15
Settembre 1939
Val-de-Grace.
- Un generale sconfitto, senza battaglia, dopo dieci giorni di guerra.
Ha appena appreso la sua nomina a generale, porta ancora i galloni di
colonnello. L'elevazione di grado del generale obbedisce dunque alla
macchina idraulica della gerarchia. I nostri capi si fabbricano dunque
automaticamente! Quest'uomo ha 46 anni. Come i suoi superiori hanno
potuto non notare la sua incapacità di comandare? Solamente la
vigliaccheria può scusarli. E' meglio credere alla loro vigliaccheria
che alla loro cecità intellettuale. E' proprio questo che bisogna
dire: cecità intellettuale! In tanti uomini intelligenti, generali,
scrittori o dottori, il funzionamento cerebrale obbedisce alla più
precisa, alla più perfetta delle meccaniche, ma una meccanica che
funziona per la sola gioia dei suoi ingranaggi, senza trasmissione!
Quante intelligenze d'elite non hanno, alla base di tanta perfezione
meccanica, né carattere né personalità e, beninteso, nessuna
capacità pratica di adattamento.
Il nuovo
generale era alto, magro - fasciato da un'uniforme ben tagliata -
ufficiale della Legione d'onore evidentemente. Nessuna croce di
guerra. L'altra guerra dovrebbe averlo sfiorato. La sua rapida ascesa
si basa, senza dubbio, sulle sue qualità di brio e di <<brillante>>
intellettuale che avevano dovuto scatenarsi alla Scuola politecnica
(di quale altra scuola si può trattare, vista la sua età ed il suo
berretto militare?) un'entrata ed un'uscita folgorante.
I suoi
superiori continuavano a ricompensare, con gli scatti di grado, la
sorprendente meccanica intellettuale. Essi si erano dimenticati di un
dettaglio, di un punto solo: dell'uomo. Lo si è ben visto dalle parti
della Sarre, all'inizio delle ostilità, quando egli ricevette l'ordine
di preparare un attacco di artiglieria. Corretto, come era sempre,
ebbe, felicemente, il buon gusto di rendersi conto che non poteva
dirigere le operazioni che gli erano state affidate.
La prima
iniziativa che ebbe a prendere, nel corso della sua carriera militare,
coincideva col primo giorno della battaglia. Non ne prese nessuna. Non
ci fu alcuna battaglia, né attorno a lui, né in lui.
Questo
soldato commentava la sua vigliaccheria:
- Tenga,
Dottore, un paragone tratto dalla vostra professione vi farà
comprendere il mio stato, sono un uomo di laboratorio, l'azione non ha
mai fatto per me.
L'azione
violenta ancora meno.
Un ufficiale
superiore difendeva con tale sangue freddo, davanti a me, un
subalterno, il paradosso della Pace. Egli aveva, in un ufficio,
preparato la guerra, senza credere alla sua realtà. Era, nei suoi
calcoli, un'eventualità a cui non aveva pensato. Le armi di cui egli
perfezionava i piani erano delle armi di Pace.
- Non è
mostruoso, Dottore, che una guerra possa scoppiare alla nostra epoca?
Ripetevo
macchinalmente: <<Mostruoso!>> stordito da ciò che sentivo. Era
possibile che quest'ufficiale avesse abbandonato il combattimento
senza un rimpianto, senza un rimorso?
- Sono io,
Dottore, che ho sollecitato la mia partenza dall'Alto Comando. Sono un
vecchio ragazzo. Se rompo con le mie abitudini, non importa. Inoltre,
non posso sopportare il rumore. Bisognerà farmi esaminare le orecchie!
Rassicuravo
il nuovo generale che in qualche giorno l'avremmo tirato su.
- Lei sa,
Dottore, ho appena tratto da questi primi giorni di guerra un prezioso
insegnamento. Essa avrà avuto una cosa buona, che mi avrà permesso di
non prendere una strada sbagliata... Non valgo nulla per l'esercito.
Io insistevo
sull'eccesso della sua modestia.
- Questo
nuovo grado, precisando le mie responsabilità, mi ha rivelato che sono
stato nell'incapacità di meritarmelo.
Ho
l'impressione che la bandiera dell'altra guerra viene, sbattendo, a
soffiarmi il viso...
Ma il
generale, senza impressionarsi, concluse con la sua voce gelida:
- Ero fatto
per servire e non per comandare.
Novembre
Ha un'aria
estenuata, sgradevole. A volte un sorriso fresco libera la sua
franchezza, la sua gioventù: Geger ha venticinque anni.
- Ancora!
Ancora! Raccontare sempre la stessa cosa...
E' il quinto
ospedale in sei mesi e ci si chiede perché, quale singolare malattia!
Geger è un solido pezzo d'uomo. Tedesco, parla francese con un forte
accento bavarese. Ha la tipologia del dolicocefalo biondo, nella forma
più netta, più rara. La sua voce strascica. Ne ha abbastanza di
parlare a dei medici, sempre a dei medici. Pertanto ama i giochi
d'idee. E' arrivato con uno studente in diritto; siccome non sono
destinati alla stessa sala, egli chiede di riunirsi a lui. Questo
favore gli sarà accordato. <<Grazie>> ci dice ed il suo viso
s'illumina. Poi, mostrando i suoi camerati coricati nella sala: <<Come
volete che io parli a quelli là..! Non so parlare bene il francese,
d'accordo, ma ciò nonostante ... per farsi comprendere!>>
Ha un grosso
peso sul cuore. E' per l'incomprensione dei suoi camerati di
reggimento che è cominciata la serie dei suoi problemi. Egli si era
arruolato in un reggimento di artiglieria. Intelligente, lavoratore,
aveva presto conquistato i galloni di brigadiere. I suoi camerati
assomigliavano a quelli che oggi lo circondano: dei bravi campagnoli,
dei contadini, dei manovali, degli impiegati di commercio.
- Non credevo
che essi fossero come da noi, in Germania, così goffi, così chiusi!
Voi che avete un 'elite' così intelligente!
Mi raccontò
come fosse stato così mal capito dai suoi camerati:
- Mi ero
arruolato, volevo divenire Francese. Volevo ottenere la
naturalizzazione. Ma con tutti questi scoppi della guerra che non si
allentavano da un anno, bisognava parlare bene, spiegarsi. Non è
perché mi trattavano da Crucco che io non ho marciato. Non lo dicevano
in un senso cattivo. Di ciò sorridevo. Ma battersi. Essi volevano fare
a pezzi tutta la Germania. Sono tedesco, io. Non volevano comprendere
che i Tedeschi sono uomini come loro.
Risultato:
Proteste, lamentele ai loro capi: quindici giorni di prigione. Nella
sua cella, Geger ha tentato di impiccarsi. Aveva sentito che qualsiasi
lotta era impossibile! Dopo il campo di concentramento tedesco, il
campo di concentramento francese. Il guardiano ha allentato per tempo
l'estremità del lenzuolo. Ma Geger è rimasto depresso, triste,
scoraggiato. Lo si è curato. Egli all'ospedale ha trovato delle anime
comprensive. L'ospedale era la tregua. La convalescenza è il ritorno
alla vita. L'impossibile apprendistato. Bisogna pur essere qualche
cosa...
Coi suoi
galloni di lana, ha potuto affittare una mansarda. Non è ancora
francese, è già soldato francese. Un dolce viso è passato. Egli ha
parlato. Lei ha sorriso. Lui parla così bene malgrado il suo accento.
Mai a corto d'idee, di argomenti. Un brigadiere si può sposare. Presto
avrà un bambino. Le cose sono state veloci.
Ah! Esse si
precipitano. Geger non ha creduto alla guerra. <<Voi, Francesi, così
intelligenti, siete troppo fini per combattere. Sì, la guerra, bisogna
rimettere tutto in questione>>.
Gli chiedo
cosa farà <<lassù>>. Perché quando si parla di linee, si dice sempre
<<lassù>>.
L'angoscia lo
riprende.
- Mi farò
saltare il cervello....
Non è
vigliacco. E' capace di fare ciò che dice. E' tedesco e desiderava
essere francese... Lo desidera ancora, e desidera anche restare
tedesco. La grande famiglia umana. Mi ha mostrato nella sua valigia
dei fratelli fedeli: Goethe, Benjamin Constant.
Il ciclo sta
per ricominciare? Campo di concentramento per questo indesiderabile?
Per fortuna,
ci sono sotto il cielo d'Africa dei bersagli bianchi. Ci sono dei
brigadieri che apprendono ad avvistare, nella sabbia, dei fortini
immaginari. I cannoni sparano su dei palmeti vuoti. I colpi non
cadono né in Germania, né in Francia... Per noi nessuna diagnosi.
Geger non ci appartiene. Che decida la coscienza degli uomini.
Chiudiamo questa cartella clinica vuota che ascriveremo alla rubrica
dei <<casi umani>>.
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24 Novembre
L'ospedale è in via di ricostruzione. Ci sono dei pezzi di muri in
costruzione. I giorni passano. Stagnazione. Esercito senza ferite.
Finestre senza vetri. Fronte senza battaglia.
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28 Novembre
Molti
alcolici. Molta vigliaccheria. Depressioni di bambini piccoli.
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Gennaio 1940
Una barba
nera che copre una pelle smunta. Il corpo si torce sul
pagliericcio. Uno sguardo supplichevole. Non si sa perché
l'uomo abbia improvvisamente compreso che poteva parlare, che è di
fronte ad un uomo che gli assomiglia. Egli non vede dell'uomo che
è entrato nella sua cella se non un lungo camice bianco. Niente
galloni, nessuna uniforme, e, soprattutto, la guardia carceraria
in kepì, con il pesante mazzo di chiavi ed il suo passo vellutato,
non ha passato la soglia.
- Che
mi si finisca, se si preferisce! La morte, che liberazione!
E con
un ghigno macabro:
- La
prigione!... La prigione al momento in cui la mia coscienza si
sveglia, in cui ho creduto di fare un gesto libero...!
-
Perché detenuto?
-
Insubordinazione.
-
Quanti anni ha lei?
-
Quaranta.
- Non
ha raggiunto il suo corpo d'armata il giorno prestabilito?
- Al
contrario, ho anticipato la mobilizzazione generale, mi sono
affidato.
Non
comprendevo dove egli avesse fatto il servizio militare.
-
Giustamente. Insubordinato.
Egli
ritornava indietro di venti anni.
- Sì, venti
anni indietro... l'ora critica è arrivata. Traditore alle mie
idee, alla mia fede, al mio scopo. Gli uomini uniti, la fraternità
umana. Traditore a tutto ciò... Cosa ho fatto? Debbo continuare a
tacere? Servire nell'ombra, nel silenzio, le mie idee. Conservare
intatta la mia fede ed attendere l'esito della guerra per
riprendere la mia preghiera alla Pace. Questa guerra che lacera
dentro di me venti anni di fiducia e di speranza! Tutta la mia
religione che affonda.
La religione
della Pace tra gli uomini! Per essa, egli ha rifiutato di
sottomettersi ai suoi obblighi militari.
- Sì! Ah! è
stato molto duro, un bel paese, la mia bella Francia! Conosce il
Berry? Ci sono laggiù, in un gomito della Creuse, delle
terre di brughiera per le quali uno darebbe anche la vita.
Desidererei servire il mio paese, ma non è esso che avrei servito.
Avrei servito la guerra. Avrei imparato a maneggiare un fucile,
una mitragliatrice... Avrei preparato l'odio degli uomini. Sarei
stato un operaio della guerra se avessi obbedito al caporale e
toccato un fucile. Amo gli uomini... amo gli uomini.
E con un
gesto di mietitore, egli abbraccia l'umanità.
- Vorrei
comprenderla meglio. A venti anni lei evita i suoi obblighi
militari. Lei è sicuro di non essere stato guidato se non
dall'amore dell'umanità, dall'odio per le armi?...
- Se ne
sono sicuro? C'è la Francia, c'è la Creuse. Non ho potuto
resistere. Ciò la tiene nella carne, questa storia qui. L'altra
storia, è nel cervello, nel pensiero. Ma quella là, in pieno
cuore! Non mi sono chiesto nulla. Non mi sono nemmeno detto: <<si
vedrà>>. Ho dato il mio nome al reclutamento. Mi si è fatto
tornare l'indomani. L'indomani mi si è detto di attendere. Non si
trovava nulla in corrispondenza del mio nome. Sentivo bene che le
cose si stavano mettendo al peggio, ed ero contento, ero fiero di
ciò che avevo fatto, fiero di ciò che stava per arrivare; nessuno
aveva voluto il mio amore, il mio amore non aveva impedito nulla;
bene! va bene, stavo andando a difendere il mio paese, si vedrà
dopo di mettersi a posto con la propria coscienza.
-
Mettersi a posto?
- Sì, lei
dunque non comprende- si spazientiva - tradivo l'umanità... Lo
vedo bene ora... L'ho tradita... E perché?
- Cosa le è
arrivato?
- Si è
dovuto probabilmente ritrovare il mio dossier... un dossier di
insubordinato. Dei poliziotti sono venuti, mi hanno portato qui,
legato come un salsicciotto. Queste corde mi opprimono, Dottore,
mi faccia togliere questa gogna. Cosa potevo fare, Dottore?
Lasciar uccidere i Francesi senza muovermi, senza difendere Panama
e la Creuse? Mi hanno fregato qui. Ah! questo mi ha fatto
riflettere. No, no, non voglio uccidere dei Crucchi! Non terrei in
mano un fucile. Non c'è motivo d'avere, da venti anni, tenuto
senza cedere, d'aver sperato nella fraternità, per comportarsi
come un vigliacco e mettersi ad uccidere come gli altri! Lei è
fortunato, Dottore, lei non è obbligato ad uccidere!
Le labbra
secche, la cera plumbea; le guance incavate tradiscono un digiuno
prolungato, una denutrizione accentuata. Un bicchierino è pieno di
latte. Del puré in un piatto non è stato toccato.
- Perché
non mangia ?
- Ho
tradito, sono un mostro, ho tradito la causa sacra.
- Che si
può fare per lei?
- Lasciarmi
morire.. Dica loro, Dottore, che mi lascino tranquillo. Ho
ancora tante idee da sistemare, da mettere a posto. Il dibattito
non è ancora terminato... Da venti anni ho creduto... Ci sono
dunque ancora guerre! ... Che mi mandino al fronte, dopo tutto, se
ci tengono. Le pallottole non mancano. ... Non c'è che
raddrizzarsi un po'... Almeno sarò fedele alla mia fede. Non avrei
ucciso...
Dice a bassa
voce:
- Dottore,
mi chiedo talvolta se io non sia malato, se non sia folle. Queste
lacerazioni, queste lotte con me stesso non sono abituali. Gli
altri partono senza una parola, con la coscienza limpida. Sanno
qual è il loro dovere. Io invece cerco il mio cammino, il mio
destino...
- Lei
cerca... ciò che lei è vicino a trovare.
- Evviva!
L'avevo sperato !...
L'autorità
militare chiede il parere dello specialista. Senza questo parere
essa non vuole concludere. Se ma medicina si disinteressa di
questo caso, il detenuto sarà consegnato alla giustizia. Prima di
tutto, bisogna attenuare questa angoscia, portare al silenzio
questa coscienza contraddittoria. Il tempo dovrà passare, e
placherà questa guerra. Egli può essere malato? Sì, senza dubbio,
deve essere malato. Mi piego verso di lui:
- Beva il
latte!
Il suo
sguardo incrocia il mio. L'uomo vede il bicchiere.
-
Andiamo, bene, si calmi. Riposi in pace. Abbia fiducia.
Aggiungo
a voce bassa:
- Lei non
ucciderà!
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Febbraio
1940
Una
bella testa dolente. Un Cristo che avrebbe avuto il tempo di
invecchiare. Un Cristo che non sarebbe stato crocifisso. Il nostro
uomo ha tuttavia molto sofferto. In modo del tutto semplice. I
tratti del viso sono fini, l'espressione intelligente. E' autista
di taxi. Gli occhi sembrano aver guardato più lontano di un motore
o dei numeri di una strada.
Sembrava molto vecchio. Al Servizio lo chiamano Nonno e non ha che
quarantacinque anni. Non lascia il suo letto e non sa parlare di
altro che di sua madre. <<La mia povera vecchia Mamma, l'ho
lasciata tutta sola. Chi s'occuperà di lei?>> Si torce le mani
lunghe, dalle dita delicate.
Anche
lui, come tanti altri, è un bambino piccolo. Le infermiere lo
coccolano. C'è una grande compassione diffusa attorno ad ogni
letto.
Una
misera situazione. Suo padre era un industriale. Aveva una
fabbrica di scarpe. Egli dominava il figlio, lo tormentava, e lui,
già pavido di natura, tremava non appena si avvicinava a quest'uomo
temibile che morì prima di veder fallire i suoi affari. Il
disastro si profilò l'indomani della sepoltura.
Suo
figlio compiva venti anni. Un altro avrebbe potuto raddrizzare la
situazione. Ma tutti avevano imparato a dubitare di lui, e la
lezione portava i suoi frutti: egli mancò di audacia e fu la
rovina.
In
venti anni egli non ha tentato nulla; la sua unica audacia in
tanti anni è stata quella di cambiare l'auto; questa decisione non
fu raggiunta senza sofferenza.
Autista di taxi. La madre casalinga. E lui ogni sera fedele. Il
figlio e la madre non si sono più lasciati. Non sono più usciti
dall'ambito del focolare domestico.
La
guerra ha strappato tutto e con questo sradicamento ha rivelato
tutto.
L'uomo
comprende il suo destino, la genesi della sua caduta, le leggi
della sua dolce servitù. <<Non c'è che la sua povera mamma>>.
Universo ripiegato su se stesso. Universo ridotto ad un punto di
cui egli non vede più la luce.
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