LA TESTIMONIANZA DI
SERGIO DE RISIO
<<Al principio
era il viaggio. Verso Pisa. A Pisa. Attraverso il
parabrezza cominciavo
a intra-
vedere il profilo.
Di Pisa. Dove comincia l’edera, dove finisce il muro?
Ducentesco, sempre
verde. L’un l’altro avvinti
In armonia diffusa
Nella dama nobile
distesa
In reve-riva
d’Arno.
Una città reale e
un po’ irreale, anche.
Sotto la finestra
d’ospedale
È una salda
Firenze.
Ma tramondeggiando
per le vie fluviali
E’ uno stame
tremante di riflessi di Venezia.
Tutto in una sfera
d’uguale cristallo
Che rigiro
continuamente, completamente,
Guardo cadere la
neve, cadere il ricordo
Che credo d’avere
delle nevose sfere,
cioè di neve
interna che plana su tutto,
che rende tutto
uguale
ma senza gelo.
E saranno davvero
Integrabili, com’è
Pisa, reale, enti
Dell’oltreterra,
d’altro mare, enti transidentitari?
Equilibrato
tormento. Fuoco e Beltà.
Poi si fece il
trapianto e cominciò l’abitare in noi. Noi che abbiamo
abitato un reparto di trapiantati. Noi sappiamo che quel che
ha reso possibile questo nostro abitare, e facilitato che
ospitassimo a nostra volta l’avvento in noi dell’alterità
amica, è l’evento del neoformato manto di relazioni “microsociali”,
la tela che si tesse in modo naturale, improvviso, fulminante,
necessario, necessaria-mente autentico.
E’ l’innesto
immediato di ciascun trapiantato nel più vicino, che ogni
istante si espande come olio nella carta assorbente,
geometrico topologicamente, fino a coprire per intero, a
comprendere in tutta la sua trama, in ogni suo dettaglio, il
lungo foglio, denso ma trasparente, del reparto appartato.
Tendenti all’ideale dell’evitamento d’ogni contatto.
A parte, come subito si
intende, quello della mente con la mente. Così che ogni
bisogno trova, “micromiracolosamente” quel che lo calma e
lo ricolma nell’offerente mente altrui. Reciprocamente. Il
più prossimo a me, nella mia
stessa stanza, altro letto, si chiama Rob. I nostri
curricoli stanno come una chiave nella sua toppa. Io che
lavoro come Professore di Psichiatria all’Università, un
lavoro che mi appassiona ogni giorno di più in tutti i suoi
aspetti. Un ruolo di cui in occasioni come questa vado
scoprendo l’inaudita utilità. Ora sto chiacchierando con
Rob che mi racconta: stare qui non mi addolora più di tanto,
qui mi tengono in cura. A 16 anni sono stato sbattuto in
manicomio a Firenze.
Quello fu brutale. Lo
psichiatra era un violento. Faceva shock elettrici senza
risparmiare. Più volte ho tentato di scappare e l’ultima ci
sono riuscito. Per mangiare rubavo galline. Più volte sono
stato in carcere.
Ora sono disoccupato,
ho una specie di piccola pensione. Ora mi lasciano un po’ in
pace. Libero. Anzi troppo libero ci ho. Ogni tanto dipingo,
faccio quadri cartelloni. Uno dei miei più grandi riquadri mi
fu commissionato dal comune ma poi non lo espose né mai me lo
pagò. A
proposito tu che mestiere fai? Mi sto chiedendo: chi la toppa,
chi è la chiave? Ma è chiaro che la chiave non c’è.
Piuttosto tappi su toppe, troppe.
Penso ai miei errori,
soprattutto recenti. Errori, pentimenti. Penso: mamma, non lo
faccio più. Ma so che lo farò ancora. Struggimenti. Penso:
siamo due esistenze, o la stessa esistenza come sdoppiata?
Adenina Timina, Guanina Citosina specularità e,
complementarità legati di necessità conoscendo uno, sai
anche il suo corrispondente. Esco nel corridoio poggiandomi al
braccio di Rob.
Sono sfinito, ho dolori
ad una gamba. Rob è veramente robusto. Ne vediamo un altro.
Mi sembra somigliare sorprendentemente al famoso comico
genovese che si chiama Govi.
Il comico faceva
ridere, questo compagno invece sembra ridere lui
incessantemente come se questo riso avesse un senso.
E’ interessante costui che in mezzo
A questo corridoio
di trapiantati
Fa parole crociate.
Specie
Di sorriso stampato
in viso.
Lui trapianta parole
su parole in
Modo che tutti
tornino
I significati
Crociati, come
Definizione vuole,
su pochi significati
cruciali.
Cruciverba.
Et
verbum, verbum
Crux
Corpidependuli
appesi alla
Comunque vita
Come i sorci di
Bernardt
Sono convinto che sia
genovese, ma mi sbaglio. Oto che di continuo beve acque
minerali e altri succhi vaghi.
Prendo due bottiglie di
succo d’ananas 100% che mi hanno portate e gliele do. Così
ci conosciamo.
Ovviamente mi sorride.
Durante un’altra passeggiata in corridoio, qualche giorno
dopo, incontro Emo. Acciaio filato, profilo duro, sguardo
provato e profondo. Puro quattro anni fa, trapianto.
Ora aspetta un
intervento di gastroresezione. Ha pazienza, coraggio. Penso
che di un po’ del suo coraggio avrei bisogno.
Lui lo capisce. Non è
avaro. Ha bisogno a sua volta di parlare “sto nella stanza
con Giovanni” mi dice “Giovanni ha 73 anni.
Epatectomizzato. Non si riprende da questo intervento. Da una
quindicina di giorni, trasferito in reparto dalla
rianimazione, non si riprende.
Non parla. Rifiuta il
cibo. Respinge chiunque tenta di avvicinarlo, comprese moglie
e figlia. Sputa sempre.
Non saluta nessuno. Non
ha salute, non la vuole. Così, dividendo la stanza con un
taciturno, ho sempre voglia di parlare”.
Comincio l’abitudine
di andarlo a trovare di sera e chiacchierare con lui una
mezz’ora siamo amici. Così passa il tempo di una settimana;
lo trovo una sera con un libro in mano.
Che leggi?
Parla di spiritualità.
Non lo capisco bene lo leggo lo stesso. Non so perché mi
attira. E’ sempre bene cercare di farsi un’idea dello
spirito. Cercare una specie di propria, spicciola personale
filosofia elementare, naturale.
Detto questo sento alle
mie spalle una specie di urlo, una voce alta dice “Cogito
ergo sum” Sono Giovanni.
Perché parli di
filosofia con lui, che non gliene frega niente? A me piace la
filosofia.
Non immaginavo che ci
fosse un cartesiano, Giovanni, tra noi pazienti. E non è del
tutto vero che ad Emo non gliene freghi niente. E perché non
glielo spieghi un po’ tu Giovanni?
Se mi andrà lo farò
se gli farà piacere. La mattina dopo Giovanni riprese con
Cartesio come so da Emo. Diventammo amici con Giovanni.
Gli devo il fatto che
mai prima avevo capito così in profondità la parola di quel
detto cartesiano tanto citato quanto misconosciuto. Tutta la
sua portata materiale.
L’importanza del
pensiero, il suo rapporto con l’essere. Non somiglia a
Parmenide?
Comunque Giovanni si
mise a mangiare regolarmente e dopo qualche giorno passeggiava
con noi.
Non so perché finii
col pensare all’amore come fondamento.
Forse per via
dell’anima inconcussa della “ben rotonda”?…
Non la prima.
L’unica scelta.
Cioè la necessità
Che sta nel centro
radiante
Della vitalità. La
gode.
La trasmette se
vuole
Ma non ha potere.
Impera a le cose
Che la circondano
A volte benevolmente
L’amore è
essenzialmente
Quel che trasfonde
nel sorriso
De la Gioconda.
L’amore in se non
ama l’inondamento, ma di cresta in cresta d’onda in onda
D’un volubile
gioco che concresce
Ha l’andamento.
Pensai
all’infondata forza dell’ira del respingere
inibito-inibente, che tentano
Inutilmente di
ritardare. Eros.
Cinismo
dell’accetta
Calata a piombo.
In cagnesco.
Proprio qui sul
balcone appena spalancato
Sul prato centrale,
con al centro
Quel tenerume di
bocciolo appena nato,
sostenuto dai flussi
della bellezza serale.
Ma da quella stessa
bellezza richiamato
A richiamare a sera
La sua rorida
coroncina
Di foglioline.
A vincolarle tutte
vicine.
Lasciamo che resti
tenero
Senza alterizzarlo.
Assimiliamolo a noi.
E che il suo ruolo sia di restare per sempre bocciolo.
Ma voglio dire che
l’amore vince? Qualche volta, raramente. Dopo circa trenta
giorni di degenza, e di obbligata decenza, desideravo e
ottenni di poter lasciare il reparto. L’ultima sera che
avrei dormito, venne a salutarmi Giovanni. Ma fa piacere che
ci si sia conosciuti. Dovremmo vederci fuori, a cena. L’indomani
mattina, qualcuno, chi mi ci aveva portato venne a prendermi
per riportarmi a casa. Via dal reparto. Salutai così il
reparto:
Questo è un posto in cui vengono
Solo le madri
chiedendo sempre: che vuoi?
Ferisce, l'oro
diventato un'aureola bianca fine fine. Ferisce il dolore
provato a la sorgente, ma consola anche.
Ah! Sono, le madri
in se, della promessa l'apparire. Della promessa destinata a
non
essere mai
mantenuta?
Qui ho visto al
lucore della luna a sera venir madri. Raramente venir un
angelo, un oro
persistente che ti esalta di vita, e ti tormenta anche.
Rari angeli che
portano alloro
E un'insistente
domanda: E allora?
Ah! Un tempo, una
volta, e un'altra
Un'altra ancora. La
vita risponde:
allora, ora e qui,
ancora...
Ancora. >>
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