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Nell’affrontare
questo ambizioso tema del
materno laico,
seguirò il cammino classico della passione materna, ma senza
dimenticare la parola "laico.”
Così
formulato, il mio pensiero andrà
a incrociare
almeno quattro questioni socio-politiche
che riguardano la psicoanalisi.
Pur dolendomi che i miei pensieri forse non apporteranno a
queste questioni alcun
vantaggio, tuttavia
spero che servano
almeno a chiarirle.
-
1. Le scienze della vita e l’ostetricia
si stanno
impadronendo ogni giorno un po' di più dell'enigma della
gestazione che in precedenza,
per il fatto stesso di essere un
enigma, ha conferito
alla madre sia un potere sia un
rifiuto angosciato e rivendicativo di questo potere.
Eppure,
malgrado o a
causa della nostra gestione tecnica della gestazione
oggi, la fertilità femminile e il periodo della gravidanza
costituiscono ancora non solo un polo di fascino immaginario
nelle nostre democrazie d"opinione", ma anche un rifugio del
“sacro”.
In
realtà, ascoltando il
bisogno di credere moderno,
l’”al di là” non
sembra essere più sopra le nostre teste, ma nel grembo
materno. Essere madre oggi non ci mette forse a confronto
con la sopravvivenza di
un sentimento religioso che, rinchiuso nel campo delle biotecnologie,
ha perso la sua protezione morale,
ma non le sue paradisiache speranze?
Se il giudaismo da un lato, le filosofie cinesi dall’altro,
con valori quali la “procreazione" e la "famiglia",
sembrano ben attrezzati a
fare fronte all'assalto
di questa
religiosità vitalista a
tutti i costi, che ne è
dei modelli proposti dalla secolarizzazione?
-
2. Parallelamente, le
difficoltà della presa
in carico economico e personale della neotenia
convocano la solidarietà nazionale,
sempre in discussione: che
ogni bambino sia concepito da due genitori o sia premio solo
per il terzo, il
dibattito è ancor più rilevante. Essere
madre oggi, ci pone a confronto
con l'imbarazzo della globalizzazione - forse
con la sua incapacità di risolvere
politicamente la
questione cruciale della procreazione della specie umana.
-
3. Nella mia
esperienza come presidente del Consiglio
Nazionale Handicap ho incontrato
molte "madri
coraggio": madri di bambini
portatori di handicap, di bambini in difficoltà,
con insuccesso scolastico, con mancanza di socializzazione. Tutti
sanno che di solito
sono queste le madri che si "assumono" e "
assicurano" la
prima linea. Per quanto abbattuta sia, una madre di un bambino al
limite o differente,
resta comunque una combattente.
-
Lei non si dispererà se
non per un limite
estremo: quello "dopo la sua morte". "Che cosa succederà
dopo la mia morte?"
-
Finché è viva, la madre è lì per garantire la vita,
al meglio, qualsiasi siano i limiti... E poiché la tanto
celebrata "crisi dei
valori" che stiamo attraversando,
a quanto pare, non non ne
salva che uno, che comporta
apparentemente l’adesione
generale al valore "vita", le madri coraggio sembrano oggi
la pietra angolare di una civiltà che non ha
più punti di
riferimento.
-
4. Infine, l'attualità francese, così come
quella mondiale, ci mette di
fronte alla criminalità materna: la pedofilia, anche se più rara presso le
donne, non risparmia la madre, ma anche gli abusi vari sui minori , infanticidi, "baby congelati",
ecc.. In questi dinieghi della
gravidanza e della maternità si
profila una catastrofe banalizzata
della "relazione oggettuale", delle madri
apparentemente socializzate "senza problemi": una
banalizzazione della perversione e
della psicosi, che la maternità non
'perlabora' né sublima, ma,
al contrario, tende o a nascondere o a
stimolare.
Nel
contesto che ho delineato a grandi linee, attraverso questi quattro
temi, rimane un posto
vacante, quello di una riflessione sulla passione materna.
Dopo
Freud e Lacan , la psicoanalisi si
è molto occupata della
"funzione paterna": la sua necessità, i suoi
fallimenti, i suoi sostituti e così via. I filosofi e gli psicologi
sembrano meno ispirati dalla "funzione materna", forse perché
non è una funzione, ma, in particolare, una passione. Il termine "madre
sufficientemente buona" proposto da Winnicott, che si è
spinto in modo
assai diverso da Freud in questo universo,
corre tuttavia il rischio
di evitare la
violenza passionale dell’esperienza materna... I lavori di André
Green hanno
approfondito la questione della "madre pazza",
così come quelli di molti colleghi - Ilse Barande, Florence
Guignard, Jacqueline Schaeffer, senza
dimenticare Janine Chasseguet-Smirgel -
che vi si sono dedicati, ma è chiaro che, paradossalmente, anche se si celebra il 150 ° anniversario della nascita di
Freud, ci troviamo ancora a dovere
scoprire un nuovo continente.
Avanzo
pertanto l’ipotesi che, se la cultura moderna
e soprattutto quella
dei mass-media “sopravvalutano la gravidanza" e "l’aiuto alla procreazione",
è per evitare di doversi interrogare
su questa passione materna - la sola, forse, che non è virtuale e soggetta a
manipolazioni spettacolari, ma che è il prototipo del legame amoroso.
Questo amore che sappiamo essere
l'unico "sacro" in un mondo moderno che si confronta
con l'inflazione
delle religioni e la loro esplosione. Direi anche che, data la
complessità della passione materna, le stesse madri
sono coinvolte, più o meno
inconsciamente, nel suo occultamento:
esse preferiscono trarre
vantaggio dalla sacralizzazione del ventre
e dalla commercializzazione del "figlio perfetto", del
"re bambino", piuttosto che
chiarire i rischi e i benefici che questa passione ha per
loro stesse, per il bambino, per il padre e
per la società. Si
comprende, dunque, che non c'è altro modo di accompagnare le prove
bio-fisiologiche, economiche e ideologiche che la maternità comporta,
e a cui ho accennato nell'introduzione,
se non cercando di
affrontare le ambiguità di questa passione.
Possiamo
sostituire il diniego della passione materna che si manifesta nel modo
in cui essa viene trattata a livello biologico, sociale e mass-mediatico
con una
esplorazione avvertita
dei rischi e dei benefici di questa esperienza? Questa è la questione
che oggi la maternità mi
pone davanti come madre,
come psicoanalista e come
scrittrice. Quindi cercherò di convincervi che la maternità non è
un "istinto", non si riduce
al solo "desiderio
di bambino" (Marilia
Aisenstein ha
recentemente analizzato il "non desiderio di bambino”), da
non confondere con l'onnipotenza narcisistica del diniego che riduce
il bambino a un "oggetto cattivo" o
a un "oggetto parziale", escrezione da evacuare o
feticcio da mummificare.
Ma la passione materna è
una riconquista, in quanto continua
perlaborazione- sublimazione della pulsione di vita e di morte, che dura
tutta una vita e oltre.
I.
Che cosa è la passione? Io distinguerei, in primo luogo, la
passione dalle emozioni.
La maternità è una passione, nel senso che le emozioni
(di attaccamento e di aggressione verso
il feto, il neonato,
il bambino) si trasformano in amore
(idealizzazione, progetto di vita nel tempo, dedizione, ecc...),
con il suo correlato di odio più o meno attenuato. La madre con la gravidanza è al
crocevia tra biologia e senso: la passione materna
de-biologizza il legame con il bambino, senza per questo staccarsi completamente dal biologico, ma
l'attaccamento e l'aggressività sono sempre già
vie di
sublimazione.
La passione materna non reca
traccia di scissione: si
costituisce dall’inizio a partire dalla scissione imposta dalla convivenza
divenuta evidente, ossia che
mette a dura prova, tra biologia e senso.
Questa scissione trova allo
stesso tempo la sua rappresentazione psichica, più o meno
insostenibile, nella passione della donna incinta per se stessa. L'ambivalenza passionale è presente fin dall'inizio, perché il narcisismo della
donna incinta è allo stesso tempo potenziato
e destabilizzato: come
perdita di identità a seguito dell'intervento del padre-amante,
"ella stessa"
si sdoppia ospitadon un terzo sconosciuto, un
pre-oggetto informe. In altre parole, dominata dal narcisismo,
questa passione
materna iniziale resta
pur sempre triangolare; e tuttavia è risucchiata da
questo pre-oggetto che inizialmente è l'embrione e
poi il feto, il cui statuto ancora incerto,
ancor più aggravato dal progresso e
dagli interventi biotecnologici attuali,
mette a confronto la donna incinta con i propri limiti di
soggetto, se non proprio con
i suoi limiti umani. Ma non abbiamo aspettato le cellule staminali e
gli screening genetici prenatali per
comprendere che una donna incinta abita il clivaggio
biologia/senso. Per
esempio, lo sguardo assente
o abbassato
delle Madonne con
bambino del Rinascimento
italiano, di Giovanni
Bellini ad esempio, manifesta apertamente quello che molti di noi
sanno: una donna
incinta “guarda”
senza "vedere" il
padre e il mondo: ella è
altrove.
In
questa prima fase della passione
che si volge verso l'interno o
verso il niente, accade la
passione della madre per il nuovo
soggetto che sarà
il suo bambino: a condizione che il bambino cessi di essere il suo
doppio "buono"
o " cattivo "-, e che la madre se ne distacchi
per permettergli di diventare un essere autonomo. Questo
movimento di espulsione, di
distacco è essenziale. Ciò significa
che il negativo abita
la
passione materna. E che in
questo apprendistato della
relazione con l’altro
che è la maternità, la madre è
in preda a due movimenti contrastanti del negativo: allo stesso tempo la
pulsione al suo grado più intenso
(l "identificazione proiettiva" di Melanie Klein -
con la quale il soggetto entra nell’altro per
possederlo, controllarlo,
danneggiarlo - è quella della madre
verso il bambino come anche quella del bambino
verso la madre), e l'inibizione della pulsione nella
meta, che permette all'affetto di trasformarsi in
tenerezza, cura, benevolenza.
A
rischio di offendere qualcuno, direi che senza una esperienza ottimale
della passione
materna bifronte
(ritiro narcisistico minacciato dalla onnipotenza maniacale,
quindi legame con l'oggetto attraverso l'identificazione proiettiva,
essa stessa sublimata in tenerezza), il soggetto donna raggiunge
molto difficilmente un rapporto
con l'altro sesso, e più in generale
con l'altro, che non
sia una pura emozione osmotica ( attaccamento / avversità), o pura
indifferenza (rimozione, dissociazione o scissione). Preciso che mi
riferisco alla passione materna
nel senso strettamente strutturale
dell'esperienza: è possibile che un lavoro di analisi, auto-analitico
o di sublimazione
possa condurre una donna a vivere veramente la passione
materna, senza gravidanza e parto (con l'adozione, con il ricorso a
una “madre surrogato”,
o con l'uso di altre
invenzioni tecniche future, o,
a un altro livello, nei legami di cura, di educazione e
di insegnamento, nei
legami di coppia, o in
quelli della vita associativa). Per
lo più, e nella fase attuale della civiltà, (prima dell'"utero
artificiale"!) è la passione materna della genitrice
a rappresentare il
prototipo del legame amoroso.
Freud
riteneva che "amare il proprio
prossimo come se stesso" fosse
un'illusione, un pio desiderio dei Vangeli. In effetti, un tale
amore è possibile solo
per San Francesco e i
rari mistici come lui. Quanto
a me, ritengo che
"amare il proprio prossimo come se stesso"
rinvii a quell’enigma – più oscuro
ancora del mistero della
gravidanza- - che è
quello della "madre sufficientemente buona": quella che
consente all’infans di
creare lo spazio transizionale
che
gli permetterà di
pensare.
Sul
piano culturale, ho scoperto che il "genio femminile" (anche
lontano dall'esperienza della maternità, e
in avventure così
diverse come quelle di Hannah
Arendt, Melanie Klein e Colette) testimonia la presenza di un
legame con l'oggetto fin dall'inizio della vita psichica.
Contrariamente a
quanto postulato da Freud, di un "narcisismo
senza oggetto” alla
nascita, contrariamente al
"genio maschile" (filosofi, artisti), incline alla
fascinazione solipsistica
e ai drammi della soggettività per
sé. Tuttavia, nel dire che per una donna, e a fortiori per una madre
c’è dell 'altro
fin dall'inizio, non c’
è niente di idilliaco.
Perché è l'instabilità che caratterizza questa relazione oggettuale
precoce, instabilità sempre suscettibile
di virare in esaltazione maniacale o in depressione
e in aggressività: lui e / o
me, proiezione-identificazione.
Così
la maternità, con la sua violenza di amore e odio, assomiglia
a ciò che si incontra in una analisi degli
stati limite e delle
perversioni. Sono d'accordo con autori così diversi come François
Perrier e André Green, per
i quali la sessualità
femminile si rifugia
nella maternità per
vivere la sua perversione e psicosi,
il che può essere
un'opportunità preanalitica
di perlaborazione.
Io
dico dunque che la maternità è una perlaborazione
preanalitica della perversione e della “psicosi femminile”,
favorita dalla gravidanza - così come ci sono esperienze
prereligiose del bisogno di credere, o esperienze
pre-politiche della pluralità del mondo .
II.
In
effetti: seduzione, feticizzazione del corpo del bambino e dei suoi
accessori, crisi caratteriali, stati maniacali (senza
soffermarmi qui
sulla criminalità
che ho menzionato, ma spesso ai suoi
margini),
non è raro che
la stessa possibilità di pensare sia minacciata
in una madre dall’impatto con questa
passione. Essa assume allora il suo senso stregonesco, a meno che non
sia quello di una guerra etnica, in
cui, si sa, la
maggiore ferocia è
quella che si scatena verso
le più piccole differenze, quelle
che possono
manifestarsi grazie
all’intermediazione di ciò che è più prossimo (i processi
contro madri infanticide
ne sono la prova).
Questo
dramma è tuttavia anche una
possibilità di elaborare la distruttività
passionale che sottende
ogni legame, per farne un legame
possibile con l'altro. Ed è
a questa possibilità
inerente alla
passione materna che vorrei dedicare il resto del mio scritto, piuttosto
che alle catastrofi identitarie
criminali già evocate,
perché questo destino legante
della passione materna condiziona
il destino della nostra specie.
Questo
perché un
certo distacco-“
spassionamento” si
verifica nella maggior parte dei casi,
il che conferisce all’amore
materno la sua forza
di sostegno psichico e vitale. Dato
che la maggior parte delle madri non sono in analisi, dobbiamo
ammettere che qualcosa, nella struttura stessa dell'esperienza materna,
beneficiando a sua volta
di un sostegno ottimale nella diversità di quelle strutture
familiari conosciute dall’Homo sapiens,
e che si trovano oggi in
corso di sconvolgimento, favorisca questo
metabolizzazione della passione
in spassionamento. Propongo di considerare tre fattori interni alla
stessa passione materna: il posto
del padre, il tempo e l'apprendimento del linguaggio.
Non
mi soffermerò sul ruolo
essenziale del padre o del suo rappresentante, che induce una
riappropriazione della struttura triangolare edipica, in modo
tale che la madre possa rifare, riparare o analizzare il suo proprio Edipo,
dopo che la bambina che
è stata l’ha più o meno fallito. Questo versante è stato
affrontato dalla maggior parte degli analisti che sono interessati alla maternità. Dirò qualcosa
sul linguaggio
e sul tempo nella
passione materna.
II.
A. Non diciamo mai abbastanza
che l'apprendimento del linguaggio da parte dei bambini è un
riapprendimento del linguaggio da parte della madre. Nella
identificazione proiettiva della madre e del bambino, la
genitrice abita la bocca,
i polmoni, il tratto
gastrointestinale del figlio, e, accompagnandone le ecolalie, lo
conduce ai segni, alle
frasi, ai racconti:
l’infans diventa un
bambino, un soggetto parlante. Così facendo, ogni madre porta a suo
modo a compimento la ricerca proustiana del "tempo
perduto": è parlando il linguaggio del suo bambino che una donna rimedia
passo dopo passo alla “ non congruenza”"
(come dicono i cognitivisti), all’abisso che separa affetto e cognizione, e
su cui piange
continuamente l’isterica.
II.
B. Per quanto riguarda la temporalità, da sempre posta in relazione dalla
filosofia occidentale al tempo della morte, che tormenta anche
l'esperienza della maternità,
essa si
trova tuttavia nella madre dominata da un’altra cesura:
quella dell'inizio.
Naturalmente, entrambi i genitori
si rendono conto che
il concepimento e la nascita sono
degli atti fondanti, iniziali, ma la madre prova tutto questo in
maniera più forte, perché
vi è implicato il proprio corpo. Per lei, questo nuovo inizio che è
la nascita non è solo
una congiura della morte. I filosofi ci insegnano che la logica della
libertà non risiede in
una trasgressione, come si potrebbe facilmente pensare, ma
precisamente nella capacità di
cominciare. Winnicott stesso ha suggerito che bambino non
intraprende la sua uscita dall’utero per nascere, se non
quando è sufficientemente libero nei suoi movimenti, quando ha
raggiunto una certa capacità
biopsicologica, un certo
grado di autonomia: inizio
e autonomia sarebbero, per questo analista, il dritto e
il rovescio dello stesso stato.
Il
tempo della
madre
si confronta con questa
apertura, con questo inizio - o
con questi inizi al plurale, quando si mettono al mondo più figli,
o quando una donna diventa una nonna con i
suoi nipoti. La caducità della vita che noi diamo suscita senza
dubbio preoccupazione e
angoscia, ma queste ultime passano
in secondo piano di
fronte alla meraviglia dell’effimero come
inizio. Chiamo questa esperienza materna della temporalità,
che non è né l’istante
né il passare irrimediabile del tempo (che preoccupa l'uomo,
che ne è ossessionato più
facilmente della donna), la durata a
forza di nuovi inizi. Essere liberi è avere il coraggio di
ricominciare: questa è la filosofia della maternità.
Elazione
fallica? Negazione della morte? Orizzonte
paranoico? Queste derive sono implicite
nella passione materna.
Resta il fatto che la temporalità della passione materna può avere
anche un valore analitico di un distacco
nei confronti dell’oggetto unico: un
invito alla pluralità degli esseri e dei legami, e può
diventare così una fonte di "spassionamento"
e di libertà. Si comprende pertanto che,
pur rimanendo il prototipo
della passione umana, la passione materna è anche il prototipo di
questo distacco dalla passione
stessa che permette all’essere parlante
di prendere le distanze dai suoi due carnefici,
che sono anche i suoi due
supporti passionali: le pulsioni e l'oggetto.
A
rischio di scandalizzare, direi che la "madre sufficientemente
buona" non ama nessuno in particolare: la sua passione si è eclissata, trasformata
in abbandono della passione ("spassionamento"), che, senza necessariamente diventare mostruoso
(accade, ma non obbligatoriamente),
si chiama serenità. Non coltiva
un legame esclusivo, perché
è aperta a tutti i legami. Colette ritrae una madre ideale, la sua,
Sido; Sido non è altro
che una donna che si rifiuta di vedere sua figlia, perché a lei preferisce
lo schiudersi probabile
di un cactus rosa. Una
madre “ sufficentemente buona” non ama niente e nessuno se non lo “schiudersi “:
<<Lo schiudersi possibile,
l’attesa di un fiore
tropicale sospendeva tutto
e faceva silenzio anche nel suo cuore destinato all’amore>>.
Traduco: la cornice
di una passione unica le
sembra ristretta, la sua cornice è quella del principio cosmico. Siamo
al
confine tra la paranoia interna e la passione della maternità. In altre
parole, parafrasando Freud al femminile, la "madre
sufficientemente buona" potrebbe dire: <<sono riuscita dove
la paranoica fallisce>>. La madre di Colette vi riesce,
in effetti, anche se finisce per non vedere sua figlia: lei non è una madre che
abbandona, in quanto ha trasmesso alla figlia
la propria passione per il linguaggio. (Sido
ha scritto lettere bellissime a sua figlia: Colette finì col dire che lo
scrittore della famiglia era
sua madre e non "la grande Colette"!) La capacità di
condividere la passione solo per il gusto della
lingua non potrebbe essere una presenza più libera
e più protettiva rispetto a quella
di un corpo a corpo con una madre
governante, da parte di una
figlia che non cesserà
mai di averne bisogno?
III.
Arrivo così alla capacità di sublimazione della passione materna.
E’ proprio perché
richiede
una continua sublimazione che la
passione materna rende possibile la creatività del bambino.
L'acquisizione del linguaggio e del pensiero da parte del bambino dipende dalla
funzione paterna così come dal sostegno materno. Come sarebbe possibile
questo, se le donne
fossero incapaci di sublimazione, come Freud ha insinuato? Il fondatore della
psicoanalisi ha
imprudentemente avanzato questa scomunica, forse in relazione alla eccitabilità isterica, ribelle alla
simbolizzazione. In compenso,
e al contrario dell’isteria, la passione
materna opera una
trasformazione della libido in
modo tale
che la sessualizzazione viene differita
dalla corrente della tenerezza, mentre l'esaltazione narcisistica e il suo
contrario, la
malinconia, fino alla "follia
materna" essa stessa
combinata con la sua
indistruttibile influenza, cedono di fronte
a ciò che io chiamerei un
ciclo sublimatorio, in
cui la madre si pone
differenziandosi dal neonato.
Freud
aveva osservato un tale
ciclo di sublimazione nella
espressione e nella ricezione del motto
di spirito. ( ricordato da Jean-Louis Baldacci in un recente seminario della SPP sulla sublimazione) In
effetti, l'autore del motto di spirito neutralizza i suoi affetti comunicando
il suo pensiero apparente: si ritira
dalle sue pulsioni e dai suoi pensieri latenti, e
investe solo la
reazione del destinatario; infine, il piacere del narratore si
raddoppia quando il destinatario capisce il significato che sta dietro
la battuta di spirito, anche se è una trappola! Questo ciclo di sublimazione è
paragonabile a quello che avviene nello scambio di significanti tra madre
e figlio: emissione di "significanti
enigmatici" pre-verbali o verbali; ritiro
pulsionale della
madre attenta solo alla reazione del bambino; "premio di
incentivo"o incoraggiamento dato alla risposta del bambino; ella non
investe il proprio messaggio, ma solo la risposta del bambino; infine, la madre,
da questa circolazione
ottiene di ritorno
un godimento ancora più grande, a seguito della risposta del bambino che
lei magnifica e incoraggia.
Come
si vede, questo ciclo
sublimatorio non è privo di una perversità sublimatoria nel
comportamento e nella parola materna: perché
la madre differisce
la sua influenza immediata sul bambino per
meglio gioire di questo distacco dal corpo stesso, passando attraverso
il ruolo di
proprietaria del senso
di cui il bambino deve
appropriarsi perchè ci sia "motto di spirito"! Santa madre!
E' così che
ella sublima la sua
passione ambivalente, e consente al bambino di creare una
propria lingua, la sua lingua: che equivale, per lui, a
scegliere una lingua straniera rispetto a quella della madre , vale a
dire una lingua semplicemente straniera.
Coloro
che affermano che la passione materna manchi di umorismo si sbagliano:
se le madri possono trasformare la loro influenza sul bambino in un
ciclo sublimatorio simile a quello
del motto di
spirito, favorendo così il piacere di pensare, esse danno ragione a Hegel
che ha sostenuto che le donne sono l'"eterna ironia della
comunità".
In
altre parole, con il distacco ("spassionamento") progressivo e/o la sua capacità di
sublimazione, la madre permette al bambino di interiorizzare e
rappresentare non la madre ("nulla può rappresentare l'oggetto
materno", scrive André Green),
ma l'assenza della madre: se e solo se ella lascia il bambino libero di
appropriarsi del pensiero materno, ricreandolo nel suo modo di
pensare-rappresentare. La "madre sufficientemente buona"
sarebbe quella che sa di
assentarsi per fare spazio al
piacere, per il bambino, di
pensarla.
Una
sorta di matricidio simbolico si verifica così, grazie all'acquisizione del
linguaggio e del pensiero da parte del bambino che non ha più - o che
ha meno - bisogno
di godere del corpo della madre, piuttosto che
del piacere di pensare,
prima con lei, poi per se stesso, al suo posto. A
condizione che la madre partecipi al
proprio matricidio simbolico: il che implica che non solo
ella abbia “spassionato“ il suo legame
con sua madre, come anche il suo diniego
narcisistico dell'essere
altro;
ma che il suo messaggio
al suo bambino non sia di possesso, ma
un motto di spirito. E’
solo se nello “spassionamento” è in corso nella passione materna,
che la sublimazione si sposta dal corpo a
corpo tra oggetti
che soffrono
al
pensiero tra due soggetti,
e promuove
così lo sviluppo del pensiero del bambino. La passione materna non è
stregoneria in quanto è in grado di trasformarsi in motto di spirito.
E di trasmettere, con il DNA, le chiavi della cultura. L'ordine simbolico non è solo paterno, è paterno e
materno: esso include la
bisessualità e la dimensione delle sensazioni e degli affetti.
La
passione materna ci è apparsa scissa tra il controllo e la
sublimazione. Questa scissione le fa correre il rischio costante della follia,
ma in questo rischio si
cela anche un’opportunità perpetua di cultura. I miti religiosi
hanno tessuto le loro tele attorno a questa scissione. La donna è un
"buco" (questo è il senso
della parola "donna", oggi "femmina", nekeva
in ebraico), e una regina nella Bibbia; la Vergine è un
"buco" nella trinità cristiana di padre/figlio /spirito
santo e, insieme, una regina della chiesa. Con queste costruzioni immaginarie,
le religioni si rivolgono
alla scissione materna: riconoscendola,
l’hanno perpetuata equilibrandola.
Ne risulta una sorta di
perlaborazione della
follia materna che ha reso possibile l'esistenza
di un’umanità provvista
di un apparato
psichico complesso,
capace di vita interiore
e di creatività nel mondo esterno.
Al
contrario, a dispetto di tutti i riflettori sulla biologia e sul sociale, ma
anche sulla libertà sessuale e sull'uguaglianza, o ancora,
in psicoanalisi, sulla
sola "rêverie materna" che crea lo "spazio
transizionale", noi siamo la
prima civiltà che manca
di un discorso
sulla complessità della vocazione materna.
Io
mi auguro che, 150 anni dopo la nascita di Freud, l'approccio
psicoanalitico alla difficoltà di essere madre
possa uscire dal quadro degli scambi tra esperti per stimolare le
madri e tutti coloro che le accompagnano (ginecologi, ostetrici,
ostetriche, psicologi, analisti, e anche i media che gestiscono questo
nuovo potere che è l’opinione),
ad affinare la nostra conoscenza di questa passione gravida di
follia e di sublimità. Cosa
che crudelmente manca, per esser madre oggi .
Il
futuro della secolarizzazione, ammesso che
essa ne abbia uno, dipende dalla capacità di una donna di diventare una "madre sufficientemente buona", a condizione
che la psicoanalisi possa accompagnarla in questo compito, attraverso
e con l'insostenibile complessità del suo destino passionale.
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