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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Frenis Zero  Publisher

     "Spazio Rosenthal. Tra psicoanalisi e femminile". Numero 17, anno IX, 2012. 

 

 "la passione materna"

di Julia Kristeva

 

 

 

Si ringrazia l'autrice di questo testo per l'autorizzazione concessa a Frenis Zero alla pubblicazione. La traduzione in italiano è di Laura Montani.

Julia Kristeva, nata in Bulgaria, vive in Francia dal 1966. Scrittrice, psicoanalista, Professore emerito all'Università di Parigi 7, è anche membro ordinario della "Société Psychanalytique de Paris".


 



Foto: Julia Kristeva



 

 

 

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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"Psicoanalisi e luoghi della negazione" a cura di A. Cusin e G. Leo (Editors)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian,  A. Cusin, N. Janigro, G. Leo, B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M.  Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-4-2

Anno/Year: 2011

Pages: 400

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"Lebensruckblick"

by Lou Andreas Salomé

(book in German)

Author:Lou Andreas Salomé

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-97479-00-0

Anno/Year: 2011

Pages: 267

Prezzo/Price: € 19,00

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"Psicologia   dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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 Nell’affrontare questo ambizioso tema  del materno  laico,  seguirò il cammino classico della passione materna, ma senza dimenticare  la parola "laico.”

Così formulato, il mio pensiero andrà  a  incrociare almeno quattro questioni socio-politiche  che riguardano la psicoanalisi.   Pur dolendomi che i miei pensieri forse non apporteranno a queste questioni  alcun vantaggio,  tuttavia  spero che  servano   almeno a chiarirle.

 

- 1. Le scienze della vita e l’ostetricia  si  stanno impadronendo  ogni giorno un po' di più  dell'enigma  della  gestazione che in precedenza,  per il fatto  stesso di essere  un enigma, ha  conferito  alla madre sia un potere  sia un rifiuto angosciato e rivendicativo di questo potere.

Eppure,  malgrado   o a causa  della nostra gestione tecnica della  gestazione oggi, la fertilità femminile e il periodo della gravidanza  costituiscono ancora non solo un polo di fascino immaginario nelle nostre democrazie d"opinione", ma anche un rifugio del “sacro”.

 

 

In realtà, ascoltando   il  bisogno di credere moderno,  l’”al di là” non   sembra essere più sopra le nostre teste, ma nel grembo materno. Essere madre  oggi  non ci mette forse a confronto    con la sopravvivenza di un sentimento religioso che, rinchiuso nel campo delle biotecnologie, ha perso la sua protezione  morale, ma non  le sue paradisiache  speranze? Se il giudaismo da un lato, le filosofie cinesi  dall’altro, con  valori quali la  procreazione" e la "famiglia", sembrano ben attrezzati  a fare fronte  all'assalto di   questa religiosità  vitalista a tutti i costi, che  ne è  dei modelli proposti dalla secolarizzazione?

- 2.  Parallelamente, le difficoltà  della presa in carico economico e personale della neotenia  convocano la solidarietà nazionale,  sempre in discussione: che  ogni bambino sia concepito da due genitori o sia premio solo per  il terzo, il dibattito  è  ancor più rilevante. Essere  madre oggi, ci pone a confronto  con l'imbarazzo della globalizzazione - forse  con la sua incapacità di risolvere  politicamente  la questione cruciale della procreazione della specie umana.

 

 

 

-       3.  Nella mia esperienza come presidente del Consiglio Nazionale Handicap ho incontrato  molte  "madri coraggio": madri di bambini  portatori di handicap, di bambini in difficoltà,  con insuccesso scolastico, con mancanza di socializzazione. Tutti sanno che  di solito  sono queste le madri che si "assumono" e " assicurano"  la  prima linea. Per quanto  abbattuta sia, una madre di un bambino  al limite  o differente, resta comunque una combattente.

-       Lei non si dispererà  se non per  un limite estremo: quello "dopo la sua morte". "Che cosa succederà dopo la mia morte?"

-       Finché è viva, la madre è lì per garantire la vita,  al meglio, qualsiasi siano i limiti... E poiché la tanto celebrata  "crisi dei valori" che stiamo  attraversando, a quanto pare, non  non ne salva che uno, che  comporta apparentemente  l’adesione generale al valore "vita", le madri coraggio sembrano oggi la pietra angolare  di una civiltà che non ha  più  punti di riferimento.

 

- 4. Infine, l'attualità francese, così come  quella mondiale, ci mette di  fronte alla criminalità materna: la pedofilia, anche se più rara presso le donne, non risparmia la madre, ma anche gli abusi  vari sui minori , infanticidi, "baby congelati", ecc.. In questi dinieghi della gravidanza e della maternità  si profila una catastrofe banalizzata  della "relazione oggettuale", delle madri apparentemente socializzate "senza problemi": una  banalizzazione della perversione e  della psicosi, che la maternità non  'perlabora' né sublima, ma, al contrario,   tende o a nascondere o  a stimolare.

 

 Nel contesto che ho delineato a grandi linee, attraverso questi quattro temi,  rimane un posto vacante, quello di una riflessione sulla passione materna.

Dopo Freud e Lacan , la psicoanalisi  si è molto occupata  della    "funzione paterna": la sua necessità, i suoi fallimenti, i suoi sostituti e così via. I filosofi e gli psicologi sembrano meno ispirati dalla "funzione materna", forse perché non è una funzione, ma, in particolare, una passione. Il termine "madre sufficientemente buona" proposto da Winnicott, che si è  spinto  in modo assai diverso da Freud in questo universo,  corre tuttavia il rischio  di evitare   la violenza passionale dell’esperienza materna... I lavori di André  Green  hanno  approfondito la questione della  "madre pazza",  così come quelli di molti colleghi - Ilse Barande, Florence Guignard, Jacqueline Schaeffer,  senza dimenticare Janine Chasseguet-Smirgel -  che vi si sono dedicati, ma è chiaro che, paradossalmente,  anche se si celebra il 150 ° anniversario della nascita di Freud, ci troviamo ancora a  dovere scoprire un nuovo continente.

 

 Avanzo pertanto l’ipotesi che, se la cultura moderna e soprattutto   quella dei mass-media “sopravvalutano la gravidanza" e "l’aiuto alla procreazione", è per evitare di doversi  interrogare   su questa passione  materna - la sola, forse, che non è virtuale e soggetta a manipolazioni spettacolari, ma che è il prototipo del legame amoroso. Questo amore che sappiamo  essere l'unico "sacro" in un mondo moderno che si confronta   con  l'inflazione delle religioni e la loro esplosione. Direi anche che, data la complessità della passione materna, le stesse madri  sono coinvolte, più o meno  inconsciamente, nel suo occultamento:  esse preferiscono  trarre vantaggio dalla sacralizzazione del ventre  e dalla commercializzazione del "figlio perfetto", del "re bambino", piuttosto che  chiarire i rischi e i benefici che questa passione ha per  loro stesse, per il bambino, per il padre e  per la società.  Si comprende, dunque, che non c'è altro modo di accompagnare le prove bio-fisiologiche, economiche e ideologiche che la maternità comporta, e  a cui ho accennato nell'introduzione, se non cercando di  affrontare le ambiguità di questa passione.

Possiamo sostituire il diniego della passione materna che si manifesta nel modo in cui essa viene trattata a livello biologico, sociale e mass-mediatico con una esplorazione  avvertita dei rischi e dei benefici di questa esperienza? Questa è la questione che oggi la maternità  mi pone davanti come  madre,  come psicoanalista e  come scrittrice. Quindi cercherò di convincervi che la maternità non è un "istinto", non si riduce  al solo  "desiderio di  bambino" (Marilia Aisenstein  ha recentemente analizzato il "non desiderio di bambino”), da non confondere con l'onnipotenza narcisistica del diniego che riduce il bambino a un "oggetto cattivo" o  a un "oggetto parziale", escrezione da evacuare o feticcio  da mummificare. Ma  la passione materna  è una riconquista, in quanto continua   perlaborazione- sublimazione della pulsione di vita e di morte, che dura tutta una vita e oltre.

 

 

 

I. Che cosa è la passione? Io distinguerei, in primo luogo, la passione dalle emozioni. La maternità è una passione, nel senso che le emozioni   (di attaccamento e di aggressione verso  il feto, il  neonato,  il bambino) si trasformano in amore (idealizzazione, progetto di vita nel tempo, dedizione, ecc...), con il suo correlato di odio più o meno attenuato. La madre con la gravidanza è al crocevia tra biologia e  senso: la passione materna de-biologizza il legame con il bambino, senza per questo staccarsi completamente dal biologico, ma l'attaccamento e l'aggressività sono sempre già   vie    di sublimazione.

  La  passione materna non  reca traccia di scissione:  si costituisce dall’inizio  a partire dalla scissione imposta dalla convivenza divenuta evidente,  ossia che mette a dura prova, tra biologia e  senso. Questa scissione trova  allo stesso tempo la sua rappresentazione psichica, più o meno insostenibile, nella passione della donna incinta per se stessa. L'ambivalenza  passionale  è presente fin dall'inizio, perché il narcisismo della donna incinta è allo stesso tempo potenziato e destabilizzato:  come perdita di identità a seguito dell'intervento del padre-amante, "ella  stessa" si  sdoppia  ospitadon un terzo sconosciuto, un pre-oggetto informe. In altre parole, dominata dal narcisismo,  questa   passione materna  iniziale  resta pur sempre  triangolare; e tuttavia è risucchiata  da   questo pre-oggetto che inizialmente è l'embrione e  poi il feto, il cui statuto ancora incerto,  ancor più aggravato dal progresso e  dagli interventi biotecnologici attuali, mette a confronto la donna incinta con i propri limiti di soggetto, se non proprio  con i suoi limiti umani. Ma non abbiamo aspettato le cellule staminali e  gli screening genetici prenatali per  comprendere che una donna incinta abita il clivaggio biologia/senso.  Per esempio, lo sguardo  assente o   abbassato  delle Madonne  con bambino  del Rinascimento italiano, di Giovanni Bellini  ad esempio, manifesta apertamente quello che molti di noi  sanno:  una donna incinta  “guarda”  senza "vedere"  il padre e il mondo:  ella è altrove.

In questa prima fase della passione  che si volge verso l'interno o  verso il niente,  accade  la passione della madre per il nuovo  soggetto che  sarà il suo bambino: a condizione che il bambino cessi di essere il suo doppio   "buono" o " cattivo "-, e  che la madre se ne distacchi   per permettergli di diventare un essere autonomo. Questo movimento di espulsione, di distacco è essenziale. Ciò significa  che il negativo abita la passione materna. E che   in questo apprendistato  della  relazione  con l’altro  che è la maternità, la madre è in preda a  due  movimenti contrastanti del negativo:  allo stesso tempo la pulsione al suo grado più intenso   (l "identificazione proiettiva" di Melanie Klein - con la quale il soggetto entra nell’altro per  possederlo, controllarlo,  danneggiarlo - è quella della madre  verso il bambino come anche quella del bambino  verso la madre), e l'inibizione della pulsione  nella meta, che permette all'affetto di trasformarsi in tenerezza, cura, benevolenza.

A rischio di offendere qualcuno, direi che senza una esperienza ottimale  della  passione materna  bifronte (ritiro narcisistico minacciato dalla onnipotenza maniacale, quindi legame con l'oggetto attraverso l'identificazione proiettiva, essa stessa sublimata in tenerezza), il soggetto donna raggiunge   molto difficilmente un rapporto  con l'altro sesso, e più in generale  con l'altro, che  non sia  una pura emozione osmotica ( attaccamento / avversità), o pura indifferenza (rimozione, dissociazione o scissione). Preciso che mi riferisco alla passione  materna  nel senso strettamente  strutturale dell'esperienza: è possibile che un lavoro di analisi, auto-analitico o  di sublimazione  possa condurre una donna a vivere veramente la passione materna,  senza gravidanza e parto (con l'adozione, con il ricorso a una “madre  surrogato”, o con l'uso di  altre invenzioni tecniche future, o,  a un altro livello, nei legami di cura, di educazione e  di insegnamento,   nei legami di coppia,  o in quelli della vita associativa).  Per lo più, e nella fase attuale della civiltà, (prima dell'"utero artificiale"!) è la passione materna della genitrice   a rappresentare  il prototipo del legame amoroso.

Freud riteneva che "amare il  proprio prossimo come se stesso"  fosse  un'illusione, un pio desiderio dei Vangeli. In effetti, un tale amore  è possibile solo per San Francesco e  i rari mistici come lui.  Quanto a me, ritengo  che "amare il proprio prossimo come se stesso"  rinvii a quell’enigma – più oscuro ancora  del mistero della gravidanza-  - che è quello della "madre sufficientemente buona": quella che consente all’infans di creare lo spazio  transizionale  che gli  permetterà di pensare.

Sul piano culturale, ho scoperto che il "genio femminile" (anche lontano dall'esperienza della maternità, e  in avventure  così diverse come quelle di  Hannah Arendt, Melanie Klein e Colette) testimonia la presenza di un  legame con l'oggetto fin dall'inizio della vita psichica.  Contrariamente  a quanto  postulato da Freud, di un "narcisismo  senza oggetto”  alla nascita,  contrariamente  al "genio maschile" (filosofi, artisti), incline alla fascinazione  solipsistica e  ai drammi della soggettività per  . Tuttavia,  nel dire che per una donna, e a fortiori per una madre   c’è dell 'altro fin dall'inizio, non  c’ è  niente di idilliaco. Perché è l'instabilità che caratterizza questa relazione oggettuale precoce, instabilità sempre  suscettibile di virare in esaltazione maniacale o in depressione  e in aggressività: lui e / o  me, proiezione-identificazione.

 Così la maternità, con la sua violenza di amore e odio, assomiglia  a ciò che si incontra in una analisi degli stati limite e  delle perversioni. Sono d'accordo con autori così diversi come François Perrier e André Green,  per i quali  la sessualità femminile  si rifugia nella maternità  per  vivere la sua perversione e psicosi,  il che può   essere  un'opportunità  preanalitica    di perlaborazione.

Io dico dunque che la maternità è una perlaborazione   preanalitica della perversione e della “psicosi femminile”, favorita dalla gravidanza - così come ci sono esperienze  prereligiose del bisogno di credere, o esperienze  pre-politiche della pluralità del mondo .

 

II. In effetti: seduzione, feticizzazione del corpo del bambino e dei suoi accessori, crisi caratteriali, stati maniacali (senza  soffermarmi  qui sulla   criminalità che ho menzionato, ma spesso ai  suoi margini),  non è raro  che  la stessa possibilità di pensare sia minacciata  in una madre dall’impatto con   questa passione.  Essa assume allora il suo senso stregonesco, a meno che non sia quello di una guerra etnica,  in cui, si sa,  la maggiore ferocia  è quella che si scatena  verso le più piccole differenze, quelle  che  possono manifestarsi   grazie all’intermediazione di ciò che è più prossimo (i processi   contro madri  infanticide ne sono la prova).

 Questo dramma è tuttavia anche  una possibilità di  elaborare la distruttività   passionale che  sottende ogni legame,  per farne un legame possibile con l'altro. Ed è  a questa possibilità inerente  alla passione materna che vorrei dedicare il resto del mio scritto, piuttosto che  alle catastrofi identitarie   criminali già  evocate, perché questo destino legante della passione materna  condiziona  il destino della nostra specie.

        Questo perché un certo distacco-“ spassionamento”  si verifica nella maggior parte dei casi,  il  che conferisce  all’amore materno  la sua forza di sostegno psichico e vitale.  Dato che la maggior parte delle madri non sono in analisi, dobbiamo ammettere che qualcosa, nella struttura stessa dell'esperienza materna,   beneficiando a sua  volta  di un sostegno ottimale nella diversità di quelle strutture familiari conosciute dall’Homo sapiens, e  che si trovano oggi  in corso di sconvolgimento,  favorisca  questo  metabolizzazione  della passione  in spassionamento.  Propongo di considerare tre fattori interni alla stessa passione materna:  il posto  del padre, il tempo e l'apprendimento del linguaggio.

Non mi soffermerò   sul  ruolo essenziale del padre o del suo rappresentante, che induce una riappropriazione della struttura triangolare edipica, in modo  tale che  la madre  possa rifare, riparare o analizzare il suo proprio Edipo, dopo che la bambina  che  è stata l’ha più o meno fallito. Questo versante è stato affrontato dalla maggior parte degli analisti che sono interessati alla maternità. Dirò  qualcosa sul linguaggio  e sul tempo nella passione materna.

 II. A. Non diciamo mai abbastanza  che l'apprendimento del linguaggio da parte dei bambini è un riapprendimento del linguaggio da parte della madre. Nella identificazione proiettiva della madre e del bambino, la  genitrice abita la bocca,  i polmoni, il  tratto gastrointestinale del figlio, e, accompagnandone le ecolalie, lo conduce ai segni,  alle frasi,  ai racconti:  l’infans diventa un bambino, un soggetto parlante.  Così facendo, ogni madre porta a suo modo  a compimento la ricerca proustiana del "tempo perduto": è parlando il linguaggio del suo  bambino che una donna  rimedia passo dopo passo alla “ non  congruenza”" (come dicono i  cognitivisti), all’abisso che separa affetto e cognizione, e  su cui  piange  continuamente l’isterica.

 II. B. Per quanto riguarda la temporalità, da sempre posta in relazione dalla filosofia occidentale al tempo della morte, che tormenta anche l'esperienza della maternità,  essa si trova tuttavia nella madre dominata da un’altra cesura:  quella  dell'inizio. Naturalmente,  entrambi i genitori  si rendono conto che il concepimento e la nascita  sono degli atti fondanti, iniziali, ma la madre prova tutto questo in maniera più forte,  perché vi è implicato il proprio corpo. Per lei, questo nuovo inizio che è la nascita  non è solo una congiura della morte. I filosofi ci insegnano che la logica della libertà non risiede   in  una trasgressione, come si potrebbe facilmente pensare, ma  precisamente nella capacità di  cominciare. Winnicott stesso ha suggerito che bambino non  intraprende la sua uscita dall’utero per nascere, se non quando è sufficientemente libero nei suoi movimenti, quando ha raggiunto una certa  capacità biopsicologica, un  certo grado di autonomia:  inizio  e autonomia sarebbero, per questo analista, il dritto e il rovescio dello stesso stato.

 Il tempo  della  madre  si confronta  con   questa apertura,  con  questo inizio -  o con questi inizi al plurale, quando si mettono al mondo più figli, o quando una donna diventa una nonna con i  suoi nipoti. La caducità della vita che noi diamo  suscita  senza dubbio  preoccupazione e angoscia, ma queste ultime  passano in secondo piano  di fronte alla meraviglia dell’effimero come  inizio. Chiamo questa esperienza materna della temporalità, che non è né  l’istante  né il passare irrimediabile del tempo (che preoccupa l'uomo, che ne  è ossessionato più facilmente della donna),  la durata   a  forza di nuovi inizi. Essere liberi è avere il coraggio di ricominciare: questa è la filosofia della maternità.

Elazione fallica? Negazione della morte?  Orizzonte paranoico? Queste derive sono  implicite nella passione materna. Resta il fatto che la temporalità della passione materna può avere anche un valore analitico di un  distacco nei confronti dell’oggetto unico: un  invito alla pluralità degli esseri e dei legami, e può diventare così una fonte di  "spassionamento" e di libertà. Si comprende pertanto che,  pur rimanendo il prototipo della passione umana, la passione materna è anche il prototipo di questo distacco dalla  passione  stessa che permette all’essere parlante  di prendere le distanze dai suoi due carnefici, che sono anche  i suoi due supporti passionali: le pulsioni e l'oggetto.

A rischio di scandalizzare, direi che la "madre sufficientemente buona" non ama nessuno in particolare: la sua passione si è eclissata, trasformata in abbandono della passione ("spassionamento"), che, senza necessariamente diventare mostruoso (accade, ma non  obbligatoriamente),  si chiama serenità. Non  coltiva un  legame esclusivo, perché è aperta a tutti i legami. Colette ritrae una madre ideale, la sua, Sido; Sido  non è altro che una donna che si rifiuta di vedere sua figlia, perché a lei preferisce lo  schiudersi probabile di un cactus rosa.  Una madre “ sufficentemente buona” non ama niente e nessuno se non lo “schiudersi “: <<Lo  schiudersi possibile, l’attesa di un fiore tropicale sospendeva  tutto e faceva silenzio anche nel suo cuore destinato all’amore>>. Traduco:  la cornice di una passione unica  le sembra ristretta, la sua cornice è quella del principio cosmico. Siamo al confine tra la paranoia interna  e la passione della maternità. In altre parole, parafrasando Freud al femminile, la "madre sufficientemente buona" potrebbe dire: <<sono riuscita dove la paranoica fallisce>>. La madre di Colette vi riesce, in effetti, anche se finisce per non vedere sua figlia: lei non è una madre che abbandona, in quanto ha trasmesso alla figlia  la propria passione per il linguaggio.  (Sido ha scritto lettere bellissime a sua figlia: Colette finì col dire che lo scrittore della famiglia  era sua madre e non "la grande Colette"!) La capacità di condividere la passione solo per il  gusto della  lingua non potrebbe essere una presenza più libera   e più protettiva rispetto a quella  di un corpo a corpo con una madre  governante, da parte di  una figlia che non  cesserà mai di averne bisogno?

III. Arrivo così alla capacità di sublimazione della passione materna.  E’ proprio perché richiede una continua sublimazione che  la passione materna rende possibile la creatività del bambino. L'acquisizione del linguaggio e del pensiero da parte del bambino dipende dalla funzione paterna così come dal sostegno materno. Come sarebbe possibile questo,  se le donne fossero incapaci di sublimazione, come Freud ha insinuato? Il fondatore della psicoanalisi  ha imprudentemente avanzato questa scomunica, forse in relazione alla eccitabilità isterica, ribelle alla simbolizzazione. In compenso, e al contrario dell’isteria, la  passione materna  opera una trasformazione della libido  in modo tale che la sessualizzazione viene  differita dalla corrente della tenerezza, mentre  l'esaltazione narcisistica e il suo contrario, la  malinconia, fino alla   "follia materna"  essa stessa  combinata con  la sua indistruttibile influenza, cedono di fronte  a ciò che io chiamerei un ciclo sublimatorio,  in  cui la madre si pone   differenziandosi dal  neonato.

Freud aveva osservato un  tale ciclo di sublimazione  nella  espressione e nella ricezione del motto  di spirito. ( ricordato da Jean-Louis Baldacci  in un recente seminario della SPP sulla sublimazione) In effetti, l'autore del motto di spirito neutralizza i suoi affetti comunicando il suo pensiero apparente: si  ritira  dalle sue pulsioni e dai suoi pensieri latenti, e   investe  solo la reazione del destinatario; infine, il piacere del narratore si raddoppia quando il destinatario capisce il significato che sta dietro la battuta di spirito, anche se è una trappola! Questo ciclo di sublimazione è paragonabile a quello che avviene nello scambio di significanti tra madre  e  figlio: emissione di "significanti enigmatici" pre-verbali o verbali; ritiro  pulsionale  della madre attenta solo alla reazione del bambino; "premio di incentivo"o incoraggiamento dato alla risposta del bambino; ella non investe il proprio messaggio, ma solo la risposta del bambino; infine, la madre, da questa circolazione  ottiene  di ritorno un godimento ancora più grande, a seguito della risposta del bambino che lei magnifica e incoraggia.

 Come si vede,  questo ciclo sublimatorio non è privo di una perversità sublimatoria nel comportamento e nella parola materna: perché  la madre  differisce la sua influenza immediata sul bambino per  meglio gioire di questo distacco dal corpo stesso, passando  attraverso  il  ruolo di proprietaria   del senso di cui il  bambino deve appropriarsi perchè ci sia "motto di spirito"! Santa madre!  E' così  che ella  sublima la sua passione ambivalente, e consente al bambino di creare una  propria lingua, la sua lingua: che equivale, per lui, a scegliere una lingua straniera rispetto a quella della madre , vale a dire una lingua semplicemente straniera.

Coloro che affermano che la passione materna manchi di umorismo si sbagliano: se le madri possono trasformare la loro influenza sul bambino in un  ciclo sublimatorio simile a quello  del  motto di spirito, favorendo così il piacere di pensare, esse danno ragione a Hegel che ha sostenuto che le donne sono l'"eterna ironia della comunità".

In altre parole,  con il distacco ("spassionamento") progressivo e/o la sua capacità di sublimazione, la madre permette al bambino di interiorizzare e rappresentare non la madre ("nulla può rappresentare l'oggetto materno", scrive André  Green), ma l'assenza della madre: se e solo se ella lascia il bambino libero di appropriarsi del pensiero materno, ricreandolo nel suo modo di pensare-rappresentare. La "madre sufficientemente buona" sarebbe quella che  sa di assentarsi per fare spazio  al piacere, per il bambino, di  pensarla.

Una sorta di matricidio simbolico si verifica così, grazie all'acquisizione del linguaggio e del pensiero da parte del bambino che non ha più - o che ha meno - bisogno  di godere del corpo della madre, piuttosto che   del piacere di pensare,  prima con lei, poi per se stesso, al suo posto. A condizione che la madre partecipi al  proprio matricidio simbolico: il che implica che non solo  ella  abbia “spassionato“ il suo legame  con sua madre, come anche il suo  diniego  narcisistico  dell'essere altro; ma  che il suo messaggio al suo bambino non sia di possesso, ma   un motto di spirito.  E’ solo se nello  “spassionamento” è in corso nella passione materna,  che la sublimazione  si sposta dal corpo a corpo  tra oggetti  che soffrono  al pensiero tra  due  soggetti,  e promuove così lo sviluppo del pensiero del bambino. La passione materna non è stregoneria in quanto è in grado di trasformarsi in motto di spirito. E di trasmettere, con il DNA, le chiavi della cultura. L'ordine simbolico non è solo paterno, è paterno e materno: esso include la bisessualità e la dimensione delle sensazioni e  degli affetti.

   

 La passione materna ci è apparsa scissa tra il controllo e la sublimazione. Questa scissione le fa correre il rischio costante della follia, ma  in questo rischio  si cela anche un’opportunità perpetua di cultura. I miti religiosi hanno tessuto le loro tele attorno a questa scissione. La donna è un "buco" (questo è il  senso della parola "donna", oggi "femmina", nekeva in ebraico), e una regina nella Bibbia; la Vergine è un "buco" nella  trinità cristiana di padre/figlio /spirito santo e, insieme, una regina della chiesa. Con queste costruzioni immaginarie, le religioni  si rivolgono  alla scissione materna: riconoscendola,  l’hanno perpetuata  equilibrandola. Ne   risulta una sorta di  perlaborazione  della follia materna che ha reso possibile l'esistenza  di un’umanità  provvista  di  un apparato psichico  complesso, capace di  vita interiore e di creatività nel mondo esterno.

Al contrario, a dispetto di tutti i riflettori sulla biologia e sul sociale, ma anche sulla libertà sessuale e sull'uguaglianza, o ancora,  in psicoanalisi,  sulla sola "rêverie materna" che crea lo "spazio transizionale", noi  siamo la  prima civiltà che manca di  un discorso sulla complessità della vocazione materna.

Io mi auguro che, 150 anni dopo la nascita di Freud, l'approccio psicoanalitico alla difficoltà di essere madre  possa uscire   dal quadro degli scambi tra esperti per stimolare le madri e tutti coloro che le accompagnano (ginecologi, ostetrici, ostetriche, psicologi, analisti, e anche i media che gestiscono questo nuovo potere che è  l’opinione), ad affinare la nostra conoscenza di questa passione gravida di  follia e di sublimità.  Cosa che crudelmente manca, per esser madre oggi .

Il futuro della secolarizzazione,  ammesso che  essa ne abbia uno, dipende dalla capacità di una donna di diventare una "madre sufficientemente buona", a condizione che la psicoanalisi possa accompagnarla in questo compito, attraverso e con l'insostenibile complessità del  suo destino passionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

 

   

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
   
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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