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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività

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"Mnemosyne": psicoanalisti e memoria dei traumi collettivi

 "Diario di uno psichiatra" (1957)

 

di G. Durtal

 

  NOTA EDITORIALE

Un diario, ossia delle annotazioni, delle riflessioni determinate dall'esperienza dello psichiatra, delle osservazioni prese dal vivo, dei dialoghi con il malato.

Non è il Diario integrale. Ne pubblichiamo qui solo degli estratti. Nella moltitudine dei documenti, bisognerebbe fare una scelta rispettando le date, dato che si vedrà, nel corso degli anni, disegnarsi da se stessa l'evoluzione della psichiatria ed i progressi realizzati nella terapia delle malattie mentali: psicoterapia, psicoanalisi, elettroshock, lobotomia, ecc.

Abbiamo tentato di trattare con la stessa importanza il pittoresco, il caso scabroso, le anomalie più bizzarre da una parte e le concezioni personali dello psichiatra sulla psicopatologia dall'altra. Se certi dettagli sono scabrosi da un punto di vista sessuale ed erotico, non è in alcun modo per insaporire il testo; i fatti sono là. Così speriamo di richiamare l'attenzione di tutti i lettori, dei medici, degli psichiatri, ma soprattutto di suscitare l'interesse del grande pubblico che comprende sempre di più l'importanza di queste questioni.

<<Come  si può essere psichiatra? Come si osa esserlo?>> si chiede l'autore del Diario, il Dott. Durtal (il nome è ovviamente uno pseudonimo)con questi interrogativi esprime tuyyo l'amore per la sua professione e tutti i limiti della conoscenza umana.

 

 

 

                                             Settembre 1939

Alla T.S.F., quartetto di Fauré. E' dolce sentire questa nostalgia, questo disincanto senza asprezza, questa serena tristezza.

A questa qualità di sonorità, a questo tatto, a questa discrezione, chi non dubiterà della nostra sconfitta?


 

 

 

15 Settembre 1939

 

Val-de-Grace. - Un generale sconfitto, senza battaglia, dopo dieci giorni di guerra. Ha appena appreso la sua nomina a generale, porta ancora i galloni di colonnello. L'elevazione di grado del generale obbedisce dunque alla macchina idraulica della gerarchia. I nostri capi si fabbricano dunque automaticamente! Quest'uomo ha 46 anni. Come i suoi superiori hanno potuto non notare la sua incapacità di comandare? Solamente la vigliaccheria può scusarli. E' meglio credere alla loro vigliaccheria che alla loro cecità intellettuale. E' proprio questo che bisogna dire: cecità intellettuale! In tanti uomini intelligenti, generali, scrittori o dottori, il funzionamento cerebrale obbedisce alla più precisa, alla più perfetta delle meccaniche, ma una meccanica che funziona per la sola gioia dei suoi ingranaggi, senza trasmissione! Quante intelligenze d'elite non hanno, alla base di tanta perfezione meccanica, né  carattere né personalità e, beninteso, nessuna capacità pratica di adattamento.

Il nuovo generale era alto, magro - fasciato da un'uniforme ben tagliata - ufficiale della Legione d'onore evidentemente. Nessuna croce di guerra. L'altra guerra dovrebbe averlo sfiorato. La sua rapida ascesa si basa, senza dubbio, sulle sue qualità di brio e di <<brillante>> intellettuale che avevano dovuto scatenarsi alla Scuola politecnica (di quale altra scuola si può trattare, vista la sua età ed il suo berretto militare?) un'entrata ed un'uscita folgorante.

I suoi superiori continuavano a ricompensare, con gli scatti di grado, la sorprendente meccanica intellettuale. Essi si erano dimenticati di un dettaglio, di un punto solo: dell'uomo. Lo si è ben visto dalle parti della Sarre, all'inizio delle ostilità, quando egli ricevette l'ordine di preparare un attacco di artiglieria. Corretto, come era sempre, ebbe, felicemente, il buon gusto di rendersi conto che non poteva dirigere le operazioni che gli erano state affidate.

La prima iniziativa che ebbe a prendere, nel corso della sua carriera militare, coincideva col primo giorno della battaglia. Non ne prese nessuna. Non ci fu alcuna battaglia, né attorno a lui, né in lui.

Questo soldato commentava la sua vigliaccheria:

- Tenga, Dottore, un paragone tratto dalla vostra professione vi farà comprendere il mio stato, sono un uomo di laboratorio, l'azione non ha mai fatto per me.

L'azione violenta ancora meno.

Un ufficiale superiore difendeva con tale sangue freddo, davanti a me, un subalterno, il paradosso della Pace. Egli aveva, in un ufficio, preparato la guerra, senza credere alla sua realtà. Era, nei suoi calcoli, un'eventualità a cui non aveva pensato. Le armi di cui egli perfezionava i piani erano delle armi di Pace.

- Non è mostruoso, Dottore, che una guerra possa scoppiare alla nostra epoca?

Ripetevo macchinalmente: <<Mostruoso!>> stordito da ciò che sentivo. Era possibile che quest'ufficiale avesse abbandonato il combattimento senza un rimpianto,  senza un rimorso?

- Sono io, Dottore, che ho sollecitato la mia partenza dall'Alto Comando. Sono un vecchio ragazzo. Se rompo con le mie abitudini, non importa. Inoltre, non posso sopportare il rumore. Bisognerà farmi esaminare le orecchie!

Rassicuravo il nuovo generale che in qualche giorno l'avremmo tirato su.

- Lei sa, Dottore, ho appena tratto da questi primi giorni di guerra un prezioso insegnamento. Essa avrà avuto una cosa buona, che mi avrà permesso di non prendere una strada sbagliata... Non valgo nulla per l'esercito.

Io insistevo sull'eccesso della sua modestia.

- Questo nuovo grado, precisando le mie responsabilità, mi ha rivelato che sono stato nell'incapacità di meritarmelo.

Ho l'impressione che la bandiera dell'altra guerra viene, sbattendo, a soffiarmi il viso...

Ma il generale, senza impressionarsi, concluse con la sua voce gelida:

- Ero fatto per servire e non per comandare.

 

Novembre

Ha un'aria estenuata, sgradevole. A volte un sorriso fresco libera la sua franchezza, la sua gioventù: Geger ha venticinque anni.

- Ancora! Ancora! Raccontare sempre la stessa cosa...

E' il quinto ospedale in sei mesi e ci si chiede perché, quale singolare malattia! Geger è un solido pezzo d'uomo. Tedesco, parla francese con un forte accento bavarese. Ha la tipologia del dolicocefalo biondo, nella forma più netta, più rara. La sua voce strascica. Ne ha abbastanza di parlare a dei medici, sempre a dei medici. Pertanto ama i giochi d'idee. E' arrivato con uno studente in diritto; siccome non sono destinati alla stessa sala, egli chiede di riunirsi a lui. Questo favore gli sarà accordato.  <<Grazie>> ci dice ed il suo viso s'illumina. Poi, mostrando i suoi camerati coricati nella sala: <<Come volete che io parli a quelli là..! Non so parlare bene il francese, d'accordo, ma ciò nonostante ... per farsi comprendere!>>

Ha un grosso peso sul cuore. E' per l'incomprensione dei suoi camerati di reggimento che è cominciata la serie dei suoi problemi. Egli si era arruolato in un reggimento di artiglieria. Intelligente, lavoratore, aveva presto conquistato i galloni di brigadiere. I suoi camerati assomigliavano a quelli che oggi lo circondano: dei bravi campagnoli, dei contadini, dei manovali, degli impiegati di commercio.

- Non credevo che essi fossero come da noi, in Germania, così goffi, così chiusi! Voi che avete un 'elite' così intelligente!

Mi raccontò come fosse stato così mal capito dai suoi camerati:

- Mi ero arruolato, volevo divenire Francese. Volevo ottenere la naturalizzazione. Ma con tutti questi scoppi della guerra che non si allentavano da un anno, bisognava parlare bene, spiegarsi. Non è perché mi trattavano da Crucco che io non ho marciato. Non lo dicevano in un senso cattivo. Di ciò sorridevo. Ma battersi. Essi volevano fare a pezzi tutta la Germania. Sono tedesco, io. Non volevano comprendere che i Tedeschi sono uomini come loro.

Risultato: Proteste, lamentele ai loro capi: quindici giorni di prigione. Nella sua cella, Geger ha tentato di impiccarsi. Aveva sentito che qualsiasi lotta era impossibile! Dopo il campo di concentramento tedesco, il campo di concentramento francese. Il guardiano ha allentato per tempo l'estremità del lenzuolo. Ma Geger è rimasto depresso, triste, scoraggiato. Lo si è curato. Egli all'ospedale ha trovato delle anime comprensive. L'ospedale era la tregua. La convalescenza è il ritorno alla vita. L'impossibile apprendistato. Bisogna pur essere qualche cosa...

Coi suoi galloni di lana, ha potuto affittare una mansarda. Non è ancora francese, è già soldato francese. Un dolce viso è passato. Egli ha parlato. Lei ha sorriso. Lui parla così bene malgrado il suo accento. Mai a corto d'idee, di argomenti. Un brigadiere si può sposare. Presto avrà un bambino. Le cose sono state veloci.

Ah! Esse si precipitano. Geger non ha creduto alla guerra. <<Voi, Francesi, così intelligenti, siete troppo fini per combattere. Sì, la guerra, bisogna rimettere tutto in questione>>.

Gli chiedo cosa farà <<lassù>>. Perché quando si parla di linee, si dice sempre <<lassù>>.

L'angoscia lo riprende.

- Mi farò saltare il cervello....

Non è vigliacco. E' capace di fare ciò che dice. E' tedesco e desiderava essere francese... Lo desidera ancora, e desidera anche restare tedesco. La grande famiglia umana. Mi ha mostrato nella sua valigia dei fratelli fedeli: Goethe, Benjamin Constant.

Il ciclo sta per ricominciare? Campo di concentramento per questo indesiderabile?

Per fortuna, ci sono sotto il cielo d'Africa dei bersagli bianchi. Ci sono dei brigadieri che apprendono ad avvistare, nella sabbia, dei fortini immaginari. I cannoni  sparano su dei palmeti vuoti. I colpi non cadono né in Germania, né in Francia... Per noi nessuna diagnosi. Geger non ci appartiene. Che decida la coscienza degli uomini. Chiudiamo questa cartella clinica vuota che ascriveremo alla rubrica dei <<casi umani>>.

 

 

24 Novembre

L'ospedale è in via di ricostruzione. Ci sono dei pezzi di muri in costruzione. I giorni passano. Stagnazione. Esercito senza ferite.

Finestre senza vetri. Fronte senza battaglia.

 

28 Novembre

Molti alcolici. Molta vigliaccheria. Depressioni di bambini piccoli.

 

Gennaio 1940

Una barba nera che copre una pelle smunta. Il corpo si torce sul pagliericcio.  Uno sguardo supplichevole. Non si sa perché l'uomo abbia improvvisamente compreso che poteva parlare, che è di fronte ad un uomo che gli assomiglia. Egli non vede dell'uomo che è entrato nella sua cella se non un lungo camice bianco. Niente galloni, nessuna uniforme, e, soprattutto, la guardia carceraria in kepì, con il pesante mazzo di chiavi ed il suo passo vellutato, non ha passato la soglia.

- Che mi si finisca, se si preferisce! La morte, che liberazione!

E con un ghigno macabro:

- La prigione!... La prigione al momento in cui la mia coscienza si sveglia, in cui ho creduto di fare un gesto libero...!

- Perché detenuto?

- Insubordinazione.

- Quanti anni ha lei?

- Quaranta.

- Non ha raggiunto il suo corpo d'armata il giorno prestabilito?

- Al contrario, ho anticipato la mobilizzazione generale, mi sono affidato.

Non comprendevo dove egli avesse fatto il servizio militare.

- Giustamente. Insubordinato.

Egli ritornava indietro di venti anni.

- Sì, venti anni indietro... l'ora critica è arrivata. Traditore alle mie idee, alla mia fede, al mio scopo. Gli uomini uniti, la fraternità umana. Traditore a tutto ciò... Cosa ho fatto? Debbo continuare a tacere? Servire nell'ombra, nel silenzio, le mie idee. Conservare intatta la mia fede ed attendere l'esito della guerra per riprendere la mia preghiera alla Pace. Questa guerra che lacera dentro di me venti anni di fiducia e di speranza! Tutta la mia religione che affonda.

La religione della Pace tra gli uomini! Per essa, egli ha rifiutato di sottomettersi ai suoi obblighi militari.

- Sì! Ah! è stato molto duro, un bel paese, la mia bella Francia! Conosce il Berry?  Ci sono laggiù, in un gomito della Creuse, delle terre di brughiera per le quali uno darebbe anche la vita. Desidererei servire il mio paese, ma non è esso che avrei servito. Avrei servito la guerra. Avrei imparato a maneggiare un fucile, una mitragliatrice... Avrei preparato l'odio degli uomini. Sarei stato un operaio della guerra se avessi obbedito al caporale e toccato un fucile. Amo gli uomini... amo gli uomini.

E con un gesto di mietitore, egli abbraccia l'umanità.

- Vorrei  comprenderla meglio. A venti anni lei evita i suoi obblighi militari. Lei è sicuro di non essere stato guidato se non dall'amore dell'umanità, dall'odio per le armi?...

- Se ne sono sicuro? C'è la Francia, c'è la Creuse. Non ho potuto resistere. Ciò la tiene nella carne, questa storia qui. L'altra storia, è nel cervello, nel pensiero. Ma quella là, in pieno cuore! Non mi sono chiesto nulla. Non mi sono nemmeno detto: <<si vedrà>>. Ho dato il mio nome al reclutamento. Mi si è fatto tornare l'indomani. L'indomani mi si è detto di attendere. Non si trovava nulla in corrispondenza del mio nome. Sentivo bene che le cose si stavano mettendo al peggio, ed ero contento, ero fiero di ciò che avevo fatto, fiero di ciò che stava per arrivare; nessuno aveva voluto il mio amore, il mio amore non aveva impedito nulla; bene! va bene, stavo andando a difendere il mio paese, si vedrà dopo di mettersi a posto con la propria coscienza.

- Mettersi a posto?

- Sì, lei dunque non comprende- si spazientiva - tradivo l'umanità... Lo vedo bene ora... L'ho tradita... E perché?

- Cosa le è arrivato?

- Si è dovuto probabilmente ritrovare il mio dossier... un dossier di insubordinato. Dei poliziotti sono venuti, mi hanno portato qui, legato come un salsicciotto. Queste corde mi opprimono, Dottore, mi faccia togliere questa gogna. Cosa potevo fare, Dottore? Lasciar uccidere i Francesi senza muovermi, senza difendere Panama e la Creuse? Mi hanno fregato qui. Ah! questo mi ha fatto riflettere. No, no, non voglio uccidere dei Crucchi! Non terrei in mano un fucile. Non c'è motivo d'avere, da venti anni, tenuto senza cedere, d'aver sperato nella fraternità, per comportarsi come un vigliacco e mettersi ad uccidere come gli altri! Lei è fortunato, Dottore, lei non è obbligato ad uccidere!

Le labbra secche, la cera plumbea; le guance incavate tradiscono un digiuno prolungato, una denutrizione accentuata. Un bicchierino è pieno di latte. Del puré in un piatto non è stato toccato.

- Perché non mangia ?

- Ho tradito, sono un mostro, ho tradito la causa sacra.

- Che si può fare per lei?

- Lasciarmi morire.. Dica  loro, Dottore, che mi lascino tranquillo. Ho ancora tante idee da sistemare, da mettere a posto. Il dibattito non è ancora terminato... Da venti anni ho creduto... Ci sono dunque ancora guerre! ... Che mi mandino al fronte, dopo tutto, se ci tengono. Le pallottole non mancano. ... Non c'è che raddrizzarsi un po'... Almeno sarò fedele alla mia fede. Non avrei ucciso...

Dice a bassa voce:

- Dottore, mi chiedo talvolta se io non sia malato, se non sia folle. Queste lacerazioni, queste lotte con me stesso non sono abituali. Gli altri partono senza una parola, con la coscienza limpida. Sanno qual è il loro dovere. Io invece cerco il mio cammino, il mio destino...

- Lei cerca... ciò che lei è vicino a trovare.

- Evviva! L'avevo sperato !...

L'autorità militare chiede il parere dello specialista. Senza questo parere essa non vuole concludere. Se ma medicina si disinteressa di questo caso, il detenuto sarà consegnato alla giustizia. Prima di tutto, bisogna attenuare questa angoscia, portare al silenzio questa coscienza contraddittoria. Il tempo dovrà passare, e placherà questa guerra. Egli può essere malato? Sì, senza dubbio, deve essere malato. Mi piego verso di lui:

- Beva il latte!

Il suo sguardo incrocia il mio. L'uomo vede il bicchiere.

- Andiamo, bene, si calmi. Riposi in pace. Abbia fiducia.

Aggiungo a voce bassa:

- Lei non ucciderà!

 

Febbraio 1940

 

Una bella testa dolente. Un Cristo che avrebbe avuto il tempo di invecchiare. Un Cristo che non sarebbe stato crocifisso. Il nostro uomo ha tuttavia molto sofferto. In modo del tutto semplice. I tratti del viso sono fini, l'espressione intelligente. E' autista di taxi. Gli occhi sembrano aver guardato più lontano di un motore o dei numeri di una strada.

Sembrava molto vecchio. Al Servizio lo chiamano Nonno e non ha che quarantacinque anni. Non lascia il suo letto e non sa parlare di altro che di sua madre. <<La mia povera vecchia Mamma, l'ho lasciata tutta sola. Chi s'occuperà di lei?>> Si torce le mani lunghe, dalle dita delicate.

Anche lui, come tanti altri, è un bambino piccolo. Le infermiere lo coccolano. C'è una grande compassione diffusa attorno ad ogni letto.

Una misera situazione. Suo padre era un industriale. Aveva una fabbrica di scarpe. Egli dominava il figlio, lo tormentava, e lui, già pavido di natura, tremava non appena si avvicinava a quest'uomo temibile che morì prima di veder fallire i suoi affari. Il disastro si profilò l'indomani della sepoltura.

Suo figlio compiva venti anni. Un altro avrebbe potuto raddrizzare la situazione. Ma tutti avevano imparato a dubitare di lui, e la lezione portava i suoi frutti: egli mancò di audacia e fu la rovina.

In venti anni egli non ha tentato nulla; la sua unica audacia in tanti anni è stata quella di cambiare l'auto; questa decisione non fu raggiunta senza sofferenza.

Autista di taxi. La madre casalinga. E lui ogni sera fedele. Il figlio e la madre non si sono più lasciati. Non sono più usciti dall'ambito del focolare domestico.

La guerra ha strappato tutto e con questo sradicamento ha rivelato tutto.

L'uomo comprende il suo destino, la genesi della sua caduta, le leggi della sua dolce servitù. <<Non c'è che la sua povera mamma>>. Universo ripiegato su se stesso. Universo ridotto ad un punto di cui egli non vede più la luce.

 

 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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