Nel corso
del tempo la psicosi ha rappresentato una questione
particolarmente affrontata da diversi autori ma sin da subito sono
emersi aspetti controversi e molto dibattuti, e ciò essenzialmente
per due ordini di fattori: quello terminologico e quello
interpretativo; ne è scaturita una diversità di linguaggi attorno
all’argomento che ha suscitato diverse perplessità in studiosi ed
in coloro che nel corso del tempo si sono accostati alla suddetta
area psichiatrica.
Il
termine “psicosi” è stato coniato da uno psichiatra viennese: von
Feuchtersleben, nel 1846, intendendo designare qualcosa di molto
diverso da ciò che intendiamo oggi con lo stesso termine. L’autore
utilizza il termine psicosi riferendosi ad affezioni strettamente
“mentali” contrapponendole alle “nevrosi” quali manifestazioni
psicotiche di malattie nervose. Tali forme rientrano nel capitolo
delle vesanie e prendevano il nome di “monomania” (1).
Il
distinguere la suddetta forma da un punto di vista sintomatologico
rimandava ad un’idea, seppur utopica ma approvata da diversi
autori, che la monomania consistesse in un’alterazione emotiva del
pensiero e che corrispondesse ad alterazioni settoriali
dell’encefalo.
Esquirol,
invece, ha una visione psicodinamica delle affezioni mentali,
ritenendo la monomania legata alle passioni(1).
incisione di Tardieu per Esquirol, "Des Maladies Mentales...",
1838
La
nosografia, quindi, non è unificata e procede come la nosografia
settecentesca: una serie di descrizioni in assenza di un vero
elemento comune dal punto di vista della patogenesi.
Unitary
psychosis
All psychotic syndrome representing
different stages of a pathological process that is the result of
an interaction between on somatic and psychological factors
Zeller,
1837; Griesinger, 1845
Hierarchical model
on the evolution of the brain
Ey,
1963
Universal origin of endogenous psychosis
Rennert, 1965
Dichotomic
classification
Kahlbaum, 1863;
Kraepelin, 1899
Dichotomic
classification
Kahlbaum, 1863
Vecordia
Vesania
Limited
disturbance of the mind
Full
disturbance of the mind
Vecordia
dysthymia
Vesania typica
·
Dysthymia
melana -
Stadium melancholiae
·
Dysthymia
simplex (hilaris) - Stadium
maniae
·
Dysthymia elata
- Stadium perturbationis
- Stadium
dementiae
Vecordia
paranoia
Vesania
progressive
(fixed
ideas)
progressive paralysis, apolexia
Vecordia diastrephia
Kleptomania,
piromania
Classification of psychotic
disorders
Vecordia insania (monomania)
Corse: continuous
Course:progressive
Outcome: no dementia
Outcome: dementia
J. Angst, Schizophrenia Research 57;
5-13 (2002) (2)
Una serie
di autori s’interesseranno di questo problema: soprattutto
Kraepelin, e a lui si affianca seppur in posizione critica Freud
(non dimentichiamo che i due grandi autori sono coetanei!).
Foto: E. Kraepelin
Sarà
Emilio Kraepelin nel 1893 a rilevare un’impostazione dualistica
esogeno-endogeno della psicosi e contemporaneamente riporta la
chiarezza alla clinica della psichiatria antica, eludendo le
impostazioni di Pinel, di Esquirol e di Morel.
Vogel,
1764
Paranoia
Haslam,
1809
Sindrome
di Haslam
Kraepelin, 1899 Bleuler,
1911
Pinel,
1860 Dementia
Praecox Schizofrenia
Demenza
precoce
Hecker,
1870
Ebefrenia
Kahlbaum,
1858
Catatonia
Le prime
descrizioni sarebbero state compiute quasi contemporaneamente, nel
1809, da Pinel alla Salpetrière di Parigi e da Haslam al Bethlem
Hospital di Londra. Il termine “demenza” precedentemente
utilizzato da Pinel viene poi ripreso da Morel nel 1860. Nel 1871
Hecker introdurrà il termine “ebefrenia” per descrivere un quadro
clinico simile a quello descritto dagli autori precedenti e tre
anni dopo Kahlbaum descriverà il quadro clinico della catatonia
(3).
Kraepelin
ha, dunque, il grande merito di aver sistematizzato la nosografia
delle psicosi a partire da tutta una serie di precedenti clinici
significativi provenienti soprattutto dalla cultura tedesca. La
classificazione delle quattro forme di Kraepelin raccoglie
sostanzialmente tutta una serie di riflessioni e di osservazioni
che vanno da Griesinger fino alle lezioni di Heidelberg, passando
attraverso le elaborazioni fondamentali di Kahlbaum e del suo
allievo Hecker e di tutta una serie di autori che hanno lavorato
in particolare sulla paranoia.
Kahlbaum
parlerà di catatonia, forma clinica che coinciderà solo in parte
con la catatonia descritta dalla psichiatria moderna. La “follia
muscolare” come lui stesso la definisce si caratterizzerebbe anche
per l’alternanza tra una situazione di blocco e la situazione
opposta, di eccitamento.
La
catatonia è la prima descrizione clinica di un’affezione che in
maniera più generica si chiamerà psicosi: i termini catatonia e
psicosi unica sono, pertanto, sinonimi.
In
seguito Hecker segnalerà un’altra forma di psicosi, ossia
l’ebefrenia, con esordio in età adolescenziale, caratterizzata
anch’essa da una disgregazione dell’organizzazione mentale con un
andamento variabile. Nel 1871 ai due quadri sopradescritti si
aggiungerà quello del disturbo delirante puro (1).
La
classificazione di Kraepelin fornirà una lettura unificata delle
psicosi e sostanzialmente raccoglierà l’idea di processualità,
vale a dire l’idea che la psicosi sia qualcosa di unico, un unico
fenomeno morboso e che la sua caratteristica sia quella di
svilupparsi attraverso stadi successivi, per cui le valutazioni di
una sintomatologia dal punto di vista sincronico lasciano il posto
ad una valutazione diacronica.
Kraepelin
rende evidente come nella “psicosi unica” il quadro può
manifestarsi con una sintomatologia depressiva e poi via via
possono comparire le situazioni destrutturanti e soprattutto le
situazioni involutive. Egli farà rientrare nella sua
classificazione la forma catatonica descritta da Kahlbaum, quell’ebefrenica
descritta da Hecker, la paranoia e la forma simplex. Quest’ultima
rappresenterebbe quella forma oggigiorno definita ad esordio
subdolo, silente e caratterizzata dalla presenza di una
sintomatologia negativa, non produttiva.
L’autore
riprenderà la posizione di Westphal sulla paranoia, considerando
la progressione processuale della paranoia non corrispondente ad
una involuzione, ossia una “forma di demenza praecox senza
demenza”, demenza intesa per Kraepelin come fenomeno involutivo a
livello del sistema nervoso.
Saranno
le ricerche d’Alzheimer della scuola di Monaco che metteranno a
fuoco la demenza neurologica in modo preciso mandando a rotoli
l’idea della demenza kraepeliniana ed imponendo un distinguo
preciso tra demenza neurologica e demenza psicologica.
Mentre
Kraepelin darà notevole spazio alla figura “catatonia”, Bleuler
nella sua trattazione del “gruppo delle schizofrenie” ne contrae
sensibilmente l’importanza.
Foto: E. Bleuler
Da ciò si
evince come lungo questa linea clinica l’intento fondamentale sia
quello della fondazione di una clinica oggettiva, medicalizzando
la psichiatria che era stata molto sfuggente al riguardo fino alla
prima metà dell’ottocento. In conformità a questo concetto ciò che
preoccupa Kraepelin è la descrizione dei “segni”, vale a dire di
elementi oggettivi di comportamento, ossia sintomi che sono
descrivibili indipendentemente dalla descrizione che ne fa il
paziente.
Tali
osservazioni porteranno addirittura Kraepelin a far sì che i
pazienti portati nelle aule degli studenti non siano ascoltati, ma
siano raccolti elementi, protocolli molto minuziosi solo sulla
base dell’oggettività (7,8).
Ecco riportata la descrizione fatta da Kraepelin in aula su un
paziente affetto da catatonia di tipo eccitato:
“Il paziente che oggi vi mostro ha dovuto essere
portato quasi di peso, perché cammina a gambe larghe appoggiandosi
sull’esterno del piede. Entrando getta in aria le ciabatte, si
mette a cantare a voce altissima, e poi grida due volte, in
inglese “Padre mio, Padre mio”…….il paziente siede a occhi chiusi
e non presta attenzione all’ambiente che lo circonda. Non guarda
l’interlocutore, ma risponde dapprima a voce bassa, poi
gradualmente gridando sempre più forte………….quando gli si chiede
come si chiama, grida: “ come ti chiami?che cosa chiude? chiude
gli occhi. Che cosa sente? non capisce. Come? Chi?Dove?Quando? Che
significa?.......non fare lo sfacciato! Ora vengo! Ora ti faccio
vedere io!....niente capisce questo. Se ora stai attento non sta
attento, non starà attento. Ora ti rimetti a fare lo sfacciato?
Ancora più sfacciato?come stanno attenti, stanno tutti
attenti!”…alla fine il paziente non emette che suoni inarticolati
di collera………(4)
Da quanto
sinora detto scaturisce l’osservazione secondo cui Kraepelin e
Freud pur sembrando così distanti sono in realtà strettamente
contemporanei (nascono nel 1856) e rappresentano due vite
rigorosamente parallele anche dal punto di vista dei risultati
teorici.
Kraepelin
darà il massimo contributo tra il 1895 e il 1900 e
contemporaneamente Freud rivolge la sua attenzione agli studi
sull’isteria e sulla fondazione della clinica psicoanalitica, ma
tra di loro non si citeranno quasi mai anche per una impossibilità
metodologica di convenire e ciò influirà profondamente il lavoro
sulla psicosi (5).
Dopo i
lunghi e approfonditi studi di Freud rivolti all’isterismo e alle
nevrosi ossessive egli rivolse lo sguardo alle psicosi;
nell’estate del 1910 aveva letto per la prima volta il libro
autobiografico scritto da un paziente affetto da un attacco di
paranoia: il caso Schreber e ne aveva discusso a lungo con il suo
amico Ferenczi. Dopo aver studiato a lungo tale caso scrisse un
saggio ricco di feconde osservazioni, ecco una frase in cui Freud
dice: “La paranoia risolve, mentre l’isterismo condensa”,
intendendo come nella paranoia ogni segno o sintomo si scinde e si
presenta sotto forma di allucinazione o idea a sé stante.
Freud vede un’omosessualità turbata alla base di episodi deliranti
di tipo paranoico e scrive: “Dal momento che la dementia
praecox e la paranoia sono strettamente imparentate, non possiamo
non chiederci in che modo la nostra concezione della paranoia
debba ripercuotersi sulla concezione della dementia praecox. …. Io
penso che Kraepelin abbia avuto perfettamente ragione di separare
gran parte della sindrome fino ad allora definita paranoica e di
assorbirla con la catatonia e altre forme morbose in una nuova
unità clinica, benché, a dire il vero, la denominazione di
dementia praecox mi sembra una scelta particolarmente infelice”
e continua “anche contro il termine
obiettare che esso appare accettabile solo se si prescinde dal suo
significato letterale. In caso contrario, il suo uso è di
pregiudizio alla comprensione, poiché per designare una forma
morbosa ci si serve di un carattere postulato teoricamente, per di
più, di un carattere che non perviene esclusivamente a quella
affezione né può, alla luce di altre considerazioni, essere
ritenuto per esse essenziale”.
Foto: il Cancelliere Schreber
Freud,
dunque, si mostra in accordo con Kraepelin per quanto riguarda
l’aspetto nosologico della paranoia, includendola nella demenza
precoce. Manifesta, però, tutto il suo dissenso per l’utilizzo
della nomenclatura, definendo particolarmente goffo il termine
kraepeliniano “demenza”, ma non è completamente d’accordo nemmeno
sull’utilizzo del termine “schizofrenia”, coniato da Bleuler,
proponendo piuttosto il termine “parafrenia”
Freud
ritiene che i deliri della paranoia non sono altro che tentativi
più o meno riusciti di guarigione e ogni sintomo si scinde a sua
volta. Tale meccanismo è simile a quello descritto da Rank nei
miti e nelle leggende. Quest’ultimo analizzando la religione greca
descrive l’insieme di sentimenti diversi nei confronti di un dio
significativo o di un personaggio come una pluralità di aspetti,
ognuno dei quali rappresenta uno dei sentimenti in questione (6).
L’importanza fondamentale del lavoro di Freud consiste
nell’attenzione inusuale che rivolge alla spaltung e alla
zerspaltung.
La
critica a Bleuler risulta molto acuta soprattutto riguardo la
questione della “spaltung” e a tal proposito Freud afferma: “caratterizzare
una situazione che evidentemente è molto più complessa attraverso
questo carattere, quello della spaltung, è estremamente foriero di
confusione”, perché lui sapeva che la spaltung era usata anche
per l’isteria. E poi ancora continua: “io credo che la
soluzione più adeguata sia quella di attribuire alla dementia
praecox il nome di “parafrenia”, termine privo di contenuto
preciso che esprime il rapporto esistente tra quest’affezione e la
paranoia, la cui denominazione non va mutata e, inoltre, rammenta
che l’ebefrenia, attualmente è assorbita nella dementia praecox.
Freud,
dunque, usa il termine nello stesso modo in cui viene proposto nei
giorni nostri da Mario Maj il quale parla di psicosi essenziale,
abbandonando il termine kraepeliniano di dementia praecox e quello
bleuleriano di schizofrenia.
Dichotomic classification
Kraepelin,
1899
Dementia praecox
Manic depressive insanity
(Hebephrenia,
catatonia, dementia paranoids)
Other disorders: dementia
paralitica, insanity and brain diseases, involutional psychosis,
paranoid states
J. Angst, Schizophrenia research 57; 5-13
(2002) (1).
Alla
fine degli anni ’20 Kraepelin muore e da quel momento in poi si
opera una scissione: da una parte è come se si fosse creata una
sorta di cristallizzazione, senza una vera e propria linea di
pensiero, da un’altra parte emergerà il pensiero di Bleuler, il
quale rovescia completamente la posizione presa da Kraepelin e
sostituisce il termine “dementia” con quello di “schizofrenia” o
“malattia dissociativa”.
Successivamente si evidenzierà il contrasto di fatto concettuale
tra Kraepelin e Bleuler.
Il
caposaldo metodologico a cui fa riferimento Bleuler è quello di
basarsi sul punto di vista interno del paziente, a differenza di
Kraepelin che si basava sul metodo oggettivo, e tale impostazione
porterà Bleuler a rifiutare l’utilizzo della metafora neurologica,
non utilizzando il concetto di “demenza praecox” e sostituendolo
con il termine “Schizofrenia”.
L’elemento caratterizzante diviene la dissociazione
(dall’etimologia del termine: divisione), elemento caratterizzante
che durerà nel tempo, basti pensare che anche negli anni sessanta
Ronald Laing scriverà un bellissimo libro “L’Io diviso”,
riprendendo, seppur in chiave più moderna, le osservazioni fatte
precedentemente da Bleuler.
Elemento
centrale per Bleuler è il concetto di scissione: l’Io del soggetto
non si è semplicemente incrinato ma si è spezzato, per cui una
parte agisce come se fosse un altro.
In realtà
tale termine è molto scivoloso: si può usare in senso “leggero” o
“pesante”, ciò è legato al fatto che la lingua italiana è più
povera di termini, laddove nella lingua tedesca si utilizzano
numerosi termini che denominano diversi livelli del sistema;
infatti Bleuler, nel suo testo, utilizza cinque, sei termini per
indicare i livelli di scissione: da quello più grave a quello più
lieve (7).
Altro
elemento importante è il concetto di autismo utilizzato da Bleuler
che riporta all’area della psichiatria classica, in realtà Bleuler,
storicamente, prenderà il concetto di autismo da quello freudiano
di “alto erotismo”, tanto è vero che Freud si arrabbiò moltissimo
non solo per il fatto che gli avesse preso il termine ma che
glielo avesse, a suo dire, depennato dal riferimento alla
sessualità che per lui era fondante.
Bleuler
intende l’autismo come una sorta di declino: una posizione
autocentrata e di ritiro rispetto ai rapporti; egli, dunque, pur
non esprimendolo esplicitamente fornisce una possibile lettura
della demenza kraepeliniana, proprio come risultato di questo
isolamento. Tale forma si caratterizzerebbe per la presenza di
forme estreme di isolamento in sé stessi, nonché da un pensiero e
un linguaggio fantastico-onirico e affettivo-impulsivo, ricco di
associazioni libere. Questa idea di autismo si svilupperà poi
nella psichiatria fenomenologia e nella neuropsichiatria
infantile, fino a giungere alla descrizione famosa di Bettelheim
come di una fortezza vuota, per cui l’autismo appare come una
situazione difensiva rispetto ad una grave crisi interna (8).
Foto: Bettelheim
Tale
meccanismo sarà poi approfondito e condiviso dagli studiosi
sull’autismo moderno in cui la situazione artistica che sembra
un’economia psichica d’assedio in qualche modo da conto del fatto
che il soggetto tagli i rapporti con gli altri, ma soprattutto la
posizione autocentrata e autarchica diminuisce tutti quelli che
sono gli stimoli provenienti dall’esterno; ne deriva un
depauperamento progressivo di tutti quelli che sono gli
arricchimenti provenienti dal rapporto con la realtà.
Tale
posizione, a differenza di quella di Kraepelin, si presta ad una
lettura che non è solo dinamizzata ma è estesa dal soggetto al
campo dell’intersoggettività, in quanto non è possibile pensare
alla categoria artistica senza dover fare riferimento alla rete di
rapporti del soggetto con l’esterno: per Bleuler la caratteristica
principale di questi pazienti è proprio la divisione, ossia la
scollatura all’interno della coerenza dell’identità (diventeranno
sinonimi: l’io diviso, l’io frammentato) (7,8).
La
questione preminente è senz’altro quella riguardante la
dissociazione e come abbiamo finora visto Kraepelin e Bleuler ne
parlano in modo diverso.
Kraepelin
nella sua formazione scientifica ha come riferimento la psicologia
di Wundt, ossia una psicologia che si occupa del funzionamento
mentale inteso come una serie complessa di operazioni che si
configurano come un’interazione di associazioni, una serie di relè
associativi; ed infatti Kraepelin ritiene che nella demenza
precoce le associazioni sono alterate e diminuite di rapidità,
avendo proprio in mente il meccanismo di sconnessione di relé, un
guasto nella rete associativa (7).
Invece il
concetto di dissociazione per Bleuler è ben diverso in quanto la
sconnessione di cui parla Bleuler è intesa come una sconnessione
tra pensiero ed emozioni, sconnessioni di diverse aree della vita
mentale o sconnessioni di parti della vita psichica.
La cosa
interessante è che il dibattito sul termine dissociazione crea una
novità fondamentale in cui si passa dalla idea di Kraepelin di
tipo organico, cioè fondata su una turba delle funzioni del
sistema nervoso (una visione medicale oggettiva e organicistica!)
alla visione di Bleuler in cui viene preferita la lettura del
vissuto del soggetto.
La
posizione di Bleuler, basata sull’osservazione clinica, e quella
di Jaspers, corredata da una posizione filosofica, costituiscono
un ribaltone all’interno del pensiero kraepeliniana.
Foto: K. Jaspers
Sarà lo
stesso Bleuler a coniugare la fenomenologia e la psicoanalisi, pur
non variando le forme catatonica, ebefrenica, paranoidea e simplex
descritte precedentemente da Kraepelin (7).
C’è,
dunque, alla base della psicopatologia di Bleuler
un’interpretazione psicodinamica seppure basata su un’idea
neurologica, verrebbero, dunque, ad attivarsi i meccanismi
difensivi quali l’autismo e la dissociazione sopradescritti.
Risulta, indubbiamente affascinante
questo grosso capitolo delle “figure della psicosi” in psichiatria
che inevitabilmente rimanda gli autori all’importanza della
significazione umana della suddetta patologia. Ricordando il
bellissimo libro di Borgna “come se finisse il mondo” non ci si
può esimere dalla riflessione profonda e spesso enigmatica rivolta
alle “figure umane” delle donne e degli uomini che presentano i
segni sopradescritti, tutti contrassegnati da un’esistenza senza
dubbio fragile, inquietante e dolorosa al di là della
denominazione della suddetta sofferenza (10).
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