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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività

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     "Le figure della Psicosi: Kraepelin, Freud e Bleuler"

 

 di M.R. Grimaldi*, F.M. Ferro**, C. Cotellessa**, F. Macrì*

 



            .

 

*Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Maglie, AUSL LE/2

**Cattedra di Psichiatria, Università “G. d’Annunzio”, Chieti.

 

 

 

 
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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini"

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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Nel corso del tempo la psicosi ha rappresentato una questione particolarmente affrontata da diversi autori ma sin da subito sono emersi aspetti controversi e molto dibattuti, e ciò essenzialmente per due ordini di fattori: quello terminologico e quello interpretativo; ne  è scaturita una diversità di linguaggi attorno all’argomento che ha suscitato diverse perplessità in studiosi ed in coloro che nel corso del tempo si sono accostati alla suddetta area psichiatrica.

Il termine “psicosi” è stato coniato da uno psichiatra viennese: von Feuchtersleben, nel 1846, intendendo designare qualcosa di molto diverso da ciò che intendiamo oggi con lo stesso termine. L’autore utilizza il termine psicosi riferendosi ad affezioni strettamente “mentali” contrapponendole alle “nevrosi” quali manifestazioni psicotiche di malattie nervose. Tali forme rientrano nel capitolo delle vesanie e prendevano il nome di “monomania” (1).

Il distinguere la suddetta forma da un punto di vista sintomatologico rimandava ad un’idea, seppur utopica ma approvata da diversi autori, che la monomania consistesse in un’alterazione emotiva del pensiero e che corrispondesse ad alterazioni settoriali dell’encefalo.

Esquirol, invece, ha una visione psicodinamica delle affezioni mentali, ritenendo la monomania legata alle passioni(1).

  incisione di Tardieu per Esquirol, "Des Maladies Mentales...", 1838

La nosografia, quindi, non è unificata e procede come la nosografia settecentesca: una serie di descrizioni in assenza di un vero elemento comune dal punto di vista della patogenesi.

  

 

                                                         Unitary  psychosis

All psychotic syndrome representing different stages of a pathological process that is the result of an interaction between on somatic and psychological factors

                                                 Zeller, 1837; Griesinger, 1845

                    Hierarchical model on the evolution of the brain

                                                                Ey, 1963

                                  Universal origin of endogenous psychosis

                                                               Rennert, 1965

 

                                                      Dichotomic classification

                                           Kahlbaum, 1863; Kraepelin, 1899

 

 Dichotomic  classification                                                        Kahlbaum, 1863

 

Vecordia                                                                                     Vesania

Limited disturbance of the mind   

  Full disturbance of the mind

Vecordia dysthymia                                                            Vesania typica

·         Dysthymia melana                                                     - Stadium melancholiae

·         Dysthymia simplex (hilaris)                                      - Stadium maniae

·         Dysthymia elata                                                         -  Stadium perturbationis

-  Stadium dementiae

Vecordia paranoia                                                             

Vesania progressive

(fixed ideas)                                                                        progressive paralysis, apolexia

Vecordia diastrephia

Kleptomania, piromania                                                      Classification of psychotic disorders

Vecordia insania (monomania)

Corse: continuous                                                                 Course:progressive

Outcome: no dementia                                                          Outcome: dementia

 

                                                                                                      

J. Angst, Schizophrenia Research 57; 5-13 (2002) (2)

 


 

Una serie di autori s’interesseranno di questo problema: soprattutto Kraepelin, e a lui si affianca seppur in posizione critica Freud (non dimentichiamo che i due grandi autori sono coetanei!).  

  Foto: E. Kraepelin

Sarà Emilio Kraepelin nel 1893 a rilevare un’impostazione dualistica esogeno-endogeno della psicosi e contemporaneamente riporta la chiarezza alla clinica della psichiatria antica, eludendo le impostazioni di Pinel, di Esquirol e di Morel.

 

  

Vogel, 1764

Paranoia

 

Haslam, 1809

Sindrome di Haslam

                                                       Kraepelin, 1899                         Bleuler, 1911

Pinel, 1860                                                            Dementia Praecox                      Schizofrenia

Demenza precoce                                                   

 

Hecker, 1870

Ebefrenia

 

Kahlbaum, 1858

Catatonia

 

Le prime descrizioni sarebbero state compiute quasi contemporaneamente, nel 1809, da Pinel alla Salpetrière di Parigi e da Haslam al Bethlem Hospital di Londra. Il termine “demenza” precedentemente utilizzato da Pinel viene poi ripreso da Morel nel 1860. Nel 1871 Hecker introdurrà il termine “ebefrenia” per descrivere un quadro clinico simile a quello descritto dagli autori precedenti e tre anni dopo Kahlbaum descriverà il quadro clinico della catatonia (3).

Kraepelin ha, dunque, il grande merito di aver sistematizzato la nosografia delle psicosi a partire da tutta una serie di precedenti clinici significativi provenienti soprattutto dalla cultura tedesca. La classificazione delle quattro forme di Kraepelin raccoglie sostanzialmente tutta una serie di riflessioni e di osservazioni che vanno da Griesinger fino alle lezioni di Heidelberg, passando attraverso le elaborazioni fondamentali di Kahlbaum e del suo allievo Hecker e di tutta una serie di autori che hanno lavorato in particolare sulla paranoia.

Kahlbaum parlerà di catatonia, forma clinica che coinciderà solo in parte con la catatonia descritta dalla psichiatria moderna. La “follia muscolare” come lui stesso la definisce si caratterizzerebbe anche per l’alternanza tra una situazione di blocco e la situazione opposta, di eccitamento.

La catatonia è la prima descrizione clinica di un’affezione che in maniera più generica si chiamerà psicosi: i termini catatonia e psicosi unica sono, pertanto, sinonimi.

In seguito Hecker segnalerà un’altra forma di psicosi, ossia l’ebefrenia, con esordio in età adolescenziale, caratterizzata anch’essa da una disgregazione dell’organizzazione mentale con un andamento variabile. Nel 1871 ai due quadri sopradescritti si aggiungerà quello del disturbo delirante puro (1).

La classificazione di Kraepelin fornirà una lettura unificata delle psicosi e sostanzialmente raccoglierà l’idea di processualità, vale a dire l’idea che la psicosi sia qualcosa di unico, un unico fenomeno morboso e che la sua caratteristica sia quella di svilupparsi attraverso stadi successivi, per cui le valutazioni di una sintomatologia dal punto di vista sincronico lasciano il posto ad una valutazione diacronica.

Kraepelin rende evidente come nella “psicosi unica” il quadro può manifestarsi con una sintomatologia depressiva e poi via via possono comparire le situazioni destrutturanti e soprattutto le situazioni involutive. Egli farà rientrare nella sua classificazione la forma catatonica descritta da Kahlbaum, quell’ebefrenica descritta da Hecker, la paranoia e la forma simplex. Quest’ultima rappresenterebbe quella forma oggigiorno definita ad esordio subdolo, silente e caratterizzata dalla presenza di una sintomatologia negativa, non produttiva.

L’autore riprenderà la posizione di Westphal sulla paranoia, considerando la progressione processuale della paranoia non corrispondente ad una involuzione, ossia una “forma di demenza praecox senza demenza”, demenza intesa per Kraepelin come fenomeno involutivo a livello del sistema nervoso.

Saranno le ricerche d’Alzheimer della scuola di Monaco che metteranno a fuoco la demenza neurologica in modo preciso mandando a rotoli l’idea della demenza kraepeliniana ed imponendo un distinguo preciso tra demenza neurologica e demenza psicologica.

Mentre Kraepelin darà notevole spazio alla figura “catatonia”, Bleuler nella sua trattazione del “gruppo delle schizofrenie” ne contrae sensibilmente l’importanza.

  Foto: E. Bleuler

Da ciò si evince come lungo questa linea clinica l’intento fondamentale sia quello della fondazione di una clinica oggettiva, medicalizzando la psichiatria che era stata molto sfuggente al riguardo fino alla prima metà dell’ottocento. In conformità a questo concetto ciò che preoccupa Kraepelin è la descrizione dei “segni”, vale a dire di elementi oggettivi di comportamento, ossia sintomi che sono descrivibili indipendentemente dalla descrizione che ne fa il paziente.

Tali osservazioni porteranno addirittura Kraepelin a far sì che i pazienti portati nelle aule degli studenti non siano ascoltati, ma siano raccolti elementi, protocolli molto minuziosi solo sulla base dell’oggettività (7,8).

Ecco riportata la descrizione fatta da Kraepelin in aula su un paziente affetto da catatonia di tipo eccitato: “Il paziente che oggi vi mostro ha dovuto essere portato quasi di peso, perché cammina a gambe larghe appoggiandosi sull’esterno del piede. Entrando getta in aria le ciabatte, si mette a cantare a voce altissima, e poi grida due volte, in inglese “Padre mio, Padre mio”…….il paziente siede a occhi chiusi e non presta attenzione all’ambiente che lo circonda. Non guarda l’interlocutore, ma risponde dapprima a voce bassa, poi gradualmente gridando sempre più forte………….quando gli si chiede come si chiama, grida: “ come ti chiami?che cosa chiude? chiude gli occhi. Che cosa sente? non capisce. Come? Chi?Dove?Quando? Che significa?.......non fare lo sfacciato! Ora vengo! Ora ti faccio vedere io!....niente capisce questo. Se ora stai attento non sta attento, non starà attento. Ora ti rimetti a fare lo sfacciato? Ancora più sfacciato?come stanno attenti, stanno tutti attenti!”…alla fine il paziente non emette che suoni inarticolati di collera………(4)

Da quanto sinora detto scaturisce l’osservazione secondo cui Kraepelin e Freud pur sembrando così distanti sono in realtà strettamente contemporanei (nascono nel 1856) e rappresentano due vite rigorosamente parallele anche dal punto di vista dei risultati teorici.

Kraepelin darà il massimo contributo tra il 1895 e il 1900 e contemporaneamente Freud rivolge la sua attenzione agli studi sull’isteria e sulla fondazione della clinica psicoanalitica, ma tra di loro non si citeranno quasi mai anche per una impossibilità metodologica di convenire e ciò influirà profondamente il lavoro sulla psicosi (5).

Dopo i lunghi e approfonditi studi di Freud rivolti all’isterismo e alle nevrosi ossessive egli rivolse lo sguardo alle psicosi; nell’estate del 1910 aveva letto per la prima volta il libro autobiografico scritto da un paziente affetto da un attacco di paranoia: il caso Schreber e ne aveva discusso a lungo con  il suo amico Ferenczi. Dopo aver studiato a lungo tale caso scrisse un saggio ricco di feconde osservazioni, ecco una frase in cui Freud dice: “La paranoia risolve, mentre l’isterismo condensa”, intendendo come nella paranoia ogni segno o sintomo si scinde e si presenta sotto forma di allucinazione o idea a sé stante.

Freud vede un’omosessualità turbata alla base di episodi deliranti di tipo paranoico e scrive: “Dal momento che la dementia praecox e la paranoia sono strettamente imparentate, non possiamo non chiederci in che modo la nostra concezione della paranoia debba ripercuotersi sulla concezione della dementia praecox. …. Io penso che Kraepelin abbia avuto perfettamente ragione di separare gran parte della sindrome fino ad allora definita paranoica e di assorbirla con la catatonia e altre forme morbose in una nuova unità clinica, benché, a dire il vero, la denominazione di dementia praecox mi sembra una scelta particolarmente infelice” e continua  “anche contro il termine obiettare che esso appare accettabile solo se si prescinde dal suo significato letterale. In caso contrario, il suo uso è di pregiudizio alla comprensione, poiché per designare una forma morbosa ci si serve di un carattere postulato teoricamente, per di più, di un carattere che non perviene esclusivamente a quella affezione né può, alla luce di altre considerazioni, essere ritenuto per esse essenziale”.

  Foto: il Cancelliere Schreber

Freud, dunque, si mostra in accordo con Kraepelin per quanto riguarda l’aspetto nosologico della paranoia, includendola nella demenza precoce. Manifesta, però, tutto il suo dissenso per l’utilizzo della nomenclatura, definendo particolarmente goffo il termine kraepeliniano “demenza”, ma non è completamente d’accordo nemmeno sull’utilizzo del termine “schizofrenia”, coniato da Bleuler, proponendo piuttosto il termine “parafrenia”

Freud ritiene che i deliri della paranoia non sono altro che tentativi più o meno riusciti di guarigione e ogni sintomo si scinde a sua volta. Tale meccanismo è simile a quello descritto da Rank nei miti e nelle leggende. Quest’ultimo analizzando la religione greca descrive l’insieme di sentimenti diversi nei confronti di un dio significativo o di un personaggio come una pluralità di aspetti, ognuno dei quali rappresenta uno dei sentimenti in questione (6).

L’importanza fondamentale del lavoro di Freud consiste nell’attenzione inusuale che rivolge alla spaltung e alla zerspaltung.

La critica a Bleuler risulta molto acuta soprattutto riguardo la questione della “spaltung” e a tal proposito Freud afferma: “caratterizzare una situazione che evidentemente è molto più complessa attraverso questo carattere, quello della spaltung, è estremamente foriero di confusione”, perché lui sapeva che la spaltung era usata anche per l’isteria. E poi ancora continua: “io credo che la soluzione più adeguata sia quella di attribuire alla dementia praecox il nome di “parafrenia”, termine privo di contenuto preciso che esprime il rapporto esistente tra quest’affezione e la paranoia, la cui denominazione non va mutata e, inoltre, rammenta che l’ebefrenia, attualmente è assorbita nella dementia praecox.

Freud, dunque, usa il termine nello stesso modo in cui viene proposto nei giorni nostri da  Mario Maj il quale parla di psicosi essenziale, abbandonando il termine kraepeliniano di dementia praecox e quello bleuleriano di schizofrenia.

                  

  

                                                             Dichotomic classification

                                                                     Kraepelin, 1899

 

 

 

 


 

   Dementia praecox

  Manic depressive insanity                                                            

      (Hebephrenia, catatonia, dementia paranoids)

 

Other disorders: dementia paralitica, insanity and brain diseases, involutional psychosis, paranoid states

                 J. Angst, Schizophrenia research 57; 5-13 (2002) (1).

 

 


 

Alla fine degli anni ’20 Kraepelin muore e da quel momento in poi si opera una scissione: da una parte è come se si fosse creata una sorta di cristallizzazione, senza una vera e propria linea di pensiero, da un’altra parte emergerà il pensiero di Bleuler, il quale rovescia completamente la posizione presa da Kraepelin e sostituisce il termine “dementia” con quello di “schizofrenia” o “malattia dissociativa”.

Successivamente si evidenzierà il contrasto di fatto concettuale tra Kraepelin e Bleuler.

Il caposaldo metodologico a cui fa riferimento Bleuler è quello di basarsi sul punto di vista interno del paziente, a differenza di Kraepelin che si basava sul metodo oggettivo, e tale impostazione porterà Bleuler a rifiutare l’utilizzo della metafora neurologica, non utilizzando il concetto di “demenza praecox” e sostituendolo con il termine “Schizofrenia”.

L’elemento caratterizzante diviene la dissociazione (dall’etimologia del termine: divisione), elemento caratterizzante che durerà nel tempo, basti pensare che anche negli anni sessanta Ronald Laing scriverà un bellissimo libro “L’Io diviso”, riprendendo, seppur in chiave più moderna, le osservazioni fatte precedentemente da Bleuler.

Elemento centrale per Bleuler è il concetto di scissione: l’Io del soggetto non si è semplicemente incrinato ma si è spezzato, per cui una parte agisce come se fosse un altro.

In realtà tale termine è molto scivoloso: si può usare in senso “leggero” o “pesante”, ciò è legato al fatto che la lingua italiana è più povera di termini, laddove nella lingua tedesca si utilizzano numerosi termini che denominano diversi livelli del sistema; infatti Bleuler, nel suo testo, utilizza cinque, sei termini per indicare i livelli di scissione: da quello più grave a quello più lieve (7).

Altro elemento importante è il concetto di autismo utilizzato da Bleuler che riporta all’area della psichiatria classica, in realtà Bleuler, storicamente, prenderà il concetto di autismo da quello freudiano di “alto erotismo”, tanto è vero che Freud si arrabbiò moltissimo non solo per il fatto che gli avesse preso il termine ma che glielo avesse, a suo dire, depennato dal riferimento alla sessualità che per lui era fondante.

Bleuler intende l’autismo come una sorta di declino: una posizione autocentrata e di ritiro rispetto ai rapporti; egli, dunque, pur non esprimendolo esplicitamente fornisce una possibile lettura della demenza kraepeliniana, proprio come risultato di questo isolamento. Tale forma si caratterizzerebbe per la presenza di forme estreme di isolamento in sé stessi, nonché da un pensiero e un linguaggio fantastico-onirico e affettivo-impulsivo, ricco di associazioni libere. Questa idea di autismo si svilupperà poi nella psichiatria fenomenologia e nella neuropsichiatria infantile, fino a giungere alla descrizione famosa di Bettelheim come di una fortezza vuota, per cui l’autismo appare come una situazione difensiva rispetto ad una grave crisi interna (8).

  Foto: Bettelheim

Tale meccanismo sarà poi approfondito e condiviso dagli studiosi sull’autismo moderno in cui la situazione artistica che sembra un’economia psichica d’assedio in qualche modo da conto del fatto che il soggetto tagli i rapporti con gli altri, ma soprattutto la posizione autocentrata e autarchica diminuisce tutti quelli che sono gli stimoli provenienti dall’esterno; ne deriva un depauperamento progressivo di tutti quelli che sono gli arricchimenti provenienti dal rapporto con la realtà.

Tale posizione, a differenza di quella di Kraepelin, si presta ad una lettura che non è solo dinamizzata ma è estesa dal soggetto al campo dell’intersoggettività, in quanto non è possibile pensare alla categoria artistica senza dover fare riferimento alla rete di rapporti del soggetto con l’esterno: per Bleuler la caratteristica principale di questi pazienti è proprio la divisione, ossia la scollatura all’interno della coerenza dell’identità (diventeranno sinonimi: l’io diviso, l’io frammentato) (7,8).

La questione preminente è senz’altro quella riguardante la dissociazione e come abbiamo finora visto Kraepelin e Bleuler ne parlano in modo diverso.

Kraepelin nella sua formazione scientifica ha come riferimento la psicologia di Wundt, ossia una psicologia che si occupa del funzionamento mentale inteso come una serie complessa di operazioni che si configurano come un’interazione di associazioni, una serie di relè associativi; ed infatti Kraepelin ritiene che nella demenza precoce le associazioni sono alterate e diminuite di rapidità, avendo proprio in mente il meccanismo di sconnessione di relé, un guasto nella rete associativa (7).

Invece il concetto di dissociazione per Bleuler è ben diverso in quanto la sconnessione di cui parla Bleuler è intesa come una sconnessione tra pensiero ed emozioni, sconnessioni di diverse aree della vita mentale o sconnessioni di parti della vita psichica.

La cosa interessante è che il dibattito sul termine dissociazione crea una novità fondamentale in cui si passa dalla idea di Kraepelin di tipo organico, cioè fondata su una turba delle funzioni del sistema nervoso (una visione medicale oggettiva e organicistica!) alla visione di Bleuler in cui viene preferita la lettura del vissuto del soggetto.

La posizione di Bleuler, basata sull’osservazione clinica, e quella di Jaspers, corredata da una posizione filosofica, costituiscono un ribaltone all’interno del pensiero kraepeliniana.

  Foto: K. Jaspers

Sarà lo stesso Bleuler a coniugare la fenomenologia e la psicoanalisi, pur non variando le forme catatonica, ebefrenica, paranoidea e simplex descritte precedentemente da Kraepelin (7).

C’è, dunque, alla base della psicopatologia di Bleuler un’interpretazione psicodinamica seppure basata su un’idea neurologica, verrebbero, dunque, ad attivarsi i meccanismi difensivi quali l’autismo e la dissociazione sopradescritti.

Risulta, indubbiamente affascinante questo grosso capitolo delle “figure della psicosi” in psichiatria che inevitabilmente rimanda gli autori all’importanza della significazione umana della suddetta patologia. Ricordando il bellissimo libro di Borgna “come se finisse il mondo” non ci si può esimere dalla riflessione profonda e spesso enigmatica rivolta alle “figure umane” delle donne e degli uomini che presentano i segni sopradescritti, tutti contrassegnati da un’esistenza senza dubbio fragile, inquietante e dolorosa al di là della denominazione della suddetta sofferenza (10).

 

 

        

        

 

 

        

 

        

 

 

        

 

        

        

 

 

 

 
   
 

 

 
   
   
 

 

 

 

   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
Bibliografia:
 


 

 

1)      G. Roccatagliata; a cura di R. Rossi, La psichiatria da Ippocrate a Kraepelin. Trattato italiano di Psichiatria. Masson, 1999

2)      J. Angst, Schizophrenia Research 57, pp.5-13, 2002

3)      G.B. Cassano e alt. Trattato italiano di Psichiatria. Il problema della schizofrenia e del suo spettro. Vol. 2 pp. 1487-1507. II edizione, Masson 1999, Milano.

4)      R.D. Laing. L’io diviso studio di psichiatria esistenziale pp. 35-37. Einaudi1991, Torino

5)      E. Kraepelin. Lectures on Clinical Psychiatry, Baillière, Tindall & Cox, 1905, London.

6)      E. Jones. Vita e opere di Freud. Gli anni della maturità 1901-191 9cap.2: osservazioni psicoanalitiche sulle note autobiografiche di un caso di paranoia, pp. 330-347 Il Saggiatore Economici, 1995, Milano.

 

7)      F.M. Ferro. Seminari aa. 2002-2003 Università G. d’Annunzio”

8)      F.M. Ferro. Controversie sulla catatonia, pp. 819-829,1978, Roma

9)      A. Ballerini. L’autismo tra nosografia e condizione umana. Seminario, Chieti, marzo 2000

   10) E. Borgna. Come se finisse il mondo. Il senso dell’esperienza schizofrenica. Feltrinelli, 1995, Milano

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

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