.          Il contributo fondamentale delle scienze dell’informazione e della comunicazione alla terapia familiare è l’interesse rivolto alla pragmatica della comunicazione, che si interessa di come la comunicazione influenza il comportamento; la teoria dei sistemi invece influenza la terapia familiare con i suoi principi cardine: il sistema è una totalità; affinché un sistema sopravviva è necessario che preservi un equilibrio tra omeostasi e cambiamento; tale equilibrio è reso possibile dal principio di causalità circolare, secondo il quale ogni elemento del sistema influenza ed è a sua volta influenzato da tutti gli altri elementi. I diversi tipi di terapia centrati sulle relazioni hanno degli aspetti in comune: in primo luogo il lavoro terapeutico è incentrato sui comportamenti osservabili del paziente, prendendo in considerazione il contesto di appartenenza ; in secondo luogo lavorare con la famiglia del paziente consente di incrementare la forza e l’efficacia della terapia; infine l’azione terapeutica è orientata ad uno scopo ben preciso, ed implica un cambiamento.

Nella seconda metà degli anni ’80 Zappella introduce in Italia una nuova pratica terapeutica :

l’holding. Essa prevede un intenso contatto corporeo e visivo tra genitore e bambino: la madre tiene stretto il figlio e lo costringe a resistere in questa posizione, stabilendo una sintonia emotiva e ripetendo le  espressioni vocali del piccolo, che vengono poi modificate e arricchite dall’adulto. (Zappella, 1987).

Proprio dalla congiunzione dell’holding con i principi etologici ricavati dall’osservazione del comportamento sia del soggetto con Disturbo Autistico sia delle persone con le quali interagisce, trae origine il metodo etodinamico di Zappella. I principi etologici presi in considerazione possono riguardare quelle attività che si svolgono in un contesto di avvicinamento all'altro: per esempio, i modi affettuosi, amichevoli, esplorativi dell'altro che possono essere particolarmente ridotti in alcuni soggetti autistici. In questi casi vi sono delle modalità di rapporto, soprattutto basate su una strategia di evitamento, la cui complessità è relativa all’età del bambino, alle sue condizioni neurologiche, alle sue capacità prassiche e in particolare al suo vissuto emotivo prevalente.

Il metodo etodinamico è una forma di terapia familiare che ha come obiettivo primario la ricostruzione del legame genitore-bambino, attraverso interventi diretti contemporaneamente al bambino e ai genitori. Lo scopo del terapeuta è di salvaguardare tempi e ritmi della vita familiare e di creare condizioni ottimali affinché i genitori ottengano una comunicazione diretta, intima e un rapporto di collaborazione con i propri figli. In particolare bisogna cercare di coinvolgere il bambino autistico in quelle forme di relazione nelle quali presenta delle carenze: l’intersoggettività primaria, che consiste nel rapporto diretto, faccia a faccia con l’adulto; e l’intersoggettività secondaria, in cui la relazione col genitore è mediata da oggetti (Trevarthen, 1978,1980). Al fine di creare nel bambino una motivazione positiva sia a interagire che a collaborare, spesso é utile far uso di varie forme di attivazione, verbale e motoria, come prendere per mano e far correre o saltare il bambino, mettendolo in uno stato di disponibilità e di contentezza per cui, subito dopo, diventa pronto a collaborare per vari obiettivi cognitivi. Vale comunque la regola che il bambino debba essere tenuto fisicamente dall’adulto, o per una mano, o per un piede o per tutto il suo corpo e che il corpo dell’adulto sia in grado di dare al bambino degli stimoli nuovi, intensi variati ed attraenti, tali da sviluppare l’interesse e la partecipazione del bambino autistico.  Questa strategia relazionale va prescritta ai genitori per un’ora al giorno, in tal modo essi acquisiscono un modello di relazione che si estende al di là del tempo prescritto e che consente di sviluppare un rapporto autentico e basato sulla collaborazione tra genitore e bambino.

L’obiettivo principale dell’intervento è ottenere una relazione diretta e un rapporto collaborativo

 tra il bambino e suoi familiari (Zappella,1992); ciò richiede che, in alcune situazioni, si intervenga anche per modificare il sistema di relazioni in atto nella famiglia, la cui disfunzionalità può essere di ostacolo al recupero delle potenzialità del bambino.

Mara Selvini, nella sua sfida psicoterapeutica alla psicosi, parte dall’assunto che esista una connessione, ancorché non lineare, tra la disfunzione delle relazioni familiari ed il sintomo del paziente.

La sua linea direttiva è quella di chiamare i genitori corresponsabili della psicoterapia e non di considerarli colpevoli della malattia dei figli:”Guarire con la famiglia e non contro la famiglia”.

La terapia familiare proposta nel caso del bambino psicotico ricalca in parte quella per l’adolescente, in particolare nella sequenza con cui vengono coinvolti i membri della famiglia nucleare e di quelle d’origine.

Nella prima seduta vengono coinvolti i membri della famiglia nucleare e un membro significativo della famiglia estesa, convocato sulla base delle informazioni raccolte nel corso della prima telefonata. In genere, il membro della famiglia estesa che viene convocato è la nonna materna. Questa scelta può apparire una logica conseguenza della tipica dinamica di queste famiglie, in cui il rapporto tra madre e nonna materna è spesso disturbato e vede continue interferenze della seconda nelle funzioni materne della prima .

Nella prima seduta, la presenza di un membro della famiglia estesa consente di mettere a fuoco la frequente interferenza delle famiglie d’origine nell’interazione della famiglia nucleare e inoltre rappresenta il contesto ideale per far emergere l’eventuale "predizione negativa" circa l’esito del matrimonio della coppia (vedi sezione precedente) .

Al termine della prima seduta il membro della famiglia estesa che ha partecipato viene ringraziato per la collaborazione e congedato, con l’invito esplicito di far cessare le interferenze e le pressioni psicologiche che, come emerso dalla seduta, possono disturbare la normale funzione genitoriale della coppia.

Nella seconda seduta sono presenti solo i membri della famiglia nucleare, compreso il bambino "paziente designato". Questa seduta è dedicata all’approfondimento del rapporto di coppia e al rapporto di ciascun membro con il piccolo paziente.

Il bambino è in grado di fornire informazioni importanti con il suo comportamento, anche se non parla e appare chiuso nel suo mondo . E’ infatti frequente che il bambino privilegi il rapporto con uno dei genitori e intervenga disturbando, in momenti particolarmente significativi delle sedute.

Ciò consente al terapeuta di ridefinire il bambino come attore del gioco familiare, dotato di intenzionalità. Questa definizione sostituisce quella di bambino malato e passivo anche se, in genere, non viene accettata senza obiezioni o resistenze dai genitori.

La fase centrale della terapia vede la sola presenza dei genitori; in queste sedute il terapeuta cerca di

mettere più chiaramente in relazione il disturbo del bambino con la situazione di "stallo" relazionale della coppia (Selvini Palazzoli et al., 1988). Ciò implica anche un lavoro personale su ciascun genitore, finalizzato a comprendere meglio come il suo modo di rapportarsi al partner sia in buona misura determinato dai rapporti instaurati in passato con le famiglie d’origine.

La presenza dei soli genitori in questa fase della terapia sottolinea, in maniera pragmatica, che il lavoro terapeutico è diretto soprattutto a loro. Vengono inoltre proposte alcune consegne ai genitori, che riguardano attività da fare con il bambino.

Una attività proposta che si è mostrata particolarmente utile è un periodo quotidiano di holding, in cui il genitore (in genere la mamma) abbraccia fortemente il figlio costringendolo ad un rapporto corporeo e visivo intenso. A questa attività il bambino, soprattutto all’inizio, in genere si oppone, mostrando un ‘intenzionalità ed un’energia solitamente non espressa.

E’ a questo punto della terapia con la coppia che, secondo la Sorrentino, diviene opportuno offrire al bambino interventi riabilitativi individualizzati, sia sul versante dell’apprendimento, sia su quello delle competenze sociali.

L’armonizzazione di questi interventi riabilitativi rivolti al bambino, con la terapia della coppia genitoriale, è un presupposto indispensabile per giungere ad un miglioramento della sintomatologia e, in alcuni casi, alla guarigione.

Il MPE (Modello Pragmatico Elementare), sviluppato dal prof. Piero De Giacomo e da numerosi colleghi: psichiatri, psicologi, fisici, informatici e matematici, è un modello della mente, nato dal desiderio di sviluppare il relazionismo: esso prende le mosse dall’assunto che la mente non esiste negli oggetti, nell’interno della testa delle persone, ma nelle relazioni, nella comunicazione.

(vedi Modello Pragmatico Elementare in rete).

Lo scopo del modello è fornire una chiave di lettura di alcuni aspetti dell’Universo sociale, una griglia che consenta di analizzare tutti i fenomeni specifici, in particolare le ridondanze , le ripetitività, le regole che governano il sistema. Tali regole possono essere lette secondo 4 coordinate o modalità di interazione:

- mantenere il proprio mondo (coordinata del mantenimento);

- accettare il mondo dell’altro (coordinata dell’accettazione);

- condividere qualcosa con l’altro (coordinata della condivisione);

- accettare qualcosa che non è nel mondo proprio ne nel mondo dell’altro (coordinata dell’antifunzione).

Queste 4 coordinate sono le componenti di 16 stili relazionali (funzioni), che rappresentano una classificazione logica delle interazioni umane possibili. Ciascuna funzione viene fatta corrispondere a un diagramma di Venn, in cui il cerchio di sinistra rappresenta il mondo del primo soggetto, il cerchio di destra il mondo del secondo soggetto, la parte scura, come il mondo del primo soggetto, si trasforma in seguito all’interazione; il rettangolo esterno rappresenta ciò che non esiste nel mondo dei due soggetti.

Le 16 stili relazionali hanno permesso di sviluppare con L’Abate un test “Come vedi de stesso” (L’Abate e De Giacomo 2003)

 

 

 

Grazie alla ridondanza con cui le 4 coordinate si coniugano e si combinano all’interno di un sistema familiare, è possibile effettuare delle previsioni sui comportamenti umani e mettere in atto delle strategie terapeutiche appropriate al singolo caso.

Il MPE consiste in una versione semplificata della realtà, riassunta nella Tavola delle interazioni, che rimane comunque  efficace perché consente sia di interpretare le configurazioni relazionali in questione, sia di selezionare gli stili terapeutici più efficaci nel provocare il cambiamento; il modello spinge verso un obiettivo preciso, in grado di scatenare l’effetto “palla di neve” (un piccolo cambiamento innesca una sequenza di cambiamenti sempre più ampi).

Inoltre il MPE può utilmente completare a livello microstrutturale (lavorando sulla comunicazione, con l’applicazione degli stili relazionali) le mappe funzionali, disfunzionali e terapeutiche proposte dal modello strutturale di Minuchin (Minuchin S.,1974). Egli considera la famiglia come un “organismo” unico in cui ogni sottosistema assume il proprio ruolo ed è separato dagli altri attraverso dei confini invisibili, i quali determinano la funzionalità o disfunzionalità del sistema stesso. Quando i confini sono  invischiati (manca cioè una adeguata differenziazione tra i vari sottosistemi) o sono disimpegnati (manca una sufficiente connessione), sorge la patologia. L’intervento terapeutico è incentrato proprio sulla rottura dell’equilibrio familiare che è espresso e mantenuto dal sintomo, attraverso una ristrutturazione di ruoli e funzioni e una regolazione dei confini.

Il MPE, viene dunque utilizzato sia come base teorica di riferimento che come strumento di interpretazione e di lavoro all’interno dell’approccio terapeutico sistemico-familiare della scuola barese universitaria di Terapia Familiare (De Giacomo, et al. 1997)

Affinché la famiglia possa assumere una struttura più organizzata e funzionale alla crescita di ciascun membro del sistema, si coniugano movimenti macrostrutturali a movimenti microstrutturali all’interno del setting terapeutico, centrando l’ intervento su tre bersagli interattivi:

- prescrizioni alla coppia;

- messa in carico al genitore periferico;

- interventi a famiglia intera.

Prima di descrivere in dettaglio la modalità di svolgimento del lavoro terapeutico, è utile soffermarsi su alcuni aspetti importanti che caratterizzano l’approccio terapeutico adottato dal secondo il MPE (L’Abate e De Giacomo 2003). Innanzitutto bisogna soffermarsi sul ruolo del tempo, il quale diventa uno strumento terapeutico sotto forma di mappa temporale, uno schema che regola e struttura temporalmente  le prescrizioni e le modalità di rapporto da adottare. Le mappe temporali sono composte da 4 parametri che caratterizzano ogni prescrizione assegnata dal terapeuta alla famiglia : la durata, la frequenza, la collocazione temporale, la struttura di successione.

Un altro aspetto importante è la dialettica tra forma e processo, che caratterizza il funzionamento mentale. Il processo  ci consente di cogliere le differenze, le informazioni provenienti dalla realtà, la forma costituisce “il contenitore” degli elementi della relazione, che ci consente di classificare, “categorizzare”. Come sostiene Bateson (Bateson G. 1980), esiste un metaprocesso altalenante, una scala a zig-zag tra forma e processo, in modo tale che nel funzionamento mentale in maniera alternata l’aspetto formale vada in primo piano, mentre l’aspetto processuale rimanga sullo sfondo e viceversa; ripristinare questa dialettica tra forma e processo è alla base di un buon intervento terapeutico, laddove il paziente sia bloccato sulla forma o sul processo (De Giacomo et al. 1992).

Infine bisogna sottolineare il cambiamento di ottica nella psicoterapia, essa infatti non si basa sul concetto di “continuita”, ma di “discontinuità”, in cui l’intervento è una perturbazione all’interno del sistema familiare e deve necessariamente produrre un cambiamento, attraverso tecniche di problem-solving.

 

 

 

 

 

 

 

1. Modalità di svolgimento della terapia familiare.

Il lavoro terapeutico (De Giacomo et al. 1992), svolto dopo la diagnosi, si svolge in 10 sedute di un’ora con frequenza settimanale, all’interno di un setting terapeutico preciso, composto da: un terapista nella stanza della terapia e, al di là dello specchio unidirezionale, il supervisore che ha possibilità di intervenire attraverso il citofono allorquando lo ritenga opportuno (ciò avviene soprattutto alla quinta e alla decima seduta) . Le sedute vengono registrate (previo consenso della famiglia) per dar modo all’equipe di studiare accuratamente il caso; inoltre il terapeuta ha a sua disposizione diversi giochi che servono sia per intrattenere il bambino, sia per studiare le relazioni familiari in contesti di gioco.

Prima dell’inizio delle sedute è fondamentale che ci sia un invio “forte” da parte del terapeuta verso la famiglia: attraverso l’acquisizione del potere, il terapeuta anziano renderà le famiglie disponibili a portare avanti il trattamento e ad eseguire le prescrizioni con la massima collaborazione, ciò è possibile attraverso spiegazioni chiare e dettagliate sui tempi, i ritmi e le difficoltà  che una terapia familiare implica. Il secondo “invio” interno all’equipe avviene nel corso delle prime sedute, quando il terapeuta  menziona la quinta seduta, durante la quale, dietro lo specchio ci sarà il supervisore, creando in tal modo (intenzionalmente) ulteriori aspettative nella famiglia.

La quinta seduta è spesso la “seduta della svolta”, in quanto il supervisore interviene direttamente o suggerendo una “mossa” strategica al terapeuta, quello che succede nella settimana che segue e che si osserva nella sesta seduta, costituisce il feedback di ritorno, che ci consente di valutare l’efficacia dell’intervento.

Frequentemente, all’ottava o nona seduta il terapeuta fa la “previsione del peggioramento”, con lo scopo di preparare la famiglia al peggioramento sintomatico che spesso accompagna l’uscita dalla terapia. La decima seduta è fondamentale in quanto avviene la chiusura, il messaggio finale tanto atteso dalla famiglia, il quale può essere di vario tipo: chiusura enigmatica; chiusura esplicativa; chiusura con prescrizione finale. In ogni caso è fondamentale programmare una seduta di follow-up a distanza di sei mesi e “lasciare la porta aperta” affinché la famiglia sappia di poter chiedere l’aiuto del terapeuta nei momenti di difficoltà che potrebbe incontrare in seguito.

 

2. Terapia familiare nel caso di bambini autistici

Nel corso delle prime sedute è richiesta spesso la presenza della famiglia allargata, ma una volta compresa l’organizzazione di questa, si lavora solo sulla famiglia nucleare, in quanto sono i genitori a doversi riappropriare dei loro ruoli. Infatti molto spesso, nelle famiglie in cui è presente un bambino autistico, i genitori provengono da famiglie disfunzionali, all’interno delle quali non hanno potuto sviluppare quel senso di appartenenza e differenziazione tali da permettere di instaurare relazioni intime appropriate; quasi sempre le coppie di genitori in questione sono immature, ancora “invischiate” emotivamente con la famiglia di origine. Dunque è necessario intervenire con una terapia che si svolge in tre stadi:

1° STADIO:

In questa fase l’obiettivo è il joining, la presa di contatto con tutti i membri della famiglia; compito non facile, in quanto spesso la famiglia parla e agisce in maniera caotica, afinalistica, senza una comunanza di sguardi e intenti; dunque è necessario sin dal primo incontro organizzare un programma di intervento mirato, che consiste nel dare già la prima prescrizione ai genitori, da eseguire nell’hic et nunc: spesso si richiede ai genitori di dare un piccolo ordine al figlio, compito che essi eseguono con riluttanza e in maniera incompetente, ossia con tono di voce costante, senza contatto fisico e visivo, passando da un ordine all’altro, non riuscendo a mantenere il focus dell’interazione. A questo punto interviene il terapeuta che sostiene i genitori e li sollecita a mantenere condivisa l’attenzione sull’ordine, attraverso la coordinata del mantenimento del MPE, fondamentale all’inizio di una terapia.

Dunque a livello della microstruttura, si ottiene che i genitori intraprendono il lavoro di differenziazione delle coordinate da esibire al figlio e soprattutto iniziano ad instaurare delle intersezioni tra loro e il bambino. A livello di macrostruttura, i genitori iniziano a delineare i propri ruoli e ad attuare il processo di de-triangolazione del bambino dal sistema familiare.

2°STADIO:

Questo stadio si svolge in tre fasi:

1.     Intervento sul rapporto madre-bambino che mira a coinvolgere attivamente la madre in una relazione più intima col figlio, dunque a perdere il ruolo marginale che aveva all’interno del sistema assegnando a lei il compito di dare inizio alla “rinascita” del bambino. Questo obiettivo viene raggiunto attraverso una serie di prescrizioni che la madre deve eseguire sia nel contesto terapeutico che a casa, in situazioni di estrema tranquillità.

2.     Si passa ad un coinvolgimento diretto del padre nel rapporto col figlio, assegnando a lui compiti da eseguire in compagnia del figlio: giocare, lottare, uscire, in modo da rafforzare il loro legame.

3.     Si procede all’inserimento nel gruppo dei fratelli, attraverso la condivisione di giochi.

3°STADIO:

Il lavoro si suddivide in due fasi:

1.     Lavoro sulla coppia come sottosistema padre e madre: con lo scopo di intervenire sulla reciproca opposizione fra genitori che spesso esiste nelle famiglie con membro autistico si utilizza spesso la manovra dell’apparire uniti anima e corpo; che consiste nell’ impartire ai genitori la prescrizione delle quattro regole (De Giacomo et al 1992) che va adottata regolarmente: tenere chiusa la porta della camera da letto, uscire da soli per tre volte a settimana; mostrarsi affettuosi davanti al bimbo; dare ogni giorno un piccolo ordine al figlio e apparire uniti nel farlo eseguire.

2.     Lavoro sulla coppia come sottosistema marito-moglie: questo è un lavoro alquanto lungo e complicato, che richiede spesso la programmazione di sedute di coppia al termine di quelle familiari. L’obiettivo fondamentale che ci si propone è fornire ai coniugi un canale di comunicazione diretto attraverso il quale possano esprimere liberamente le loro emozioni, senza la paura che possa accadere qualcosa di irrimediabile, per esorcizzare la quale era sempre stato usato il figlio con la sua malattia. Gli interventi utilizzati sono: innanzitutto esplicitare i conflitti impliciti che risalgono ad un periodo antecedente la nascita del bambino e che sono stati messi a tacere per il “bene” del bambino; in quanto lo stile relazionale in cui  i contenuti sono presenti nel mondo dell’uno e dell’altro ma vengono tenuti al di fuori dello spazio di intersezione è alquanto distruttivo; un altro intervento mira a far sì che i coniugi entrino uno nel mondo dell’altro attraverso una nuova modalità di comunicazione diretta e non più mediata dalla patologia del figlio, che sembra essere l’unico argomento e l’unico elemento di condivisione della coppia.

La riabilitazione del bambino autistico, non può completarsi solo all’interno del contesto familiare. E’ fondamentale,a supporto e integrazione della terapia familiare, l’inserimento precoce del piccolo nella scuola, la quale deve essere informata e preparata per accogliere tale bambino che presenta delle esigenze particolari: il corpo docente e tutte le forze che si occuperanno del bimbo devono coordinarsi tra  di loro e  collaborare con la famiglia  e l’equipe  riabilitativa al fine di  garantire uno

 sviluppo integrato ed ottimale del soggetto; unità e collaborazione tra insegnanti e insegnanti di sostegno deve essere garantita da una figura professionale esperta e infine bisogna fornire agli insegnanti le informazioni sullo stile relazionale più conveniente che essi possono adottare nei confronti del bambino ((Santoni Rugiu e De Giacomo 1997)

 Descrizione di 2 casi clinici e applicazione del MPE.

I casi  presi in considerazione,  per spiegare la modalità di lavoro incentrata sul MPE, sono due bambini affetti da sindrome autistica, i quali hanno portato a termine il ciclo di 10 sedute di terapia familiare con uno degli autori (A. De Giacomo), Neuropsichiatra Infantile e Psicoterapeuta presso l’Unità Operativa di Neuropsichiatria infantile del Policlinico di Bari.

Per tutela della privacy verranno utilizzati nomi inventati.

 

1. IL CASO DI VITTORIO.

Vittorio è un bimbo di quattro anni, il quale in seguito ad un ricovero di pochi giorni nel reparto di neuropsichiatria infantile, è stato indirizzato al ciclo di terapia familiare col dott. De Giacomo. Dopo un breve excursus dell’anamnesi familiare del paziente e della valutazione neuropsicologica effettuata durante il ricovero del pz, descriverò lo svolgimento della terapia familiare.

Anamnesi

Il padre di Vittorio ha 35 anni, un titolo di studio di licenza media superiore, fa l’assistente di volo da 7anni, è nato a Chicago, dove ha vissuto fino all’età di 15anni.

La madre ha 31 anni, è impiegata, è affetta da retinite pigmentosa che le provoca serie difficoltà alla vista, è sposata dal 1999.

Tappe sviluppo posturo-motorio: posizione seduta acquisita a 6 mesi, la deambulazione autonoma a 18mesi.

Tappe sviluppo neurolinguistico: prime sillabe a 6-7 mesi, il paziente utilizza prevalentemente le parole-frase, ma inizia ad organizzare frasi semplici.

A 2 anni è stato inserito nell’asilo nido, frequentato per 18mesi: le operatrici riferiscono che il pz tendeva ad isolarsi, era poco partecipe alle attività di gruppo, preferiva rimanere ad osservare.

 

Valutazione neuropsicologica

Il pz mostra  scarsa interazione con gli operatori, contatto visivo incostante (all’inizio quasi assente,

in seguito di breve durata), collaborazione incostante e labilità attentiva, ipersensibilità ai rumori.

La comprensione verbale è valida solo per ordini semplici. Il linguaggio espressivo è a livello di parola-frase, sporadicamente organizza la frase semplice, utilizzando il verbo all’infinito. Frequentemente presenta inversione pronominale, a volte ecolalia immediata, frequentemente ecolalia differita. Talvolta per esprimere i suoi bisogni ricorre alla comunicazione extra-verbale.

Nelle attività ludiche , predilige giochi fisici (rincorrersi, girotondo) o rimanere sul letto a sfogliare riviste o giochi a tavolino; organizza brevi sequenze di gioco simbolico su imitazione, evidenziando una certa ripetitività: di fronte al materiale proposto mostra scarso interesse, preferendo rimanere con la madre, di fronte a situazioni nuove di gioco, talvolta esibisce reazioni di ansia e spavento; il gioco costruttivo è limitato.

Dalla somministrazione di scale e test (Scale Leiter-R , ADOS, CARS, ADI-R e Vineland), risulta che il disegno spontaneo è costituito da scarabocchi, è capace di contare fino a 5 e di riprodurre l’alfabeto, su indicazione gestuale. Il suo Q.I. è pari a 77; è ipoattivo specie nelle sfere di comunicazione e socializzazione; non è autonomo nell’alimentazione e  nell’igiene personale.

Dalle osservazioni sul suo comportamento, risulta che Vittorio ha un rapporto preferenziale con la madre e con il nonno; ha difficoltà di socializzazione con i coetanei e con i bambini più piccoli, mentre predilige il rapporto con gli adulti.

In situazioni di disagio mostra reazioni d’ansia e agitazione psicomotoria; manifesta stereotipie: girare su se stesso, sfarfallio delle mani. Non presenta deficit e anomalie neurologiche.

In vista delle dimissioni, l’equipe consiglia la frequenza di una scuola materna con sostegno didattico, un approccio abilitativo globale e un piano d’intervento in ambito familiare e scolastico:

-        strutturare le giornate, tenendo conto delle esigenze di tutti, definire gli spazi e i tempi per l’apprendimento, il gioco, l’igiene, l’alimentazione;

-        utilizzare rinforzi positivi (elogi e rifornimento affettivo) e rinforzi negativi (verbali e gestuali) per controllare l’iper-attività;

-        valorizzare le abilità speciali con situazioni cooperative, favorire l’apprendimento all’interno del gruppo classe per incrementare l’accettazione e l’empatia;

-        incoraggiare la socializzazione attiva;

-        relazionarsi con il piccolo, usando  i canali preferenziali (fisici e verbali);

-        incrementare gradualmente il grado di complessità ed elaborazione del gioco.

 

 

Svolgimento della terapia

Nel  corso del  primo  incontro sono  presenti madre , padre e paziente ;  il terapeuta  procede con la

consueta fase di joining, chiedendo al padre di parlare un po’ di se, del suo lavoro, dei suoi hobbies. Durante il colloquio con il padre, la madre si mostra spesso distratta, dedicando le sue attenzioni al bambino; il terapeuta sottolinea questo comportamento e chiede alla madre di prestare attenzione alle parole del marito (prescrizione che pone l’accento sulla necessità di innalzare il padre dalla sua posizione down all’interno del sistema), il bimbo è molto irrequieto, va in braccio alla madre e piagnucola.

Poi è il turno della madre, il cui discorso viene interrotto improvisamente dal pianto del bambino; il terapeuta chiede subito al padre di consolarlo (già questo è un primo intervento nella direzione di un rinforzo del legame tra figlio e genitore periferico); cosa che egli fa prendendo il piccolo in braccio, ma non ottenendo risultati positivi; il terapeuta esce dalla stanza e subito viene ripristinato l’equilibrio “disfunzionale” del sistema: la madre va dal bimbo e gli chiede se vuole l’acqua, in tal modo il padre passa nuovamente in posizione down dinanzi agli occhi del figlio.

Il terapeuta torna, ma la madre non ha molto da dire su di se, è molto distratta dalle lamentele del piccolo e sposta il focus della conversazione su di lui, riferendo che il bimbo piange perché si sente escluso, poi lo prende in braccio e solo così si calma un po’. Sotto richiesta della madre il bimbo dice che piange perché si è fatto “la bua”; mentre alla richiesta del terapeuta di vedere la “bua” Vittorio si china sulla sedia e piange.

Il terapeuta chiede ai genitori di esplicitare uno per volta quali sono secondo loro i problemi che bisogna risolvere.

Il padre riferisce che i problemi principali sono: capire le sue esigenze, in quanto  Vittorio non esprime il suo disagio; il suo eccessivo attaccamento alla madre e il suo distacco dal padre; infatti egli lamenta che al suo ritorno dai viaggi il figlio spesso non lo saluta o addirittura piange.

La madre ritiene che i comportamenti che non vanno sono: scarse capacità relazionali con i coetanei; pigrizia e richiesta dell’aiuto della madre per qualsiasi cosa e difficoltà nella regolazione dei bisogni fisiologici.

Il terapeuta chiede al padre di  giocare col bambino, utilizzando i giocattoli presenti nella stanza; la madre tenta di interferire nel gioco.

A termine della seduta il terapeuta assegna una prescrizione ai genitori: compilare insieme una lista dei problemi di  Vittorio; tale prescrizione ha una duplice valenza: da un lato consente al terapeuta di avere una visione più chiara di come i genitori vivono la patologia del bambino, dall’altra sancisce il primo passo verso un avvicinamento dei genitori, attraverso un passaggio dallo stile relazionale F6 (egoismo-altruismo, caratterizzato dall’accettare senza condividere il proprio mondo e l’altrui mondo) alla prescrizione di F1, caratterizzato dalla selezione di elementi in comune, attraverso lo svolgimento di un’attività condivisa.

Nel corso della seconda seduta il terapeuta chiede ai genitori come sia andato il periodo intercorso dalla prima seduta (2 settimane); i genitori hanno riscontrato entrambi un miglioramento; in particolare il padre riferisce che Vittorio è più partecipe, è migliorato un po’ nel linguaggio, grazie anche alla loro stimolazione, seppur utilizzi sempre frasi semplici, con verbi all’infinito e non utilizzi il pronome in prima persona; inoltre non esprime ancora bene i suoi bisogni, però è meno agitato.

La madre riferisce che anche il comportamento con i coetanei dell’asilo è migliorato; esprime di più i propri bisogni fisiologici; però quando esce col padre da solo, dopo un’oretta chiede della madre. La madre attribuisce i  miglioramenti del figlio alla presenza assidua del padre, che non è stato fuori per lavoro.

I genitori riferiscono di aver eseguito la prescrizione e consegnano il foglio con la lista dei problemi di Vittorio al dottore:

1.     Attaccamento alla madre

2.     Imparare a giocare da solo

3.     Esprimere i suoi bisogni e paure

4.     Migliorare il bagaglio lessicale

5.     Migliorare il rapporto padre-figlio

6.     Aiutarlo ad avere fiducia nelle sue capacità

7.     Autonomia personale

Il terapeuta chiede ai genitori di giocare a turno col piccolo. Tra madre e figlio si osserva una buona complicità ed empatia; mentre tra padre e figlio è evidente una distanza emotiva, tant’è che il terapeuta invita il padre a ricercare più frequentemente il contatto visivo col figlio, i loro giochi sono più fisici, ma il bimbo non sembra molto coinvolto e tende a ricercare frequentemente il contatto con la madre, nonostante ella sia nell’angolo della stanza.

Nel complesso Vittorio appare molto più sereno e a suo agio nel contesto terapeutico.

La prescrizione del terapeuta è indirizzata alla diade padre-figlio: devono giocare per mezz’ora al giorno, la madre deve supervisionare affinché nessuno li disturbi; ella può dare suggerimenti in separata sede al marito.

Questa prescrizione è orientata a far sì che il padre entri nel mondo del figlio (F5), in modo che si stabilisca un nuovo equilibrio nell’assetto del sistema, in cui il padre riprenda il suo ruolo a tutti gli effetti.

La terza  seduta avviene a distanza di un mese a causa delle vacanze natalizie.

Sia il padre che la madre hanno riscontrato un miglioramento nella situazione del figlio, specie per

quanto riguarda l’autonomia nel soddisfacimento dei bisogni e le relazioni sociali con i coetanei.

Il padre però non ha eseguito la prescrizione, in quanto non è stato capace di seguire spesso il bimbo a causa del lavoro e del proprio umore piuttosto depresso in quel periodo; questa sua mancanza è stata fonte di discussioni con la moglie.

Il terapeuta chiede al padre il motivo della suo stato d’animo e il padre accenna  a problemi economici e alla progressiva cecità della moglie che lo preoccupa.

Il bimbo appare piuttosto tranquillo in seduta.

Il terapeuta incita i genitori, dice loro che è arrivato il momento di farsi forza, di supportarsi a vicenda e chiede alla madre di aiutare il marito nello svolgimento delle prescrizioni, dandogli suggerimenti su come coinvolgere il figlio nell’esecuzione dei giochi.

Il terapeuta chiede nuovamente che padre e figlio giochino assieme, si nota un miglioramento nella relazione, un maggior scambio di sguardi e sintonia.

In questa seduta emerge chiaramente che ci sono problemi e conflitti tra i genitori che è necessario esplicitare nel corso delle sedute seguenti.

Negli incontri successivi i miglioramenti di Vittorio sono sempre più visibili ai genitori, i quali riferiscono che all’asilo il bambino è pienamente autonomo ed ha più volontà nel relazionarsi con gli altri e di collaborare anche con i genitori. A detta di entrambi è migliorato molto il rapporto col padre, l’unico problema resta il distacco frequente a cui il bambino fatica ad abituarsi.

Il padre dice di aver sentito il sostegno della moglie nel suo rapporto con Vittorio, ma permane un livello di tensione elevato tra i due. Il terapeuta chiede loro come facciano ad abbassare questa tensione nella vita quotidiana; entrambi riferiscono che la loro strategia è quella di evitare le discussioni e concentrarsi sul figlio, soprattutto la moglie sa che deve lasciar stare il marito quando è nervoso. Il padre riferisce che non fanno più nulla insieme da un anno circa e che lui risente molto di ciò, vorrebbe trascorrere tempo con lei, a prescindere dal figlio, mentre la moglie non avverte questa necessità.

Questo è il momento in cui la terapia deve rivolgersi alla diade marito-moglie; infatti il terapeuta assegna loro la prescrizione di uscire insieme e distrarsi dalle problematiche del paziente due giorni a settimana, il mercoledì e il sabato per almeno un’ora, senza dire a nessuno cosa fanno e dove vanno. Questa prescrizione si rifà alla prescrizione delle “sparizioni” (Selvini Palazzoni et al 1988)

Intanto si prende appuntamento con i coniugi per la somministrazione del questionario di personalità MMPI, necessario per la valutazione del loro profilo psichiatrico. I risultati dell’inventario somministrato al padre rivelano che il suo tono dell’umore è accentuatamente depresso; si evidenzia insicurezza ansiosa e rifiuto delle norme che possono portarlo a comportamenti sociali ostili  e aggressivi; presenti sentimenti di autosvalutazione e tendenza a strumentalizzare i propri disturbi psichici per ottenere gratificazione. L’interpretazione del questionario somministrato alla madre di Vincenzo rivela stabilità nell’umore, e nessun problema rilevante, a parte una tendenza a non accettare o comunicare i propri problemi emotivi.

Le sedute seguenti, ad eccezione della settima e della nona, si svolgono solo in presenza dei genitori, in quanto è necessario focalizzare l’intervento sul sottosistema marito-moglie, il quale è caratterizzato da mancanza di dialogo ed esplicitazione di conflitti irrisolti che coinvolgono anche la famiglia allargata; grazie alla prescrizione assegnata dal terapeuta nel corso della 5^ seduta, i coniugi  compilano una lista delle tappe importanti della loro storia, nella lettura della quale è possibile venire a capo di molte problematiche irrisolte: il padre nutre risentimento nei confronti dei suoceri, i quali l’hanno consigliato male su un investimento importante che ha causato un grave deficit nel budget familiare. Questo è stato fonte di forti conflitti tra i coniugi, i quali da un po’ di mesi tendono a non affrontare più l’argomento, perché il padre si deprime eccessivamente e sostiene invece che la moglie sia superficiale. ad incrementare la tensione familiare c’è il problema della vista della moglie, che andrà sempre più aggravandosi nel tempo fino a condurla alla cecità. La moglie rivela anche di aver avuto problemi di anoressia intorno ai 17 anni e che il marito non ha mai compreso il suo malessere. Il terapeuta al sesto incontro incentra ancor di più il focus della terapia sulla relazione di coppia, prescrivendo loro che ogni giorno, per mezz’ora il padre dovrà esplicitare i propri pensieri negativi e la moglie dovrà ascoltarlo con partecipazione senza minimizzare. Inoltre invita il padre a richiedere una visita specialistica  presso uno psichiatra di fiducia, a causa del disturbo depressivo che si è riscontrato e che lui stesso ammette.

Nella settima seduta dopo aver appurato che i coniugi dormono con la porta della camera da letto aperta, il terapeuta chiede loro di iniziare a chiuderla, prescrizione che completa la manovra dell’apparire uniti anima e corpo, strategia che rientra nello stile F9 (accettante soltanto di quello che esiste o non esiste nel proprio e nell’altrui mondo) .

Intanto i miglioramenti del paziente e della sua relazione con il padre continuano; infatti nel corso dell’ottava seduta la madre riferisce che nel contesto domestico il piccolo ha richiesto la presenza del padre per calmarsi; il padre però non ha eseguito costantemente la prescrizione del gioco della palla, che consiste nel dare al bambino direttive precise su quando e a chi lanciare la palla; questo compito è fondamentale per rafforzare la coordinata del mantenimento (dell’MPE) all’interno del sistema, prerequisito indispensabile per rinsaldare l’alleanza padre-madre e procedere con la de-triangolazione del figlio. Il terapeuta ribadisce l’importanza di portare a termine le prescrizioni e di mostrare forza e volontà ferrea nel far rispettare gli ordini al piccolo.

Sempre durante l’ottava seduta avviene un episodio importante e decisivo: la crisi.

In seguito ad un’affermazione del marito <<tutti i problemi sono iniziati quando ci siamo sposati, vorrei andarmene>> la moglie scoppia in lacrime . Il terapeuta interviene per modificare lo stile relazionale della coppia, identificabile con l’F6 del MPE: entrambi i genitori, infatti possono definirsi accettanti senza condividere del proprio e dell’altrui mondo in quanto tendono a non discutere e mettere in comune certi contenuti che esistono in ambedue, preservando lo “pseudo-segreto” al fine di mantenere un “equlibrio apparente”. Il compito del terapeuta è proprio quello di riempire l’intersezione dei due, esplicitando o prescrivendo l’elemento non condiviso, attraverso stili relazionali F1 o F7. In questa situazione il terapeuta ritiene opportuno stimolare i coniugi ad esplicitare il loro “segreto”, a metterlo in comune, all’interno del setting terapeutico.

In definitiva l’approccio terapeutico adottato con questa famiglia si è incentrato su un duplice obiettivo. Il primo è il rafforzamento del rapporto padre-figlio, il quale ha avuto un esito positivo al termine del ciclo di sedute, imprimendo una svolta nella modalità relazionale dei due sia a livello di microsistema, soppiantando il padre dalla posizione down all’interno del sistema e rivalutando la sua funzione cardine, sia a livello di macrosistema, rinforzando lo stile relazionale F5. Quanto fatto ha consentito al padre di entrare nel mondo del figlio, obiettivo che è stato possibile raggiungere grazie alle numerose prescrizioni che coinvolgevano i due in attività di gioco condiviso che richiedevano contatto fisico, visivo e sintonia emotiva. Il secondo obiettivo terapeutico è il rapporto padre-madre, il quale era caratterizzato da uno stile relazionale estremamente disfunzionale, F6, il quale comportava un’estrema distanza emotiva tra i due e una mancanza di condivisione di interessi e dialogo, specie sui “temi importanti e difficili”. Dunque l’intervento terapeutico si è mosso proprio nella direzione di un’esplicitazione dei contenuti latenti e di un avvicinamento tra i due attraverso prescrizioni di F1, F7 e F9. Al termine del breve ciclo terapeutico non è stato possibile raggiungere gli obiettivi proposti per la coppia,in quanto è stato compito primario del terapeuta occuparsi del paziente, dunque si consiglia ai genitori di proseguire il percorso terapeutico di coppia, sia per migliorare la  relazione coniugale, sia per creare un clima familiare armonioso ed ottimale per la crescita e lo sviluppo di un bimbo “speciale”.

 

2. IL CASO DI CARMELO.

Carmelo è un bimbo di 4 anni, anche lui affetto da sindrome autistica e ricoverato nel reparto di neuropsichiatria infantile per qualche giorno prima di essere indirizzato alla terapia familiare.

Anamnesi

Il padre  ha 35 anni, titolo di studio di licenza media inferiore, è attualmente disoccupato e  usufruisce di una pensione di invalidità civile, in seguito ad ischemia cerebellare occorsa nel giugno 2002. Ha perso il padre nell’87 e la madre nel 95.

La madre ha 37 anni, titolo di studio di licenza media superiore, è infermiera professionale.

La sorella del paziente ha 8 anni, frequenta la seconda elementare con profitto e un buon livello di socializzazione.

La sorella minore del paziente ha 17 mesi, presenta sviluppo posturo-motorio e del linguaggio in epoca.

SVILUPPO POSTURO-MOTORIO: deambulazione autonoma a 11 mesi

LINGUAGGIO: prima parola a 3 anni, prima espressione richiestivi con pianto a 2 anni con pointing richiestivi. Comprensione verbale dubbia fino a 3 anni.

Nel settembre 2002 è stato iscritto ad una ludoteca, dove l’inserimento è stato alquanto difficile; nel 2003 è stato iscritto alla scuola materna, dove ha manifestato una tendenza all’isolamento; dal gennaio 2004 ha iniziato una terapia logopedica (3 volte a settimana).

 

Valutazione neuropsicologica

In seguito all’osservazione dei comportamenti spontanei, delle sedute di gioco semistrutturate, alla somministrazione di ADOS, CARS, VINELAND, ADI-R, durante il ricovero, è stato possibile raccogliere informazioni sul profilo neuro-psicologico di Carmelo.

Il bimbo si è adattato passivamente al nuovo ambiente; ha trascorso il tempo guardando la TV e aggirandosi per i corridoi senza finalità esplorative. Ha mostrato preferenza per i giochi cinetici, interazione solo con un bambino. Nell’interazione con gli esaminatori ha esibito passività, non ha mostrato opposizione e ha tollerato l’allontanamento della madre; è indifferente ai tentativi di relazione da parte degli altri, reagisce positivamente al solletico e alle lodi.

Il livello di attività motoria è fluttuante, con tendenza all’irrequietezza. La motricità globale, l’agilità e la coordinazione sono adeguate; sono presenti stereotipie, in particolare egli rigira tra le mani a mò di volante gli oggetti rotondi.

Nel gioco spontaneo non ha capacità di gioco costruttivo, non riesce ad imitare sequenze di gioco  è assente l’attenzione condivisa. E’ capace di mimare l’utilizzo di alcuni oggetti; conta fino ad 8.

Risultano molto carenti le capacità comunicative-linguistiche e di socializzazione.

Il profilo del comportamento presenta le seguenti caratteristiche:

Nelle relazioni ed affetti: prevale il contatto fisico, il contatto oculare è sfuggente, la relazione con la madre è finalizzata al soddisfacimento dei bisogni; la cooperazione è instabile, non intraprende un’attività con un adulto estraneo spontaneamente, ma si fa coinvolgere (se gli piace); ha scarsa tolleranza alla frustrazione a cui reagisce con comportamenti oppositivi, aggressivi e autolesionisti (sbattendo la testa al muro).

Nel gioco ed interesse per il materiale: si disinteressa facilmente, se non sollecitato. Utilizza gli oggetti in modo incongruo e stereotipato; è assente il gioco simbolico, qualche sequenza di imitazione differita; il gioco costruttivo non è finalistico.

Le risposte sensoriali hanno un canale uditivo adeguato, olfattivo e visivo un po’ meno (sguardo di traverso allo specchio).

Il linguaggio: adeguato solo in relazione al soddisfacimento dei bisogni; marcata ecolalia immediata, saltuaria quella differita. Gergolalia che accompagna l’attività solitaria; la prosodia è lievemente cantilenante; efficace la comunicazione gestuale per le richieste; le espressioni del viso sono limitate al sorriso, pianto e rabbia. La comprensione linguistica non è adeguata.

profilo di sviluppo:

 Lo sviluppo è disarmonico, preservate le aree di motricità, coordinazione , compromessi gli aspetti verbali, imitativi (specie imitazione verbale)  e simbolici, quindi il funzionamento cognitivo.

Utilizza spesso frasi-parole e frasi dirematiche, presenti dislalie.

In vista delle dimissioni, l’equipe consiglia:

-        frequentazione della scuola materna con sostegno e programma individualizzato;

-        terapia abilitativa globale;

-        promuovere il gioco simbolico, con rinforzi;

-        dargli compiti semplici, quali associazione di colori e di oggetti-immagini, rinforzare la motricità e la coordinazione oculo-manuale, attraverso attività di ritaglio e grafismo;

-        incentivare i giochi in gruppo;

-        intraprendere psicoterapia familiare.

                                   

Svolgimento della terapia

Nella fase di joining, dopo una breve presentazione dei membri della famiglia (tutti presenti in seduta tranne la figlia minore), il terapeuta chiede ad ognuno, a turno, di esplicitare i comportamenti di Carmelo che bisognerebbe cambiare: il padre cita l’irrequietezza, la disobbedienza, il nervosismo, la prepotenza, il fatto che urla per ottenere le cose. La madre ribadisce la prepotenza, la mancanza di ascolto quando qualcuno gli impartisce un ordine, la vivacità eccessiva. La sorella dice che Carmelo è capriccioso.

Il bambino è molto irrequieto in seduta: non sembra per nulla interessato ai giochi presenti in stanza e preferisce girare per la stanza senza un intento, salire sulle sedie e tentare ripetutamente di aprire la porta, tant’è che risulta necessario chiuderla a chiave, ma lui si oppone piagnucolando e premendo l’interruttore della luce, nel vano tentativo di aprirla.

La prima prescrizione, come di consueto è quella assegnata ad ogni membro della famiglia: compilare per iscritto e singolarmente una lista dei comportamenti che si vogliono migliorare in Carmelo.

La settimana successiva i genitori evidenziano un miglioramento nel figlio: è più socievole con la sorellina, ascolta di più i loro ordini, anche a scuola si impegna di più in attività.

Per rafforzare la coordinata del mantenimento all’interno del sistema (F3), funzione che sembra non esistere affatto, in quanto il figlio non rispetta le regole e non attribuisce alcun ruolo ai genitori, il terapeuta chiede ai genitori a turno di impartire un ordine semplice al figlio. Il padre tenta di eseguire la prescrizione chiedendo al figlio di prendere la sedia, ma il piccolo non risponde. Alla richiesta della madre, invece dopo alcuni tentativi il bimbo esegue l’ordine. I genitori riferiscono che a casa Carmelo esegue ordini semplici, il terapeuta ribadisce loro l’importanza che questo avvenga anche in contesti esterni.

Dunque il terapeuta assegna la prescrizione da effettuare a casa: il padre deve dare un ordine in presenza del coniuge, il quale deve annuire senza intervenire. L’ordine va deciso di comune accordo e deve essere portato a termine dal bimbo. Subito la terapia vuole incentrarsi su un aspetto rilevante del comportamento di Carmelo: la sua incapacità nell’eseguire gli ordini. Questa prescrizione ha un duplice scopo: oltre a quello fondamentale di evidenziare la coordinata del mantenimento all’interno del sistema, va a rinforzare lo stile relazionale F7 (accettazione del proprio e dell’altrui mondo) tra i coniugi, creando uno spazio per l’intersezione e il dialogo e accentuando la loro comunanza di intenti nel portare avanti gli obiettivi.

Infine si prendono accordi con i coniugi per la somministrazione dell’MMPI, dal quale si ricavano i seguenti risultati: il padre risulta depresso; timido e passivo nelle relazioni sociali; ha bassa stima di sè e tende a polarizzare la propria attenzione su disturbi somatici; emerge una tendenza a strumentalizzare i rapporti interpersonali per ottenere gratificazioni emotive (il supervisore annota nell’interpretazione dell’inventario che la validità del profilo di personalità è dubbia, in quanto potrebbe esserci stata un’incomprensione degli items da parte del soggetto, a causa dei suoi problemi di salute o dalla sua ansia). La madre invece presenta il seguente profilo psicologico: buona introspezione, con difficoltà ad accettare i propri problemi emotivi; equilibrio nel tono dell’umore (seppur lievemente depresso); preferisce evitare le situazioni sociali; presenta sentimenti critici circa le proprie possibilità  e tendenza alla colpevolizzazione; tendenza alla dipendenza, all’imitazione, alla strumentalizzazione dei rapporti interpersonali e all’esibizionismo; possibile somatizzazione.

Nella terza seduta il terapeuta verifica che la prescrizione è stata eseguita correttamente e ha dato i suoi frutti; il padre sottolinea l’importanza del contributo della moglie, che fra i due sembra la più caparbia nel portare a termine gli obiettivi.

Ora il terapeuta centra la terapia sulla diade madre-bambino, osservandoli in contesto di gioco: la relazione e l’intesa tra i due è abbastanza buona, la madre riesce a mantenere viva l’attenzione condivisa, è affettuosa e autorevole allo stesso tempo. Il terapeuta elogia la madre e le prescrive di giocare per un’ora al giorno con Carmelo, senza farsi disturbare da nessuno.

Nella quarta seduta, dopo aver verificato gli esiti positivi della prescrizione e i lievi miglioramenti di Carmelo nell’interazione (anche se permangono gravi problemi nella percezione dei pericoli e nell’ascolto) il terapeuta inizia ad indagare un po’ sul sottosistema madre-padre; chiedendo loro come hanno vissuto l’ultimo anno; emerge un problema di comunicazione tra di loro che il terapeuta prontamente evidenzia: la sovrapposizione durante la comunicazione; molto spesso infatti accade che la moglie si sovrapponga ai discorsi del marito, cosa che lei stessa ammette; poi il padre parla della sua decisione di non lavorare per dedicarsi al figlio. La madre inizialmente non approvava questa scelta, per l’aspetto di gratificazione personale, ora però è contenta perché il marito può dedicarsi all’accudimento dei figli e “prendere” il suo posto in sua assenza. Il marito è contento di dedicarsi ai figli e non sembra intenzionato a riprendere il lavoro. Questo capovolgimento di ruoli all’interno della famiglia si riflette nelle capacità relazionali del padre, il quale adotta uno stile relazionale col figlio per nulla F3 (mantenitore del proprio mondo, tenace ed egocentrico); infatti si osserva che quando il padre da un ordine al figlio, non gli da il tempo necessario per rispondere, cedendo subito e passando ad un altro ordine, questo comportamento non fa altro che rinforzare la patologia, inviando chiaramente il messaggio al figlio “non mi aspetto una risposta, puoi non rispondermi”. Il padre si autosqualifica nel rapporto col figlio e così facendo Carmelo rinforza la sua passività e la sua “chiusura nel proprio mondo”.

La nuova prescrizione al padre consiste nel fare un gioco col figlio e portarlo avanti finchè non riesce ad espletarlo, nel frattempo deve cercare di farsi guardare negli occhi dal bimbo (prescrizione di F3).

Alla quinta seduta la famiglia arriva con tre quarti d’ora di ritardo, quindi non è possibile eseguirla; la settimana successiva il bimbo si ammala, quindi c’è uno slittamento notevole per la sesta seduta, durante la quale si nota un lieve peggioramento nel comportamento del paziente, i genitori stessi riferiscono che il bimbo non ha percezione di spazio e tempo, non percepisce assolutamente i pericoli e loro sono molto preoccupati perché non possono mai distogliere l’ attenzione da lui.

Il terapeuta chiede ai genitori di eseguire il gioco della palla; Carmelo non risponde assolutamente alle richieste dei genitori: non c’è un riconoscimento dei ruoli, dei tempi e della sequenzialità del gioco. Il terapeuta propone loro un gioco più semplice e che possa alleviare la frustrazione dei genitori in quella situazione: il gioco della corsa, in cui a turno il padre e la madre devono dire “pronti, partenza via!”, guardare negli occhi il piccolo e correre insieme, mano nella mano, da una parete all’altra della stanza. Questa prescrizione ha un esito positivo, il bimbo è coinvolto e c’è armonia in famiglia.

Si nota che il bambino presenta gravi deficit linguistici: scarso il linguaggio spontaneo e caratterizzato dalla frequente presenza di ecolalia immediata.

Il terapeuta prescrive il gioco della palla per un’ora al giorno, sottolineando l’importanza che Carmelo la lanci a chi gliela chiede. Inoltre devono impegnarsi affinché non sia favorita l’ecolalia.

La settima seduta è decisiva, in quanto emerge il problema del figlio in tutta la sua drammaticità.

La prescrizione non è andata bene e i genitori lamentano un aumento di aggressività del figlio. Emerge nuovamente la tendenza della madre a sovrapporsi ai discorsi del padre, ella ammette di essere testarda e caparbia e il terapeuta chiede come mai, nonostante la sua caparbietà, non riescano a far rispettare gli ordini a Carmelo. Nella risposta emerge la loro forte ambiguità, si contraddicono perché prima attribuiscono la colpa alla personalità del bimbo, però poi ammettono una mancanza di “polso” nei suoi confronti, specie il padre ammette di essere il più debole e la madre sostiene di avere paura di imporre la sua volontà perché Carmelo in alcune situazioni ha mostrato comportamenti auto-lesionisti e aggressivi, quindi sin dall’inizio hanno cercato di assecondare le  sue richieste. La madre dice che il marito ha lo stesso stile relazionale con tutti i figli: è meno esigente e più tollerante di lei. Egli conferma il fatto che con tutti i figli si comporta più da fratello maggiore, trascorrendo la maggior parte del tempo giocando con loro. A questo punto è arrivato il momento di drammatizzare, il terapeuta deve accentuare la gravità della situazione, per stimolare i genitori nella direzione di un cambiamento decisivo. Dunque il terapeuta, con un tono solenne di voce, dice alla coppia che la situazione all’interno della famiglia è alquanto pericolosa, in quanto si è venuta a creare una modalità relazionale che potrà portare a conseguenze estremamente negative per il paziente. Carmelo infatti ha chiare difficoltà di percezione della realtà, di fronte alle quali i genitori hanno un atteggiamento di rinuncia. In particolar modo, quando essi sanno che un ordine non è fattibile, è meglio che non lo richiedano affatto, mentre quando pensano che il bimbo sia in grado di eseguirlo, devono insistere fino a quando non viene completamente espletato; questo perché il loro atteggiamento rinunciatario rinforza il circolo vizioso dell’autismo e consente al bimbo di mettere in atto il ricatto dell’auto-lesionismo; se il bimbo mette in atto comportamenti aggressivi e nocivi verso se stesso, i genitori devono intervenire tempestivamente “contenendo” e bloccandolo con modalità sicura. Se non si corre ai ripari, il ricatto del paziente diventerà sempre più forte e le conseguenze saranno disastrose. Perciò è arrivato il momento di essere forti, di riappropriarsi del loro ruolo di genitori e fare in modo che il bimbo rispetti le regole.

Il messaggio arriva forte e chiaro ai genitori e si spera che possa determinare una svolta nelle dinamiche relazionali del sistema, sia a livello microstrutturale, i genitori inizino quel lavoro di differenziazione delle coordinate e in particolar modo rafforzino la coordinata del mantenimento, sia a livello macrostrutturale, stabiliscano un’alleanza padre-madre per definire il loro ruolo di genitori e  togliere il piccolo dal triangolo.

Purtroppo non è possibile portare a termine il ciclo delle sedute a causa del sopraggiungere delle ferie estive.

 

 

4. CONCLUSIONI

Grazie alla descrizione dei due casi presi in considerazione, è possibile trarre alcune conclusioni.

Innanzitutto risulta evidente il duplice scopo del MPE, il quale oltre che un modello teorico con il quale classificare le relazioni umane, costituisce un valido strumento terapeutico, in quanto sulla base dell’osservazione clinica delle interazioni familiari all’interno del setting terapeutico, esso fornisce una guida per la scelta delle prescrizioni più appropriate da adottare.

Così è stato possibile concentrare il focus terapeutico, nel caso di Vittorio, sul rapporto padre-figlio attraverso lo stile relazionale F5 e sulla diade marito-moglie attraverso F1 ed F7. Contemporaneamente è di fondamentale importanza delineare tempestivamente i bersagli terapeutici e agire in maniera appropriata, attraverso l’uso di prescrizioni che nel corso degli anni e delle esperienza si sono rivelate efficaci, in situazioni similari.  Parimenti, nel caso di Carmelo, si è rivelato utile concentrarsi su una particolare problematica: l’incapacità del piccolo di rispettare gli ordini. Dunque le prescrizioni assegnate riguardavano tutti i membri del sistema ed erano focalizzate principalmente al rafforzamento della coordinata del mantenimento del proprio mondo, da parte dei genitori (F3).

In conclusione, la ricchezza e l’originalità del metodo in questione consiste proprio nella sua potenza ed efficacia: seppur possa apparire una versione stilizzata  e semplificata della realtà; esso spinge verso una visione mirata , centripeta, a privilegiare un focus interattivo su cui agire.

 

 

 

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