L’autismo
infantile, come riporta il DSM IV-TR, rientra nei Disturbi
Pervasivi dello Sviluppo, i quali sono caratterizzati da una
menomazione grave e qualitativa nello sviluppo della relazione
sociale reciproca, delle abilità di comunicazione verbale e non
verbale, e/o un repertorio gravemente ristretto di attività ed
interessi, che possono essere stereotipati e ripetitivi. In realtà
l’autismo in questo gruppo di disturbi è l’entità meglio
definita e con le caratteristiche meglio integrate, tanto
che potremmo anche definire l’insieme dei disturbi generalizzati
dello sviluppo come l’insieme comprendente l’autismo e i
disturbi simili. La sindrome autistica vera e propria, così come è
descritta nel DSM-IV-TR non è molto frequente, le attuali ricerche
parlano di 10 casi per 10.000 bambini con autismo, e di 40/10.000
bambini all’interno dello Spettro Autistico, definito come l’insieme dei disturbi che presentano menomazioni nella relazione
sociale reciproca. In
questo "spettro" le caratteristiche difficoltà di
sviluppo compaiono in modo sfumato, senza soluzione di continuità,
dal più grave al più lieve, dalla presenza di tutte le
caratteristiche fondamentali alla presenza solo di una in forma
leggera.
L’autismo, dunque, è una sindrome
comportamentale causata da un disordine dello sviluppo, che insorge
precocemente nei 3 anni ed ha un’evoluzione che varia
notevolmente, nel senso che ogni soggetto autistico presenta
caratteristiche peculiari che subiscono evoluzioni uniche e
necessitano modalità di cura specifiche ed individualizzate.
Per quanto riguarda l’eziologia della
patologia, molti autori distinguono tra:
- autismo infantile primario
psicogeno, caratterizzato dalla triade di Kanner: esordio nel 1°anno
di vita; aloneless (assenza di contatto con gli altri); samenness
(necessità di mantenere immutata la situazione esterna, con forte
angoscia per i cambiamenti); potenzialità intellettive conservate e
uso anomalo del linguaggio;
-
autismo infantile secondario, in cui sono evidenti i segni di cerebropatia e il
difetto intellettivo.
In realtà sappiamo che mente e corpo sono in
interazione così stretta che
ben difficilmente sono scindibili in un bambino, specie nella
primissima infanzia, soma e psiche sono poco differenziati al punto
che , se un sistema neuronale non viene adeguatamente stimolato
entro un certo periodo “critico”, può subire una lesione
definitiva. Tale bidirezionalità prospetta la possibilità e
necessità di influenzare i disturbi mentali agendo dal basso verso
l’alto, ossia dal biologico allo psicologico (dal mondo della
sostanza al mondo della forma, cioè la comunicazione) e dall’alto
verso il basso, cioè dallo psicologico al biologico (dal mondo
della forma al mondo della sostanza).
Ogni
bambino è diverso dall’altro, non solo come capacità
intellettive, carattere,
stile,
interessi, presenza o meno di altri disturbi associati, ma proprio
nel modo in cui si manifesta la disabilità sociale e comunicativa.
Avremo quindi il bambino ritirato, che non cerca il contatto nemmeno
dei genitori; il bambino che al contrario è costantemente attaccato
in modo esagerato alla mamma , e ha però difficoltà nello scambio
sociale e "usa" quindi il contatto come rassicurazione o
gioco o mezzo per soddisfare le sue necessità; il bambino
interessato ai coetanei anche se incapace di reggere la difficoltà
dello scambio sociale e del gioco; il bambino che se aiutato e
guidato, opportunamente diretto può interagire in semplici scambi
sociali. E’ possibile comunque delineare alcune caratteristiche
salienti e presenti nella gran parte dei casi all’interno del
quadro psico-patologico dei bambini autistici:
-
Iperselettività: consiste nell’avere un
approccio cognitivo legato ai dettagli e non al contesto generale;
per una persona affetta da autismo il
cambiamento di un dettaglio equivale al cambiamento del
tutto, provoca disorientamento, e può dare origine a crisi di
comportamento.
-
Rapporto con gli oggetti: anche nel rapporto con gli
oggetti, i bambini sono molto attenti ad alcuni dettagli e
componenti di essi, inoltre assumono
ben presto abitudini di gioco coatte, ma anche notevoli abilità
manipolative: con questi oggetti riescono a giocare a lungo, ma in
modo ripetitivo ossessivo e stereotipato. Con essi sembra quasi che
instaurino un profondo rapporto affettivo e la loro perdita sembra
gettarli in un profondo stato di disperazione; il bambino utilizza
gli oggetti per creare intorno a sé un ambiente in cui sentirsi
sicuro; Bettelheim definisce tale modalità relazionale
“comportamento di frontiera”: il bambino utilizza gli oggetti
come una barriera per proteggere la propria vulnerabilità da
stimolazioni esterne, alla quali non potrebbe far fronte.
-
Caratteristiche cognitive dell’autismo:
il bambino autistico presenta delle difficoltà ad
andare al di là dell’informazione data, nello sviluppo del
linguaggio e allo stesso tempo nello sviluppo della comprensione
sociale: sono degli iperrealisti, così come noi, per loro, siamo
dei surrealisti. I bambini, dunque, presentano un deficit nel
processamento delle emozioni e nella capacità di rappresentarsi lo
stato mentale di sé stessi e degli altri; mancano di attenzione
condivisa e di capacità imitativa.
-
Linguaggio:
in ¼ dei casi il linguaggio è
totalmente assente; i più tipici disturbi del linguaggio sono: inversione pronominale, il bambino autistico non usa
mai il pronome personale “io” e al suo posto usa il tu o la
terza persona e ripete i pronomi così come li ha uditi; anomalie
della prosodia: alterazione del tono e della modulazione
della voce, che si presenta monotona e inespressiva; assenza di
funzione simbolica del linguaggio; ecolalia: il soggetto
ripete intere frasi o la parte finale di esse, subito dopo averle
udite o a distanza di tempo.
-
Mancanza di teoria della mente:
con la teoria della mente, noi siamo in grado di dedurre lo
stato d’animo delle persone nelle diverse situazioni osservandone
l’aspetto, e la prima cosa che ci permette di capirlo sono gli
occhi. Per
le persone affette da autismo è estremamente difficile comprendere
le emozioni e le idee degli altri, perché per comprendere le
emozioni e le idee bisogna andare di nuovo al di là del letterale e
senza l'immaginazione è impossibile andare al di là della
percezione letterale.
Sebbene nelle linee guida per l’autismo
recentemente pubblicate sul Giornale di Neuropsichiatria Infantile
la terapia familiare, non è considerata
tra gli approcci terapeutici di elezione per il trattamento
dell’autismo, nelle stesse indicazioni la famiglia è considerata
come uno spazio privilegiato, unico e necessario per raggiungere
obiettivi critici soprattutto dopo la diagnosi quando la famiglia si
trova in una fase di disorientamento ed è necessario convogliare le
sue energie come destinatario dell’intervento, inizialmente.
Successivamente, sarà parte attiva nella realizzazione di un
progetto coordinata con e la scuola e la riabilitazione.
L’obiettivo di questo lavoro non è
descrivere il panorama internazionale degli approcci terapeutici
quali: quello comportamentale: approccio UCLA di Lovaas, TEACCH - Treatment and
Education of Autistic
and Related Communication Handicapped Children, TED: Terapie d’Echange et Dèveloppement,
ma è semplicemente descrivere la prima presa in carico della
famiglia al momento della diagnosi al Policlinico di Bari.
Considerando che viene fatto un lavoro con la
famiglia è necessario parlare dell’origine della terapia
familiare con i soggetti autistici.
La
terapia familiare, la cui origine risale agli anni 60, quando i
ricercatori della Scuola di Palo Alto hanno spostato il focus della
psicoterapia da ciò che succede all’interno dell’individuo alle
relazioni che si stabiliscono fra soggetti, si basa su presupposti
multidisciplinari, derivanti da progressi nel campo delle scienze
della comunicazione, della teoria generale dei sistemi e della
cibernetica.
Il contributo fondamentale delle scienze dell’informazione
e della comunicazione alla terapia familiare è l’interesse
rivolto alla pragmatica della comunicazione, che si interessa di
come la comunicazione influenza il comportamento; la teoria dei
sistemi invece influenza la terapia familiare con i suoi principi
cardine: il sistema è una totalità; affinché un sistema
sopravviva è necessario che preservi un equilibrio tra omeostasi e
cambiamento; tale equilibrio è reso possibile dal principio di causalità
circolare, secondo il quale ogni elemento del sistema influenza
ed è a sua volta influenzato da tutti gli altri elementi. I diversi
tipi di terapia centrati sulle relazioni hanno degli aspetti in
comune: in primo luogo il lavoro terapeutico è incentrato sui
comportamenti osservabili del paziente, prendendo in considerazione
il contesto di appartenenza ; in secondo luogo lavorare con la
famiglia del paziente consente di incrementare la forza e
l’efficacia della terapia; infine l’azione terapeutica è
orientata ad uno scopo ben preciso, ed implica un cambiamento.
Nella seconda metà degli anni ’80 Zappella
introduce in Italia una nuova pratica terapeutica :
l’holding. Essa prevede un intenso contatto
corporeo e visivo tra genitore e bambino: la madre tiene stretto il
figlio e lo costringe a resistere in questa posizione, stabilendo
una sintonia emotiva e ripetendo le
espressioni vocali del piccolo, che vengono poi modificate e
arricchite dall’adulto. (Zappella, 1987).
Proprio dalla congiunzione dell’holding con
i principi etologici ricavati dall’osservazione del comportamento
sia del soggetto con Disturbo Autistico sia delle persone con le
quali interagisce, trae origine il metodo etodinamico di Zappella. I
principi etologici presi in considerazione possono riguardare quelle
attività che si svolgono in un contesto di avvicinamento all'altro:
per esempio, i modi affettuosi, amichevoli, esplorativi dell'altro
che possono essere particolarmente ridotti in alcuni soggetti
autistici. In questi casi vi sono delle modalità di rapporto,
soprattutto basate su una strategia di evitamento, la cui complessità
è relativa all’età del bambino, alle sue condizioni
neurologiche, alle sue capacità prassiche e in particolare al suo
vissuto emotivo prevalente.
Il metodo etodinamico è una forma di terapia
familiare che ha come obiettivo primario la ricostruzione del legame
genitore-bambino, attraverso interventi diretti contemporaneamente
al bambino e ai genitori. Lo scopo del terapeuta è di salvaguardare
tempi e ritmi della vita familiare e di creare condizioni ottimali
affinché i genitori ottengano una comunicazione diretta, intima e
un rapporto di collaborazione con i propri figli. In
particolare bisogna cercare di coinvolgere il bambino autistico in
quelle forme di relazione nelle quali presenta delle carenze:
l’intersoggettività primaria, che consiste nel rapporto diretto,
faccia a faccia con l’adulto; e l’intersoggettività secondaria,
in cui la relazione col genitore è mediata da oggetti (Trevarthen,
1978,1980). Al fine di creare nel bambino una motivazione positiva
sia a interagire che a collaborare, spesso é utile far uso di varie
forme di attivazione, verbale e motoria, come prendere per mano e
far correre o saltare il bambino, mettendolo in uno stato di
disponibilità e di contentezza per cui, subito dopo, diventa pronto
a collaborare per vari obiettivi cognitivi. Vale comunque la regola
che il bambino debba essere tenuto fisicamente dall’adulto, o per
una mano, o per un piede o per tutto il suo corpo e che il corpo
dell’adulto sia in grado di dare al bambino degli stimoli nuovi,
intensi variati ed attraenti, tali da sviluppare l’interesse e la
partecipazione del bambino autistico.
Questa strategia relazionale va prescritta ai genitori per
un’ora al giorno, in tal modo essi acquisiscono un modello di
relazione che si estende al di là del tempo prescritto e che
consente di sviluppare un rapporto autentico e basato sulla
collaborazione tra genitore e bambino.
L’obiettivo principale dell’intervento è ottenere
una relazione diretta e un rapporto collaborativo
tra il bambino e suoi familiari (Zappella,1992);
ciò richiede che, in alcune situazioni, si intervenga anche per
modificare il sistema di relazioni in atto nella famiglia, la cui
disfunzionalità può essere di ostacolo al recupero delle
potenzialità del bambino.
Mara Selvini, nella sua sfida
psicoterapeutica alla psicosi, parte dall’assunto che esista una
connessione, ancorché non lineare, tra la disfunzione delle
relazioni familiari ed il sintomo del paziente.
La sua linea direttiva è quella di chiamare i genitori
corresponsabili della psicoterapia e non di considerarli colpevoli
della malattia dei figli:”Guarire con la famiglia e non contro
la famiglia”.
La terapia familiare proposta nel caso del
bambino psicotico ricalca in parte quella per l’adolescente, in
particolare nella sequenza con cui vengono coinvolti i membri della
famiglia nucleare e di quelle d’origine.
Nella prima seduta vengono coinvolti i membri
della famiglia nucleare e un membro significativo della famiglia
estesa, convocato sulla base delle informazioni raccolte nel corso
della prima telefonata. In genere, il membro della famiglia estesa
che viene convocato è la nonna materna. Questa scelta può apparire
una logica conseguenza della tipica dinamica di queste famiglie, in
cui il rapporto tra madre e nonna materna è spesso disturbato e
vede continue interferenze della seconda nelle funzioni materne
della prima .
Nella prima seduta, la presenza di un membro
della famiglia estesa consente di mettere a fuoco la frequente
interferenza delle famiglie d’origine nell’interazione della
famiglia nucleare e inoltre rappresenta il contesto ideale per far
emergere l’eventuale "predizione negativa" circa
l’esito del matrimonio della coppia (vedi sezione precedente) .
Al termine della prima seduta il membro della
famiglia estesa che ha partecipato viene ringraziato per la
collaborazione e congedato, con l’invito esplicito di far cessare
le interferenze e le pressioni psicologiche che, come emerso dalla
seduta, possono disturbare la normale funzione genitoriale della
coppia.
Nella seconda seduta sono presenti solo i
membri della famiglia nucleare, compreso il bambino "paziente
designato". Questa seduta è dedicata all’approfondimento del
rapporto di coppia e al rapporto di ciascun membro con il piccolo
paziente.
Il bambino è in grado di fornire informazioni
importanti con il suo comportamento, anche se non parla e appare
chiuso nel suo mondo . E’ infatti frequente che il bambino
privilegi il rapporto con uno dei genitori e intervenga disturbando,
in momenti particolarmente significativi delle sedute.
Ciò consente al terapeuta di ridefinire il
bambino come attore
del gioco familiare, dotato di intenzionalità. Questa
definizione sostituisce quella di bambino malato e passivo anche se,
in genere, non viene accettata senza obiezioni o resistenze dai
genitori.
La fase centrale della terapia vede la sola
presenza dei genitori; in queste sedute il terapeuta cerca di
mettere più chiaramente in relazione il
disturbo del bambino con la situazione di "stallo"
relazionale della coppia (Selvini Palazzoli et al., 1988). Ciò
implica anche un lavoro personale su ciascun genitore, finalizzato a
comprendere meglio come il suo modo di rapportarsi al partner sia in
buona misura determinato dai rapporti instaurati in passato con le
famiglie d’origine.
La presenza dei soli genitori in questa fase
della terapia sottolinea, in maniera pragmatica, che il lavoro
terapeutico è diretto soprattutto a loro. Vengono inoltre proposte
alcune consegne ai genitori, che riguardano attività da fare con il
bambino.
Una attività proposta che si è mostrata
particolarmente utile è un periodo quotidiano di holding, in
cui il genitore (in genere la mamma) abbraccia fortemente il figlio
costringendolo ad un rapporto corporeo e visivo intenso. A questa
attività il bambino, soprattutto all’inizio, in genere si oppone,
mostrando un ‘intenzionalità ed un’energia solitamente non
espressa.
E’ a questo punto della terapia con la
coppia che, secondo la Sorrentino, diviene opportuno offrire al
bambino interventi riabilitativi individualizzati, sia sul versante
dell’apprendimento, sia su quello delle competenze sociali.
L’armonizzazione di questi interventi
riabilitativi rivolti al bambino, con la terapia della coppia
genitoriale, è un presupposto indispensabile per giungere ad un
miglioramento della sintomatologia e, in alcuni casi, alla
guarigione.
Il MPE (Modello Pragmatico Elementare),
sviluppato dal prof. Piero De Giacomo e da numerosi colleghi:
psichiatri, psicologi, fisici, informatici e matematici, è un
modello della mente, nato dal desiderio di sviluppare il relazionismo:
esso prende le mosse dall’assunto che la mente non esiste negli
oggetti, nell’interno della testa delle persone, ma nelle
relazioni, nella comunicazione.
(vedi Modello Pragmatico Elementare in rete).
Lo scopo del modello è fornire una chiave di
lettura di alcuni aspetti dell’Universo sociale, una griglia che
consenta di analizzare tutti i fenomeni specifici, in particolare le
ridondanze , le ripetitività, le regole che governano il sistema.
Tali regole possono essere lette secondo 4 coordinate o modalità di
interazione:
- mantenere il proprio mondo (coordinata del
mantenimento);
- accettare il mondo dell’altro (coordinata
dell’accettazione);
- condividere qualcosa con l’altro
(coordinata della condivisione);
-
accettare qualcosa che non è nel mondo proprio ne nel mondo
dell’altro (coordinata dell’antifunzione).
Queste 4 coordinate sono le componenti di 16
stili relazionali (funzioni), che rappresentano una classificazione
logica delle interazioni umane possibili. Ciascuna funzione viene
fatta corrispondere a un diagramma di Venn, in cui il cerchio di
sinistra rappresenta il mondo del primo soggetto, il cerchio di
destra il mondo del secondo soggetto, la parte scura, come il mondo
del primo soggetto, si trasforma in seguito all’interazione; il
rettangolo esterno rappresenta ciò che non esiste nel mondo dei due
soggetti.
Le 16 stili relazionali hanno permesso di
sviluppare con L’Abate un test “Come vedi de stesso”
(L’Abate e De Giacomo 2003)
Grazie alla
ridondanza con cui le 4 coordinate si coniugano e si combinano
all’interno di un sistema familiare, è possibile effettuare delle
previsioni sui comportamenti umani e mettere in atto delle strategie
terapeutiche appropriate al singolo caso.
Il MPE consiste in una versione semplificata
della realtà, riassunta nella Tavola delle interazioni, che rimane
comunque efficace perché
consente sia di interpretare le configurazioni relazionali in
questione, sia di selezionare gli stili terapeutici più efficaci
nel provocare il cambiamento; il modello spinge verso un obiettivo
preciso, in grado di scatenare l’effetto “palla di neve” (un
piccolo cambiamento innesca una sequenza di cambiamenti sempre più
ampi).
Inoltre il MPE può utilmente completare a
livello microstrutturale (lavorando sulla comunicazione, con
l’applicazione degli stili relazionali) le mappe funzionali,
disfunzionali e terapeutiche proposte dal modello strutturale di
Minuchin (Minuchin S.,1974). Egli considera la famiglia come un
“organismo” unico in cui ogni sottosistema assume il proprio
ruolo ed è separato dagli altri attraverso dei confini invisibili,
i quali determinano la funzionalità o disfunzionalità del sistema
stesso. Quando i confini sono invischiati
(manca cioè una adeguata differenziazione tra i vari sottosistemi)
o sono disimpegnati (manca una sufficiente connessione), sorge la
patologia. L’intervento terapeutico è incentrato proprio sulla
rottura dell’equilibrio familiare che è espresso e mantenuto dal
sintomo, attraverso una ristrutturazione di ruoli e funzioni e una
regolazione dei confini.
Il MPE, viene dunque utilizzato sia come base
teorica di riferimento che come strumento di interpretazione e di
lavoro all’interno dell’approccio terapeutico
sistemico-familiare della scuola barese universitaria di Terapia
Familiare (De Giacomo, et al. 1997)
Affinché la famiglia possa assumere una
struttura più organizzata e funzionale alla crescita di ciascun
membro del sistema, si coniugano movimenti macrostrutturali a
movimenti microstrutturali all’interno del setting terapeutico,
centrando l’ intervento su tre bersagli interattivi:
- prescrizioni
alla coppia;
- messa in carico
al genitore periferico;
- interventi a
famiglia intera.
Prima di descrivere in dettaglio la modalità
di svolgimento del lavoro terapeutico, è utile soffermarsi su
alcuni aspetti importanti che caratterizzano l’approccio
terapeutico adottato dal secondo il MPE (L’Abate e De Giacomo
2003). Innanzitutto bisogna soffermarsi sul ruolo del tempo,
il quale diventa uno strumento terapeutico sotto forma di mappa
temporale, uno schema che regola e struttura temporalmente
le prescrizioni e le modalità di rapporto da adottare. Le
mappe temporali sono composte da 4 parametri che caratterizzano ogni
prescrizione assegnata dal terapeuta alla famiglia : la durata, la
frequenza, la collocazione temporale, la struttura di successione.
Un altro aspetto importante è la dialettica
tra forma e processo, che caratterizza il funzionamento mentale. Il
processo ci consente di
cogliere le differenze, le informazioni provenienti dalla realtà,
la forma costituisce “il contenitore” degli elementi della
relazione, che ci consente di classificare, “categorizzare”.
Come sostiene Bateson (Bateson G. 1980), esiste un metaprocesso
altalenante, una scala a zig-zag tra forma e processo, in
modo tale che nel funzionamento mentale in maniera alternata
l’aspetto formale vada in primo piano, mentre l’aspetto
processuale rimanga sullo sfondo e viceversa; ripristinare questa
dialettica tra forma e processo è alla base di un buon intervento
terapeutico, laddove il paziente sia bloccato sulla forma o sul
processo (De Giacomo et al. 1992).
Infine bisogna sottolineare il cambiamento di
ottica nella psicoterapia, essa infatti non si basa sul concetto di
“continuita”, ma di “discontinuità”, in cui l’intervento
è una perturbazione all’interno del sistema familiare e deve
necessariamente produrre un cambiamento, attraverso tecniche di problem-solving.
1. Modalità
di svolgimento della terapia familiare.
Il lavoro terapeutico (De Giacomo et al.
1992), svolto dopo la diagnosi, si svolge in 10 sedute di un’ora
con frequenza settimanale, all’interno di un setting terapeutico
preciso, composto da: un terapista nella stanza della terapia e, al
di là dello specchio unidirezionale, il supervisore che ha
possibilità di intervenire attraverso il citofono allorquando lo
ritenga opportuno (ciò avviene soprattutto alla quinta e alla
decima seduta) . Le sedute vengono registrate (previo consenso della
famiglia) per dar modo all’equipe di studiare accuratamente il
caso; inoltre il terapeuta ha a sua disposizione diversi giochi che
servono sia per intrattenere il bambino, sia per studiare le
relazioni familiari in contesti di gioco.
Prima dell’inizio delle sedute è
fondamentale che ci sia un invio “forte” da parte del terapeuta
verso la famiglia: attraverso l’acquisizione del potere, il
terapeuta anziano renderà le famiglie disponibili a portare avanti
il trattamento e ad eseguire le prescrizioni con la massima
collaborazione, ciò è possibile attraverso spiegazioni chiare e
dettagliate sui tempi, i ritmi e le difficoltà
che una terapia familiare implica. Il secondo “invio”
interno all’equipe avviene nel corso delle prime sedute, quando il
terapeuta menziona la
quinta seduta, durante la quale, dietro lo specchio ci sarà il
supervisore, creando in tal modo (intenzionalmente) ulteriori
aspettative nella famiglia.
La quinta seduta è spesso la “seduta della
svolta”, in quanto il supervisore interviene direttamente o
suggerendo una “mossa” strategica al terapeuta, quello che
succede nella settimana che segue e che si osserva nella sesta
seduta, costituisce il feedback di ritorno, che ci consente di
valutare l’efficacia dell’intervento.
Frequentemente, all’ottava o nona seduta il
terapeuta fa la “previsione del peggioramento”, con lo scopo di
preparare la famiglia al peggioramento sintomatico che spesso
accompagna l’uscita dalla terapia. La decima seduta è
fondamentale in quanto avviene la chiusura, il messaggio
finale tanto atteso dalla famiglia, il quale può essere di vario
tipo: chiusura enigmatica; chiusura esplicativa; chiusura con
prescrizione finale. In ogni caso è fondamentale programmare una
seduta di follow-up a distanza di sei mesi e “lasciare la porta
aperta” affinché la famiglia sappia di poter chiedere l’aiuto
del terapeuta nei momenti di difficoltà che potrebbe incontrare in
seguito.
2. Terapia
familiare nel caso di bambini autistici
Nel corso delle prime sedute è richiesta
spesso la presenza della famiglia allargata, ma una volta compresa
l’organizzazione di questa, si lavora solo sulla famiglia
nucleare, in quanto sono i genitori a doversi riappropriare dei loro
ruoli. Infatti molto spesso, nelle famiglie in cui è presente un
bambino autistico, i genitori provengono da famiglie disfunzionali,
all’interno delle quali non hanno potuto sviluppare quel senso di
appartenenza e differenziazione tali da permettere di instaurare
relazioni intime appropriate; quasi sempre le coppie di genitori in
questione sono immature, ancora “invischiate” emotivamente con
la famiglia di origine. Dunque è necessario intervenire con una
terapia che si svolge in tre stadi:
1° STADIO:
In questa fase l’obiettivo è il joining,
la presa di contatto con tutti i membri della famiglia; compito
non facile, in quanto spesso la famiglia parla e agisce in maniera
caotica, afinalistica, senza una comunanza di sguardi e intenti;
dunque è necessario sin dal primo incontro organizzare un programma
di intervento mirato, che consiste nel dare già la prima
prescrizione ai genitori, da eseguire nell’hic et nunc: spesso si
richiede ai genitori di dare un piccolo ordine al figlio, compito
che essi eseguono con riluttanza e in maniera incompetente, ossia
con tono di voce costante, senza contatto fisico e visivo, passando
da un ordine all’altro, non riuscendo a mantenere il focus
dell’interazione. A questo punto interviene il terapeuta che
sostiene i genitori e li sollecita a mantenere condivisa
l’attenzione sull’ordine, attraverso la coordinata del
mantenimento del MPE, fondamentale all’inizio di una terapia.
Dunque a livello della microstruttura, si
ottiene che i genitori intraprendono il lavoro di differenziazione
delle coordinate da esibire al figlio e soprattutto iniziano ad
instaurare delle intersezioni tra loro e il bambino. A livello di
macrostruttura, i genitori iniziano a delineare i propri ruoli e ad
attuare il processo di de-triangolazione del bambino dal sistema
familiare.
2°STADIO:
Questo stadio si svolge in tre fasi:
1.
Intervento
sul rapporto madre-bambino che mira a coinvolgere attivamente la
madre in una relazione più intima col figlio, dunque a perdere il
ruolo marginale che aveva all’interno del sistema assegnando a lei
il compito di dare inizio alla “rinascita” del bambino. Questo
obiettivo viene raggiunto attraverso una serie di prescrizioni che
la madre deve eseguire sia nel contesto terapeutico che a casa, in
situazioni di estrema tranquillità.
2.
Si
passa ad un coinvolgimento diretto del padre nel rapporto col
figlio, assegnando a lui compiti da eseguire in compagnia del
figlio: giocare, lottare, uscire, in modo da rafforzare il loro
legame.
3.
Si
procede all’inserimento nel gruppo dei fratelli, attraverso la
condivisione di giochi.
3°STADIO:
Il lavoro si suddivide in due fasi:
1.
Lavoro
sulla coppia come sottosistema padre e madre: con lo scopo di
intervenire sulla reciproca opposizione fra genitori che spesso
esiste nelle famiglie con membro autistico si utilizza spesso la manovra
dell’apparire uniti anima e corpo; che consiste nell’
impartire ai genitori la prescrizione delle quattro regole
(De Giacomo et al 1992) che va adottata regolarmente: tenere chiusa
la porta della camera da letto, uscire da soli per tre volte a
settimana; mostrarsi affettuosi davanti al bimbo; dare ogni giorno
un piccolo ordine al figlio e apparire uniti nel farlo eseguire.
2.
Lavoro sulla coppia come sottosistema marito-moglie: questo è un lavoro
alquanto lungo e complicato, che richiede spesso la programmazione
di sedute di coppia al termine di quelle familiari. L’obiettivo
fondamentale che ci si propone è fornire ai coniugi un canale di
comunicazione diretto attraverso il quale possano esprimere
liberamente le loro emozioni, senza la paura che possa accadere
qualcosa di irrimediabile, per esorcizzare la quale era sempre stato
usato il figlio con la sua malattia. Gli interventi utilizzati sono:
innanzitutto esplicitare i conflitti impliciti che risalgono ad un
periodo antecedente la nascita del bambino e che sono stati messi a
tacere per il “bene” del bambino; in quanto lo stile relazionale
in cui i contenuti sono
presenti nel mondo dell’uno e dell’altro ma vengono tenuti al di
fuori dello spazio di intersezione è alquanto distruttivo; un altro
intervento mira a far sì che i coniugi entrino uno nel mondo
dell’altro attraverso una nuova modalità di comunicazione diretta
e non più mediata dalla patologia del figlio, che sembra essere
l’unico argomento e l’unico elemento di condivisione della
coppia.
La riabilitazione del bambino autistico, non
può completarsi solo all’interno del contesto familiare. E’
fondamentale,a supporto e integrazione della terapia familiare,
l’inserimento precoce del piccolo nella scuola, la quale deve
essere informata e preparata per accogliere tale bambino che
presenta delle esigenze particolari: il corpo docente e tutte le
forze che si occuperanno del bimbo devono coordinarsi tra
di loro e collaborare
con la famiglia e
l’equipe riabilitativa
al fine di garantire
uno
sviluppo integrato ed ottimale del soggetto; unità e
collaborazione tra insegnanti e insegnanti di sostegno deve essere
garantita da una figura professionale esperta e infine bisogna
fornire agli insegnanti le informazioni sullo stile relazionale più
conveniente che essi possono adottare nei confronti del bambino
((Santoni Rugiu e De Giacomo 1997)
Descrizione di 2 casi clinici e applicazione del MPE.
I casi presi
in considerazione, per
spiegare la modalità di lavoro incentrata sul MPE, sono due bambini
affetti da sindrome autistica, i quali hanno portato a termine il
ciclo di 10 sedute di terapia familiare con uno degli autori (A. De
Giacomo), Neuropsichiatra Infantile e Psicoterapeuta presso l’Unità
Operativa di Neuropsichiatria infantile del Policlinico di Bari.
Per tutela della privacy verranno utilizzati
nomi inventati.
1.
IL CASO DI VITTORIO.
Vittorio è un bimbo di quattro anni, il quale
in seguito ad un ricovero di pochi giorni nel reparto di
neuropsichiatria infantile, è stato indirizzato al ciclo di terapia
familiare col dott. De Giacomo. Dopo un breve excursus
dell’anamnesi familiare del paziente e della valutazione
neuropsicologica effettuata durante il ricovero del pz, descriverò
lo svolgimento della terapia familiare.
Anamnesi
Il padre di Vittorio ha 35 anni, un titolo di
studio di licenza media superiore, fa l’assistente di volo da
7anni, è nato a Chicago, dove ha vissuto fino all’età di 15anni.
La madre ha 31 anni, è impiegata, è affetta
da retinite pigmentosa che le provoca serie difficoltà alla vista,
è sposata dal 1999.
Tappe sviluppo posturo-motorio: posizione
seduta acquisita a 6 mesi, la deambulazione autonoma a 18mesi.
Tappe sviluppo neurolinguistico: prime sillabe
a 6-7 mesi, il paziente utilizza prevalentemente le parole-frase, ma
inizia ad organizzare frasi semplici.
A 2 anni è stato inserito nell’asilo nido,
frequentato per 18mesi: le operatrici riferiscono che il pz tendeva
ad isolarsi, era poco partecipe alle attività di gruppo, preferiva
rimanere ad osservare.
Valutazione
neuropsicologica
Il pz mostra
scarsa interazione con gli operatori, contatto visivo
incostante (all’inizio quasi assente,
in seguito di breve durata), collaborazione
incostante e labilità attentiva, ipersensibilità ai rumori.
La comprensione verbale è valida solo per
ordini semplici. Il linguaggio espressivo è a livello di
parola-frase, sporadicamente organizza la frase semplice,
utilizzando il verbo all’infinito. Frequentemente presenta
inversione pronominale, a volte ecolalia immediata, frequentemente
ecolalia differita. Talvolta per esprimere i suoi bisogni ricorre
alla comunicazione extra-verbale.
Nelle attività ludiche , predilige giochi
fisici (rincorrersi, girotondo) o rimanere sul letto a sfogliare
riviste o giochi a tavolino; organizza brevi sequenze di gioco
simbolico su imitazione, evidenziando una certa ripetitività: di
fronte al materiale proposto mostra scarso interesse, preferendo
rimanere con la madre, di fronte a situazioni nuove di gioco,
talvolta esibisce reazioni di ansia e spavento; il gioco costruttivo
è limitato.
Dalla somministrazione di scale e test (Scale
Leiter-R , ADOS, CARS, ADI-R e Vineland), risulta che il disegno
spontaneo è costituito da scarabocchi, è capace di contare fino a
5 e di riprodurre l’alfabeto, su indicazione gestuale. Il suo Q.I.
è pari a 77; è ipoattivo specie nelle sfere di comunicazione e
socializzazione; non è autonomo nell’alimentazione e
nell’igiene personale.
Dalle osservazioni sul suo comportamento,
risulta che Vittorio ha un rapporto preferenziale con la madre e con
il nonno; ha difficoltà di socializzazione con i coetanei e con i
bambini più piccoli, mentre predilige il rapporto con gli adulti.
In situazioni di disagio mostra reazioni
d’ansia e agitazione psicomotoria; manifesta stereotipie: girare
su se stesso, sfarfallio delle mani. Non presenta deficit e anomalie
neurologiche.
In vista delle dimissioni, l’equipe
consiglia la frequenza di una scuola materna con sostegno didattico,
un approccio abilitativo globale e un piano d’intervento in ambito
familiare e scolastico:
-
strutturare
le giornate, tenendo conto delle esigenze di tutti, definire gli
spazi e i tempi per l’apprendimento, il gioco, l’igiene,
l’alimentazione;
-
utilizzare
rinforzi positivi (elogi e rifornimento affettivo) e rinforzi
negativi (verbali e gestuali) per controllare l’iper-attività;
-
valorizzare
le abilità speciali con situazioni cooperative, favorire
l’apprendimento all’interno del gruppo classe per incrementare
l’accettazione e l’empatia;
-
incoraggiare
la socializzazione attiva;
-
relazionarsi
con il piccolo, usando i
canali preferenziali (fisici e verbali);
-
incrementare
gradualmente il grado di complessità ed elaborazione del gioco.
Svolgimento
della terapia
Nel corso
del primo
incontro sono presenti madre , padre e paziente ; il terapeuta procede
con la
consueta fase di joining, chiedendo al padre
di parlare un po’ di se, del suo lavoro, dei suoi hobbies. Durante
il colloquio con il padre, la madre si mostra spesso distratta,
dedicando le sue attenzioni al bambino; il terapeuta sottolinea
questo comportamento e chiede alla madre di prestare attenzione alle
parole del marito (prescrizione che pone l’accento sulla necessità
di innalzare il padre dalla sua posizione down all’interno
del sistema), il bimbo è molto irrequieto, va in braccio alla madre
e piagnucola.
Poi è il turno della madre, il cui discorso
viene interrotto improvisamente dal pianto del bambino; il terapeuta
chiede subito al padre di consolarlo (già questo è un primo
intervento nella direzione di un rinforzo del legame tra figlio e
genitore periferico); cosa che egli fa prendendo il piccolo in
braccio, ma non ottenendo risultati positivi; il terapeuta esce
dalla stanza e subito viene ripristinato l’equilibrio
“disfunzionale” del sistema: la madre va dal bimbo e gli chiede
se vuole l’acqua, in tal modo il padre passa nuovamente in
posizione down dinanzi agli occhi del figlio.
Il terapeuta torna, ma la madre non ha molto
da dire su di se, è molto distratta dalle lamentele del piccolo e
sposta il focus della conversazione su di lui, riferendo che il
bimbo piange perché si sente escluso, poi lo prende in braccio e
solo così si calma un po’. Sotto richiesta della madre il bimbo
dice che piange perché si è fatto “la bua”; mentre alla
richiesta del terapeuta di vedere la “bua” Vittorio si china
sulla sedia e piange.
Il terapeuta chiede ai genitori di esplicitare
uno per volta quali sono secondo loro i problemi che bisogna
risolvere.
Il padre riferisce che i problemi principali
sono: capire le sue esigenze, in quanto
Vittorio non esprime il suo disagio; il suo eccessivo
attaccamento alla madre e il suo distacco dal padre; infatti egli
lamenta che al suo ritorno dai viaggi il figlio spesso non lo saluta
o addirittura piange.
La madre ritiene che i comportamenti che non
vanno sono: scarse capacità relazionali con i coetanei; pigrizia e
richiesta dell’aiuto della madre per qualsiasi cosa e difficoltà
nella regolazione dei bisogni fisiologici.
Il terapeuta chiede al padre di
giocare col bambino, utilizzando i giocattoli presenti nella
stanza; la madre tenta di interferire nel gioco.
A termine della seduta il terapeuta assegna
una prescrizione ai genitori: compilare insieme una lista dei
problemi di Vittorio;
tale prescrizione ha una duplice valenza: da un lato consente al
terapeuta di avere una visione più chiara di come i genitori vivono
la patologia del bambino, dall’altra sancisce il primo passo verso
un avvicinamento dei genitori, attraverso un passaggio dallo stile
relazionale F6 (egoismo-altruismo, caratterizzato dall’accettare
senza condividere il proprio mondo e l’altrui mondo) alla
prescrizione di F1, caratterizzato dalla selezione di elementi in
comune, attraverso lo svolgimento di un’attività condivisa.
Nel corso della seconda seduta il terapeuta
chiede ai genitori come sia andato il periodo intercorso dalla prima
seduta (2 settimane); i genitori hanno riscontrato entrambi un
miglioramento; in particolare il padre riferisce che Vittorio è più
partecipe, è migliorato un po’ nel linguaggio, grazie anche alla
loro stimolazione, seppur utilizzi sempre frasi semplici, con verbi
all’infinito e non utilizzi il pronome in prima persona; inoltre
non esprime ancora bene i suoi bisogni, però è meno agitato.
La madre riferisce che anche il comportamento
con i coetanei dell’asilo è migliorato; esprime di più i propri
bisogni fisiologici; però quando esce col padre da solo, dopo
un’oretta chiede della madre. La madre attribuisce i
miglioramenti del figlio alla presenza assidua del padre, che
non è stato fuori per lavoro.
I genitori riferiscono di aver eseguito la
prescrizione e consegnano il foglio con la lista dei problemi di
Vittorio al dottore:
1.
Attaccamento
alla madre
2.
Imparare
a giocare da solo
3.
Esprimere
i suoi bisogni e paure
4.
Migliorare
il bagaglio lessicale
5.
Migliorare
il rapporto padre-figlio
6.
Aiutarlo
ad avere fiducia nelle sue capacità
7.
Autonomia
personale
Il terapeuta chiede ai genitori di giocare a
turno col piccolo. Tra madre e figlio si osserva una buona complicità
ed empatia; mentre tra padre e figlio è evidente una distanza
emotiva, tant’è che il terapeuta invita il padre a ricercare più
frequentemente il contatto visivo col figlio, i loro giochi sono più
fisici, ma il bimbo non sembra molto coinvolto e tende a ricercare
frequentemente il contatto con la madre, nonostante ella sia
nell’angolo della stanza.
Nel complesso Vittorio appare molto più
sereno e a suo agio nel contesto terapeutico.
La prescrizione del terapeuta è indirizzata
alla diade padre-figlio: devono giocare per mezz’ora al giorno, la
madre deve supervisionare affinché nessuno li disturbi; ella può
dare suggerimenti in separata sede al marito.
Questa prescrizione è orientata a far sì che
il padre entri nel mondo del figlio (F5), in modo che si stabilisca
un nuovo equilibrio nell’assetto del sistema, in cui il padre
riprenda il suo ruolo a tutti gli effetti.
La terza
seduta avviene a distanza di un mese a causa delle vacanze
natalizie.
Sia il padre che la madre hanno riscontrato un
miglioramento nella situazione del figlio, specie per
quanto riguarda l’autonomia nel
soddisfacimento dei bisogni e le relazioni sociali con i coetanei.
Il padre però non ha eseguito la
prescrizione, in quanto non è stato capace di seguire spesso il
bimbo a causa del lavoro e del proprio umore piuttosto depresso in
quel periodo; questa sua mancanza è stata fonte di discussioni con
la moglie.
Il terapeuta chiede al padre il motivo della
suo stato d’animo e il padre accenna
a problemi economici e alla progressiva cecità della moglie
che lo preoccupa.
Il bimbo appare piuttosto tranquillo in
seduta.
Il terapeuta incita i genitori, dice loro che
è arrivato il momento di farsi forza, di supportarsi a vicenda e
chiede alla madre di aiutare il marito nello svolgimento delle
prescrizioni, dandogli suggerimenti su come coinvolgere il figlio
nell’esecuzione dei giochi.
Il terapeuta chiede nuovamente che padre e
figlio giochino assieme, si nota un miglioramento nella relazione,
un maggior scambio di sguardi e sintonia.
In questa seduta emerge chiaramente che ci
sono problemi e conflitti tra i genitori che è necessario
esplicitare nel corso delle sedute seguenti.
Negli incontri successivi i miglioramenti di
Vittorio sono sempre più visibili ai genitori, i quali riferiscono
che all’asilo il bambino è pienamente autonomo ed ha più volontà
nel relazionarsi con gli altri e di collaborare anche con i
genitori. A detta di entrambi è migliorato molto il rapporto col
padre, l’unico problema resta il distacco frequente a cui il
bambino fatica ad abituarsi.
Il padre dice di aver sentito il sostegno
della moglie nel suo rapporto con Vittorio, ma permane un livello di
tensione elevato tra i due. Il terapeuta chiede loro come facciano
ad abbassare questa tensione nella vita quotidiana; entrambi
riferiscono che la loro strategia è quella di evitare le
discussioni e concentrarsi sul figlio, soprattutto la moglie sa che
deve lasciar stare il marito quando è nervoso. Il padre riferisce
che non fanno più nulla insieme da un anno circa e che lui risente
molto di ciò, vorrebbe trascorrere tempo con lei, a prescindere dal
figlio, mentre la moglie non avverte questa necessità.
Questo è il momento in cui la terapia deve
rivolgersi alla diade marito-moglie; infatti il terapeuta assegna
loro la prescrizione di uscire insieme e distrarsi dalle
problematiche del paziente due giorni a settimana, il mercoledì e
il sabato per almeno un’ora, senza dire a nessuno cosa fanno e
dove vanno. Questa prescrizione si rifà alla prescrizione delle
“sparizioni” (Selvini Palazzoni et al 1988)
Intanto si prende appuntamento con i coniugi
per la somministrazione del questionario di personalità MMPI,
necessario per la valutazione del loro profilo psichiatrico. I
risultati dell’inventario somministrato al padre rivelano che il
suo tono dell’umore è accentuatamente depresso; si evidenzia
insicurezza ansiosa e rifiuto delle norme che possono portarlo a
comportamenti sociali ostili e
aggressivi; presenti sentimenti di autosvalutazione e tendenza a
strumentalizzare i propri disturbi psichici per ottenere
gratificazione. L’interpretazione del questionario somministrato
alla madre di Vincenzo rivela stabilità nell’umore, e nessun
problema rilevante, a parte una tendenza a non accettare o
comunicare i propri problemi emotivi.
Le sedute seguenti, ad eccezione della settima
e della nona, si svolgono solo in presenza dei genitori, in quanto
è necessario focalizzare l’intervento sul sottosistema
marito-moglie, il quale è caratterizzato da mancanza di dialogo ed
esplicitazione di conflitti irrisolti che coinvolgono anche la
famiglia allargata; grazie alla prescrizione assegnata dal terapeuta
nel corso della 5^ seduta, i coniugi compilano una lista delle tappe importanti della loro storia,
nella lettura della quale è possibile venire a capo di molte
problematiche irrisolte: il padre nutre risentimento nei confronti
dei suoceri, i quali l’hanno consigliato male su un investimento
importante che ha causato un grave deficit nel budget familiare.
Questo è stato fonte di forti conflitti tra i coniugi, i quali da
un po’ di mesi tendono a non affrontare più l’argomento, perché
il padre si deprime eccessivamente e sostiene invece che la moglie
sia superficiale. ad incrementare la tensione familiare c’è il
problema della vista della moglie, che andrà sempre più
aggravandosi nel tempo fino a condurla alla cecità. La moglie
rivela anche di aver avuto problemi di anoressia intorno ai 17 anni
e che il marito non ha mai compreso il suo malessere. Il terapeuta
al sesto incontro incentra ancor di più il focus della terapia
sulla relazione di coppia, prescrivendo loro che ogni giorno, per
mezz’ora il padre dovrà esplicitare i propri pensieri negativi e
la moglie dovrà ascoltarlo con partecipazione senza minimizzare.
Inoltre invita il padre a richiedere una visita specialistica
presso uno psichiatra di fiducia, a causa del disturbo
depressivo che si è riscontrato e che lui stesso ammette.
Nella settima seduta dopo aver appurato che i
coniugi dormono con la porta della camera da letto aperta, il
terapeuta chiede loro di iniziare a chiuderla, prescrizione che
completa la manovra dell’apparire uniti anima e corpo,
strategia che rientra nello stile F9 (accettante soltanto di quello
che esiste o non esiste nel proprio e nell’altrui mondo) .
Intanto i miglioramenti del paziente e della
sua relazione con il padre continuano; infatti nel corso
dell’ottava seduta la madre riferisce che nel contesto domestico
il piccolo ha richiesto la presenza del padre per calmarsi; il padre
però non ha eseguito costantemente la prescrizione del gioco della
palla, che consiste nel dare al bambino direttive precise su quando
e a chi lanciare la palla; questo compito è fondamentale per
rafforzare la coordinata del mantenimento (dell’MPE) all’interno
del sistema, prerequisito indispensabile per rinsaldare l’alleanza
padre-madre e procedere con la de-triangolazione del figlio. Il
terapeuta ribadisce l’importanza di portare a termine le
prescrizioni e di mostrare forza e volontà ferrea nel far
rispettare gli ordini al piccolo.
Sempre durante l’ottava seduta avviene un
episodio importante e decisivo: la crisi.
In seguito ad un’affermazione del marito
<<tutti i problemi sono iniziati quando ci siamo sposati,
vorrei andarmene>> la moglie scoppia in lacrime . Il terapeuta
interviene per modificare lo stile relazionale della coppia,
identificabile con l’F6 del MPE: entrambi i genitori, infatti
possono definirsi accettanti senza condividere del proprio e
dell’altrui mondo in quanto tendono a non discutere e mettere in
comune certi contenuti che esistono in ambedue, preservando lo
“pseudo-segreto” al fine di mantenere un “equlibrio
apparente”. Il compito del terapeuta è proprio quello di riempire
l’intersezione dei due, esplicitando o prescrivendo l’elemento
non condiviso, attraverso stili relazionali F1 o F7. In questa
situazione il terapeuta ritiene opportuno stimolare i coniugi ad
esplicitare il loro “segreto”, a metterlo in comune,
all’interno del setting terapeutico.
In definitiva l’approccio terapeutico
adottato con questa famiglia si è incentrato su un duplice
obiettivo. Il primo è il rafforzamento del rapporto padre-figlio,
il quale ha avuto un esito positivo al termine del ciclo di sedute,
imprimendo una svolta nella modalità relazionale dei due sia a
livello di microsistema, soppiantando il padre dalla posizione down
all’interno del sistema e rivalutando la sua funzione cardine, sia
a livello di macrosistema, rinforzando lo stile relazionale F5.
Quanto fatto ha consentito al padre di entrare nel mondo del figlio,
obiettivo che è stato possibile raggiungere grazie alle numerose
prescrizioni che coinvolgevano i due in attività di gioco condiviso
che richiedevano contatto fisico, visivo e sintonia emotiva. Il
secondo obiettivo terapeutico è il rapporto padre-madre, il quale
era caratterizzato da uno stile relazionale estremamente
disfunzionale, F6, il quale comportava un’estrema distanza emotiva
tra i due e una mancanza di condivisione di interessi e dialogo,
specie sui “temi importanti e difficili”. Dunque l’intervento
terapeutico si è mosso proprio nella direzione di un’esplicitazione
dei contenuti latenti e di un avvicinamento tra i due attraverso
prescrizioni di F1, F7 e F9. Al termine del breve ciclo terapeutico
non è stato possibile raggiungere gli obiettivi proposti per la
coppia,in quanto è stato compito primario del terapeuta occuparsi
del paziente, dunque si consiglia ai genitori di proseguire il
percorso terapeutico di coppia, sia per migliorare la relazione coniugale, sia per creare un clima familiare
armonioso ed ottimale per la crescita e lo sviluppo di un bimbo
“speciale”.
2. IL CASO DI
CARMELO.
Carmelo è un
bimbo di 4 anni, anche lui affetto da sindrome autistica e
ricoverato nel reparto di neuropsichiatria infantile per qualche
giorno prima di essere indirizzato alla terapia familiare.
Anamnesi
Il padre
ha 35 anni, titolo di studio di licenza media inferiore, è
attualmente disoccupato e usufruisce
di una pensione di invalidità civile, in seguito ad ischemia
cerebellare occorsa nel giugno 2002. Ha perso il padre nell’87 e
la madre nel 95.
La madre ha 37 anni, titolo di studio di
licenza media superiore, è infermiera professionale.
La sorella del paziente ha 8 anni, frequenta
la seconda elementare con profitto e un buon livello di
socializzazione.
La sorella minore del paziente ha 17 mesi,
presenta sviluppo posturo-motorio e del linguaggio in epoca.
SVILUPPO POSTURO-MOTORIO: deambulazione
autonoma a 11 mesi
LINGUAGGIO: prima parola a 3 anni, prima
espressione richiestivi con pianto a 2 anni con pointing
richiestivi. Comprensione verbale dubbia fino a 3 anni.
Nel settembre 2002 è stato iscritto ad una
ludoteca, dove l’inserimento è stato alquanto difficile; nel 2003
è stato iscritto alla scuola materna, dove ha manifestato una
tendenza all’isolamento; dal gennaio 2004 ha iniziato una terapia
logopedica (3 volte a settimana).
Valutazione
neuropsicologica
In seguito all’osservazione dei
comportamenti spontanei, delle sedute di gioco semistrutturate, alla
somministrazione di ADOS, CARS, VINELAND, ADI-R, durante il
ricovero, è stato possibile raccogliere informazioni sul profilo
neuro-psicologico di Carmelo.
Il bimbo si è adattato passivamente al nuovo
ambiente; ha trascorso il tempo guardando la TV e aggirandosi per i
corridoi senza finalità esplorative. Ha mostrato preferenza per i
giochi cinetici, interazione solo con un bambino. Nell’interazione
con gli esaminatori ha esibito passività, non ha mostrato
opposizione e ha tollerato l’allontanamento della madre; è
indifferente ai tentativi di relazione da parte degli altri,
reagisce positivamente al solletico e alle lodi.
Il livello di attività motoria è fluttuante,
con tendenza all’irrequietezza. La motricità globale, l’agilità
e la coordinazione sono adeguate; sono presenti stereotipie, in
particolare egli rigira tra le mani a mò di volante gli oggetti
rotondi.
Nel gioco spontaneo non ha capacità di gioco
costruttivo, non riesce ad imitare sequenze di gioco è assente l’attenzione condivisa. E’ capace di mimare
l’utilizzo di alcuni oggetti; conta fino ad 8.
Risultano molto carenti le capacità
comunicative-linguistiche e di socializzazione.
Il profilo del comportamento presenta le
seguenti caratteristiche:
Nelle relazioni ed affetti: prevale il
contatto fisico, il contatto oculare è sfuggente, la relazione con
la madre è finalizzata al soddisfacimento dei bisogni; la
cooperazione è instabile, non intraprende un’attività con un
adulto estraneo spontaneamente, ma si fa coinvolgere (se gli piace);
ha scarsa tolleranza alla frustrazione a cui reagisce con
comportamenti oppositivi, aggressivi e autolesionisti (sbattendo la
testa al muro).
Nel gioco ed interesse per il materiale: si
disinteressa facilmente, se non sollecitato. Utilizza gli oggetti in
modo incongruo e stereotipato; è assente il gioco simbolico,
qualche sequenza di imitazione differita; il gioco costruttivo non
è finalistico.
Le risposte sensoriali hanno un canale uditivo
adeguato, olfattivo e visivo un po’ meno (sguardo di traverso allo
specchio).
Il linguaggio: adeguato solo in relazione al
soddisfacimento dei bisogni; marcata ecolalia immediata, saltuaria
quella differita. Gergolalia che accompagna l’attività solitaria;
la prosodia è lievemente cantilenante; efficace la comunicazione
gestuale per le richieste; le espressioni del viso sono limitate al
sorriso, pianto e rabbia. La comprensione linguistica non è
adeguata.
profilo di sviluppo:
Lo
sviluppo è disarmonico, preservate le aree di motricità,
coordinazione , compromessi gli aspetti verbali, imitativi (specie
imitazione verbale) e
simbolici, quindi il funzionamento cognitivo.
Utilizza spesso frasi-parole e frasi
dirematiche, presenti dislalie.
In vista delle dimissioni, l’equipe
consiglia:
-
frequentazione
della scuola materna con sostegno e programma individualizzato;
-
terapia
abilitativa globale;
-
promuovere
il gioco simbolico, con rinforzi;
-
dargli
compiti semplici, quali associazione di colori e di
oggetti-immagini, rinforzare la motricità e la coordinazione
oculo-manuale, attraverso attività di ritaglio e grafismo;
-
incentivare
i giochi in gruppo;
-
intraprendere
psicoterapia familiare.
Svolgimento
della terapia
Nella fase di joining, dopo una breve
presentazione dei membri della famiglia (tutti presenti in seduta
tranne la figlia minore), il terapeuta chiede ad ognuno, a turno, di
esplicitare i comportamenti di Carmelo che bisognerebbe cambiare: il
padre cita l’irrequietezza, la disobbedienza, il nervosismo, la
prepotenza, il fatto che urla per ottenere le cose. La madre
ribadisce la prepotenza, la mancanza di ascolto quando qualcuno gli
impartisce un ordine, la vivacità eccessiva. La sorella dice che
Carmelo è capriccioso.
Il bambino è molto irrequieto in seduta: non
sembra per nulla interessato ai giochi presenti in stanza e
preferisce girare per la stanza senza un intento, salire sulle sedie
e tentare ripetutamente di aprire la porta, tant’è che risulta
necessario chiuderla a chiave, ma lui si oppone piagnucolando e
premendo l’interruttore della luce, nel vano tentativo di aprirla.
La prima prescrizione, come di consueto è
quella assegnata ad ogni membro della famiglia: compilare per
iscritto e singolarmente una lista dei comportamenti che si vogliono
migliorare in Carmelo.
La settimana successiva i genitori evidenziano
un miglioramento nel figlio: è più socievole con la sorellina,
ascolta di più i loro ordini, anche a scuola si impegna di più in
attività.
Per rafforzare la coordinata del mantenimento
all’interno del sistema (F3), funzione che sembra non esistere
affatto, in quanto il figlio non rispetta le regole e non
attribuisce alcun ruolo ai genitori, il terapeuta chiede ai genitori
a turno di impartire un ordine semplice al figlio. Il padre tenta di
eseguire la prescrizione chiedendo al figlio di prendere la sedia,
ma il piccolo non risponde. Alla richiesta della madre, invece dopo
alcuni tentativi il bimbo esegue l’ordine. I genitori riferiscono
che a casa Carmelo esegue ordini semplici, il terapeuta ribadisce
loro l’importanza che questo avvenga anche in contesti esterni.
Dunque il terapeuta assegna la prescrizione da
effettuare a casa: il padre deve dare un ordine in presenza del
coniuge, il quale deve annuire senza intervenire. L’ordine va
deciso di comune accordo e deve essere portato a termine dal bimbo.
Subito la terapia vuole incentrarsi su un aspetto rilevante del
comportamento di Carmelo: la sua incapacità nell’eseguire gli
ordini. Questa prescrizione ha un duplice scopo: oltre a quello
fondamentale di evidenziare la coordinata del mantenimento
all’interno del sistema, va a rinforzare lo stile relazionale F7
(accettazione del proprio e dell’altrui mondo) tra i coniugi,
creando uno spazio per l’intersezione e il dialogo e accentuando
la loro comunanza di intenti nel portare avanti gli obiettivi.
Infine si prendono accordi con i coniugi per
la somministrazione dell’MMPI, dal quale si ricavano i seguenti
risultati: il padre risulta depresso; timido e passivo nelle
relazioni sociali; ha bassa stima di sè e tende a polarizzare la
propria attenzione su disturbi somatici; emerge una tendenza a
strumentalizzare i rapporti interpersonali per ottenere
gratificazioni emotive (il supervisore annota nell’interpretazione
dell’inventario che la validità del profilo di personalità è
dubbia, in quanto potrebbe esserci stata un’incomprensione degli
items da parte del soggetto, a causa dei suoi problemi di salute o
dalla sua ansia). La madre invece presenta il seguente profilo
psicologico: buona introspezione, con difficoltà ad accettare i
propri problemi emotivi; equilibrio nel tono dell’umore (seppur
lievemente depresso); preferisce evitare le situazioni sociali;
presenta sentimenti critici circa le proprie possibilità e tendenza alla colpevolizzazione; tendenza alla dipendenza,
all’imitazione, alla strumentalizzazione dei rapporti
interpersonali e all’esibizionismo; possibile somatizzazione.
Nella terza seduta il terapeuta verifica che
la prescrizione è stata eseguita correttamente e ha dato i suoi
frutti; il padre sottolinea l’importanza del contributo della
moglie, che fra i due sembra la più caparbia nel portare a termine
gli obiettivi.
Ora il terapeuta centra la terapia sulla diade
madre-bambino, osservandoli in contesto di gioco: la relazione e
l’intesa tra i due è abbastanza buona, la madre riesce a
mantenere viva l’attenzione condivisa, è affettuosa e autorevole
allo stesso tempo. Il terapeuta elogia la madre e le prescrive di
giocare per un’ora al giorno con Carmelo, senza farsi disturbare
da nessuno.
Nella quarta seduta, dopo aver verificato gli
esiti positivi della prescrizione e i lievi miglioramenti di Carmelo
nell’interazione (anche se permangono gravi problemi nella
percezione dei pericoli e nell’ascolto) il terapeuta inizia ad
indagare un po’ sul sottosistema madre-padre; chiedendo loro come
hanno vissuto l’ultimo anno; emerge un problema di comunicazione
tra di loro che il terapeuta prontamente evidenzia: la
sovrapposizione durante la comunicazione; molto spesso infatti
accade che la moglie si sovrapponga ai discorsi del marito, cosa che
lei stessa ammette; poi il padre parla della sua decisione di non
lavorare per dedicarsi al figlio. La madre inizialmente non
approvava questa scelta, per l’aspetto di gratificazione
personale, ora però è contenta perché il marito può dedicarsi
all’accudimento dei figli e “prendere” il suo posto in sua
assenza. Il marito è contento di dedicarsi ai figli e non sembra
intenzionato a riprendere il lavoro. Questo capovolgimento di ruoli
all’interno della famiglia si riflette nelle capacità relazionali
del padre, il quale adotta uno stile relazionale col figlio per
nulla F3 (mantenitore del proprio mondo, tenace ed egocentrico);
infatti si osserva che quando il padre da un ordine al figlio, non
gli da il tempo necessario per rispondere, cedendo subito e passando
ad un altro ordine, questo comportamento non fa altro che rinforzare
la patologia, inviando chiaramente il messaggio al figlio “non mi
aspetto una risposta, puoi non rispondermi”. Il padre si
autosqualifica nel rapporto col figlio e così facendo Carmelo
rinforza la sua passività e la sua “chiusura nel proprio
mondo”.
La nuova prescrizione al padre consiste nel
fare un gioco col figlio e portarlo avanti finchè non riesce ad
espletarlo, nel frattempo deve cercare di farsi guardare negli occhi
dal bimbo (prescrizione di F3).
Alla quinta seduta la famiglia arriva con tre
quarti d’ora di ritardo, quindi non è possibile eseguirla; la
settimana successiva il bimbo si ammala, quindi c’è uno
slittamento notevole per la sesta seduta, durante la quale si nota
un lieve peggioramento nel comportamento del paziente, i genitori
stessi riferiscono che il bimbo non ha percezione di spazio e tempo,
non percepisce assolutamente i pericoli e loro sono molto
preoccupati perché non possono mai distogliere l’ attenzione da
lui.
Il terapeuta chiede ai genitori di eseguire il
gioco della palla; Carmelo non risponde assolutamente alle richieste
dei genitori: non c’è un riconoscimento dei ruoli, dei tempi e
della sequenzialità del gioco. Il terapeuta propone loro un gioco
più semplice e che possa alleviare la frustrazione dei genitori in
quella situazione: il gioco della corsa, in cui a turno il padre e
la madre devono dire “pronti, partenza via!”, guardare negli
occhi il piccolo e correre insieme, mano nella mano, da una parete
all’altra della stanza. Questa prescrizione ha un esito positivo,
il bimbo è coinvolto e c’è armonia in famiglia.
Si nota che il bambino presenta gravi deficit
linguistici: scarso il linguaggio spontaneo e caratterizzato dalla
frequente presenza di ecolalia immediata.
Il terapeuta prescrive il gioco della palla
per un’ora al giorno, sottolineando l’importanza che Carmelo la
lanci a chi gliela chiede. Inoltre devono impegnarsi affinché non
sia favorita l’ecolalia.
La settima seduta è decisiva, in quanto
emerge il problema del figlio in tutta la sua drammaticità.
La prescrizione non è andata bene e i
genitori lamentano un aumento di aggressività del figlio. Emerge
nuovamente la tendenza della madre a sovrapporsi ai discorsi del
padre, ella ammette di essere testarda e caparbia e il terapeuta
chiede come mai, nonostante la sua caparbietà, non riescano a far
rispettare gli ordini a Carmelo. Nella risposta emerge la loro forte
ambiguità, si contraddicono perché prima attribuiscono la colpa
alla personalità del bimbo, però poi ammettono una mancanza di
“polso” nei suoi confronti, specie il padre ammette di essere il
più debole e la madre sostiene di avere paura di imporre la sua
volontà perché Carmelo in alcune situazioni ha mostrato
comportamenti auto-lesionisti e aggressivi, quindi sin dall’inizio
hanno cercato di assecondare le
sue richieste. La madre dice che il marito ha lo stesso stile
relazionale con tutti i figli: è meno esigente e più tollerante di
lei. Egli conferma il fatto che con tutti i figli si comporta più
da fratello maggiore, trascorrendo la maggior parte del tempo
giocando con loro. A questo punto è arrivato il momento di drammatizzare,
il terapeuta deve accentuare la gravità della situazione, per
stimolare i genitori nella direzione di un cambiamento decisivo.
Dunque il terapeuta, con un tono solenne di voce, dice alla coppia
che la situazione all’interno della famiglia è alquanto
pericolosa, in quanto si è venuta a creare una modalità
relazionale che potrà portare a conseguenze estremamente negative
per il paziente. Carmelo infatti ha chiare difficoltà di percezione
della realtà, di fronte alle quali i genitori hanno un
atteggiamento di rinuncia. In particolar modo, quando essi sanno che
un ordine non è fattibile, è meglio che non lo richiedano affatto,
mentre quando pensano che il bimbo sia in grado di eseguirlo, devono
insistere fino a quando non viene completamente espletato; questo
perché il loro atteggiamento rinunciatario rinforza il circolo
vizioso dell’autismo e consente al bimbo di mettere in atto il
ricatto dell’auto-lesionismo; se il bimbo mette in atto
comportamenti aggressivi e nocivi verso se stesso, i genitori devono
intervenire tempestivamente “contenendo” e bloccandolo con
modalità sicura. Se non si corre ai ripari, il ricatto del paziente
diventerà sempre più forte e le conseguenze saranno disastrose.
Perciò è arrivato il momento di essere forti, di riappropriarsi
del loro ruolo di genitori e fare in modo che il bimbo rispetti le
regole.
Il messaggio arriva forte e chiaro ai genitori
e si spera che possa determinare una svolta nelle dinamiche
relazionali del sistema, sia a livello microstrutturale, i genitori
inizino quel lavoro di differenziazione delle coordinate e in
particolar modo rafforzino la coordinata del mantenimento, sia a
livello macrostrutturale, stabiliscano un’alleanza padre-madre per
definire il loro ruolo di genitori e
togliere il piccolo dal triangolo.
Purtroppo non è possibile portare a termine
il ciclo delle sedute a causa del sopraggiungere delle ferie estive.
4.
CONCLUSIONI
Grazie alla descrizione dei due casi presi in
considerazione, è possibile trarre alcune conclusioni.
Innanzitutto risulta evidente il duplice scopo
del MPE, il quale oltre che un modello teorico con il quale
classificare le relazioni umane, costituisce un valido strumento
terapeutico, in quanto sulla base dell’osservazione clinica delle
interazioni familiari all’interno del setting terapeutico, esso
fornisce una guida per la scelta delle prescrizioni più appropriate
da adottare.
Così è stato possibile concentrare il focus
terapeutico, nel caso di Vittorio, sul rapporto padre-figlio
attraverso lo stile relazionale F5 e sulla diade marito-moglie
attraverso F1 ed F7. Contemporaneamente è di fondamentale
importanza delineare tempestivamente i bersagli terapeutici e agire
in maniera appropriata, attraverso l’uso di prescrizioni che nel
corso degli anni e delle esperienza si sono rivelate efficaci, in
situazioni similari. Parimenti,
nel caso di Carmelo, si è rivelato utile concentrarsi su una
particolare problematica: l’incapacità del piccolo di rispettare
gli ordini. Dunque le prescrizioni assegnate riguardavano tutti i
membri del sistema ed erano focalizzate principalmente al
rafforzamento della coordinata del mantenimento del proprio mondo,
da parte dei genitori (F3).
In conclusione, la ricchezza e l’originalità
del metodo in questione consiste proprio nella sua potenza ed
efficacia: seppur possa apparire una versione stilizzata
e semplificata della realtà; esso spinge verso una visione
mirata , centripeta, a privilegiare un focus interattivo su cui
agire.
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