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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria". N.10, anno V, giugno 2008.

    "MEMORIA E TRAUMI COLLETTIVI NEL MEDITERRANEO. UN PERCORSO PSICOANALITICO"

 

di Giuseppe Leo

 

 Questo testo è stato presentato dall'autore al convegno internazionale "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" (Lecce, 5 aprile 2008) come relazione introduttiva al convegno.

Foto: Giuseppe Leo nel corso della sua relazione introduttiva al convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" (Lecce, 5 aprile 2008). Hanno salutato i partecipanti l'Assessore al Mediterraneo della Regione Puglia, Prof.ssa Silvia Godelli, ed il Presidente del Collegio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi, dott. Giuseppe Luigi Palma.

 

 

 

 


 

Ma i nostri ricordi vivono in noi

come ricordi collettivi, e ci sono rammentati

dagli altri, anche quando si tratta di avvenimenti

in cui siamo stati coinvoltiselo noi, e di oggetti

che solo noi abbiamo visto. Il fatto è che, in realtà,

non siamo mai soli.

Maurice Halbwachs, <<La memoria collettiva>>(PUF, 1968. ediz.italiana UNICOPLI, 2001)

 

 

 

         

Introduzione

 

Cercando un esergo che potesse fornire una sintetica testimonianza dei temi di questo convegno, ho scelto questo pensiero di Maurice Halbwachs (1877-1945), un sociologo, non uno psicoanalista, che ben delinea i termini della questione: la memoria collettiva non è semplicemente  una trasposizione di un concetto della psicologia individuale ad una dimensione sociale, in quanto la memoria individuale è già strutturata come dialogo collettivo tra un io ed un altro, tra un conscio ed un inconscio, tra molteplici memorie all’interno dello stesso individuo. E’ perciò difficile, se non quasi impossibile, distinguere una memoria “individuale” da un’altra “collettiva”. Lo stesso autore, nello stesso libro, chiarisce ulteriormente il suo pensiero davvero illuminante per la nostra comprensione psicoanalitica di ciò che è la memoria ed il ricordare: <<Ma diremo più esattamente che il nostro io attuale non è che il luogo di incontro di un certo numero di testimoni di cui ciascuno è senza dubbio lo stesso ma di cui ciascuno, nello stesso tempo, parla a nome di un (gruppo)>>. Questo autore, oltre che uno studioso, è stato anche un testimone: il suo libro-testimonianza sulla memoria collettiva è uscito postumo, dopo la morte dell’autore a Buchenwald. Se  è vero che testimone deriva dal latino ‘testis’, quest’ultimo significa  anche ‘superstes’ (superstite), in greco ‘martys’ (martire). E mano a mano che ho scorso le notizie biografiche su Halbwachs, ho ritrovato tutti quei fili che, intrecciandosi, portano ai temi ed ai luoghi del nostro convegno. Testimone del Mediterraneo (Halbwachs era francese) e dei suoi traumi collettivi (la Shoah),  fondatore del concetto di “memoria collettiva”, la sua opera pone anche le basi per un'altra nozione, quella di ‘luoghi della memoria’. L’ultimo libro di Halbwachs, infatti, <<La topographie légendaire>> (1941) <<descrive, sulla base degli itinerari dei pellegrini, i luoghi della memoria cristiana in Terra Santa e mostra in che misura la politica del ricordo bizantina e occidentale fosse determinata da presupposti teologici>> (cfr. Jan Assmann, alla voce “Halbwachs” del “Dizionario della memoria e del ricordo”, curato da Nicholas Pethes & Jens Ruchatz, Bruno Mondatori, 2002).

Quindi, un luogo della memoria si può definire come un <<punto di cristallizzazione narrativa (…) della memoria collettiva>>, un luogo materiale (come un monumento), simbolico (un anniversario, un pellegrinaggio) e funzionale (come un’autobiografia) <<in cui un gruppo può riconoscere se stesso come pure la propria storia>> (Beate Binder, voce “Luogo della memoria” del Dizionario cit.). Ora, l’identità, sia nella sua dimensione individuale che collettiva ci sembra una continua costruzione ed elaborazione di memorie che sono accolte in dei luoghi  che, come spazi a cui ritornare in un continuo andirivieni , percorrono le vite degli uomini per tutta la loro lunghezza. Cercare se stessi nei luoghi della propria memoria ci sembra una maniera originale di trattare il tema dell’id-entità, ma a questo punto dobbiamo operare una prima circoscrizione del tema: introducendo un trattino,  dobbiamo prendere in considerazione l’”id”, la  dimensione inconscia dell’id-entità. E quindi fanno l’ingresso la psicoanalisi come pensiero sull’inconscio e gli psicoanalisti a cui poter porre la domanda: <<Può la psicoanalisi aiutarci a comprendere questo dialogo tra luoghi della memoria ed id-entità?>>.

Abbiamo poi voluto operare un passo successivo: circoscrivere questo dialogo  al Mediterraneo ed alla sua storia, e quindi formulare una  domanda cruciale a cui ciascuno dei relatori sarà tenuto a rispondere nel corso di questo convegno: <<Quali luoghi della memoria  lei può portarci come quelli per lei più significativi per la comprensione delle nostre id-entità mediterranee ?>>.

Questo portare le proprie memorie e condividerle con i partecipanti di un convegno ha tratto spunto da due diverse fonti di ispirazione: l’importanza delle ‘biografie dell’inconscio’ (come si intitola l’ultimo libro di Salomon Resnik) nonché della condivisione perché la memoria, o meglio il ricordare, mantenga la sua significatività.

La prima fonte di ispirazione, quella delle biografie dell’inconscio, ha forse le sue radici in Ricoeur che stabilisce questo parallelo tra lavoro dello storico e lavoro dell’analista, quest’ultimo essendo una sorta di storico dell’inconscio. Ma Resnik va oltre, secondo me, questa metafora dell’analista-storico. Ce ne possiamo accorgere sin dalle prime righe del suo ultimo libro: <<La ricerca non è veramente una vita, ma lo spirito della ricerca fa parte di una vita. La scoperta della psicoanalisi e della presenza dell’Inconscio nella nostra vita quotidiana e nella nostra cultura mi ha guidato ed affascinato sin dalla mia adolescenza. L’illusione di poter comprendere l’inatteso ed il mistero del vissuto e del pensiero ha generato la mia vocazione ad essere all’ascolto (con tutti i sensi) rispetto a tutto ciò che “non ci si attende”: la realtà>> (cit. da Salomon Resnik, "Biografie dell'inconscio", Borla, 2007). E’ forse un’ambizione di questo convegno, e di chi lo ha concepito, di interrogare i vari relatori (e anche i partecipanti tutti) sul valore che per ognuno ricoprono dei luoghi psichici della memoria e del ricordare, permettendo loro di far emergere l’inatteso, il non preparato a priori, l’inesplicabile.

La seconda fonte di ispirazione ha a che fare con la memoria come esperienza collettiva: ricordare Auschwitz, ad esempio, sembrerebbe oggi essere un qualcosa destinato, a più di 60 anni dall’epilogo del fatto storico, a ridursi ad una semplice ricostruzione storiografica e bibliografica su ciò che gli storici hanno reperito nella sedimentazione dei documenti e delle memorie individuali dei sopravvissuti-testimoni. <<Allora che bisogno c’è>>, potrebbe chiedersi uno studente liceale, <<di ascoltare la testimonianza di uno dei pochi sopravvissuti ancora rimasti quando posso reperire nei libri di storia, nei musei sull’Olocausto, su internet tutto ciò che mi interessa sapere?>>

Un altro fatto (storico) accaduto in questi mesi ha spiazzato non poco gli storici. In un angolo del Mediterraneo, in Spagna, un movimento spontaneo, di volontari ha iniziato a scavare nelle fosse comuni in cui erano rimaste sepolte le vittime del franchismo. La rivista “Diario” vi ha dedicato un numero ed un DVD. Per inciso lo stesso numero ha rivelato la vergognosa ‘epopea’ di uno psichiatra, un vero padre fondatore della psichiatria spagnola, che negli anni ’30 pose le basi per quelle teorie razziali che avrebbero trovato nel nazionalsocialismo i tristi sviluppi che conosciamo.

Certamente la storiografia è una rivisitazione critica del passato, ambisce ad un’immagine totale di esso, e non è selettiva come lo sono i ricordi personali, né ha il carattere della fissità e dell’immutabilità psicopatologica che hanno i ricordi traumatici. Tuttavia quello che è insostituibile nel ricordare, ed in particolare nel ‘ricordare insieme’, come ben scrive Semi, è il configurarsi di un particolare clima emotivo, io direi empatico, a volte anche ambivalente. Ad esempio quando tra parenti ci si ritrova dopo un periodo più o meno lungo,  non solo ci sorprendiamo della selettività dei nostri ricordi confrontandoli con quelli degli altri (scopriamo che certi ricordi personali si sono affievoliti, o si sono diversificati, o deformati col passare del tempo), ma anche che, quando si sta insieme, si possono ricordare dei rancori passati a cui non abbiamo fatto caso per lungo tempo. Questa comunanza affettiva innescata dal ricordare insieme diventa simbolica di un dato gruppo in quanto si ha il senso del gruppo che si costituisce attraverso persone che hanno un itinerario di storie individuali diverse nel corso del tempo, ma che in quel momento riescono a riconoscersi ed a riunirsi. Certo, parlare di memoria collettiva significa anche misurarsi con il problema dell’uso che un certo gruppo, detentore di un  potere politico o economico, può fare di quella memoria. Quanti monumenti ai signori delle guerre balcaniche celebrano delle memorie collettive che in realtà sono a tutt’oggi funzionali di interessi in gioco  di determinati gruppi sociali?! Questa visione dinamica e conflittuale delle memorie collettive è suscettibile, da sola, di aprire un dibattito sulla responsabilità della memoria, definendo, come scrive Teresa Grande <<il rapporto con il passato nei termini di una elaborazione collettiva, strettamente legata alla percezione sociale  di fenomeni attuali problematici quali quelli delle identità collettive (identità di genere, etnica, nazionale o locale) o del pregiudizio verso i gruppi “diversi”>>(T. Grande, “Introduzione alla seconda edizione” di “La memoria collettiva”, 2001).

 

La psicoanalisi ha da sempre dovuto fare i conti con l’epistemologia della testimonianza del paziente, dell’analizzando, ma forse è da poco che sta facendo i conti col discorso dell’etica della testimonianza.  Seguendo Edoardo Ferrario nel suo recente libro “Testimoniare” (Lithos, Roma) all’esser-ci heideggeriano si può  opporre l’ecco-mi di Levinas. “Eccomi” è la risposta rivolta a chi ci chiama per testimoniare.

E chi sono coloro che hanno risposto con un ‘eccomi’ al convegno su “Id-entità mediterranee”?

Li abbiamo invitati a presentare i loro contributi secondo delle aree tematiche. La  prima area tematica è quella de “La Psicoanalisi e i disagi delle civiltà mediterranee”. Il richiamo all’opera di Freud è qui palese, ma quello che sembra accomunare i tre relatori della tavola rotonda è l’attenzione riservata al carattere traumatico di certi luoghi della memoria: teatri di guerre, come quelle balcaniche al centro dell’intervento di Nicole Janigro, spazi psichici in cui la creatività letteraria elabora i fantasmi che trapassano le generazioni interessate dal genocidio armeno, come fa Manuela Avakian in qualità di scrittrice, o addirittura non-luoghi[1] di una memoria in cui i testimoni-superstiti sono i tanti profughi fuggiti dalle loro patrie, come nella relazione di Ambra Cusin. A mio parere, oggi la questione dei migranti pone un’intima contraddizione all’interno di qualsiasi discorso sui luoghi della memoria e sulle identità collettive del Mediterraneo. Come scrive Federica Sossi nel bel libro <<Migrare>> (Il Saggiatore, 2006), <<monumenti, siti storici, luoghi designati come altamente simbolici sono gli elementi individuati o costruiti ad hoc per ritrovare lungo lo spazio della nazione la continuità dell’omogeneità, in un lavoro faticoso volto a far parlare con i segni della specificità nazionale persino i luoghi fisici indifferenti alla storicità delle penne e dei tratti da esse tracciati>>. Ma i migranti con le loro biografie-confine o biografie al confine (nel senso poco metaforico che gran parte della loro esistenza subisce diverse forme di confinamento e di controllo) con quali luoghi della memoria ci costringono a fare i conti?

Foto: Manuela Avakian, Ambra Cusin e Nicole Janigro durante la tavola rotonda "La psicoanalisi e i disagi delle civiltà mediterranee" (convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" - Lecce, 5 aprile 2008)

La psicoanalisi e i disagi delle civiltà mediterranee

Il richiamo al “Disagio della civiltà” è utile nel sottolineare tutte quelle mutazioni antropologiche che le civiltà del Mediterraneo hanno vissuto nell’approdare alla modernità: <<l’industrializzazione e l’urbanizzazione, le due guerre mondiali (e la terza che è stata la guerra fredda), i genocidi che hanno aperto e chiuso il secolo e di cui la Shoah è stato il tragico paradigma, i nuovi grandi flussi migratori mondiali, l’espansione delle tecnologie e le mutazioni dell’ecologia>> scrive René Kaes (in una conferenza tenuta alla SPI a Roma nel dicembre 2007 ed intitolata “Genere e generazione. Ordine e disordine nelle identificazioni”) <<tutte queste sono delle fratture irreversibili che hanno messo una parte dell’umanità di fronte alla fragilità delle strutture sociali e culturali su cui si fonda la permanenza di una civiltà, se non della stessa specie umana>>. E occuparsi dei disagi delle civiltà porta la psicoanalisi ad una sfida ancora non del tutto assimilata, a confrontarsi cioè con le dinamiche sociali e non più solo con quelle intrapsichiche, ed a pensare questi mutamenti come a  <<condizioni extra-psichiche>>, come le definisce Kaes, che forniscono un quadro, una cornice alla formazione dell’apparato psichico, alle forme della soggettività che ne derivano ed alle sofferenze che essi hanno prodotto. D’altra parte diversi psicoanalisti argentini che sono venuti a contatto negli anni ’70 con la violenza ed il terrore di Stato hanno dato contributi fondamentali a questo allargamento del dominio esplicativo della psicoanalisi nella direzione dei fenomeni sociali: Janine Puget, in particolare, in un suo articolo intitolato “Terrore di Stato e psicoanalisi” (tradotto in italiano e pubblicato nello stesso numero “Mnemosyne” di “Frenis Zero”). La realtà sociale non è riducibile alle forze operanti nella vita psichica individuale ed alle relazioni oggettuali che in essa si sono interiorizzate a partire dalle relazioni intrafamiliari: <<la percezione della presenza di un altro soggetto ed i primi oggetti genitoriali originano dal fatto che il bambino è indifeso; la sua costituzione come soggetto all’interno di una famiglia dipende dalla configurazione edipica>> scrive la Puget. <<La percezione dello spazio sociale dipende da altri fattori che la teoria psicoanalitica non ha finora sufficientemente capito, ma che sono probabilmente correlati con le questioni primarie del possesso e del potere>> (Puget, ibidem). Non è il caso di approfondire il pensiero della psicoanalista argentina, ma trovo veramente feconde le sue riflessioni sui differenti complessi e fattori organizzatori che caratterizzano la struttura familiare da quella sociale, quest’ultima non derivante dalla prima. Certamente il concetto di ‘contratto narcisistico’ della Aulagnier(“La violence de l’interpretation. Du pictogramme à l’enoncé”, 1975), ripreso da Kaes nel suo discorso sui patti, sulle alleanze e sui contratti inconsci tra individuo e società, ci può essere utile nel creare un ponte tra questi due domini.

  Foto: Piera Aulagnier

I mutamenti massivi, a cui ho fatto riferimento prima, possono condurre ad una crisi di quelle istituzioni (garanti metasociali[2] come li chiama Kaes, mutuando il termine dal sociologo Alain Touraine) che assicurano un certo condiviso sentimento di fiducia nella convivenza sociale, nell’intermediazioni tra interessi di gruppi e di classi diverse, nel potere normativo della legge (miti e ideologie, credenze e religione, autorità e gerarchia) che costituiscono la cornice e lo sfondo dei ‘GARANTI METAPSICHICI’.  Essi sono costituiti per Kaes dalle interdizioni fondamentali e dalle leggi strutturanti, dai riferimenti per le identificazioni e dalle rappresentazioni immaginarie e simboliche, dalle alleanze, dai patti e dai contratti[3] che garantiscono al contempo le basi per l’organizzazione della psiche e le condizioni intersoggettive su cui esso riposa. Anche il crollo delle credenze e delle grandi narrazioni che fornivano quei punti di repere identificatori necessari alla stabilità sociale e psichica sono stati studiati, ad es. da Serres (“L’incandescent”, 2001), nell’ambito degli studi sul post-moderno. Ma quello che forse più è stato studiato dalla psicoanalisi è il problema della trasmissione della vita psichica tra le generazioni di fronte ai traumi collettivi che hanno interessato la storia recente del Mediterraneo. Di fronte all’orrore impensabile, tanto lo psicoanalista nelle vicissitudini del transfert quanto lo storico alle prese con le lacune delle testimonianze si trovano a dover fronteggiare questo spazio vuoto, questo non luogo della memoria tra il grido ed il silenzio, tra la violazione della propria identità subita dalla generazione delle vittime ed il silenzio subito dalla generazione dei figli delle vittime. Nelle situazioni psicopatologiche studiate dalla psicoanalisi ciò che si trasmette non sono né oggetti né legami tra questi oggetti, né affetti né fantasie associati a questi oggetti, ma frammenti psichici che non costituiscono degli oggetti o che sono degli oggetti slegati, de-affettivizzati, che non contengono un altro, oggetti che non sono né contenuti né contenenti, che non sono stati pensati, che sono stati rifiutati o negati. Con le parole di Bion si potrebbe dire che non si trasmette un apparato psichico capace di pensare i pensieri. Kaes parla anche di trasmissione con o senza trasformazione per indicare quella trasmissione in cui il ricevente, il figlio, non trasforma ed elabora le fantasie inconsce che gli sono imposte dai genitori, appropriandosene e rendendole parte di un proprio personale lavoro di soggettivazione.

L’importanza della comprensione psicopatologica dei traumi collettivi è cruciale nella storia della psicoanalisi. Come scrive Bohleber  all’inizio di un suo lavoro su “Ricordare, trauma e memoria collettiva”(2007, pubblicato su "Frenis Zero") <<la psicoanalisi ha esordito come teoria del trauma>>. Certamente Freud è stato spinto dalla catastrofe della prima guerra mondiale a prendere in considerazione il ruolo delle pulsioni distruttive (riconoscendo, per inciso, il proprio debito nei confronti dell’opera di Sabina Spielrein) e a polarizzare  la dinamica tra pulsioni di vita e di morte in “Al di là del principio di piacere”(1920). Ma, come scriveva Musatti, non solo <<alla definizione della pulsione di morte, agente silenziosamente in modo permanente accanto alle pulsioni libidiche (…) >> Freud fu indotto <<in base all’esperienza vissuta durante i primi mesi di guerra del 1914>>:  di fronte alla “delusione provocata dalla guerra”, agli Stati civili che ai cittadini richiedevano di rispettare quegli stessi interdetti da cui si sentivano esonerati e svincolati quando si trattava di massacrare i cittadini di un altro Stato, di fronte alla barbarie che si annidava nelle più avanzate civiltà contemporanee, Freud inizia a riflettere e a teorizzare a proposito delle <<trasformazioni subite dalla personalità individuale per effetto dell’aggregazione sociale>> (Musatti). Così, partendo proprio da quelle “Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte” (1915), scritte in uno stato d’animo di profonda delusione dopo l’euforia patriottica della prima ora, si inaugura un percorso innovativo che, passando per “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921),  giunge a “Il disagio della civiltà” (1929).

 

 

Sviluppi della teoria sulla memoria e sul trauma nell'opera freudiana

Ma come si è sviluppata la teoria sulla memoria e sul trauma nel corso dell’opera freudiana, ed in particolare durante gli anni della Prima Guerra Mondiale?  Freud era partito dal “Progetto di una psicologia” del 1895 con una definizione della memoria intesa come <<facoltà di subire una alterazione permanente in seguito ad un evento>>, per cui è centrale il concetto di ‘traccia mnesica’ all’interno di una concezione ‘idrodinamica’, per cui l’energia nervosa è rappresentata  come un fiume che, scorrendo, scava un solco sempre più profondo su un substrato materiale che oppone una certa resistenza, finendo per favorire in una successiva occasione un percorso dell’eccitamento nervoso lungo la via che è stata già tracciata. Lungo l’intero corpus freudiano la memoria viene vista come un qualcosa di unitario, non essendo ancora acquisita la distinzione neuropsicologica tra memoria a breve e a lungo termine (Atkinson & Siffrin, 1971) né quella tra memoria procedurale (o implicita) e quella dichiarativa (o esplicita) nell’ambito della memoria a lungo termine. Proprio negli anni in cui Freud stava scrivendo l’”Interpretazione dei sogni”, e stava conducendo la propria autoanalisi, Freud pubblica due scritti che verranno poi, in versione modificata, integrati nella “Psicopatologia della vita quotidiana”: “Meccanismo psichico della dimenticanza” (1898) e “Ricordi di copertura”(1899). Dopo il naufragio del Progetto, Freud sembra interessato a spiegare le difficoltà di recupero di certi ricordi che sono legati a dei desideri inconsci che conducono a degli spostamenti e a delle rimozioni. L’immagine della memoria come archivio resta indiscussa e la facilità o la difficoltà con cui una <<certa impressione>> può essere rievocato dipende da tutto un insieme, ora abbastanza complesso, di fattori: <<non soltanto dalla costituzione psichica del singolo individuo, dalla forza che l’impressione  aveva quand’era recente (riecheggia qui il modello idrodinamico del Progetto, N.d.A.), dall’interesse ad essa rivolto, dalla costellazione psichica attuale, dall’interesse che ora viene portato alla sua rievocazione, dai nessi in cui essa è implicata eccetera, ma anche dal favore o sfavore di un particolare fattore psichico, il quale si oppone alla riproduzione  di ciò che provoca dispiacere  o che può in seguito condurre a una liberazione di dispiacere>> (Freud, 1898).

In “Ricordi di copertura” Freud affermava l’importanza delle impressioni o esperienze della prima infanzia, dimenticate perché rimosse, ma capaci di lasciare “tracce indelebili” nella nostra mente. Il modello che porta ai ricordi di copertura comprende il conflitto, la rimozione, e la sostituzione per formazione di compromesso (Freud, 1899, pag. 440). E Freud discute abbastanza approfonditamente una questione che gli stava particolarmente a cuore in quel periodo, e che finirà per infiammare i dibattiti delle società psicoanalitiche riguardo al trauma fino ad oggi: il ruolo delle fantasie inconsce nell’interferire coi ricordi di un dato evento che viene riferito dal paziente come traumatico[4]. Ma l’immagine statica dell’archivio mnesico  viene in parte messa in discussione quando, verso la fine di “Ricordi di copertura”, Freud scrive: <<Forse, va persino messo in dubbio se abbiamo ricordi coscienti provenienti dall’infanzia o non piuttosto ricordi costruiti sull’infanzia>> (pag. 452)[5].

In “Ricordare, ripetere e rielaborare”(1914) Freud definisce lo scopo del trattamento analitico come il colmare le lacune della memoria, superando le resistenze dovute alla rimozione. Ma, tra le tante  innovazioni di questo scritto, ne annovererò due:

1)   l’affermazione della comprensione a posteriori, diremmo 'aprés coup', di situazioni <<che si verificano in un’epoca assai remota dell’infanzia – e che allora vengono vissute senza essere capite, mentre vengono comprese  e interpretate a posteriori - >> per le quali <<non è in genere possibile suscitare il ricordo>>(Freud, 1914, op. cit. pag. 355)[6]

2)   il rapporto tra agire e rimozione, per cui ciò che viene dimenticato e rimosso non è riprodotto sotto forma di ricordo, ma di azione. Il trionfo della cura consisterebbe nel giungere a liquidare mediante un lavoro di rievocazione ciò che il paziente vorrebbe scaricare con un’azione (Freud, 1914, op. cit. pag. 359). La ‘coazione a ripetere’ (Wiederholungszwang), che qui Freud per la prima volta menziona, sostituisce l’impulso a ricordare ed il transfert diventa il luogo di tale rinvio, essendo esso stesso una ripetizione (Bohleber, op. cit. , 2007). <<Quanto maggiore è la resistenza, tanto maggiore è la misura in cui il ricordare viene sostituito dal mettere in atto (ripetere)>>(Freud, 1914, op. cit. pag. 357). Il transfert consente di lavorare sulle intenzioni in statu nascendi come materiale per il lavoro terapeutico, evitando che esse si traducano in azioni. La sua interpretazione conduce allora al <<risveglio dei ricordi che emergono in seguito, come da soli, una volta superate le resistenze>>(Freud, op. cit., 1914), posto che bisogna dare al paziente il tempo di rielaborare (Durcharbeiten)[7] le resistenze emerse nella situazione di transfert.

E al tema del transfert, ed in particolare della vergogna nel transfert, sarà dedicata l’ultima tavola rotonda del convegno, coordinata dal dott. Cosimo Trono.

Foto: Cosimo Trono, Abram Coen e Guy Dana durante la tavola rotonda "La Honte/La Vergogna e il transfert" (convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" - Lecce, 5 aprile 2008)

Il trauma, o meglio il ricordo del trauma,  viene concepito sin dall’esordio del percorso freudiano come ‘corpo estraneo’[8], ma tale precisazione è sicuramente foriera di sviluppi già nel passaggio dalle "Considerazioni preliminari",  scritte a quattro mani con Breuer, alla “Per la Psicoterapia dell’Isteria”. Tale precisazione sembra far avanzare la concezione del trauma oltre quell’analogia col trauma fisico che pur sempre si ritrova negli "Studi sull’Isteria", in quanto <<l’organizzazione patogena non si comporta tanto come un corpo estraneo, quanto piuttosto come un’infiltrazione>> (Freud, “Per la psicoterapia dell’isteria”, pag. 426), essendo la resistenza l’equivalente dell’elemento infiltrante. <<La terapia, infatti>>  afferma Freud, <<non consiste nell’ estirpare qualche cosa (…) ma nel liquidare la resistenza, aprendo così il via alla circolazione in una regione anteriormente sbarrata >> (ibidem, pag. 426). Se il trauma costituisce quel <<palo nella carne>> (Laplanche, in « Vie et mort en psychanalyse”, Flammarion, Paris, 1970), qualcosa che merita l’aggettivo di « puro »(Baranger, Baranger & Mom, “The infantile trauma from us to Freud: pure trauma, retroactivity and reconstruction”, 1988)[9] in quanto correlato ad una angoscia caratterizzata da indeterminazione psichica e da assenza di oggetto, se <<lo stimolo traumatico costituisce la possibilità che un evento “entri” nell’individuo senza alcuna partecipazione possibile di quest’ultimo>> (A.A. Semi in “Trauma”, voce del Dizionario storico di psicologia…, Einaudi, 2007) rappresentando uno dei due poli dei due estremi che vanno al di là delle possibilità elaborative attuali dell’individuo (trovandosi la pulsione all’altro polo), tuttavia Freud, mentre stava formulando già con grande compiutezza la sua teoria delle nevrosi e discriminando i concetti di difesa, di rimozione e di resistenza, riusciva già ad aprire nuovi orizzonti nella teorizzazione del trauma psichico. Teorizzazione che si svilupperà proprio negli anni della guerra e che troverà un suo compimento nell’opera del 1920 “Al di là del principio di piacere” in cui fa il suo ingresso nella psicoanalisi quel criterio economico che d’ora in avanti verrà utilizzato per definire il trauma psichico. Ma proprio negli anni in cui la riflessione di Freud è , per forza degli eventi bellici, indotta a soffermarsi sui traumi psichici collettivi e sulle nevrosi da guerra, si produce un paradosso, ben evidenziato da Laplanche a da Pontalis (“Vocabulaire de psychanalyse", 1967). Da un lato infatti il trauma diventa meno “puro”(Baranger) come esclusivo fattore patogenetico delle nevrosi per Freud[10], cioè <<viene attenuata la portata eziologica del trauma a vantaggio della vita fantasmatica e delle fissazioni ai vari stati libidici>> (Laplanche & Pontalis, “Enciclopedia della psicanalisi”, Laterza, 1968, pag.621) e <<come fattore determinante della nevrosi esso tende a configurarsi come un caso particolare della “Versagung” (la frustrazione)>> (Laplanche & Pontalis, ibidem, pag. 622). Dall’altra però, <<l’esistenza delle nevrosi d’infortunio e in particolare delle nevrosi di guerra richiama nuovamente l’attenzione di Freud sul problema del trauma sotto la forma clinica delle nevrosi traumatiche>> (Laplanche & Pontalis, ibidem, pag. 622) in cui tuttavia non bisogna trascurare i fattori predisponesti, la “fissazione al momento dell’incidente traumatico”, (pag. 436 della lezione 18 dell’”Introduzione alla Psicoanalisi”1915-1917) che è l’elemento in comune con le nevrosi non traumatiche.  Questo ultimo aspetto è decisamente in una relazione di ‘balancement’ con il criterio economico per cui il trauma rappresenta un “oltre” che mette sotto scacco il principio di piacere, costringendo l’apparato mentale ad assolvere un compito più urgente “al di là del principio di piacere” che è quello di legare gli eccitamenti al fine di permettere loro una scarica successiva. Quindi tutte le manifestazioni cliniche delle nevrosi propriamente traumatiche, con il nuovo peso attribuito alla coazione a ripetere[11] nella riformulazione della nuova polarità pulsionale (di vita/ di morte), finiscono per indicare che in questi quadri clinici non è in gioco tanto un problema di perturbazione dell’economia libidica, ma più radicalmente di integrità dello stesso apparato mentale. Infatti, è proprio in “Al di là del principi di piacere” che fa la sua comparsa il concetto di sistema para-eccitatorio, 'Reitzschutz'.

Freud ha avuto un’esperienza clinica limitata nei confronti di pazienti affetti dalle ‘nevrosi di guerra’, in particolare rispetto ai suoi due allievi Ferenczi e Abraham. Nonostante a più riprese nelle opere scritte durante questi anni di guerra egli approfondisca il suo pensiero sul trauma, di fatto scrisse solo due contributi specificamente dedicati alle ‘nevrosi di guerra’: una “Introduzione al libro ‘Psicoanalisi delle nevrosi di guerra’ (1919), con scritti di Simmel, e per l’appunto di Abraham, di Ferenczi ed in più di Jones, nonché un “Promemoria sul trattamento elettrico dei nevrotici di guerra”, una perizia scritta nel 1920 su incarico di una Commissione di inchiesta del governo austriaco e rimasta  inedita fin quando fu ritrovata nell’Archivio di Stato. Le difficoltà già emerse nell’”Introduzione alla psicoanalisi”(1915-1917) nell’integrare le nevrosi propriamente traumatiche nell’edificio metapsicologico freudiano[12], diventano una vera e propria sfida che minaccia quella coesione di un edificio teorico che è in fieri - da poco sono state messe le fondamenta per il narcisismo, e Freud si prepara a rifondare il tutto con la svolta di “Al di là del principio del piacere”-. Sfida di cui Freud è ben consapevole[13], dato che non è possibile ricondurre l’eziologia delle nevrosi di guerra  <<ad un conflitto  tra l’Io e le pulsioni sessuali che l’Io ripudia>> (Freud, “Introd. al libro ‘Psicoanalisi delle nevrosi di guerra’”,1919, pag.72) secondo lo schema generale formulato nell’”Introduzione alla psicoanalisi”(1915-1917). Se le nevrosi di guerra avevano accordato una più larga attenzione da parte delle istituzioni non solo scientifiche, ma anche politiche alla psicoanalisi[14], questo interesse rischiava però di rivolgersi contro di essa, rischiando di sgretolare le sue fondamenta in un periodo di grandi cambiamenti teorici. Freud prefigura una soluzione del problema delle nevrosi di guerra all’interno di future <<ricerche sui rapporti che indubbiamente esistono fra spavento, angoscia e libido narcisistica>>(pag. 74 dell’”Introduzione al libro ‘Psicoanalisi delle nevrosi di guerra’), ricerche che dovranno attendere la nuova riformulazione delle pulsioni, contenuta in “Al di là del principio di piacere”, per essere sviluppate[15]. <<Se le nevrosi traumatiche e le nevrosi di guerra parlano a voce altissima dell’influsso del pericolo mortale, mentre non parlano affatto o parlano in modo abbastanza chiaro degli effetti prodotti dalla “frustrazione dell’amore”>>, Freud ha già in mente mentre scrive queste righe il ruolo delle pulsioni distruttive come chiave della soluzione del problema[16].  In effetti, come scrive Abram Kardiner (alla voce “Nevrosi traumatiche di guerra” del Manuale di Psichiatria curato da Arieti, 1959-1966), Freud nell’introduzione non sostiene le tesi dei suoi allievi circa l’importanza della regressione, nelle nevrosi di guerra, <<a uno degli stadi libidici dell’ontogenesi, quello orale o quello anale>>. E aggiunge (Kardiner, op. cit., pag. 240, 1959-1966): <<Forse non era soddisfatto di queste spiegazioni, dato che era già impegnato in una nuova impostazione. Essa comparve in Al di là del principio del piacere ed è nota come la teoria del Reitzschutz, in cui Freud annunciava una nuova definizione del trauma come una rottura delle difese contro gli stimoli.  La rottura portava con sé una forte ansia evidenziabile nei sogni ed era un tentativo da parte dell’organismo di liberarsi da quest’ansia reagendovi frammentariamente attraverso la ripetizione costante>>[17] (Kardiner, op. cit., 1959-1966). Ma Freud non spiega ancora in cosa consistesse la protezione contro gli stimoli, <<come venisse costruita, e come distrutta>> (Kardiner, ibidem, 1959-1966). Il pensiero di Freud ci è pervenuto attraverso una parte speculativa di “Al di là del principio di piacere” in cui memoria e funzione protettiva dagli stimoli esterni costituiscono le due funzioni fondamentali del sistema C (coscienza). Quindi il ricordare ed il ripetere vengono posti in un nuovo rapporto con il rielaborare, sotto l’egida cioè di un 'Reitzschutz', di una protezione , di uno ‘scudo’ che protegge dagli stimoli esterni. Nel momento in cui il trauma, date le sue caratteristiche energetiche rompe questo scudo protettivo, il compito è quello di padroneggiare, di << “legare”[18] psichicamente le masse di stimoli che hanno fatto irruzione nell’apparato psichico, in modo da potersene poi sbarazzare>> (pag. 215). Memoria e coazione a ripetere si pongono quindi come due modalità antipodiche di ‘legare’ gli stimoli traumatici, ma in “Al di là del principio di piacere” questa correlazione non è al centro del discorso, preso com’è Freud dall’impostare tutto in termini energetici (scarica, investimenti liberi e quiescenti, controinvestimenti[19], violenza meccanica del trauma, principio di costanza[20] o di inerzia[21]) e pulsionali per introdurre la ‘prima pulsione’, quella ‘a ritornare allo stato inanimato’(pag. 224). Quindi, non solo è giustificata la critica di Kardiner, ma non viene aperta alcuna strada nuova che aiuti a comprendere il processo della ‘rimemorazione del trauma’. Invece, Freud resta sempre su un piano teoretico anche quando nella “Nota sul ‘notes magico’”(1924) integra il punto di vista topico dei due strati della ‘vescichetta’ (da cui origina il sistema P-C[22], in cui lo schermo antistimolo rappresenta lo strato più esterno) con la fisiologia della memoria, anche rispetto a ciò che si osserva nella situazione analitica: <<è nel lavoro costruttivo e ricostruivo in analisi che i due sistemi[23] possono entrare in contatto. In questo caso gli eventi depositati e le emozioni vissute nel passato e archiviate nel sistema della memoria (implicita?) vengono riportate alla luce, rivissute nel transfert e rappresentate nel sogno. Freud dice che quel notes veramente e doppiamente magico siamo noi, che in opportune condizioni riusciamo a portare alla luce ciò che in noi si è inscritto>> (Mancia, “Memoria e psicoanalisi”, in <<La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini>>, 2005, pag. 40).

Il punto di arrivo di questo excursus nell’opera freudiana può essere rappresentato da “Costruzioni in analisi”(1937), in cui accanto alla metafora dell’analista-archeologo, troviamo una posizione più prudente di Freud rispetto al recupero dei ricordi. Se è vero che <<ciò che ci interessa è  un quadro, attendibile  e completo in tutti i suoi elementi essenziali, degli anni dimenticati della vita del paziente>> (“Costruzioni in analisi”, 1937, pag. 542), tuttavia in numerosi casi ci dobbiamo fermare a delle costruzioni. <<Queste producono sicuramente una “spinta del rimosso verso l’alto” che “cerca di portare alla coscienza delle tracce mnesiche significative”, ma che spesso si eclissano>> (Bohleber, op. cit., 2007) a causa di una resistenza che <<era  riuscita, se non proprio ad arrestare questo movimento, almeno a spostarlo su oggetti adiacenti e di secondaria importanza>>. Se, Freud ribadisce, compito dell’analisi è il <<ripristinare il ricordo di determinati episodi, nonché dei moti affettivi da essi suscitati>> (“Costruzioni in analisi”, pag. 542), e se alla singola costruzione, pur preliminare, che coinvolge due persone (importanza della dinamica transfert-controtransfert) <<attribuiamo solo il valore di un’ipotesi in attesa di verifica, conferma o confutazione[24]>> (Freud, "Costruzioni in analisi", 1937), il fine della ri-costruzione non deve essere il raggiungimento della “verità materiale” (come sono andati davvero i fatti) degli avvenimenti passati che riguardano il paziente, ma piuttosto la “verità storica” di essi e cioè come il paziente li ha soggettivamente vissuti nel passato e perché li ha rimossi e dimenticati.

 

Gli sviluppi post-freudiani

Tre mi sembrano i principali sviluppi che le teorizzazioni freudiane sulla memoria e sul trauma avranno nella psicoanalisi post-freudiana:

1) uno spostamento dal modello pulsionale a quello delle relazioni oggettuali, con una valorizzazione della dinamica transfert-contotransfert nel qui ed ora[25] della relazione analitica per cui il ricordare non è mai una riproposizione dell’esattezza storica dei fatti, così come sono accaduti “lì ed allora” (sviluppo a partire da “Costruzioni in analisi”). Anche lo spostamento di Freud nella valorizzazione della fantasia inconscia ha avuto un suo peso decisivo specie nel modello kleiniano di concepire il ricordare il trauma all’interno del setting analitico;

2) un ulteriore sviluppo nel senso costruttivista e narratologico di certe correnti psicoanalitiche per cui, di fatto, <<la verità storica è sostituita dalla verità narrativa>> (Bohleber, op. cit., 2007) e la cui difficoltà consiste <<nel fatto che esse escludono o oscurano il riferimento alla realtà posta dietro alla narrazione>> (Bohleber, op. cit., 2007) . Il trauma costituisce un problema, come scrive Bohleber, per tutte le teorie ermeneutico-narrative e costruttiviste: <<dato che esse non possono più comprendere il crollo del processo di costruzione stesso che ci permette di generare dei significati>>  <<l’elemento distruttore, la violenza traumatizzante diretta resta un “troppo”, un eccesso massivo che passa da parte a parte la struttura psichica e non può essere legato attraverso la significazione>> (Bohleber, op. cit., 2007).

 

3)   uno spostamento verso un modello interpersonale/relazionale, che ha incorporato la teoria dell’attaccamento ed ha potentemente revisionato la metapsicologia freudiana, alla luce delle neuroscienze e dell’'infant research', che <<invece di considerare la situazione psicoanalitica soltanto come un teatro per rimettere in scena il passato (attraverso il presente), (…) vede il paziente saldamente ancorato al presente (dove utilizza ciò che ha appreso dal passato)>>(Mitchell & Black, “L’esperienza della psicoanalisi”, 1995). In più nella formulazione di Fonagy questo approccio  mette in discussione la teoria della rimozione per far coincidere l’inconscio con la memoria implicita o procedurale (Fonagy, “Memory and therapeutic action”, Int. J.Psychoanal., 80, pagg. 215-223, 1999)[26].  

  Foto: Peter Fonagy

In riferimento alle teorie   psicoanalitiche del trauma, i principali orientamenti psicoanalitici attuali mi sembrano riassumersi in tre filoni:

1) trauma  “corpo estraneo” ;

2) trauma suscettibile di esser parte comunque dello psichismo generale (l’”infiltrato” di Freud)

3) una posizione mediana e conciliante tra le due.

La prima posizione trae origine dal criterio economico-energetico del trauma secondo Freud e, con teorie rivedute e corrette, si rifà al modello del 'Reitzschutz', dello schermo antistimoli. Trova sostegno in certi sintomi del disturbo post-traumatico da stress come l’immutabile ripetitività dei sogni e dei 'flasbacks' del traumatizzato e in certi modelli clinici, come quello di Van der Kolk (Van der Kolk, McFarlane & Weisaeth, “Traumatic Stress: The effects of overwhelming experience on mind, body and society”, Guilford Press, 1996) che ipotizza l’esistenza di una memoria specifica del trauma nella quale i ricordi traumatici sono conservati in un modo del tutto differente rispetto alla memoria autobiografica. <<L’eccitamento estremo divide il ricordo in differenti elementi somato-sensoriali isolati, in immagini, in stati affettivi, in impressioni somatiche così come in odori ed in rumori>> (Bohleber, op. cit., 2007). Van der Kolk suppone che questi ricordi appartenenti alla memoria implicita concordino con l’esperienza fattuale, ma che sotto tale forma non possano essere integrati in una memoria narrativa. Si tratta più che di un ricordo vero e proprio di un dato non simbolico, fisso e non modificabile che si pone di fronte ad un Sé sconnesso al momento dell’esperienza traumatica. L’essenza di questa prima posizione teorica è che è il trauma è inciso nella memoria con un’esattezza atemporale e al contempo letterale che sembra provare una verità storica <<che non è modificata né rimodellata da un senso soggettivo, da schemi cognitivi o da aspettative o fantasmi inconsci>> (Bohleber, op. cit., 2007).

La seconda posizione teorica, che è quella propria della teoria delle relazioni oggettuali, prende spunto non dalla definizione economica di trauma di Freud ( evento che supera e vince la barriera antistimolo dell’Io), ma dalla teoria freudiana della fantasia inconscia e anche dal concetto di “fissazione” (cioè dei fattori predisponenti) che Freud individuò nella psicodinamica delle nevrosi traumatiche. In questo modello il trauma non è tale in virtù di sue caratteristiche quantitative, né  è più necessario che sia un singolo shock massivo, e nemmeno la sua qualità accidentale: quello che conta è piuttosto il significato che quell’evento ha in termini di danneggiamento di una data relazione oggettuale o di crollo nella comunicazione interna tra le rappresentazioni del Sé e dell’oggetto (si veda a proposito della ‘violenza socialmente accettata’ il lavoro di Kernberg uscito sull’Int. J.Psychoanal. nel 2003).

  Foto: Otto Kernberg

L’aver spostato il focus sulle relazioni oggettuali ha fatto notevolmente estendere a questi autori il significato di trauma, comprendendo anche eventi che a tutta prima non definiremmo come traumatici: si pensi alle negligenze abituali e continuative di cui sono vittima certi bambini, alle carenze genitoriali ed ambientali di Winnicott che Masud Khan definì come “trauma cumulativo”. In poche parole, questa posizione può essere riassunta così: <<il trauma non è soltanto l’introduzione di qualcosa di drammaticamente negativo, spaventoso e dannoso (…) ma è più fondamentalmente il fallimento nel sostenere qualcosa di positivo: le condizioni necessarie per uno sviluppo psichico sano>> (Mitchell & Black, “L’esperienza della psicoanalisi”, 1996, pag. 237). Questo orientamento teorico vede, quindi, la psicopatologia non come prodotto di un’intrusione dall’esterno, ma di una distorsione di ciò che è interno[27].

3) La terza posizione che ho definito mediana e conciliante, in realtà è quella più vicina all’eredità freudiana. Dopo che Freud abbandonò la teoria della seduzione infantile nel 1897, continuò a sostenere entrambi i versanti della teoria del trauma, quello connesso alla quantità di eccitamenti e quello implicante il ruolo delle fantasie inconsce. Possiamo dire che questo orientamento è quello che personalmente preferisco, confortato da autori come Bohleber che su questa dialettica tra modello energetico e modello delle relazioni oggettuali del trauma imposta un interessantissima riflessione su ciò che il passato, il ricordare e soprattutto la loro storicizzazione significano in termini terapeutici. Ma in questa terza via vorrei includere anche Mauro Mancia.

Foto: Mauro Mancia

 Mancia nei suoi contributi sulla memoria (ma anche in quelli sul sogno) ha ampliato la prospettiva psicoanalitica inscrivendola all’interno di un dialogo sempre rinnovato ed arricchente tra psicoanalisi e neuroscienze, e sempre rispettoso delle specificità di ciascuno dei due versanti metodologici. Egli ha fatto notare come la dicotomia all’interno della memoria a lungo termine tra quella dichiarativa-esplicita (nei sue due versanti di episodica o autobiografica e di semantica) e quella procedurale-implicita non poteva essere nota a Freud, la cui concezione della memoria era più omogenea, seppure egli ammettesse diversi “sistemi mnestici”[28]. Questa dicotomia  è risultata evidente in seguito alle recenti ricerche neuropsicologiche sulle amnesie[29] , essendo la memoria implicita correlata ai gangli della base, alle connessioni cortico-striatali (ruolo degli studi sui pazienti parkinsoniani e affetti da Corea di Huntington), ma anche la corteccia cerebellare ed i nuclei cerebellari. Ma nondimeno nel corso della sua opera ha saputo mantenere tutta la complessità del pensiero freudiano (con l’importante contributo di quello kleiniano) rilanciandolo in termini di originali e personali proposizioni teoriche, e mai sottoponendolo a riduzionismi o a facili semplificazioni. Rilevanti sono state le sue ricerche sul sogno da lui concepito come ‘religione (da re-ligare) della mente’ in quanto <<unisce in una complessa relazione gli elementi emotivamente e affettivamente più significativi che dalla nascita si sono stratificati nel nostro mondo interno e che dominano la nostra mente>> (Mancia, “Il sogno e la sua storia”, Marsilio, 2004, pag. 98). Insomma se possiamo pensare all’opera di Freud come ad un fiume i cui emissari sono rappresentati dai vari filoni teorici da esso derivati, Mancia ha mantenuto senza mai ridurla quella vasta e potente portata che proveniva dalla sua sorgente.

A Mancia  verrà dedicato un momento di questo convegno, che consisterà in una sua commemorazione ad opera di Franca Maisetti Mazzei.

Foto: Franca Maisetti Mazzei e Giovanni Invitto durante il convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" (Lecce, 5 aprile 2008)

 

 

Il posto dell'Arte

Anche l’arte riflette, ad un livello simbolico ed in quanto prodotto di quella sublimazione che Freud considerava come centrale nel lavoro della civiltà (Kulturarbeit, 1929), quella crisi dei garanti metasociali a cui le civiltà mediterranee post-moderne vanno incontro[30]. L’impensabile nella trasmissione tra le generazioni può in essa raggiungere una rappresentabilità, una figurabilità, rendendo il deposito di fantasie mortifere e distruttive nella psiche dell’artista materia bruta in attesa di essere plasmata e di acquisire una elaborazione sotto il dominio della creatività.

Santa Fizzarotti Selvaggi nella Medea ci fornisce un’illustrazione di come nella tragedia greca sia all’opera la trasmissione del negativo tra le generazioni che ha un sapore inconfondibile di ineluttabilità, di destinalità.  Un messaggio inconscio viene trasmesso SENZA TRASFORMAZIONE di generazione in generazione e viene DEPOSTO in un bambino sotto forma di un trauma cumulativo (Masud Khan) transgenerazionale. <<Il bambino destinale è l’agente di questa tragedia di cui la famiglia, attraverso più generazioni, si costituisce come l’attore>> (Kaes, op. cit. 2007). E anche in questa trasmissione dell’ineluttabile (che cioè viene trasmesso senza lutto) si scorge il ruolo della coazione a ripetere . Essa si manifesta spesso nei sogni, specie nei pazienti traumatizzati: ed ai luoghi del sogno e della memoria nel cinema è dedicato l’intervento di Massimo Maisetti nella stessa tavola rotonda in cui Uccio Biondi presenterà una sua video-performance dal titolo “Signora violenza”.

Foto: Santa Fizzarotti Selvaggi e Massimo Maisetti durante la tavola rotonda "Psicoanalisi, Cinema ed Arte" (convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" - Lecce 5 aprile 2008)

 

 

 

Conclusioni

Ma, per concludere, dobbiamo esplicitare un aspetto terapeutico della memoria collettiva, del ‘ricordare insieme’. Come scrive Bohleber (op. cit., 2007), <<I “disastri causati dall'uomo” ( man made disasters ), i “disastri per mano dell'uomo”, come l'Olocausto, le guerre, le persecuzioni politiche ed etniche, mirano attraverso le loro forme di disumanizzazione e di distruzione della personalità all'annichilimento dell'esistenza storico-sociale dell'uomo. L'individuo non può integrare mediante un atto idiosincratico tali esperienze traumatiche in un contesto narrativo, egli ha bisogno di un discorso comunitario sulla verità storica dell'episodio traumatico così come sul diniego e sulle difese suscitate. La chiarificazione scientifica ed un riconoscimento collettivo della causa e della colpa permettono di restituire il quadro interumano e quindi la possibilità di liberare senza censura l'esperienza di ciò che è già accaduto nella realtà. E' solo in questo modo che la comprensione di sé e del mondo può essere rigenerata. Se regnano nella società delle tendenze difensive o esistono delle ingiunzioni al silenzio, i sopravvissuti traumatizzati restano soli con le loro esperienze. Al posto di trovare un sostegno nella comprensione degli altri, la colpa personale domina in essi come principio esplicativo>>.

E allora se non esiste una memoria condivisa dell’orrore che è accaduto “là ed allora”, noi tutti rischiamo di ripetere ritualmente la frase “Mai più”, che produce solo un effetto di protezione scaramantica rispetto al futuro, o ancora, dietro la maschera dell’indicibile (come ha fatto notare Fridhelm Boll nel 2003), rischiamo di celare una difesa collettiva rispetto alla testimonianza dei sopravvissuti. Giustificando e razionalizzando quella congiura del silenzio che Freud nell’ultimo suo lavoro, intitolato “Antisemitismo in Inghilterra”, illustra con i versi di Jean Sauvé de la Noue:

Le bruite et pour le fat,

La plainte est pour le sot ;

L’honnete homme trompé

S’en va et ne dit mot.

[Chiasso per il fatuo

Pena per lo sciocco

E il gentiluomo tradito

Se ne va senza dir motto]

 

 

 

 

 


 
Note:

[1] WINNICOTT in “La sede dell’esperienza culturale” (incluso in “Gioco e realtà”, Armando, 1974) parla della CULTURA come di un luogo psichico : <<Utilizzando il termine cultura, penso alla tradizione che si eredita. Penso a qualcosa che è la sorte comune dell’umanità a cui possono contribuire gli individui ed i gruppi, e da cui ognuno di noi potrà trarre qualcosa, se abbiamo un luogo in cui mettere ciò che troviamo>>. Per Kaes il disagio del mondo moderno consiste nella difficoltà <<di costituire questo luogo in cui mettere ciò che troviamo>> (Kaes, "Il disagio del mondo moderno e la sofferenza del nostro tempo", in Psiche, n.2, 2005) e L’ESILIO, IL NOMADISMO, IL VAGABONDAGGIO E LO SPOSTAMENTO SONO VISTI COME IL SINTOMO DI UNA DISLOCAZIONE DEL CONTRATTO NARCISISTICO.

[2] I garanti metasociali, <<le grandi strutture di inquadramento e di regolazione della vita sociale e culturale>>, la cui funzione è garantire una sufficiente stabilità alle formazioni sociali, sono da distinguere dai GARANTI METAPSICHICI il primo dei quali è l’identificazione PRIMARIA che è quella che permette al neonato di sentirsi parte dell’umanità, fatto della stessa ‘pasta’ degli altri essere umani (poi vengono le identificazioni secondarie della fase edipica e quindi quelle terziarie ad esordio in adolescenza). I garanti metapsichici della vita psichica sono le  <<formazioni e i processi dell’ambiente psichico su cui si basa e si struttura la psiche di ogni soggetto>> (R. Kaes, “Il disagio del mondo moderno e la sofferenza del nostro tempo”, in “Psiche”, n.2, 2005).

[3] Tra i garanti metapsichici Kaes comprende le ALLEANZE STRUTTURANTI (il contratto di rinuncia alla realizzazione diretta delle mete pulsionali, il contratto con la funzione paterna, il contratto narcisistico), che contengono i principi organizzatori dello psichismo e le interdizioni fondamentali e che sono anche al servizio del “programma di civiltà”(Freud), e le ALLEANZE DIFENSIVE (il patto di comune diniego ed il contratto perverso) che comportano una deriva patologica. Le ALLEANZE PSICHICHE INTERSOGGETTIVE preesistono al neonato ed appartengono allo spazio condiviso di un gruppo. Queste alleanze sono sensibili alle strutture profonde della vita sociale e culturale (garanti metasociali) e si evidenziano con la loro crisi o fallimento. Il CONTRATTO NARCISISTICO assegna ad ognuno un suo posto sin da prima della nascita e questo contratto viene significato dall’insieme di voci che continua a tenere un discorso conforme al MITO FONDATORE DEL GRUPPO. Tale discorso che contiene IDEALI e VALORI assicura quella CATENA che lega l’individuo all’ANTENATO FONDATORE. La TRIPLICE FUNZIONE del contratto narcisistico è 1) ASSICURARE UN ORIGINE; 2) STABILIRE UNA CONTINUITA’; 3) ASSICURARE AL BAMBINO, come contropartita de suo investimento nel gruppo, “il diritto di occupare un posto indipendente dal solo verdetto genitoriale”. Ma una quarta funzione è anche quella di mantenere la temporalità <<di un progetto e di un futuro per il gruppo e per i soggetti che ne sono al contempo gli anelli, i servitori, i beneficiari e gli eredi>>. L’INTENSITA’, LE FORME E LE POSTE IN GIOCO del contratto narcisistico DIPENDONO DAI GARANTI METASOCIALI.

[4]  Si veda la definizione che Freud dà dei ricordi di copertura: <<Chiamerei un tale ricordo, il cui valore consiste nel prendere nella memoria il posto di impressioni e pensieri che appartengono a un’epoca posteriore e che hanno un contenuto che si collega, mediante relazioni simboliche e di analogia, a quello della scena ricordata, ricordo di copertura>> (Freud, 1899, op. cit. pag. 446).

[5] Già in una lettera a Fliess del 1895 Freud aveva parlato di <<una risistemazione conseguente a nuove relazioni, una reiscrizione>> a cui andrebbero incontro le tracce mnesiche.

[6] Qui Freud anticipa quei ricordi infantili che menzionerà nel caso dell’uomo dei lupi (1914) e nell’Introduzione alla psicoanalisi (1915-1917). Nel “Caso clinico dell’uomo dei lupi”(1914) è a tal fine illuminante la nota di Freud (a pag. 515) in cui egli, a proposito della comprensione da parte del paziente della scena primaria, scrive: <<Intendo dire che lo comprese all’epoca del sogno, a quattro anni, non al momento dell’osservazione. In altre parole, a un anno e mezzo egli raccolse impressioni la cui comprensione differita fu poi resa possibile dal suo sviluppo, dall’eccitamento sessuale e dall’esplorazione sessuale infantile>>.

[7] Qui menzionato per la prima volta.

[8] <<La connessione causale fra trauma psichico induttore e fenomeno isterico non va però intesa nel senso che il trauma, fungendo da agente provocatore, susciti il sintomo e questo, divenuto indipendente, continui poi a sussistere per conto proprio. Dobbiamo piuttosto affermare che il trauma psichico, o meglio il ricordo del trauma, agisce al modo di un corpo estraneo, che deve essere considerato come un agente attualmente efficiente anche molto tempo dopo la sua intrusione (…)>> (Freud, “Studi sull’isteria”, 1892-1895, pag. 178).

[9] Per Baranger , Baranger & Mom il trauma è al centro di un paradosso: il trauma è davvero intrusivo ed estraneo, ma finché resta tale verrà rianimato e si infiltrerà nelle ripetizioni senza poter essere compreso.

[10] Già in “Le mie opinioni sul ruolo della sessualità nell’etiologia delle nevrosi”(1905) Freud aveva inaugurato l’abbandono della teoria traumatica sottolineando l’importanza delle fantasie inconsce di origine infantili.

[11]  <<All’afflusso di eccitazione che fa irruzione e minaccia la sua integrità, il soggetto non può rispondere né con una scarica adeguata, né con una elaborazione psichica. Sopraffatto nelle sue funzioni di legamento, egli ripeterà in modo coatto, specie sotto forma di sogni, la situazione traumatizzante per tentare di legarla >> (Laplanche & Pontalis, ibidem, pag. 358).

[12] Nella lezione 18 dell’”Introduzione alla psicoanalisi” (pag. 436) così scrive: <<Ma le nevrosi traumatiche non sono sostanzialmente la stessa cosa delle nevrosi spontanee che  siamo soliti indagare e curare analiticamente; finora non siamo nemmeno riusciti a ricondurle nel nostro quadro teorico e io spero di potervi spiegare un giorno da che cosa dipenda questa limitazione>>. Salvo subito dopo introdurre l’elemento di comunanza tra nevrosi traumatiche e non traumatiche:<<In un punto però possiamo rilevare una completa concordanza. Le nevrosi traumatiche offrono chiari indizi che alla loro base vi è una fissazione al momento dell’incidente traumatico. Nei loro sogni questi ammalati ripetono regolarmente la situazione traumatica (…)>> rimandando quest’ultima parte alla ‘coazione a ripetere’ che troverà il suo sviluppo in “Al  di là del principio di piacere”.

[13] Così scrive a pag. 72 dell’Introduzione al libro “Psicoanalisi delle nevrosi di guerra”(1919): <<Ebbene, è verissimo, come osserva Ernest Jones nel suo contributo, che non si è ancora dimostrato che questa parte della teoria è valida nel caso delle nevrosi di guerra. I lavori che potrebbero provarlo non sono ancora stati avviati.  Può darsi che le nevrosi di guerra siano un materiale che non si presta comunque a questa dimostrazione.>>

[14]  Scrive infatti Freud all’inizio dell’introduzione del libro “Psicoanalisi delle nevrosi di guerra”(1919): <<Quando questo tema venne messo in discussione, nel quinto Congresso psicoanalitico (tenuto a Budapest nel settembre 1918), erano presenti alcuni rappresentanti ufficiali delle più alte istanze delle Potenze Centrali, ivi convenuti per prendere conoscenza delle comunicazioni e delle discussioni congressuali>>.

[15] A proposito dello spavento nelle nevrosi traumatiche, Freud scrive in “Al di là del principio di piacere”(1920, pag. 198-199): <<I termini “spavento”(Schreck), “paura” (Furcht) e “angoscia” (Angst) sono usati a torto come sinonimi; in realtà corrispondono a tre diversi atteggiamenti di fronte al pericolo. L’”angoscia” indica una certa situazione che può essere definita di attesa del pericolo e di preparazione allo stesso, che può anche essere sconosciuto. La “paura” richiede un determinato oggetto di cui si ha timore; “lo spavento” designa invece lo stato di chi si trova di fronte a un pericolo senza esservi preparato, e sottolinea l’elemento della sorpresa. Non credo che l’angoscia possa produrre una nevrosi traumatica; nell’angoscia c’è qualcosa che protegge dallo spavento e quindi anche dalla nevrosi da spavento. Ritorneremo su questo punto più avanti>>. E’ possibile che qui sia adombrata la distinzione tra angoscia come reazione a una situazione traumatica e angoscia come segnale che pre-annuncia l’avvicinarsi di un tale evento, distinzione che viene definita in “Inibizione, sintomo e angoscia”(1925).

[16] Illuminante è infatti la precisazione di Freud alla fine della sua Introduzione (pag. 75): <<Anzi, si potrebbe dire che nelle nevrosi di guerra – a differenza della pura nevrosi traumatica e analogamente a quanto accade nelle nevrosi di traslazione – ciò che si teme è a ben vedere un nemico interno. Le difficoltà teoretiche che ostacolano un’ipotesi unificante come questa non sembrano insuperabili; dopo tutto la rimozione che sta alla base di ogni nevrosi può a buon diritto essere definita come la reazione a un trauma, come una nevrosi traumatica elementare>>.

[17] Ripetizione indipendente dal principio di piacere e “al di là di esso” (coazione a ripetere) che viene definita dapprima nel gioco infantile (osservazione del “fort-da” o gioco del rocchetto) e nel transfert come risposta alle difficoltà poste dalla ripetitività dei sogni traumatici che sembrano scardinare dalle fondamenta l’assunto che il sogno costituisca sempre un appagamento del desiderio. Nel gioco del rocchetto, dopo la sua descrizione, la domanda cruciale di Freud è: <<Come può dunque accordarsi col principio di piacere la ripetizione sotto forma di giuoco di questa penosa esperienza?>>(pag. 201). Una conclusione provvisoria è il postulare (pag. 203) <<tendenze che operano al di là del principio di piacere, tendenze cioè più originarie e da esso indipendenti>>.  Comunque più avanti (pag. 218) Freud ammetterà che esiste <<un’eccezione alla regola che il sogno è l’appagamento di un desiderio>>: si tratta dei <<sogni che si producono nelle nevrosi traumatiche>> e di quelli <<che hanno luogo durante il trattamento psicoanalitico e che riproducono i traumi psichici dell’infanzia>>. <<Questi sogni>> aggiunge Freud <<ubbidiscono piuttosto alla coazione a ripetere, anche se è vero che quest’ultima, durante l’analisi, viene sostenuta dal desiderio (suscitato dalla “suggestione”) di rievocare quello che è stato dimenticato e rimosso>>.

[18] Freud fa riferimento alla <<distinzione stabilita da Breuer fra l’energia di investimento quiescente (legata) e l’energia liberamente mobile negli elementi di sistemi psichici (Studi sull’isteria); gli elementi del sistema C non porterebbero energia legata, ma solo energia libera idonea alla scarica>> (pag. 212).

[19] <<Controinvestimento: processo economico postulato da Freud come supporto di numerose attività difensive dell’Io. Esso consiste nell’investimento da parte dell’io di rappresentazioni, sistemi di rappresentazioni, atteggiamenti, ecc. capaci di ostacolare l’accesso delle rappresentazioni e dei desideri inconsci alla coscienza e alla motilità>> <<Infine, Freud fa appello al concetto di controinvestimento in riferimento alla relazione dell’organismo con l’ambiente per spiegare le reazioni difensive contro una irruzione di energia esterna che trapassa lo schermo atistimolo (dolore, trauma). L’organismo mobilita allora parte dell’energia interna, sottraendola alle altre sue attività, per creare una specie di barriera capace di impedire o limitare l’afflusso di eccitazioni esterne>> (Laplanche & Pontalis, “Enciclopedia della psicanalisi”, Laterza, 1968) che spiegherebbe  le manifestazioni negative (anedonia, energia, mancanza di attenzione e concentrazione, ecc.) delle nevrosi traumatiche.

[20] <<Principio di costanza: principio enunciato da Freud secondo cui l’apparato psichico tende a mantenere al livello più basso o perlomeno più costante possibile la quantità di eccitazione che esso contiene. La costanza è ottenuta sia con la scarica dell’energia già presente, sia con l’evitare ciò che potrebbe aumentare la quantità di eccitazione e con la difesa contro tale aumento>> (Laplanche & Pontalis, ibidem, 1968).

[21] <<Principio di inerzia: principio del funzionamento del sistema neurotico postulato da Freud nel “Progetto per una psicologia scientifica”: i neuroni tendono a evacuare completamente le quantità di energia che ricevono>> (Laplanche & Pontalis, ibidem, 1968).

[22] Percezione-Coscienza in “Al di là del principio di piacere” e in “Nota sul ‘notes magico’.

[23] Qui Mancia si riferisce ai due sistemi “phi” e ‘psi” che risalgono al “Progetto” e che consentono alla nostra memoria di accogliere nuovi messaggi , ma al contempo di conservare le tracce delle annotazioni precedenti.

[24] Freud aggiunge (pag. 549): <<Non rivendichiamo per essa autorità alcuna, non pretendiamo dal paziente un immediato consenso né ci mettiamo a discutere con lui se a tutta prima la ricusa>>.

[25] Sull’approccio psicoanalitico basato sul qui ed ora, messo a confronto con quello in cui la temporalità integra l’après coup, si veda l’articolo di Dana Birksted-Breen “Il tempo e l’après-coup”, in Int.J.Psychoanal., 2003 (trad.ital. in “L’annata psicoanalitica internazionale” , Borla, 2005). L’autrice definisce l’approccio del “qui ed ora” come quello che <<si regge sull’idea che soltanto il presente è conoscibile e che, seppur discendendo dal passato, esso è in un rapporto complesso con il passato reale>> (pag. 16).

[26] In realtà, se la proposta di Fonagy è piuttosto discutibile, tuttavia nei disturbi post-traumatici, in effetti, i meccanismi di difesa invocabili sembrano essere la dissociazione e la scissione più che la rimozione. Come osserva Gabbard (“Psichiatria psicodinamica, Cortina, 2002) <<nel caso della rimozione si crea una scissione orizzontale per mezzo della barriera della rimozione e il materiale è trasferito all’inconscio dinamico. Nella dissociazione si realizza invece una scissione verticale per cui i contenuti mentali esistono in una serie di coscienze parallele (Kluft, 1991, cit. da Gabbard) (…)Quindi, la dissociazione può essere attivata da un trauma, mentre la rimozione viene attivata da desideri particolarmente conflittuali (Spiegel, 1990, cit. da Gabbard)>>. Per quanto riguarda la differenza tra dissociazione e scissione nei disturbi dissociativi, Gabbard fa notare che Young (1988, cit. da Gabbard) notava <<che le altre personalità tendono a non essere polarizzate su stati dell’Io contraddittori, ma possiedono piuttosto molte caratteristiche che si sovrappongono>>. Inoltre, Davis e Frawley (1992, cit. da Gabbard)  hanno evidenziato questa differenza tra scissione e dissociazione: la seconda riguarda un clivaggio degli stati dell’Io, mentre la prima una divisione tra oggetto buono e oggetto cattivo.

[27] In effetti, l’importanza delle relazioni oggettuali rispetto alle conseguenze che avrà un dato evento traumatico sulla psiche di un bambino si può ben desumere dai casi di minori vittime di abusi sessuali. Come giustamente osserva Bohleber (op. cit., 2007), <<non sono in prima linea le ferite del bambino da parte della violenza fisica che provocano un disturbo traumatico, ma l’elemento patogeno più forte è il maltrattamento o l’abuso da parte della persona di cui si ha bisogno per essere protetto e curato>>. D’altronde tutta una serie di dati clinici sul PTSD dimostrano che non è solo la natura e l’intensità dell’evento traumatico ad essere predittivo dell’instaurarsi di un PTSD o di un disturbo dissociativo. Se <<la maggior parte delle persone non sviluppa un PTSD neanche quando si confronta con traumi terrificanti>> (Gabbard, “Psichiatria psicodinamica”, Cortina, 2002), <<in alcuni individui eventi che sembrano essere di gravità relativamente modesta possono invece scatenare un PTSD a causa del significato soggettivo che viene loro attribuito>> (Gabbard, op. cit., pag. 264). In questo rapporto tra fattori predisponesti e specifici eventi esterni ai fini dello svilupparsi di un PTSD, una svolta storica è rappresentata dall’introduzione, col DSM-III (1980), di una metodologia per oggettivare, misurandola, la gravità dell’insulto esterno, >>a prescindere dal vissuto personale e dal sistema biografico che questo viene ad assumere>> (Giovanni Neri, voce “Disturbo postraumatico da stress” del “Dizionario storico…, Einaudi, 2007) . <<Non a caso>> prosegue Neri <<il DTPS è l’unico disturbo del manuale a essere caratterizzato dall’eziologia piuttosto che dalla sintomatologia>>. Con il DSM-IV si è un po’ mutata la rotta, dato che <<la maggioranza dell’Advisory Committee del DSM-IV si è dichiarata in favore di una revisione dei criteri di stress che ponga una maggiore enfasi sulla risposta soggettiva dell’individuo all’evento traumatizzante (Kilpatrick, Resnick, 1993>> (Gabbard, “Psichiatria psicodinamica, Cortina, 2002, pag. 264).

[28] <<Freud introduce delle distinzioni topiche anche all’interno della memoria. Un dato evento viene trascritto in diversi “sistemi mnestici”.  Freud ha proposto vari modelli più o meno metaforici di questa stratificazione della memoria in sistemi. Negli “Studi sull’isteria”, egli paragona l’organizzazione della memoria ad archivi complessi in cui i ricordi sono ordinati secondo diversi modi di classificazione: ordine cronologico, legame in catene associative, grado di accessibilità alla coscienza. (…) Freud  ha perfino tentato di distinguere i diversi sistemi in cui  uno stesso oggetto trascrive le sue tracce a seconda dei tipi di associazioni (per simultaneità, causalità, ecc.)(si veda “Interpretazione dei sogni” >>  (Laplanche & Pontalis, “Enciclopedia della psicoanalisi”, Laterza, 1968). Si veda anche a questo proposito Bohleber nell’op. cit. : <<Freud fa l’ipotesi di una successione di più sistemi di memoria in connessione, che si dispongono secondo dei principi determinati essendo la stessa traccia mnesica immagazzinata a più livelli sotto forma di duplicato. Il primo sistema associa gli elementi secondo il principio di simultaneità, i sistemi che seguono li presentano secondo altri tipi di associazione, ad esempio secondo relazioni di rassomiglianza (“Interpretazione dei sogni”) o di contiguità (“Ricordi di copertura”, 1899).

[29] La memoria dichiarativa è direttamente accessibile alla coscienza, può essere descritta a parole e concerne  il vissuto storico individuale (forma episodica) oppure la conoscenza del mondo in generale (forma semantica). Al contrario, la memoria procedurale o implicita non è direttamente accessibile alla coscienza e non può essere descritta a parole in termini di fatti, dati specifici e eventi ben localizzati nel tempo e nello spazio. E’ la memoria che si forma in modo automatico e ampiamente inconscio tramite pratiche motorie o percettive ripetute molte volte. Gabbard (in “Psichiatria psicodinamica”, Cortina, Milano, 2002) a queste due forme di memoria aggiunge quella associativa che stabilisce correlazioni tra parole, sentimenti, idee, persone, eventi o fatti. All’interno della memoria implicita sono compresi quegli schemi inconsci <<che si riferiscono alle relazioni oggettuali interne>> che <<sono in qualche modo ricordi procedurali che si ripetono di volta in volta nella varietà delle situazioni interpersonali>> (Gabbard, ibidem). E’ sorprendente come già Henri Bergson, in “Materia e memoria”(1896) parlasse di due distinte forme di memoria: <<(…) potremmo raffigurarci due memorie teoricamente indipendenti. La prima registrerebbe, sotto forma di immagini-ricordo, tutti gli avvenimenti della nostra vita quotidiana via via che si svolgono (…) >> (Bergson, <<Materia e memoria”. La seconda memoria <<del passato ha conservato soltanto i movimenti intelligentemente coordinati (…); essa non ci raffigura più il nostro passato, ma lo mette in atto; e se merita ancora il nome di memoria, non è più perché conserva delle vecchie immagini, ma perché ne prolunga l’effetto utile fino al momento presente. DI QUESTE DUE MEMORIE, DI CUI L’UNA IMMAGINA E L’ALTRA RIPETE, la seconda può supplire la prima e spesso darne anche l’illusione>> (Bergson, “Materia e Memoria”, Laterza, 1996). Anche Halbwachs, nell’opera sulla memoria collettiva, dà ampio spazio a questa teoria dualistica della memoria di Bergson.

[30] Come scrive Kaes: <<Con il fallimento dei garanti metasociali, viviamo le trasformazioni critiche delle grandi matrici di simbolizzazione che sono la cultura, la creazione artistica, i punti di repere di senso, in breve tutto ciò che è acquisito mediante le sublimazioni e che Freud ha chiamato nel 1929 il lavoro della civiltà (Kulturarbeit)>> (Kaes, op. cit., 2007).


 

 

      

               

               

 

      

 

               


 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

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