Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività

  Home Frenis Zero

        

"Apeiron". Tra psicoanalisi e religiosità.

 

 

 

  CRISTO E FREUD.

 

 

 di Arthur Guirdham

 

 

 Il presente saggio è tratto dal libro "Christ and Freud" (George Allen and Unwin, London 1959), ed in particolare dal capitolo Primo, intitolato "Christ and Freud". Coi numeri romani vengono indicati, nella numerazione originale, i paragrafi che sono stati inclusi in questa traduzione. Anche nella numerazione delle note dell'autore si riprodurrà quella originale. La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.

Arthur Guirdham è stato un medico psichiatra inglese, che si è occupato per 50 anni dei rapporti tra psichiatria e religione, tra disturbi psichiatrici e possessione diabolica (rivedendo ad es. la diagnosi di disturbo da personalità multiple in " The Psychic Dimensions of Mental Health, Great Brittain: Turnstone, 1982") e, dopo il 1962, tra psicopatologia e reincarnazione.   Tra i suoi libri si annovera "A Foot in Both Worlds", un'autobiografia 'spirituale', seguita da "The Cathars and Reincarnation"  in cui il dott. Guirdham fa un resoconto dei sogni di una sua paziente che avevano a che fare con la storia francese del XIII secolo. I sogni avevano dei dettagli storici molto precisi, sembra anche verificati da storici della storia dei Catari, e poiché anch'egli cominciò a fare dei sogni paralleli a quelli della paziente, egli concluse che all'epoca della persecuzione dei Catari aveva vissuto lui stesso una storia d'amore con quella donna, ed erano stati entrambi vittime della stessa persecuzione religiosa.


                   III. CRITICA DELL'INTERPRETAZIONE PSICOANALITICA DELLA RELIGIONE.                

       

Ho appena fornito una certa quantità di prove per mostrare che, secondo i principi della psicoanalisi, la religione è una reazione di massa basata su meccanismi nevrotici. Ora considererò gli errori commessi dalla teoria psicoanalitica nei suoi tentativi di minare le fondamenta della religione.

In primo luogo dobbiamo considerare che la religione deve necessariamente impiegare per la sua espressione gli attributi mentali ed emozionali che noi possediamo. Essa necessita di un apparato per la sua manifestazione proprio come i corpi sono necessari per la riproduzione. Il fatto che certi ben noti meccanismi psichiatrici siano utilizzati nel sentimento religioso non implica in alcun senso che i secondi siano non genuini o non divini. Molti studenti di medicina, fino ad allora credenti, passano attraverso crisi di dubbio quando si rendono conto che certe ghiandole e reazioni biochimiche influenzano fortemente l'umore e le emozioni dell'individuo. Essi imparano, anche, in qual modo certe malattie come la paralisi generale e la sclerosi multipla possano influenzare radicalmente il carattere del paziente3.

Abbandonare la fede per questi motivi è equivalente a farlo a causa dell'esistenza nel mondo delle malattie, della morte e del dolore. Queste calamità erano molto o maggiormente esistenti in Europa nelle epoche della fede rispetto a quest'epoca di indagine scientifica. Non è una scoperta sorprendente che queste calamità universali abbiano ciascuna i propri meccanismi esclusivi. Tutta la scienza ha fatto il possibile per chiarire la natura di esse. Non si può gridare di aver scoperto il fatto di per sé evidente dell'esistenza della tragedia. Se accettiamo che degli uomini siano stati resi illogicamente pieni di speranza dalla tubercolosi polmonare ed altri depressi dalla gelosia, non vedo perché dovremmo essere ingiustamente perturbati dal fatto che la religione, che coinvolge la nostra vita mentale ed emotiva,  dipenderebbe per la sua espressione dai meccanismi chiariti dalla moderna psichiatria. La natura dell'uomo è tale che, quando è messo a confronto con una nuova ipotesi riguardo alla sua natura, egli perlopiù si limita  a tre reazioni. La maggioranza non se ne importa nulla completamente. Altri, sicuri nei loro consolidati sistemi religiosi ed etici, la respingono del tutto come una minaccia alla loro sicurezza ed al loro benessere. Altri ancora, in una rivolta contro l'autorità che deriva dalla loro precoce rivolta contro un genitore oppressivo, vedono in essa un personale contributo alla propria emancipazione. Solo una minima maggioranza vede nella nuova tesi un contributo all'esperienza umana, come si può osservare una nuova foglia che si apre su un vecchio albero.

Si può arguire che qui sto dando per scontata la questione e che i meccanismi psichiatrici coinvolti nella religione organizzata siano essenzialmente abnormi. Ma non c'è alcuna linea netta di demarcazione tra il nevrotico e quella categoria illusoria che chiamiamo il normale. Entrambi esibiscono durante la vita gli stessi meccanismi psichiatrici. Il nevrotico è contraddistinto non da qualche del tutto singolare sistema di reazioni, ma da una preferenza per qualche particolare meccanismo a spese di altri e dalla sua incapacità di liberarsi da quei meccanismi (che sono alla base) delle sue scelte.

 

 
 V. ULTERIORI CRITICHE AL CONCETTO FREUDIANO DI RELIGIONE.

 

Nel frattempo ci sono altri argomenti contro il concetto psicoanalitico di religione? Può una forza che è esistita lungo le epoche sin dalla remota antichità essere attribuita all'operazione regolare di fattori nevrotici? Ciò è possibile. Sin da quando l'uomo divenne consapevole della sua identità esclusiva egli è sempre stato insicuro e la sua piccolezza e vulnerabilità di fronte alle imperscrutabili macchinazioni del fato hanno richiesto la costruzione di illusioni consolatorie. Fatemi affermare con sicurezza che l'insicurezza predisponente (a ciò) è sempre esistita. Lasciatemi ammettere la costante ripetizione della paura e della colpa nella genesi di quelle reazioni psichiatriche che hanno incoraggiato la formazione dei sistemi religiosi. Ma perché la persistenza lungo eoni di tempo di una successione di figure paterne coinvolgenti la concezione di Dio? Freud direbbe che la relazione col padre umano fornisce sempre il materiale per la fabbricazione del Dio Padre. Ma come postulare lo stabilirsi di una lunga tradizione di figure paterne da una generazione ad un'altra? Il freudiano  può rispondere dicendo che in ogni generazione ce ne  sono tante costituite in modo tale da offrire se stesse come ambasciatori di figure paterne al fine di imporsi sugli altri per mezzo di sistemi teologici dogmatici. Un clero stabilito in questo modo, e continuato in questo modo lungo i secoli, potrebbe regolarmente risolvere i propri problemi di insicurezza mediante il ben noto meccanismo dello stabilire il potere sugli altri. Ma le nazioni per secoli hanno avuto figure paterne alternative. Così come il Dio Padre  c'era la figura paterna del re. Le due figure paterne sono durate insieme ed un tentativo di fondere le loro funzioni è semplificato dalla dottrina del diritto divino dei re.

Perlopiù i re sono spariti ma l'idea del Dio Padre persiste. Il seguace di Freud può arguire che naturalmente figure paterne alternative esistono ma si deve ammettere che c'è qualcosa di tenace in modo peculiare nell'idea di Dio Padre. Bisogna ammettere da parte dei più agnostici che la concezione di Dio ha una presa particolarmente stretta  sui cuori e sulle menti degli uomini. Le argomentazioni psicoanalitiche sull'illusoria natura di questo concetto possono essere considerate come convincenti nell'età e nella civiltà in cui viviamo. Possono essere esse applicate in maniera affidabile per spiegare cosa è esistito attraverso tante differenti epoche e gradi di civiltà? Persino ai nostri giorni le dottrine freudiane riguardanti le origini della religione sono solo applicabili al nostro continente, alle civiltà derivate da esso e forse ai sistemi religiosi che condividono con Freud un'origine semitica. Esse non sono di alcun aiuto nello spiegare la religione di milioni di persone che praticano le fedi Indù e Buddiste. Non ci può essere alcun meccanismo freudiano di colpa e di espiazione in religioni in cui non ci sono figure paterne ed in cui Dio non è concepito come un essere personale. Dopo tutto, dobbiamo ricordarci che i Cristiani sono stati abbastanza bravi da descrivere il Buddismo come una forma di ateismo. Questa noncuranza della natura delle religioni infinitamente più antiche del Cristianesimo e, forse, anche della fede Ebraica è una considerevole e vitale debolezza del sistema freudiano.

Il problema (che sussiste) con le concezioni freudiane sulla religione è che mentre esse impressionano sicuramente, esse sono anche un tantino meccaniche. Esse assomigliano, davvero, un po' ai concetti più irremovibili della teologia reazionaria. Ci accontenteremo dicendo che l'uomo sembra avere un persistente bisogno dell'idea di Dio? Questo in realtà non risolve il problema. I bisogni dell'uomo sono una ben povera guida e troppo spesso le sue peggiori illusioni sono fabbricate in risposta ad i suoi bisogni diretti. Una tale argomentzione serve solo a dare supporto alla teoria analitica. La reale risposta a Freud è triplice. Primo, l'esperienza testimoniata dai mistici è contraria alla teoria che la religione sia un'illusione basata su anormalità psicologiche. In secondo luogo, i concetti di Freud sulla religione sono unicamente sostenibili in relazione alla concezione ebraica di un Dio personale ed a quella cristiana di Dio nella misura in cui essa è radicata nel Giudaismo. In terzo luogo, mentre le teorie di Freud spiegano ingegnosamente il bisogno da parte dell'uomo di Dio, esse non ci offrono alcuna spiegazione del bisogno dell'uomo da parte di Dio.

 

 X. NEVROSI E CONCEZIONE DI UN DIO PERSONALE.

 

Freud ha dimostrato in che modo le reazioni del bambino al suo padre terreno ed al suo Padre celeste siano strettamente correlate tra di loro. L'amore e la paura del bambino per il padre si riflettono nel suo amore e timore per Dio. Dio è una potenza suprema e l'atteggiamento del bambino verso di Lui è colorato dalle proprie esperienze nei confronti del padre terreno come signore del suo mondo circoscritto. Possiamo insegnare che Dio è amore ma la concezione di Dio da parte del bambino è essenzialmente quella di un essere che (tutto) guarda, che forse ama, ma che nota le sue trasgressioni, forse non con rabbia, forse solo con sofferenza. Ma Dio è necessariamente ritratto come un essere personale con reazioni personali. E' la buona fortuna del bambino se cresce in una casa in cui Dio è ferito dalle sue trasgressioni piuttosto che mosso ad una retribuzione. Il danno psicologico che egli sperimenta è probabilmente minore. Ma supponiamo che invece dell'idea di Dio come un essere personale Egli sia concepito come un'influenza universale. Allora, in che modo il bambino svilupperebbe  le reazioni di colpa ed i desideri ossessivi di espiazione che Freud descrive, a ragione, come base di una così religiosa osservanza? Si può arguire che è oltre la capacità del bambino  concepire Dio in qualcosa di altro della forma personale. Può essere così, per il bambino occidentale, saturato in un'atmosfera in cui Dio è concepito come una entità personale, portando dentro la sua mente la memoria ancestrale di una tale credenza. Ma la concezione di Dio come uno spirito onni-pervasivo non offre alcuna difficoltà a milioni di esseri, sia che siano bambini o adulti, che esistono nelle comunità buddiste ed induiste.

Si può arguire che qualcuno spinge troppo  il concetto Cristiano di Dio come una qualche forma di personalità suprema. Si può dire con giustificazione che nel Cristianesimo Dio è concepito come (esistente) in tutte le cose. Questa seconda visione può essere accettata da una certa quota di Cristiani, ma io penso che essa sia sentita in realtà solo da una parte ancora minore. Qui ancora il credo in Dio come (se fosse) dentro di noi ed in ogni cosa ha un limitato sviluppo se comparato  con la sua incidenza nelle religioni dell'Estremo Oriente. Il Cristiano si rivolge allo Spirito Santo che opera dentro di lui. Questo non è per niente la stessa cosa dell'essere parte di un Dio onni-pervasivo e senza limiti. Lo Spirito Santo è essenzialmente concepito come un dono del Padre. Lo spirito è un'influenza, il Padre rimane un essere. E' anche di grande significatività il fatto che il santo Cristiano sia così spesso indivisibile con Cristo, non con Dio. Santa Teresa di Lisieux considerava se stessa  come (tutt') una con Gesù. Una tale condizione non rappresenta una mera differenza di grado rispetto all'identificazione del mistico orientale con l'Infinito. La differenza è essenzialmente di genere. Il mistico occidentale può essere completamente perduto in Cristo allo stesso modo che quello orientale può esserlo nello spirito universale, ma Cristo, lo ripetiamo, è essenzialmente qualcuno mandato da Dio. E', infatti, il dono supremo dell'Essere Supremo. Laddove l'identificazione è completa il risultato sarà lo stesso nel caso del Cristiano Occidentale assorbito in Cristo ed in quello dell'Orientale fuso con l'Infinito. Ma per il meno ardente e fortunato aspirante a fondersi in Cristo il problema è molto più difficile poiché egli sta essenzialmente cercando l'identificazione con qualcosa di secondario, e di dipendente, rispetto all'amore ed alla grazia di un Essere Supremo concepito come una persona.

Se accettiamo le teorie di Freud siamo costretti a riconoscere che la natura personale di Dio è un fattore di immensa importanza nell'introdurre i fattori nevrotici nelle fondamenta della religione Occidentale.

Nello studio del tema della nevrosi e della religione dovremmo prestare attenzione nel distinguere tra cause ed effetti. Religioni molto organizzate sono basate, in ogni caso in parte, su fattori nevrotici. Ciò non significa dire che i praticanti di tali religioni sono manifestamente nevrotici, secondo gli standards occidentali. La fede Romana , secondo Freud, ci offrirebbe probabilmente il migliore esempio di un credo che ha le sue origini nella nevrosi. Il rituale e le preghiere ripetitive non sono solamente basati su tendenze ossessive ma sono essi stessi di natura ossessivi. Il senso di colpa, l'impulso a espiare e la tecnica dell'espiazione possono essere considerati dei meccanismi nevrotici. Eppure nel loro complesso i cattolici Romani sono meno nevrotici dei loro confratelli Protestanti. La tendenza nevrotica è espressa nel meccanismo della religione e meno è disponibile per la produzione di sintomi nevrotici che ricadono nelle usuali categorie psichiatriche. Ma questo non è per nulla l'intera verità. Il confessionale Romano è un'eccellente valvola di sicurezza per l'incipiente nevrosi. In più, il Dio del cattolico romano è in questi tempi relativamente buono se confrontato con il Dio del Non-conformista. Egli è più facile a placarsi grazie ai rituali di espiazione. Non si può mettere in dubbio che il rituale del cattolicesimo Romano assorba e renda innocuo un bel po' di potenziali nevrosi tra i suoi aderenti. Ciò è provato dal fatto che la nevrosi ossessiva, così specificamente connessa con gli atti ed i pensieri ritualistici, è di gran lunga meno comune tra i cattolici Romani che tra i Protestanti.

D'altra parte la natura di una religione può risultare specialmente tendente alla nevrosi.  Questo è vero per le più puritane fedi Protestanti. Più dura e inibente è la fede, più il suo Dio è correlato a (una funzione di) retribuzione ed al fuoco dell'inferno, più ci si deve aspettare la nevrosi tra i suoi aderenti. Ciò è particolarmente vero per certe sette come i Fratelli di Plymouth ed i Battisti. I Metodisti ed i Presbiteriani sono anche loro nel complesso soggetti a disturbi nevrotici più dei loro confratelli Romani.

XII  VALUTAZIONE (DELLE TEORIE) DI FREUD

 

Fosse Freud nato Buddista, egli avrebbe potuto ancora stabilire gli ampi principi della teoria psicoanalitica e forse con ancora maggiore accuratezza, ma non avrebbe potuto sviluppare le tesi sulla religione come sono espresse nell'Avvenire di un'Illusione.

L'individuo con il seme della ribellione dentro  non può reagire efficacemente contro uno spirito universale posto dentro se stesso come anche nel tempo e nello spazio. In più c'è un relativamente piccolo incitamento alla rivolta contro sistemi religiosi e filosofici, come l'Induismo ed il Buddismo, che insistono sul fatto che il destino dell'uomo è in misura così grande nelle proprie mani piuttosto che  suscettibile di essere deciso dal giudizio di un Dio che tutto vede. E' significativo che le comunità induiste e buddiste, mentre possono contenere molti che sono indifferenti all'influenze della loro religione, non producono degli atei militanti e degli anticlericali che sono un carattere così distintivo della scena europea. Se l'Est verrà occidentalizzato, questa deplorevole mancanza dovrebbe essere adeguatamente corretta.

Come la grande maggioranza dell'umanità, Freud era vulnerabile rispetto al fatto che le proprie capacità di ragionamento potessero essere viziate  da riposti risentimenti e fattori emotivi su cui egli avesse un controllo inadeguato. Il fatto che egli fosse il padre della psicoanalisi non ci dà alcuna ragione di prestargli fede con la più piena comprensione delle motivazioni che governavano la sua vita. E' possibile che solo un nevrotico possa aver prodotto le brillanti, fertili ma talora erronee teorie della psicoanalisi. La vulnerabilità di Freud è rivelata nella sua venerazione considerevolmente naif  per ciò che egli chiamava la scienza. Sembra che egli fosse stato del tutto onesto, a livello conscio. Nessuno può chiedere di più ad un uomo. Ma forse egli non poteva apprezzare in pieno il grado con cui il suo atteggiamento anti-religioso fosse determinato da fattori nevrotici allo stesso modo in cui essi fossero implicati nelle preoccupazioni religiose degli altri. Che egli fosse un grande uomo non si può negare. Che egli fosse adatto a parlare con autorità sui temi della religione è questione aperta. Egli sembra non essersi mai reso conto, contro l'evidenza di secoli, che c'è una realtà di esperienza religiosa diversa dal compromesso psicopatologico della religione molto ben organizzata.

 

XIV. RIASSUNTO DEGLI ERRORI NELLA SPIEGAZIONE PSICOANALITICA DELLA RELIGIONE.

 

Si potrebbe obiettare che nel considerare il punto di vista psicoanalitico sulla religione io abbia considerato in maniera troppo esclusiva le teorie di Freud. Certamente Jung ha molto da dire sul tema della religione.

Le sue tesi sono in disaccordo con quelle di Freud. Ma non si può mettere in dubbio che i principi di Freud forniscano le fondamenta della teoria psicoanalitica ed anche l'originale dissezione della religione secondo linee analitiche. Nonostante i contributi di Jung alla conoscenza, non si può  invocare a suo favore che, eccetto per il concetto di inconscio razziale, egli abbia delineato alcuno dei fondamentali meccanismi della mente nel modo in cui oggi li comprende la moderna psichiatria. La dottrina dell'inconscio, i meccanismi della rimozione e della sublimazione, e la modalità di origine delle fobie e delle ossessioni fanno tutti parte del lavoro di Freud. Se si parla di visione psicoanalitica della religione, ci si riferisce, quasi per il purista, all'insegnamento del maestro viennese. Per tale motivo di questa tesi si può essere giustificati a limitarsi alle teorie basilari di quest'ultimo.

Penso che sia corretto dire, riassumendo, che le tesi psicoanalitiche sulla religione non possano essere considerate come provate. Esse si applicano,  spesso con infallibile evidenza, tutt'al più alla struttura della religione organizzata nella civiltà occidentale. Immagino che la loro applicazione alla religione ebraica sia valida almeno nella stessa misura, ma la mia conoscenza di questa fede è insufficiente a consentirmi di fare dogmi. Ogni religione organizzata è pervasa in tutti i modi di teorie ancestrali, tradizionali e razziali, e penso che saremmo più saggi se parlassimo con meno sicurezza di ciò che non ci appartiene. Ma persino dentro l'orbita delle nostre fedi occidentali Freud è una guida incerta. Le sue spiegazioni si applicano a coloro per cui la religione è un'eredità tradizionale e rassicurante che essi accettano senza molte domande riguardo alla sua natura e senza molta auto-analisi. Le sue teorie inoltre tengono conto delle preoccupazioni e dell'osservanza di coloro per cui la religione organizzata è un'efficace soluzione per i propri problemi emotivi. Ma tutto ciò è semplicemente evitare la questione. Tali soggetti sono quelli per cui la religione è una consolazione, ma  in realtà essi sono essenzialmente irreligiosi. Può  anche darsi che le chiese servano secondo le loro migliori intenzioni come (istituzioni) che ricordano a chi è naturalmente non-spirituale che esistono dei valori più alti. Quello che Freud sta realmente dicendo è che la religione è basata sull'insicurezza poiché essa è per l'insicuro.  La sua ipotesi non spiega le reazioni di coloro che o dentro o fuori i confini della religione sono alla ricerca della presenza di Dio e di raggiungere la Unità con Lui. Naturalmente, per il freudiano convinto, più la persona è veramente religiosa e più essa è vittima dell'illusione. Il lettore deve valutare l'evidenza da sé. Allo stesso tempo si dovrebbe avvertirlo di guardarsi da tutti i sistemi intellettuali che spiegano tutto in modo troppo lineare. L'ipotesi freudiana pretende quasi un'infallibilità papale sul conto delle sue conseguenze scientifiche. La mente umana non è un computer e la matematica è, dopo tutto, non una forma di verità ma lo ultimo grado di astrazione.

Infine, c'è un'altra importante debolezza nel sistema freudiano e consiste nel fatto che esso non accordi un adeguato riconoscimento all'effetto sull'individuo da parte del clima sociologico e filosofico prevalente. Quaranta anni fa i pazienti affetti da paralisi generale solitamente manifestavano una fase di grandiosità e di felicità fatua in cui essi si atteggiavano come se fossero i signori del creato. Questa condizione desiderabile era seguita da un insieme di circostanze meno fortunate in cui il paziente era descritto come sconcio, indementito e dannato. Nelle ultime quattro decadi la fase della grandiosità è andata scomparendo e l'umanità ha dovuto soddisfarsi con il  povero scambio con la depressione e la crescente demenza. Ancora, negli anni dopo la guerra il numero di casi di depressione grave non psicotica è andato aumentando enormemente. Si può ignorare il suggerimento che le circostanze dolorose e cruciali in cui viviamo possano essere correlate all'incremento  numerico dei disturbi depressivi ed all'enfasi sui fattori depressivi negli altri? Freud insistette molto giustamente sul fatto che le tempeste interne all'uomo creino il clima in cui egli vive, ma  riconobbe adeguatamente l'effetto su di lui dell'impatto dell'atmosfera complessiva così creata? Menziono questo fattore specialmente in relazione alle sue osservazioni sulla religione. Non si può negare che egli fallì nel vedere che, mentre il clima del Cristianesimo ortodosso può essere particolarmente favorente la nevrosi, quello delle religioni dell'Estremo Oriente non abbia analogo effetto. 

 

 

 

Note dell'autore:

(3) C'è una certa quantità di prove per cui un meccanismo contrario è al lavoro in certe malattie organiche del sistema nervoso, per cui la natura preesistente dell'individuo può influenzare il tipo di malattia manifestata. Data una infezione sifilitica del sistema nervoso i tipi estroversi fisicamente brevilinei sono più soggetti alla paralisi generale rispetto ai loro confratelli più introversi e longilinei, i quali, per la maggior parte, optano per l'atassia locomotoria.

 

 

 

 

.

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All right reserved 2004-2005-2006