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"Apeiron". Tra psicoanalisi e religiosità.

 

 

 

  LA PSICOANALISI E IL BUDDISMO ZEN.

 

 di Erich Fromm

 

 

 Il presente saggio è tratto dal libro "Zen. Buddhism and Psychoanalysis", a cura di Erich Fromm, D. T. Suzuki e Richard de Martino (George Allen and Unwin, London 1960). La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.


                  Mettendo in relazione il buddismo Zen con la psicoanalisi, si discutono due sistemi, che hanno entrambi a che fare con una teoria concernente la natura dell'uomo e con una pratica che porta al suo benessere. Ciascuna è una caratteristica espressione, rispettivamente, del pensiero Orientale ed Occidentale. Il Buddismo Zen è un misto di razionalità ed astrazione Indiana con il realismo e la concretezza Cinese. La Psicoanalisi è tanto squisitamente Occidentale quanto lo Zen è Orientale; è la figlia dell'umanesimo e del razionalismo Occidentale, e della romantica ricerca ottocentesca delle forze oscure che eludono il razionalismo. Molto prima, la saggezza Greca e l'etica Ebraica sono i padrini di questo approccio scientifico-terapeutico all'uomo.

Ma nonostante il fatto che sia la psicoanalisi che lo Zen abbiano a che fare con la natura dell'uomo e con una pratica che porta alla sua trasformazione, le differenze sembrano superare le somiglianze. La Psicoanalisi è un metodo scientifico, non religioso nel suo nucleo (profondo). Lo Zen è una teoria ed una tecnica per raggiungere l'"illuminazione", un'esperienza che in Occidente verrebbe chiamata religiosa o mistica. La Psicoanalisi è una terapia per malattie mentali; lo Zen è una via di salvezza spirituale. Può la discussione sulla relazione tra psicoanalisi e Zen tradursi in qualcosa che non sia l'affermazione che non c'è alcuna relazione eccetto quella di una differenza radicale e insormontabile?

Eppure c'è un interesse evidente e crescente per il Buddismo Zen tra gli psicoanalisti1. Quali sono le origini di tale interesse? Quale il suo significato?  Dare una risposta a tali questioni è ciò che questo articolo tenta di fare. Esso non cerca di dare una presentazione sistematica del pensiero del Buddismo Zen, un compito che trascenderebbe la mia conoscenza e la mia esperienza; neppure esso cerca di dare una completa presentazione della psicoanalisi, che andrebbe oltre lo scopo dell'articolo. Nondimeno, presenterò - nella prima parte dell'articolo - in qualche dettaglio quegli aspetti della psicoanalisi che sono di immediata rilevanza per la relazione tra psicoanalisi e Buddismo Zen e che, allo stesso tempo, rappresentano concetti basilari di quella continuazione dell'analisi Freudiana che qualche volta ho chiamato "psicoanalisi umanistica". Spero in questo modo di mostrare il motivo per cui lo studio del Buddismo Zen è stato di vitale significatività per me e, come credo - sia significativo per tutti gli studenti di psicoanalisi.                 

               

 

I. L' ODIERNA CRISI SPIRITUALE ED IL RUOLO DELLA PSICOANALISI.

 

 
 Come primo approccio al nostro tema, dobbiamo considerare la crisi spirituale che l'uomo occidentale sta sopportando in questa cruciale epoca storica, e la funzione della psicoanalisi in questa crisi.

Mentre la maggioranza della gente che vive in Occidente non sente in maniera consapevole come se stesse vivendo attraverso una crisi della cultura occidentale (probabilmente la maggioranza della gente in una situazione radicalmente critica non è mai stata consapevole della crisi), c'è accordo, almeno tra numerosi osservatori critici, circa l'esistenza e la natura di questa crisi. E' la crisi che è stata descritta come "malaise", "ennui", "mal du siècle", impoverimento della vita, automatizzazione dell'uomo, sua alienazione da se stesso, dal suo prossimo e dalla natura2. L'uomo ha seguito il razionalismo fino al punto in cui il razionalismo si è trasformato in completa irrazionalità. Sin da Descartes, l'uomo ha sempre più scisso il pensiero dall'affetto; solo il pensiero è considerato razionale - l'affetto, per sua natura, irrazionale; la persona, l'Io, è stato scisso in un intelletto, che costituisce il mio sé, e che deve controllare me come deve controllare la natura.

  Il controllo da parte dell'intelletto sulla natura, e la produzione di sempre più cose, diventano gli scopi supremi della vita. In questo processo l'uomo  ha trasformato se stesso in una cosa, la vita è diventata subordinata alla proprietà, l' "essere" dominato dall'"avere". Dove le radici della cultura occidentale, sia quelle greche che quelle ebraiche, consideravano lo scopo della vita nella perfezione dell'uomo, l'uomo moderno è interessato alla perfezione delle cose, ed alla conoscenza di come farle. L'uomo occidentale è in uno stato di incapacità schizoide a esperire gli affetti, per cui è ansioso, depresso, e disperato. Ancora paga insinceri servizi agli scopi della felicità, dell'individualismo, dell'iniziativa - ma in realtà egli non ha scopi. Chiedetegli per cosa sta vivendo, qual è lo scopo di tutti i suoi sforzi- ed egli sarà imbarazzato. Alcuni possono dire che vivono per la famiglia, per gli altri, "per divertirsi", altri ancora per fare soldi, ma in realtà nessuno sa per cosa sta vivendo; no ha alcun traguardo, tranne il desiderio di fuggire l'insicurezza e la solitudine.

E' vero, l'appartenenza alla chiesa oggi è maggiore di quanto lo sia stata mai in passato, i libri sulla religione divengono dei "best sellers", e più gente parla di Dio che in passato. Eppure questa sorta di professione religiosa fa solo da copertura ad un atteggiamento profondamente materialistico ed irreligioso, e deve essere compresa come una reazione ideologica - causata dall'insicurezza e dal conformismo - alla tendenza del XIX secolo, che Nietzsche caratterizzò col suo famoso "Dio è morto". Come atteggiamento autenticamente religioso, esso non ha alcuna realtà.

L'abbandono delle idee teistiche nel secolo XIX fu - visto da un certo punto di vista - una conquista di non poco conto. L'uomo fece un grande tuffo nell'oggettività. La terra cessò di essere il centro dell'universo; l'uomo perse il suo ruolo centrale di creatura destinata da Dio a dominare tutte le altre creature. Studiando le recondite motivazioni dell'uomo con una nuova obiettività, Freud riconobbe che la fede in un Dio onnipotente, onnisciente aveva le sue radici nel senso di impotenza dell'esistenza umana e nel tentativo dell'uomo di far fronte al suo sentirsi inerme per mezzo della credenza in un padre ed in una madre che aiutano, rappresentati da Dio in cielo.

 Egli pensò che solo l'uomo può salvare se stesso; l'insegnamento dei grandi maestri, l'amore soccorrevole dei genitori, degli amici e delle persone amate può aiutarlo - ma può aiutarlo solo nell'osare accettare la sfida dell'esistenza e reagire ad essa  con tutta la sua forza e tutto il suo cuore.

L'uomo si è arreso all'illusione di un Dio paterno sotto forma di un soccorritore genitoriale - ma ha anche abdicato agli autentici scopi di tutte le grandi religioni umanistiche: superare le limitazioni di un sé egoistico, ottenere amore, oggettività, umiltà e rispettare la vita in modo che scopo della vita sia lo stesso vivere, e l'uomo divenga ciò che è potenzialmente. Queste erano le finalità delle grandi religioni occidentali, così come delle grandi religioni orientali. L'Oriente, comunque, non è stato gravato dal concetto di padre-salvatore trascendente in cui le religioni monoteistiche espressero i loro desideri. Il Taoismo ed il Buddismo avevano una razionalità ed un realismo superiore a quello delle religioni occidentali. Essi potevano vedere l'uomo realisticamente ed oggettivamente, non avendo altri che coloro che si sono "risvegliati" come guida per lui, essendo capace di essere guidato poiché ogni uomo ha in sé la capacità di risvegliarsi e di essere illuminato. Questa è precisamente la ragione per cui il pensiero religioso orientale, il Taoismo ed il Buddismo - ed il loro mixage nel Buddismo Zen - assumono oggi una tale importanza per l'Occidente. Il Buddismo Zen aiuta l'uomo a trovare una risposta alla questione della sua esistenza, una risposta che è essenzialmente la stessa di quella data nella tradizione giudaico-cristiana, e però che non contraddice la razionalità, il realismo, e l'indipendenza che sono delle preziose conquiste dell'uomo moderno. Paradossalmente, il pensiero religioso orientale finisce per essere più congeniale al pensiero razionale occidentale di quanto lo sia lo stesso pensiero religioso occidentale. 

 

Note dell'autore:

 

(1) Cfr. l'introduzione di Jung al libro di D. T. Suzuki Buddismo Zen (London, Rider, 1949); il lavoro sul Buddismo Zen dello psichiatra francese Benoit, The Supreme Doctrine (New York, Pantheon Books, London, Routledge, 1955). L'ultima Karen Horney era intensamente interessata al Buddismo Zen durante gli ultimi anni di vita. La conferenza tenutasi a Cuernavaca, Messico, alla quale sono stati presentati gli articoli presenti in questo libro, è un altro sintomo dell'interesse da parte degli psicoanalisti per il Buddismo Zen. C'è anche un considerevole interesse in Giappone per la relazione tra psicoterapia e Buddismo Zen. Cfr. l'articolo di Koji Sato "Psychotherapeutic Implications of Zen", in Psychologia, An International Journal of Psychology in the Orient, Vol. I, No. 4 (1958), ed altri articoli sullo stesso numero.

(2) Cfr. gli scritti di Kierkegaard, di Marx, e di Nietzsche e, nei tempi presenti, dei filosofi esistenzialisti nonché di Lewis Mumford, di Paul Tillich, di Erich Kahler, di David Riesman, e di altri.

 

(fine della prima parte)

 

 

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Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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