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DEPRESSIONE  IN ETA' EVOLUTIVA 

 

di Mario Scarcella* e Vito Lozito*

 

* Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche - Università di Bari

                                             

La depressione in età evolutiva (D.E.) è stata descritta per la prima volta da Moreau de Tours9 nel 1888.

In seguito è stata del tutto ignorata dagli autori che hanno studiato la psicopatologia infantile fin quasi agli anni '60.

Lo stesso Kraepelin7 tra i 900 casi di melanconia osservati ne aveva trovati solo 4 con esordio tra i 10 anni e la pubertà.

Da allora, negli ultimi trenta anni, si è avuto un rinnovato interesse per la D.E. con tendenza a dilatarne i confini, sempre più sfumati, e a considerarla relativamente frequente.

Intendiamo prospettare una sintesi critica della letteratura, anche in base alle personali esperienze, focalizzando alcune questioni particolari ma essenziali per tentare di delimitare e distinguere la D.E. da altre sindromi con cui spesso viene confusa.

1) Non vi è dubbio che una depressione nell'infanzia esiste e non solo in termini psicodinamici (dalla posizione depressiva della Klein6 , alla deprivazione luttuosa di Bowlby2 ) ma anche clinici.

E' piuttosto in discussione la sua frequenza, la diversa sintomatologia in rapporto all'età, la eventuale continuità con i disturbi distimici o bipolari dell'adulto.

Come osserva Marcelli8 si è ricollegata alla D.E. quasi tutta la semiologia del bambino con una eterogeneità un pò confusa, come si può rilevare, ad es., dall'elenco dei 10 sintomi indicati da Weinberg12 e dalla inadeguatezza delle classificazioni diagnostiche internazionali (D.S.M.IV - ICD 10).

Praticamente non vi è sintomo che non venga segnalato in tema di D.E., dall'asma all'obesità, dai furti all'enuresi. 

 

Giustamente gli studi più recenti si oppongono a questa superficiale estensione e dilatazione di una sindrome che dovrebbe mantenere confini ed ambiti meglio delimitati.

Una delle conseguenze dell'abuso di questa etichetta diagnostica è la estrema variabilità dell'incidenza della D.E. segnalata dalle indagini epidemiologiche basate, per lo più, sull'impiego di questionari standardizzati e delle scale di valutazione.

Si va dallo 0,6% al valore massimo del 17%.

I dati dipendono, ovviamente, dai criteri più o meno restrittivi usati.

Le ricerche più rigorose e recenti, tuttavia, limitano la prevalenza allo 0,3%-3% (va ricordata, in proposito, quella del 1993 di Fombonne)5 , con frequenza più elevata per i maschi.

Un tentativo di restringere la diagnosi ai casi di vera D.E. è quello proposto da Carlson e Garber3 (1986) che così definiscono i tre sintomi necessari per sospettarla:

1) inizio improvviso della sintomatologia con rallentamento psicomotorio evidente e umore inquadrabile nelle manifestazioni psicotiche.

2) Anamnesi familiare positiva per malattie psichiatriche.

3) Miglioramento dell'umore in seguito a trattamento con farmaci antidepressivi.

A parte quest'ultimo criterio (il tardivo ex adiuvantibus), solo il primo è riferito alla sintomatologia, ma rinvia a non meglio precisate <<manifestazioni psicotiche>>. 

 

 

 

2)  Una prima questione aperta è quella della <<depressione mascherata>>.

A questa possono essere assimilati i cosiddetti <<equivalenti depressivi>> a cui fa ampio riferimento la letteratura più recente.

Questi concetti presentano un certo fascino ma anche una notevole ambiguità perché nella <<maschera>> vengono inseriti anche comportamenti antisociali, tossicomani, suicidari e, in genere, i passaggi all'atto.

Tra i sintomi più specifici e discriminatori ci sembra di poter indicare la difficoltà a concentrarsi e la instabilità attentivo-motoria.

Ma sono sufficienti questi sintomi (che poi si ripercuotono sull'apprendimento scolastico e sulla svogliatezza fino al rifiuto scolastico) per avvalorare una diagnosi di D.E.?

A noi non sembra, perché si possono riscontrare anche in ragazzi genericamente nevrotici.

Condividiamo, quindi, l'opinione di Rutter11 secondo la quale mancano elementi sufficienti per considerare la <<depressione mascherata>> una realtà piuttosto che un'ipotesi ingannevole e poco appropriata.

Come sostiene Pearce10 non sempre i bambini col <<sintomo>> dell'umore depresso hanno una <<sindrome>> depressiva.

Gli Autori francesi evidenziano come sintomo prioritario l'inibizione (gestuale, mimica, verbale, ecc.), considerata spesso dall'ambiente come pigrizia o <<cattiva volontà>>.

Ciò che rende più problematica la diagnosi di D.E. è che il ragazzo di solito, a differenza dell'adulto, non si lamenta direttamente di essere depresso, né i test proiettivi si sono fin ora dimostrati utili ad accertare questo vissuto.

La fenomenologia depressiva del bambino, infatti, quasi mai è rappresentata da un <<vissuto>> soggettivo coerente e totale, ma è riconoscibile più nelle manifestazioni oggettive (come la riduzione dell'attività, dell'iniziativa, della varietà degli interessi) che in quelle soggettive e introspettive in cui non si riscontrano tematiche ideative di rovina, autoaccusa, colpa (più o meno deliranti), come osserva De Negri4.

Più frequenti sono le lamentele somatiche e le preoccupazioni ipocondriache (da quelle banali e più comuni, come l'astenia e le cefalee, alle più rare e gravi bouffée ipocondriache acute, alle dismorfofobie).

Oggetto di questi temi sono prevalentemente il capo, il cuore, le funzioni cardiache e respiratorie.

Rarissime le preoccupazioni per il funzionamento intestinale, così frequenti invece nei depressi adulti.

Un ulteriore elemento che complica la diagnosi di D.E. è rappresentato dalla sua periodicità che è di difficile accertamento nell'infanzia e nell'adolescenza per la continua interferenza di periodi critici di fisiologica labilità dell'umore.

Infine va ricordata la riconosciuta influenza delle circostanze ambientali ed esteriori.

 

3) A questo proposito va considerata la questione delle reazioni depressive.

Come è noto un evento drammatico può scatenare un abbassamento del tono dell'umore.

L'episodio acuto o subacuto tende a regredire in tempi brevi anche spontaneamente e per le sue caratteristiche non dovrebbe essere confuso con la vera D.E..

Forse solo nei casi in cui la sintomatologia si protrae a lungo si può mettere in discussione il ruolo dell'evento scatenante e la stessa natura reattiva della sindrome, come del resto acquisito dalla psicopatologia generale. In linea teorica, pertanto, sgombrato il campo dalle forme minori o dubbie di depressione (quella mascherata, gli equivalenti depressivi e le sindromi reattive) non dovrebbe essere difficile riconoscere le vere D.E..

Un ultimo ambito di incertezza diagnostica riguarda la <<comorbilità>>, cioé gli stati depressivi che accompagnano l'autismo e la schizofrenia infantile che come da più parti viene segnalato può esordire con sintomi simildepressivi, ma ben presto il quadro principale diverrà evidente.

Va considerata ai fini diagnostici anche l'interferenza del fattore età: ad es. è ben chiaro che nei bambini più piccoli si ha una netta prevalenza dei sintomi psicosomatici.

Se si eliminano i casi di D.E. <<spuria>> (che poi sono la maggioranza) si vedrà che aumenta l'incidenza della patologia familiare e della componente endogena.

Questo però non implica una evoluzione verso una sindrome fasica che resta, comunque, rara.

D'altra parte la patologia familiare non è mai di per sé un dato anamnestico a favore della componente endogena, perché la depressione dei genitori può favorire l'identificazione del figlio così come da parte di genitori depressi vi può essere rifiuto e ostilità verso il figlio.

Vi è quindi, in questi casi, come spesso avviene in pedopsichiatria, un intreccio difficilmente districabile tra fattori organici o eredocostituzionali e fattori psicogeni.

L'apporto recente della terapia familiare ha favorito un utile contributo, specie al fine di indagare sugli aspetti relazionali dei quadri depressivi familiari.

In conclusione a noi sembra che l'ipotesi di Anthony e Scott1 è tuttora valida.

Secondo questi autori la tendenza distimica è latente nell'individuo predisposto, interviene come forma psicodinamica interiorizzata precocemente, si può manifestare in modo transitorio già nell'infanzia sotto forti pressioni fisio-psicologiche e qualche volta diventa clinicamente riconoscibile come psicosi.

Solo in questi casi si è autorizzati a definirla D.E.  vera.

 

 

 

 

Nota iconografica:

le foto che illustrano questo articolo si riferiscono all'opera di Peter Land "Playground", presentata nel Padiglione Scandinavo alla Biennale Arte 2005 di Venezia. Per un approfondimento vai a "I giardini della Biennale"  

 

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE:

1 Anthony J. & Scott P. Manic-depressive psychosis in childhood. Journal of Child Psychology and Psychiatry, 1960:I:53-72.

2 Bowlby J. La séparation: angoisse et colère. PUF, Paris, 1978.

3 Carlson G.A. & Garber J. Developmental issues in the classification of depression in children. In Rutter M., Izard CE & Read PB, eds., Depression in Young People: Developmental and Clinical Perspectives. Guilfor Press, New York 1986: 399-434.

4 De Negri M. Manuale di Neuropsichiatria Infantile, Piccin, Padova, 1995.

5 Fombonne E. , in : Rutter M e Smith D. Psychosocial disorders in Young People: Time Trends and their origins. Wiley, Chichester.

Klein M. Essais de psychanalyse. Payot, Paris, 1973.

7 Kraepelin E. Trattato di psichiatria. Lipsia, 1909.

8 Marcelli D. Psicopatologia del bambino. Milano, Masson, 1999.

Moreau de Tours P. La folie chez l'enfant. Paris, Baillière, 1888.

10 Pearce JB. Children depression , University of London, 1974.

11 Rutter M, Hersow L. Psichiatria Infantile, Bologna, Zanichelli, 1980.

12 Weinberg WA, et al. Depression in children referred to an educational diagnostic center, Journal of Paediatrics 1973:6:141-160.

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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