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 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

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Autobiografie dell'inconscio.

Numero 11, anno VI, gennaio 2009

 

  " PSICOANALISI: PRINCIPI, PARTIGIANERIA ED EVOLUZIONE PERSONALE"

 

 

 

 

 

 di Otto F. Kernberg

 

 

 

 


  Foto: Otto Kernberg

 

 Otto Kernberg è direttore dell'Istituto per i Disturbi di Personalità, presso la Divisione "Westchester" del "New York Presbyterian Hospital", ed è Professore di Psichiatria presso il "Joan e Sanford I. Weill Medical College" della "Cornell University". Inoltre è psicoanalista di training e supervisore al "Columbia University Center for Psychoanalytic Training and Research".

Il testo contenuto in questa pagina contiene la prima parte dell'articolo originale, che nella sua completezza verrà pubblicato all'interno del libro "La psicoanalisi e i suoi confini". La traduzione dall'inglese in italiano è di Giuseppe Leo.

        Da qualche parte, durante la mia adolescenza, trovai per caso un'affermazione in una rivista letteraria francese, che diceva <<La verità, più che l'affermazione partigiana>>, la quale , per qualche ragione, lasciò un profondo impatto su di me che durò per anni. Essa mi ritorna ogni qual volta avverto un conflitto tra il desiderio di rimanere in armonia con persone il cui pensiero è vicino al mio, e quello che provo con coloro con cui, al contempo, sono in disaccordo su qualche punto importante. Tale conflitto si gioca, credo, in tutte le discipline scientifiche soggette a rapidi cambiamenti, con teorie alternative e tra loro in conflitto e con difensori o sfidanti che le hanno investite con una forte emotività. E' stata certamente l'esperienza all'interno del mio campo, quello della psicoanalisi, e non penso che questo sia specifico delle tendenze della psicoanalisi: comunque voglio parlare delle mie esperienze nell'ambito del mio contesto professionale. Sono uno psichiatra e si potrebbe considerare la psicoanalisi come una sotto-specialità di questa disciplina: questa, almeno, è una tendenza dominante negli Stati Uniti, dove la psichiatria psicodinamica riflette l'influenza della psicoanalisi in questo campo. La psicoanalisi, comunque, richiede forti motivazioni, e questo è certamente accaduto nella mia vita. Ora voglio esplorare i miei conflitti tra verità e partigianeria nello sforzo di far chiarezza in aree della teoria e della tecnica psicoanalitica.

Mi sono formato in medicina ed in psichiatria a Santiago, in Cile, sotto la direzione del Professore Ignacio Matte-Blanco, un grande psicoanalista e psichiatra che portò la psicoanalisi in Cile, che da solo fece progredire in quel paese un istituto ed una società di psicoanalisi. In qualità di titolare della cattedra del Dipartimento di Psichiatria all'Università di Santiago del Cile dagli ultimi anni '40 agli anni '60 egli divenne un pioniere della moderna psichiatria psicodinamica.

Foto: Ignacio Matte-Blanco

           

 Fu il suo insegnamento pieno di ispirazione a determinare la mia decisione di diventare psichiatra e psicoanalista. Matte-Blanco insisteva sul bisogno di mantenere una posizione indipendente ed oggettiva riguardo alle controversie scientifiche, di non venire influenzati da pressioni da parte di gruppi, ma di rimanere attenti alle evidenze scientifiche. Egli ci insegnò a non diventare imprigionati dalle proprie idee e di essere aperti sempre alle sfide lanciate ad esse.

Precoci influenze nella mia vita avevano contribuito al mio ingresso nel campo della psichiatria. Mio zio, Manfred Sackel, aveva scoperto il trattamento insulinico per la schizofrenia negli anni '30; egli fu una persona importante, influente e che ispirava rispetto nella mia infanzia e che era molto rispettoso, a sua volta, delle esperienze dei bambini.

  Foto: Manfred Sakel

 

Dopo essere emigrato da Vienna a Valparaiso in Cile, durante la mia adolescenza, finii sotto l'influenza della dottoressa Ilse Wittenberg, una psicologa adleriana, e di Juan Aufrichitig, uno dei primi leader del movimento giovanile tedesco. Entrambi facevano parte della piccola comunità degli immigrati ebrei tedeschi a Valparaiso. Juan Aufrichitig era stato analizzato da un analista junghiano di Berlino ed era molto interessato alla teoria junghiana.

Il Professor Ignacio Matte-Blanco, con il suo vasto retroterra culturale sia nella psichiatria descrittiva tedesca che in quella anglo-sassone, da una parte, e dall'altra nelle scuole psicoanalitiche britanniche in cui si era formato a Londra, mi offrì un immenso orizzonte professionale e concettuale, comprendente prospettive filosofiche, biologiche e fenomenologiche, entro cui ero avido di orientarmi. Nell'Istituto dell'Associazione Cilena di Psicoanalisi in cui divenni candidato nel 1953, c'era all'inizio una predominanza dell'orientamento del "gruppo di mezzo" britannico che rifletteva il retroterra formativo di Matte-Blanco. Nel corso della mia formazione, comunque, sotto la crescente influenza della psicoanalisi argentina (all'epoca di gran lunga l'influenza predominante in psicoanalisi nell'America Latina), l'Istituto Cileno divenne sempre più kleiniano e, al tempo in cui mi laureai, era praticamente un istituto kleiniano. L'ambivalenza non completamente risolta degli allievi più vicini a Matte-Blanco nei suoi confronti probabilmente contribuì a far orientare  da parte loro l'istituto in una direzione più chiaramente kleiniana: c'era una qualche forma di critica implicita al fatto che Matte Blanco "non si impegnava completamente" in tale orientamento. Di fatto, Matte Blanco aveva sollevato questioni importanti riguardanti aree generali delle formulazioni psicoanalitiche che concernevano la natura dell'inconscio dinamico, degli affetti, e delle pulsioni, che egli credeva fossero ancora non sufficientemente esplorate. Egli aveva anche sviluppato un'originale teoria sul pensiero "bi-logico" come caratteristica dell'inconscio dinamico, una teoria che aveva successivamente ampliato in una teoria più generale dello sviluppo affettivo come parte dello sviluppo dell'inconscio dinamico. Egli era interessato nell'integrare varie teorie, e nel farle sviluppare ancora.

Fu allora che iniziai ad avere qualche problema professionale: verso il completamento del mio internato psichiatrico, dato il mio interesse per la psicoterapia dei pazienti psicotici, ero partito con lo studiare le esperienze dell'equipe del Chestnut Lodge, in particolare di Frieda Fromm-Reichmann, ed il lavoro di Lewis Hill allo Shepard Pratt, e volevo imparare di più su questo approccio. Ma, per quanto questi autori ed ospedali specializzati nell'area di Baltimora/Washington rappresentassero l'approccio americano " culturalista" alla psicoanalisi, non c'era molto interesse nei loro confronti da parte del gruppo psicoanalitico cileno. C'era persino un interesse ancora minore nei confronti dell'intenso sviluppo dell'approccio della Psicologia dell'Io negli U.S.A. che, verso la fine della mia formazione, era praticamente ignorato all'Istituto Cileno. L'opportunità di ottenere una borsa di studio da parte della Rockfeller Foundation per studiare la  ricerca nel campo della psicoterapia col Professor Jerome Frank al  John Hopkins, e psicoterapia della psicosi con il Professor John Whitehorn (allora titolare di cattedra al Dipartimento di Psichiatria al John Hopkins) suscitò in me il desiderio di utilizzare quel periodo di tempo negli U.S.A. per imparare qualcosa su approcci psicoanalitici alternativi prima di impegnarmi in modo definitivo in ciò che trovavo veramente di maggior aiuto da un punto di vista clinica all'epoca, e cioè l'approccio kleiniano all'analisi del transfert. Accettai la borsa di studio negli Stati Uniti da parte della Fondazione Rockfeller all'ospedale "John Hopkins" dal 1959 al 1960.

Mentre ero a Baltimora, mi registrai in qualità di studente ospite all'Istituto Psicoanalitico di Baltimora, un istituto basato sulla tradizione della Psicologia dell'Io, al fine di poter confrontare e discutere l'orientamento kleiniano con un gruppo che aveva una modalità completamente differente di guardare alla psicoanalisi. Ero impressionato dal livello di estraneità - per non dire antagonismo - con cui gli altri studenti ed i docenti rispondevano alla  presentazione entusiastica delle mie conoscenze kleiniane. Mi resi conto che, mentre la recente letteratura sulla psicologia dell'Io era stata praticamente ignorata in Cile, il reciproco atteggiamento si era verificato nell'istituto di Baltimora, e, come appresi, in tutti gli Stati Uniti, nella completa ignoranza della letteratura kleiniana di quel tempo. Sperimentai, come parte dello shock culturale del mio primo soggiorno negli Stati Uniti,  l'esistenza di barriere capaci semplicemente di sbalordirmi tra approcci psicoanalitici differenti.

Capii a poco a poco che quello fosse l'esito delle "discussioni controverse" a Londra, e di quello che veniva ironicamente indicato come la divisione delle "colonie del nuovo mondo" in un territorio di "Anna Freud", e cioè gli Stati Uniti ed in qualche modo il Messico, ed un territorio di "Melanie Klein", ossia il resto dell'America Latina, comprese alcune incursioni in Messico. Una "battaglia" che continuava ancora a non essere risolta tra le influenze delle scuole britanniche,  la psicologia dell'Io americana e persino la psicoanalisi francese si stava svolgendo in Canada. Il dottor Lawrence Kubie, uno dei più prestigiosi psicoanalisti negli Stati Uniti, era il direttore del training residenziale allo Sheppard Pratt quell'anno. Mi avvertì, per la prima volta, dell'importanza di una diagnosi strutturale, in contrapposizione ad una psicodinamica, e le influenze combinate del Professor Whitehorn e del dottor Kubie mi aiutarono a modellare il mio approccio alla valutazione diagnostica di pazienti con gravi disturbi di personalità.

Dato che stavo stabilendo contatti professionali col dottor Otto Will ed avevo visitato il Chestnut Lodge, diventai anche consapevole dei conflitti tra psicoanalisi culturalista, da un lato, e psicologia dell'Io, dall'altro, cosa che si aggiunse ai miei problemi. Ero impressionato dall'uso dell'analisi del  controtransfert come un importante contributo all'approccio del Chestnut Lodge, in contrasto con la relativa noncuranza, all'epoca, per questa area da parte degli autori della psicologia dell'io. I fondamentali contributi di Heinrich Racker in Argentina al controtransfert negli anni '50 praticamente vennero recepiti nella psicologia dell'io americana solo negli anni '70; il suo lavorare all'interno di un approccio kleiniano chiaramente influenzò il lungo ritardo di questa integrazione negli Stati Uniti. Parlando più in generale, divenni consapevole dell'esistenza di "partiti" rigidi e che la divisione del campo evitasse una mutua fecondazione  ed il progresso in psicoanalisi.

Ritornando in Cile, nel 1960, ero già divenuto più cauto e non insistetti per nulla nel convincere i miei colleghi kleiniani circa la possibilità che qualche aspetto della psicologia dell'io, in particolare l'evoluzione dell'analisi del carattere, potesse essere proficuamente integrata con l'approccio kleiniano. Ero particolarmente impressionato dall'importanza dei contributi di Otto Fenichel alla tecnica psicoanalitica.

Foto: Otto Fenichel

A Baltimora lavorai nel progetto di ricerca in psicoterapia del dottor Jerome Frank con una equipe di ricercatori impegnati nello studiare i fattori specifici e non specifici che determinano gli esiti della psicoterapia ed i determinanti dell'effetto placebo. Questo mi diede una prima esperienza riguardante le possibilità di fare ricerca empirica sulla efficacia degli interventi psicoterapeutici psicoanalitici, e l'entusiasmo nello studiare le relazioni tra processo psicoterapeutico ed esiti. Ciò mi ispirò a sviluppare un progetto di ricerca sui disturbi d'ansia, mettendo a confronto la terapia di gruppo, la psicofarmacologia e la risposta al placebo, al mio ritorno a Santiago, al Dipartimento di Psichiatria dell'Università del Cile, con un gruppo di colleghi entusiastici.

Ma mi resi anche conto di quanto questo sforzo di ricerca empirica non fosse accolto a braccia aperte dalla comunità psicoanalitica. Ero in grado di percepire, a quel tempo, una certa riluttanza o sospetto nei confronti della ricerca empirica, come se per qualche ragione essa potesse minacciare l'impresa psicoanalitica. Ad ogni modo, ero stato contaminato dall'entusiasmo americano per la ricerca empirica in psicoterapia e, dopo essere tornato in Cile per sviluppare quel tipo di lavoro, mi accorsi che avrei avuto enormi difficoltà lì. Provai nostalgia di lavorare all'interno di una equipe americana di ricercatori esperti. Ricevetti un invito da parte del Progetto di Ricerca in Psicoterapia della Fondazione Menninger, diretta all'epoca dal dottor Robert Wallerstein. Decisi nel 1961 di ritornare negli Stati Uniti, di andare alla Fondazione Menninger allo scopo di partecipare al loro progetto di ricerca sulla psicoterapia e di accumulare ulteriore esperienza più in profondità nella psicologia dell'io americana: la Fondazione Menninger era uno dei centri all'avanguardia della psicologia dell'io americana all'epoca. La mia analisi personale, all'istituto cileno di psicoanalisi, aveva incluso una prima esperienza analitica con il dottor Carlos Whiting, un analista di training che era anche uno psicoterapeuta di orientamento psicoanalitico di tutto riguardo, ed una seconda esperienza analitica con il dottor Ramòn Gonzaraìn, un analista di training che dava un importante contributo alla psicoterapia psicoanalitica di gruppo ed all'analisi delle organizzazioni: i loro particolari interessi influenzarono in seguito i miei interessi professionali.

Cominciai a lavorare come psichiatra ospedaliero al "C.F. Menninger Memorial Hospital", partecipai alla valutazione del materiale clinico del progetto di ricerca in psicoterapia e, essendomi diplomato nel 1961 all'Istituto Cileno Psicoanalitico (prima di ritornare negli Stati Uniti), iniziai a trattare pazienti in analisi. Ero felice di avere un'ulteriore supervisione da parte del dottor Herman van der Waals, il direttore all'epoca del Menninger Hospital, e del dottor Ernst Ticho, il direttore del Servizio di Psicoterapia della Fondazione Menninger, un analista di training di spicco dell'Istituto Psicoanalitico di Topeka, cui era affidato il training di psicoterapia alla "Menninger School of Psychiatry". Di fatto, Ernst Ticho mi mise a disposizione una conoscenza della psicoterapia psicoanalitica che sopravanzava di gran lunga quella che io ero stato capace di apprendere come parte implicita del mio training psicoanalitico e del mio training psichiatrico in Cile. Allo stesso tempo, bisogna dire che il mio training psichiatrico in Cile sotto l'influenza di Matte-Blanco era di una tale qualità che io sperimentai paragonabile a quello dei migliori trainings dei Dipartimenti di Psichiatria degli Stati Uniti che io avevo visitato all'epoca della mia borsa di studio (Rockfeller Fellowship), non solo nell'area della psicopatologia, ma anche riguardo all'importanza della psichiatria descrittiva e fenomenologica nella valutazione diagnostica dei pazienti.

Negli anni '50 e '60, sotto l'influenza della psicoanalisi sulla psichiatria psicodinamica, c'era una tendenza negli Stati Uniti ad una relativa scarsa attenzione nei confronti della psichiatria descrittiva, enfatizzata solo in seguito dalla psichiatria biologica. Di fatto, in modo implicito, sia la psichiatria psicodinamica ad orientamento psicoanalitico sia l'approccio basato sulla psichiatria di comunità, che divenne preminente negli anni '60 e '70, tendevano a trascurare la psichiatria descrittiva, in stridente contrasto con la psichiatria biologica. Ignacio Matte-Blanco, al contrario, era un docente entusiasta della classica psichiatria descrittiva tedesca. Sotto la sua influenza, la fenomenologia della malattia psichiatrica era un aspetto fondamentale del training residenziale, che mi aiutò enormemente negli anni successivi a definire la sintomatologia e a dare un contributo alla comprensione della psicopatologia dell'organizzazione borderline di personalità. In breve, mi sentii davvero ben preparato nella psichiatria generale quando arrivai alla Fondazione Menninger. Ciò mi fu lì riconosciuto, ed ebbi il sentimento di essere rispettato come psichiatra ospedaliero sin dall'inizio.

Ebbi un'esperienza divertente nel mio primo incontro di supervisione con il dottor Ernst Ticho. Gli presentai il materiale di uno dei pazienti la cui analisi avevo iniziato a Topeka, e dopo poco il dottor Ticho mi interruppe per dirmi: <<Ma questa è tutta roba kleiniana!>>. Lo guardai e gli dissi, in tono di scusa, <<Lei ha assolutamente ragione, dottor Ticho>>. <<Posso solo presentarle il materiale nel modo in cui mi è stato insegnato, altrimenti non sarebbe onesto e, dopo tutto, sono qui perché vorrei imparare approcci nuovi ed alternativi>>. A sua volta, egli mi rivolse lo sguardo e, dopo poco disse, con un sorriso stupefatto <<Lei ha un punto di partenza. Perché non va avanti?>>. Andai avanti, e questo fu l'inizio di una lunga amicizia che finì solo con la morte di Ernst Ticho nel 1966. Egli era di quelle persone molto dotate capaci non solo di tollerare differenti punti di vista, ma anche di integrarli e di svilupparli nei propri processi di pensiero. Devo a lui davvero molto circa quello che so sulla psicoterapia, e questo mi permise in seguito di sviluppare la mia tecnica di psicoterapia psicoanalitica.

Ero anche contento di far parte dell'equipe di ricerca in psicoterapia che, sotto l'ispirata direzione del dottor Robert Wallerstein, aveva sviluppato un enorme spirito di lavoro e di cameratismo. Il dottor Wallerstein era già, all'epoca, una personalità di spicco della psicoanalisi americana, un pioniere nella ricerca empirica sul processo e l'esito delle modalità di trattamento psicoanalitico, il quale era stato capace di guidare con successo per molti anni il progetto di ricerca in psicoterapia della Fondazione Menninger. L'ambiente di ricerca che egli creò all'interno dell'ampio gruppo di ricerca era stimolante e supportivo, e mi fornì un ricco materiale sul trattamento psicoterapico psicoanalitico a lungo termine di 42 pazienti. Ogni seduta di quei trattamenti era stata trascritta e dattiloscritta, ed il materiale del trattamento di ciascun paziente aveva una qualità di profondità e completezza che si prestava ad  analizzare in gran dettaglio il processo terapeutico e la sua relazione col cambiamento dei pazienti.  Era una miniera d'oro di informazioni, che mi permise di sviluppare il mio lavoro sull'organizzazione borderline di personalità, di comprendere la psicopatologia di questi pazienti, le loro reazioni agli interventi interpretativi, le strategie di trattamento che sembravano proficue o meno o persino potenzialmente dannose. Essa determinò in maniera definitiva la direzione del mio futuro lavoro di ricerca, ed il sostegno personale di Robert Wallerstein fu per me assolutamente essenziale in questo sviluppo.

Lo misi al corrente delle mie difficoltà nello scrivere, un'inibizione che già mi ero diagnosticato prima di arrivare negli Stati Uniti, e Bob Wallerstein mi aiutò a risolverla con un consiglio apparentemente semplice che si dimostrò enormemente proficuo. Mi suggerì di scrivere una  brutta copia "numero 0" per ogni articolo, di dettarlo alla mia macchina  "Wollensack" (il primo grande registratore di nastri audio allora disponibile), con la ferma decisione di non mostrarlo mai a nessuno, e di buttarlo via se non mi piaceva. Ciò che era implicito era che questa "bozza numero 0"  mi avrebbe dato la libertà di dire quello che volevo dire senza distruggerlo prematuramente con un atteggiamento di eccessiva autocritica. Mi suggerì, qualora avessi trovato qualcosa "degno di essere salvato" nella "bozza 0", che allora avrei potuto dettare una bozza "numero 1" sulla base di ciò che sentivo ci doveva stare, e quindi di attingere da lì. Fu un consiglio di enorme aiuto; ed io cominciai a scrivere i miei articoli sui pazienti borderline nei pochi anni successivi. La relazione personale e professionale con Bob Wallerstein si è ora estesa a più di 40 anni, e ha incluso  il lavorare insieme sia su aspetti teorici e clinici sia nel contesto delle nostre funzioni organizzative nell'"International Psychoanalytic Association".

Un altro aspetto dinamico alla Fondazione Menninger era la relazione tra l'istituto psicoanalitico e l'ospedale Menninger. In termini molto semplificati, si potrebbe dire  che gli psicoanalisti pensavano che gli psichiatri ospedalieri fossero "troppo orientati sul comportamento, pratici e meccanici", mentre gli psichiatri ospedalieri pensavano che gli psicoanalisti erano "troppo ingenui nel gestire gli acting out dei pazienti, ed incapaci di stabilire la struttura ed i limiti che qualcuno di questi pazienti richiede". Era una dinamica estremamente interessante. Mi trovai tirato tra l'"ideologia" di questi due gruppi; ma, alla fine, con un senso di gratitudine, perché avevo imparato da entrambi. E, lo confesso, ero un po' autocompiaciuto per esser stato capace, per la maggior parte del tempo, di non essere restato in trincea in quelle battaglie.

Comunque, entrai in un serio conflitto riguardo ad una mia paziente ricoverata in ospedale, che presentava un significativo comportamento antisociale, ed era allo stesso tempo in trattamento psicoanalitico. Lo psicoanalista che la trattava ignorava quel comportamento antisociale, di cui gli avevo fatto comunicazione, e respinse la mia informazione indignandosi, come se avessi invaso il suo spazio terapeutico. Mi accusò di indebita interferenza nel suo trattamento (ero lo psichiatra ospedaliero di riferimento per quella paziente) nientedimeno che di fronte al direttore dell'ospedale, il dottor Hermann van der Waals, che supervisionava questo caso, e che a sua volta mi rimproverò. Rispettosamente ebbi ad insistere che ero al corrente che questa paziente stesse minando il suo trattamento. Alla fine, tristemente, mi si diede ragione, quando la paziente interruppe il trattamento in condizioni molto complesse e turbolente. Ciò dice qualcosa sul conto del dottor van der Waals che riconobbe in ritardo che io avevo ragione ... e divenne l'inizio di un'altra stretta amicizia. Il dottor Van der Waals sostenne il mio passaggio a direttore del Menninger Memorial Hospital, dopo il suo pensionamento, ed io mantenni questa posizione dal 1969 al 1973, quando andai via da New York.

  Foto: Otto Kernberg, insieme ad A. Lasa, durante la commemorazione di Pauline Kernberg, avvenuta al Convegno dell'A.E.P.E.A. tenutosi nel giugno 2007 a Lugano. Clicca qui per visualizzare il video

 

Fu nel contesto di questa amicizia che il dottor van der Waals mi invitò a lavorare con lui sul tema del narcisismo, a cui aveva già dato dei contributi significativi. Fu sotto i suoi stimoli che riuscii a sviluppare il mio contributo all'analisi descrittiva, alla psicopatologia ed alla tecnica psicoanalitica rivolta ai pazienti narcisistici.

La più importante differenza culturale che trovai nella mia vita professionale a Topeka, in Kansas, in confronto a Santiago del Cile, doveva avere a che fare con quanto io avevo sperimentato come un'atmosfera autoritaria nell'istituto psicoanalitico rispetto a quella rilassata ed informale che avvertivo quando ero stato in training all'istituto cileno.  La Fondazione Menninger era guidata in quegli anni dal regime ispirato, ma patriarcale di Karl Menninger. La sua qualità autoritaria si rifletteva nella timorosità dei candidati nel presentare i casi ai loro supervisori, una riluttanza degli studenti a discutere con i docenti durante i seminari psicoanalitici, e in quello che in seguito sarei stato capace di descrivere come una combinazione di idealizzazione degli insegnanti da parte loro, di prevalente ideologia psicoanalitica con svalutazione e sospettosità nei confronti degli analisti di spicco di diversi orientamenti teorici.

In seguito trovai che questa tendenza autoritaria non era unico appannaggio dell'istituto psicoanalitico di Topeka, e che, al contrario, fosse una caratteristica davvero prevalente degli istituti psicoanalitici in tutte e tre le regioni della comunità psicoanalitica internazionale. L'autoritarismo, conclusi, era inerente alla struttura della corrente educazione psicoanalitica. Ma, durante quegli anni, non ero ancora consapevole di questo problema generale, tranne il fatto che ero rattristato del fatto di aver perso l'atmosfera rilassata del Cile. Alla fine, non osavo persino parlare delle mie esperienze nell'istituto cileno, poiché pensavo che, all'interno di quell'atmosfera puritana del Midwest, e a motivo delle censure dell'atmosfera psicoanalitica a Topeka, la natura informale della struttura educativa a Santiago potesse essere davvero sospetta. Stavo pensando, in particolare, a quelle serate stimolanti in cui, a tarda notte, dopo la fine dei seminari, il nostro gruppo di candidati andava al locale ristorante di Plaza Italia, a bere "pisco sour" fino a notte tarda, discutendo la teoria freudiana... Ma, in tutta onestà, una tale atmosfera autoritaria finì per svilupparsi anche in Cile, in anni successivi, come riuscii ad osservare durante le mie visite negli anni '80. Col senno di poi, capii che ero stato privilegiato ad essere un candidato nei primi tempi di un istituto psicoanalitico, prima del consolidamento della struttura autoritaria che caratterizza gli istituti psicoanalitici negli  anni successivi.

Il fatto che io provenissi da una formazione "kleiniana" continuava ad accompagnarmi come un'ombra nel corso delle mie prime interazioni, non solo alla Fondazione Menninger, ma anche in anni successivi, nella mia vita nell'American Psychoanalytic Association (A.P.A.). Non sono mai stato considerato un "kleiniano" da parte degli stessi kleiniani britannici i quali, in particolare in quegli anni, restrinsero questo appellativo a coloro che erano stati analizzati dalla stessa Melanie Klein.

 

 

 

 (Fine prima parte - La versione integrale dell'articolo verrà pubblicata nel libro "LA PSICOANALISI E I SUOI CONFINI")

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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