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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte
Psychoanalysis applied to Medicine, Pedagogy, Sociology, Literature and Arts 

   Sede redazionale: Ce.Psi.Di. (Centro Psicoterapia Dinamica), viale Gallipoli, 29 - 73100 Lecce   tel. (0039)3386129995 fax  (0039)0832933507

Direttore Responsabile: Giuseppe Leo

Board scientifico: Leonardo Ancona (Roma), Brenno Boccadoro (Ginevra), Mario Colucci (Trieste), Lidia De Rita (Bari), Santa Fizzarotti Selvaggi (Carbonara di Bari), Patrizia Guarnieri (Firenze), Livia Marigonda (Venezia), Salomon Resnik (Paris), Mario Rossi Monti (Firenze), Mario Scarcella (Messina).

 
 Numero 9, anno V, gennaio 2008

"Psicoanalisi e Neuroscienze"

Numero speciale in memoria di Mauro Mancia

 

 

 
 

 

Editoriale di Giuseppe Leo    

           

 

 

"Memoria, inconscio e funzioni terapeutiche: la psicoanalisi in dialogo con le neuroscienze"  di Mauro Mancia  
 "Dopo il pluralismo: verso un nuovo, integrato paradigma psicoanalitico" di Juan Pablo Jiménez  
"Identificazione proiettiva e alterazione della coscienza. Un ponte tra psicoanalisi e neuroscienze?" di Cristiana  Cimino e Antonello Correale

 

 

"Per un dialogo tra la psicoanalisi e le neuroscienze" di Franco Scalzone

 

 

  ….Quando Hicesia si avvicinò alla costa di Panarea, Pelosino era soprappensiero e non immaginava che la meta fosse così vicina. Sonnecchiando a prua non si era accorto di essere entrato nella baia di Calajunco.
Non fece in tempo ad aprire gli occhi che rimase come estasiato di fronte alle rocce a picco sul mare, alle piccole spiagge di sassi levigati ai sentieri che portano in alto fra ulivi enormi e vecchissimi, al mare limpido e invitante.
Era un’ora del meriggio e il silenzio era rotto dal canto continuo delle cicale.
Dragutt, che era in fondo un romantico, era solito sempre fare una visita a Calajunco prima di sbarcare nello spiaggione vicino dove la barca poteva senza difficoltà arenarsi…
..Pelosino seguì con emozione lo spettacolo che passava davanti ai suoi piccoli occhi di serpente e, come la barca uscì dalla baia, vide una grande spiaggia chiara, circondata da palmizi e agavi, canne e fichi d’india.
La spiaggia era deserta.
Pelosino si sentì felice, per lui non esisteva più nessuno, e decise di rimanere lì, di abbandonare il suo posto vicino a Dragutt.
Panarea sarebbe stata una garanzia per questi suoi bisogni, la natura e il silenzio sembravano straordinari e la vita facile anche per un serpente.
 
 
 
 

 

Quando nell'ottobre 2005 Mauro Mancia venne in Puglia, per tenere a battesimo la collana "Frenis Zero" (Schena Editore) ed il libro "La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini", aveva da poco trascorso le sue ferie estive nell'incantevole cornice di Panarea: ne parlava con l'incanto che è tipico del rapporto amoroso, come testimonia l'estratto (sopra riportato) del libro da lui scritto il cui protagonista è "Pelosino". Vi si racconta di un serpente che, dopo numerosi viaggi ed avventure, raggiunge una condizione di soddisfazione e di appagamento solo quando raggiunge l'isola di Panarea.

Quando nel luglio 2007 appresi dai giornali della sua inaspettata morte, la prima immagine che si formò nella mia mente fu quella di Panarea, delle sue barche ormeggiate in un caldo silenzio, quello stesso che ho immaginato attorniare Mancia all'indomani della sua scomparsa. Un caldo e composto silenzio fatto di ricordi di parenti, di devozione di allievi, di intima confidenza di amici. E le avventure del Mauro "Pelosino" nel mondo delle neuroscienze e della psicoanalisi mi sembravano, in quel momento, frutto di una tenacia e di un rigore che però si univa ad una capacità di provare estasi di fronte alla bellezza di un'opera d'arte, di una sinfonia di Beethoven, di un vicolo storico di una città del Sud. Questa propensione 'barocca' della mente di Mancia mi fu chiara nel corso di una visita nel centro storico di Lecce in cui gli feci da guida: di fronte ad un altare barocco, posto all'interno dello scenografico spazio di una chiesa, egli esclamò: <<Ah! Il teatro dell'inconscio!>>. La sua capacità di unire la dimensione 'teologica' della mente (<<nel senso che si collega agli oggetti interni>>1) con quella estetica si appoggiava  su un bisogno ineludibile di superare il limite2 delle conoscenze imposto dalla tradizione (dall'"ex cathedra" e dall'"ipse  dixit", ahimé, tanto imperanti tuttora negli ambienti psicoanalitici!) per spingersi, con entusiasmo inesausto, a navigare in mare aperto, fuori dalle rotte battute  dai più, per trovare finalmente, coi suoi <<piccoli occhi di serpente>>, quella meravigliosa spiaggia in cui poter ammirare la <<natura>> più intima e segreta delle cose.

Commemorare Mauro Mancia non è possibile per chi come me lo ha conosciuto per così breve tempo. E' nondimeno riduzionistico tentare una ricognizione delle sue principali 'scoperte' nel campo delle neuroscienze e della psicoanalisi. Si tratta, prima di tutto, di un uomo capace di intervenire in tanti altri spazi pubblici, quelli della discussione politica al pari di quelli della critica d'arte, per fare solo alcuni (davvero banali) esempi.

Nato nelle Marche nel 1929, nel 1953 consegue la laurea in Medicina e Chirurgia all'Università di Roma.  In seguito si trasferisce si trasferisce all’Università di Stoccolma, presso il "Karolinska Institutet", dove lavora sulle funzioni del midollo spinale con Torsten Wiesel. Si trasferisce quindi, nel 1954, presso l’Istituto di Fisiologia dell’Università di Pisa dove inizia la sua collaborazione con il Prof. Giuseppe Moruzzi. A Pisa, Mauro Mancia resta fino al 1959 e qui collabora con  lo stesso G. Moruzzi, su temi di fisiologia del sonno e, in particolare, sul circuito sincronizzante talamo-corticale, sulle influenze caudali sincronizzanti del tronco encefalico, sull’integrazione reticolare delle afferenze sensoriali e sull’abitudine visiva.
Nel 1960, con una borsa di studio dei National Institutes of Health, Bethesda, U.S.A., è ricercatore presso il "Department of Anatomy and Brain Research Institute", University of California Medical Center, di Los Angeles,  sotto la direzione di Horace Magoun. Qui collabora con R. von Baumgarten e J.D. Green su problemi di fisiologia del bulbo olfattivo e sul controllo centrifugo dei neuroni olfattivi da parte delle strutture reticolari del tronco.
Nel 1961, Mauro Mancia rientra in Italia come assistente straordinario presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Milano, dove organizza il laboratorio di Neurofisiologia e si occupa di epilessia sperimentale.
Nel 1963 lavora in campo psichiatrico ed è parte di una Commissione scientifica Italia-URSS in visita in Unione Sovietica. Nel 1963-64 è nominato assistente presso la cattedra di Fisiologia Umana dell’Università di Milano. Qui organizza un laboratorio di Neurofisiologia dove, in collaborazione con F. Baldissera, G. Broggi, M.G. Cesa-Bianchi, A. Rosina, lavora sulle funzioni talamiche durante le diverse fasi del sonno.
Negli anni ’60, l’attività di ricerca di Mauro Mancia è concentrata su problemi di neurofisiologia spinale durante il ciclo sonno-veglia.
 

Nel 1969, è nominato Professore aggregato in discipline neurofisiologiche e psichiatriche, mentre nel 1972 è Professore straordinario di Fisiologia Umana e dal 1975 Professore ordinario di Fisiologia Umana presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano.

Dal 1975 al 2001, Mauro Mancia crea una scuola di Neurofisiologia presso l’Istituto di Fisiologia Umana, centrata essenzialmente su problemi di elettrofisiologia e microfisiologia del sonno. In questi anni collabora con i dottori G. Marini, M. Mariotti, L. Imeri e A. Formenti sul ruolo del talamo nella sincronizzazione elettroencefalografia del sonno, su problemi di immunologia e sonno e su ricerche di fisiologia cellulare del talamo.

 

Dal 1983 al 2001, Mauro Mancia è stato direttore del 2° Istituto di Fisiologia Umana, all'Università di Milano.

 

Nel 1996 fonda, con altri neurofisiologi e psicologi sperimentali, la Società Italiana di Ricerca sul Sonno – S.I.R.S. della quale è il primo Presidente per quattro anni.

 

Negli anni 1997-2001 il laboratorio di Mauro Mancia è frequentato da numerosi ricercatori stranieri interessati alla ricerca di base sul sonno. Tra questi, in particolare, J. Otero-Costas, E. Roldan Roman, V. Mohan Kumar. Egli collabora inoltre con la Dr. G. Marini sul ruolo del nucleo reticolare del talamo nel sonno e nei processi di sincronizzazione; con il Dr. L. Imeri sugli effetti della Interleuchina sul sonno; e con il Dr. A. Formenti sul ruolo del calcio sui processi di eccitabilità dei neuroni talamici.

Nel 2001 è Professore fuori ruolo presso l’Università degli Studi di Milano e fonda il Centro di Ricerca Sperimentale sul sonno Giuseppe Moruzzi” di cui è Direttore per il triennio 2001-2004.
 

Fino alla sua morte, Mauro Mancia ha pubblicato circa 180 lavori  di argomenti neurofisiologici su riviste internazionali di alto profilo scientifico. Egli ha inoltre scritto vari libri di Neurofisiologia per studenti e specializzandi.

 
Parallelamente alla carriera di Neurofisiologo, Mauro Mancia ha iniziato una sua analisi personale negli anni ’60 con un membro didatta della Società Psicoanalitica Italiana. Nel 1970 inizia il suo training psicoanalitico presso l’Istituto Milanese di Psicoanalisi. Esegue supervisioni per un biennio con il Prof. Franco Ferradini e con il Prof. Franco Fornari.

Dal 1975 al 1981 inizia delle supervisioni cliniche a Londra con il Dr. Herbert Rosenfeld e il Dr. Donald Meltzer ogni due settimane.  Con Meltzer ha scritto, tra l'altro, un significativo contributo  riguardante le <<Funzioni dell'Ideale dell'Io  e processo psicoanalitico>>, apparso in italiano nel volume collettivo "Super-Io e Ideale dell'Io" (Il Formichiere, Milano, 1979). Diventa membro associato della SPI nel 1976 e membro ordinario nel 1981. Dal 1995 è stato nominato analista con funzioni di training della SPI.

Estremamente arduo è elencare gli ambiti di ricerca clinici che, come psicoanalista, Mauro Mancia ha esplorato. Ripercorrendo a ritroso il percorso delle principali tappe, l'ultimo libro da lui pubblicato è stato il volume collettivo  edito da Springer Verlag (2007), intitolato "Psicoanalisi e neuroscienze", di cui su questa rivista abbiamo pubblicato una recensione scritta da Roy Sugarman. Ma forse il libro che più recentemente ha dato al pubblico un'idea dell'ampiezza degli orizzonti scientifici di Mauro Mancia è stato "Sentire le parole. Archivi sonori della memoria implicita e musicalità del transfert" (Bollati Boringhieri, 2004) che già dal titolo evoca l'intima connessione che si è creata, nella sua opera più recente, tra 'inconscio non rimosso' ed espressioni musicali della mente umana. Le  ricerche relative agli aspetti teorico-clinici del narcisismo (approdate, tra l'altro, alla pubblicazione del libro "Nello sguardo di Narciso" - Laterza, 1990), al sogno dal punto di vista psicoanalitico e interdisciplinare con la illuminante nozione da lui coniata di 'sogno come religione della mente' (che dà il titolo al suo volume del 1987), della memoria e del suo rapporto con l’inconscio (alla luce sia nelle più ricerche neuroscientifiche sia degli studi sull'"infant research") costituiscono solo alcuni degli ambiti in cui l'originalità del pensiero di Mancia ha avuto modo di dipanarsi. Ma  è lo studio della possibile integrazione tra neuroscienze e psicoanalisi l'area tematica che lo ha più impegnato negli ultimi tempi, ed è appunto a quest'ultimo campo di indagine che, per commemorarlo degnamente, abbiamo rivolto la nostra attenzione nella redazione di quest'ultimo numero monografico di "Frenis Zero".

 In esso abbiamo voluto pubblicare uno scritto che Mancia ci aveva inviato dopo la sua visita in Puglia del 2005: "Memoria, inconscio e funzioni terapeutiche: la psicoanalisi in dialogo con le neuroscienze". In diversi suoi lavori egli aveva suggerito che, a fronte di un monismo ontologico che unisce mente e cervello, da un punto di vista operativo è necessario adottare un dualismo epistemologico per cui la psicoanalisi e le neuroscienze è opportuno che entrino in dialogo, ma senza confondere i rispettivi ambiti disciplinari. La trattazione della memoria a lungo termine è paradigmatica in tal senso: ci sono i diversi sistemi di memoria a lungo termine studiati dalle neuroscienze ( a cui Mancia dedica la prima parte del suo articolo) e c'è la memoria in rapporto con l'inconscio, per come tale rapporto viene postulato dai diversi filoni della psicoanalisi, a partire dai lavori pionieristici di Freud. L'autore si sofferma sul concetto di "inconscio non rimosso" che <<è il risultato di una archiviazione nella memoria implicita di esperienze, fantasie e difese che appartengono ad un'epoca presimbolica e preverbale dello sviluppo e pertanto non possono essere ricordate pur condizionando la vita affettiva, emozionale, cognitiva e sessuale anche dell'adulto>> (ibidem). Nella terza ed ultima parte del suo articolo, Mancia tenta di rispondere alla domanda: <<Che cosa rende terapeutico il lavoro sulla memoria che facciamo con i nostri pazienti?>>. Attraverso un sintetico excursus storico, l'autore mostra come  si sia fatto sempre più insistente il <<cogliere l'effetto terapeutico della psicoanalisi in qualcosa di diverso rispetto al solo recupero della memoria delle esperienze infantili rimosse>> (ibidem). Mancia richiama il dibattito tra fautori del momento 'ricostruttivo' rispetto a quelli che valorizzano soprattutto quello 'costruttivo', ma il suo punto di vista consiste nel <<rivalorizzare la ricostruzione, ma da un nuovo vertice epistemologico. Esso riguarda un angolo di osservazione e di interpretazione che si focalizzi su fantasie, rappresentazioni e difese depositate nella memoria implicita del paziente>> (ibidem). Tale vertice rimane ricostruttivo, anche se parte dall''hic et nunc' della situazione analitica e quindi da un lavoro costruttivo, basato quindi sulla relazione, nella sua duplicità del transfert e del controtransfert, oltre che sull'analisi dei sogni. Particolare enfasi viene posta sul cogliere le componenti extra- ed infra-verbali del transfert, autentica porta aperta verso l'inconscio non rimosso del paziente. Tutto ciò costituisce per Mancia quello che egli ha definito la "dimensione musicale" del transfert. <<Essa è in grado  di stimolare il controtransfert dell'analista più di qualsiasi contenuto di una narrazione, in quanto è la componente formale e musicale della comunicazione che veicola parti del Sé del paziente scisse e identificate proiettivamente nell'analista>>.

 

Altro articolo di questo numero di "Frenis Zero" è quello di Juan Pablo Jiménez "Dopo il pluralismo: verso un nuovo, integrato  paradigma psicoanalitico". In esso, dopo una esposizione delle ragioni che hanno portato la psicoanalisi ad isolarsi dalle altre discipline scientifiche nonché degli elementi che differenziano tra di loro le varie scuole di pensiero e contribuiscono alla frammentazione del sapere psicoanalitico, l'autore afferma la necessità di adottare principi di corrispondenza o di coerenza esterna assieme a quelli di coerenza ermeneutica al fine di convalidare le ipotesi psicoanalitiche. I recenti sviluppi nelle neuroscienze cognitive, secondo Jiménez, sarebbero venuti in soccorso della psicoanalisi in questo periodo di crisi, portando da più parti a proposte di integrazione di entrambe le aree per formare un nuovo paradigma per la costruzione della teoria della mente. Questo paradigma emergente tenta di integrare le conoscenze cliniche con le scienze neurocognitive, le scoperte derivanti dagli studi sui processi e sugli esiti della psicoterapia, la ricerca sulle relazioni precoci madre-bambino, assieme alla psicopatologia dello sviluppo. L'autore prende in esame, in seguito, i modelli psicoanalitici basati sulla nozione di pulsione, ponendoli a confronto con quelli basati sulla relazione alla luce delle attuali acquisizioni interdisciplinari. Egli conclude che il modello relazionale ha un' ampia base di dati empirici, tranne quando si tenta di screditare il concetto di pulsione. Le scoperte interdisciplinari porterebbero, per Jiménez, a sostituire il modello pulsionale freudiano con un modello motivazionale centrato sui processi affettivi.

Il lavoro di Cristiana Cimino ed Antonello Correale "Identificazione proiettiva e alterazione della coscienza. Un ponte tra psicoanalisi e neuroscienze?" esordisce con l'invito degli autori a concepire l'identificazione proiettiva in un modo più circoscritto, come un tipo molto specifico di comunicazione tra paziente ed analista, caratterizzato da una modalità che è allo stesso tempo attiva, inconscia e discreta. In altre parole, il paziente attivamente, seppure in modo inconscio e discreto - ossia in specifici momenti dell'analisi - determina dei particolari cambiamenti nello stato dell'analista. Dalla parte dell'analista, l'effetto di questo tipo di comunicazione è un improvviso cambiamento nel suo stato generale - un senso di passività e di coercizione ed un cambiamento nello stato di coscienza. Questa coscienza alterata può variare da una quasi automatica ripetizione di uno 'script' relazionale  ad una moderata o grave contrazione del campo attentivo fino a veri e propri cambiamenti nel proprio senso del sé. Gli autori propongono  la teoria per cui questo tipo di comunicazione sia, in realtà, espressione di contenuti traumatici di esperienze che emergono dalla memoria non dichiarativa. Tali contenuti appartengono ad un'area pre-simbolica e pre-rappresentazionale della mente. Essi sono formati da frammenti inerti di materiale psichico che sono sentiti piuttosto che pensati, che possono quindi essere visti come un tipo di scrittura che deve essere completata. Questi pezzi di materiale psichico sono espressione di esperienze traumatiche che a loro volta esercitano un effetto traumatico sull'analista, provocando anche in lui un alterato stato di coscienza. Tale materiale va compreso come appartenente ad un inconscio non rimosso. La restituzione di questi frammenti al paziente in forme rappresentabili deve avere luogo in modo graduale e senza cercare di accelerare i tempi, in modo da evitare la possibilità che la restituzione stessa costituisca un agito ("acting") da parte dell'analista, cosa che costituirebbe una risposta traumatica all'azione traumatica da parte del materiale analitico.

Infine nel saggio di Franco Scalzone dal titolo "Per un dialogo tra la psicoanalisi e le neuroscienze" l'autore postula che il dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze è basato sull'assunto che entrambi hanno a che fare con strutture virtuali. Entrambi sono facce della stessa realtà noumenica, ma con differenti realtà fenomeniche. Secondo Scalzone è possibile usare la metapsicologia come una lingua franca per sviluppare la comunicazione tra i due campi. Nella seconda parte dell'articolo, l'autore riflette sui risultati della recente ricerca neurofisiologica che sembra offrire alla psicoanalisi possibilità nuove di trovare  correlati anatomo-fisiologici di ben noti meccanismi e fenomeni psichici, come l'imitazione, l'introiezione, l'identificazione, l'empatia, l'identità, la comunicazione madre-bambino, l'apprendimento, la comunicazione sociale e la relazione tra paziente ed analista. Alcuni particolari neuroni, chiamati neuroni specchio, sono stati localizzati nell'area F5 del cervello dei babbuini. Essi si presentano anche nel cervello umano nell'area di Broca. Tali neuroni attivano il nostro sistema motorio sia durante lo svolgimento di azioni sia durante l'osservazione di azioni svolte da altri, dando luogo ad una risposta automatica, una sorta di simulazione o piuttosto di imitazione, secondo Scalzone, come se il processo non fosse intenzionale, ma automatico ed inconsapevole, ossia, inconscio.

 

 

Insomma, con questo numero della rivista non intendiamo esaurire il discorso sul dialogo tra psicoanalisi e neuroscienze né sull'opera di Mauro Mancia: è solo un punto di partenza questo, una spiaggia in cui fermarsi (come fa il serpente Pelosino) per pensare ed ammirare il meraviglioso paesaggio che è dato alla vista: quello dell'intima e 'sacra' connessione tra mente e cervello.

 

Note:

(1) cfr. il lavoro <<Il sogno: una finestra aperta sul transfert>> in Mauro Mancia, "Sentire le parole", Bollati Boringhieri, 2004, pag. 102.

(2) Per Argan (in "Storia dell'arte italiana", Sansoni, 1970) l'immaginazione, che viene riconosciuta nel barocco come la facoltà  che produce l'arte, <<è superamento del limite: senza l'immaginazione tutto è piccolo, chiuso, fermo, incolore; con l'immaginazione tutto è vasto, aperto, mobile, colorito>> (pag. 258).

 

 

   

 

 

 

 

 

 
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