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Nel
suo articolo del 1925 sulla negazione Freud presentò dei precursori
evolutivi per i giudizi che egli affermava fossero inerenti alle
affermazioni negative proferite dai suoi pazienti. Freud comprese
queste affermazioni negative come dei mezzi per mezzo dei quali i
desideri inconsci potevano evitare la rimozione. In questo lavoro
suggerisco che quei precursori evolutivi, come Freud li delineò, sono
sia troppo generali ma anche troppo schematici, e che non c’è nulla
nella spiegazione di Freud che tenga conto in modo specifico del modo
in cui si sviluppi la capacità di esprimere la negazione. Presenterò
delle evidenze per una sequenza evolutiva di tipologie di negazione,
tra le quali Freud non operò alcuna distinzione. Esplorare tipologie
più precoci della negazione, io credo, può aumentare la nostra
comprensione
di ciò che i pazienti stanno comunicando, e fornisce
prospettive aggiuntive sulla resistenza e su varie forme di difesa.
Procedendo
verso questa conclusione, questo lavoro porta con sé insieme tre
corpus di conoscenze. Il primo deriva dalla psicoanalisi, in
particolare dall’affermazione di Freud sulla negazione, che è
descritta in termini di logica (ossia, di giudizi di attribuzione e di
esistenza), ma spiegata nei termini della sua teoria generale degli
istinti e dello sviluppo dell’io. Il secondo corpus di conoscenze
deriva dalla psicolinguistica dello sviluppo: dati provenienti dagli
stadi infantili delle acquisizioni nel padroneggiare l’espressione
della negazione. Utilizzo delle prove provenienti dalla
psicolinguistica dello sviluppo sull’acquisizione della negazione
per dimostrare che Freud era davvero perspicace nelle sue conclusioni
nell’affermare che la negazione
(come egli la descrive) è un punto di arrivo dello sviluppo
precoce, ma che, mancandogli i dati della psicologia dello sviluppo di
cui oggi disponiamo, egli non era riuscito ad articolare le prime
modalità in cui la negazione si manifesta. Alcune di esse sono state
in seguito individuate da altri psicoanalisti, come Spitz, che aveva
studiato lo sviluppo normale. Il terzo corpus di conoscenze deriva
dalla filosofia del linguaggio, che ci permette di esplorare sia la
base logica delle affermazioni di Freud sia le differenze tra i tipi
di negazione. In particolare, sarà rilevante la distinzione tra
negazione proposizionale e negazione performativa.
Molti
aspetti,
più interessanti di quanto io possa individuare in questo
lavoro, emergono dall’intersecarsi di queste tre aree. Comunque, nel
delineare i tre tipi di negazione bisognerà prestare una certa
attenzione alle difficoltà di scelta lessicale e di traduzione, così
come il problema di usare modelli epigenetici di sviluppo in
psicoanalisi. Comincerò con il notevole lavoro di Freud sulla
negazione.
FREUD
SULLA NEGAZIONE
Il
breve lavoro di Freud del 1925 sulla negazione è degno di nota per
svariati motivi, non ultimo per il suo dubbio, posto sin
dall’inizio, sulla possibilità che l’analista possa accedere al
mondo interno dei pazienti basandosi su quanto da loro presentato. Che
l’analista debba esordire con una buona dose di dubbio riguardo alla
capacità dei pazienti di conoscere la propria mente era già un
marchio della psicoanalisi come conseguenza della sua concezione
dell’inconscio. Nel suo lavoro del 1925, comunque, Freud va oltre un
generico scetticismo per individuare in modo esplicito un tema che
corre lungo tutto il suo scritto: non c’è alcun “no”
nell’inconscio (Freud, 1900); i significati antitetici vengono
connotati con la stessa parola primordiale nel nostro ancestrale Ursprache
e così restano non differenziate nel nostro inconscio (Freud,
1910); un elemento nel contenuto manifestato di un sogno può essere
un sostituto per il suo opposto nel desiderio latente (Freud,
1916-1917); e le affermazioni negative dei pazienti dovrebbero essere
interpretate in forma positiva.
Perciò,
l’affermazione di Freud sul funzionamento mentale era ampia e
generalizzata: le negazioni, le antinomie e le inversioni denotano
sempre i loro opposti (sebbene egli notasse che il contrario di questa
affermazione non è vera: i positivi non implicano i loro negativi).
E’ precisamente questo sovvertire la negazione che gli oppositori
della psicoanalisi come scienza colgono al volo, dato che la scienza
si basa su forme di inferenza logica per cui un “no” sicuro è
essenziale.
Con
la sua tipica eleganza retorica, Freud comincia il suo lavoro del 1925
con esempi di ciò che intende spiegare - i fenomeni clinici dei
pazienti che fanno affermazioni come le seguenti: <<Ora lei
penserà che io voglia dire qualcosa di offensivo, ma in realtà non
avevo una tale intenzione>>, <<Lei domanda chi possa
essere questa persona del sogno. Non è mia madre>>, << Mi
è venuta una nuova idea ossessiva. Ho pensato lì per lì che potesse
significare esattamente questo… Ma no, questo non può certo essere
vero, altrimenti non mi sarebbe potuto venire in mente>>. Le
note a piè di pagina lungo lo scritto alludono a simili esempi tratti
da altre fonti.
Tutti
gli esempi sono linguistici: affermazioni verbali che contengono un
esplicito segno di negazione (“non”, “no”). Queste
affermazioni, dice Freud, sono giudizi, ed il giudizio include
<<due decisioni da prendere. Deve concedere o rifiutare
una qualità a una cosa e deve accordare o contestare l’esistenza nella realtà
a una rappresentazione>>(p.
236). Perciò, Freud ha ridescritto i suoi esempi in termini
filosofici. In filosofia spesso ci si riferisce a queste due decisioni
come ad un predicato (attributo) e ad un referente (esistenza).
I
filosofi vedono le affermazioni, come gli esempi di Freud, in termini
di dare corpo ("embodying")
a delle proposizioni e di
esprimere delle verità (ossia,
un’affermazione positiva) oppure delle falsità (ossia,
un’affermazione negativa) riguardo a quelle proposizioni. Una
proposizione può essere rappresentata nella stenografia logica come
P, che può essere riformulata nelle espressioni del calcolo
proposizionale (cioè della logica simbolica) o come P, che è vera, o
come – P, che è falsa. Inoltre, siccome P è essa stessa
un’espressione stenografica che sta per un predicato (f) ed il suo
argomento (x), P o –P può essere riformulata nel calcolo
predicativo come: f(x) oppure –f(x). Un esempio che include
l’esistenza potrebbe essere: “è madre” [f(x)] o “non è
madre” [-f(x)]; un esempio che include l'attribuzione: “la madre è buona” o “la
madre non è buona”. Ma le proposizioni possono anche essere così
complesse come: “Intendo dire qualcosa di insultante”.
Nella
notazione simbolica, la proposizione soggiacente è sempre positiva,
poiché la negazione è uno all'interno del piccolo sistema degli operatori (booleani)
che modificano le proposizioni, ma non sono parti delle proposizioni
stesse.
Di conseguenza, non è per nulla il caso che un’affermazione
negativa significhi il suo opposto; piuttosto, più correttamente, la
prima implica la seconda. Un’affermazione negativa comporta sempre
la sua proposizione positiva (ma non viceversa) poiché
un’affermazione negativa è un’affermazione di una proposizione
(per definizione positiva) più un operatore negativo: <<un
giudizio di non esistenza ha necessariamente lo status formale di un
giudizio di esistenza… quindi la negazione è innanzitutto
accettazione>>(Benveniste, “Problems in General Linguistics”,
1971, p. 73). Perciò, ciò che Freud dice
negli esempi che porta è vero, e nella logica ciò è chiamato
diniego ("denial"). Infatti, il nome nel titolo originale del lavoro di
Freud del 1925 – Die
Verneinung – è più comunemente tradotto come “diniego”
proprio in questo senso logico (Ricoeur, “Freud and Philosophy: an
Essay on Interpretation”, 1970, p. 314). Questioni di scelta
lessicale e di traduzione pervadono le discussioni su questo
argomento, e me ne occuperò di nuovo in seguito.
Mentre
tornerò di nuovo all’argomento della logica nel discutere i
contributi provenienti dalla filosofia del linguaggio, basti dire a
questo punto che Freud sta qui individuando delle proprietà formali
di proposizioni che sono soggiacenti alle affermazioni che contengono
un segno negativo. Nell’articolare le due decisioni necessarie al
fare dei giudizi, egli nota che P o i suoi componenti, f e x, possono
essere affermati (ossia asseriti) o meno (ossia denegati). Una
conseguenza del fatto che un operatore negativo non appartiene alla
proposizione, ma ha il suo ambito di azione oltre la proposizione è il
fatto che la negazione può essere trasposta all’interno della
proposizione. Ad esempio, se prendiamo la sottostante proposizione
“il cigno è nero” [nero (cigno)] e aggiungiamo un operatore
negativo (-), allora si può generare “il cigno non è nero”
[-nero (cigno)]. Ma siccome la negazione può essere trasferita
all’interno della proposizione, si può anche generare “non è il
cigno che è nero” [nero (-cigno)]; oppure “non è (il caso) che
il cigno sia nero” [-(nero (cigno))]; e così via. Dato che si
spande per tutto il linguaggio, la negazione può essere espressa
indirettamente ed in modi complessi al di là della sintassi – ad
esempio, attraverso la morfologia come i prefissi delle parole (ad
es., a-, in-, dis-) e persino attraverso la prosodia (Lyons “Semantics”,
1977, p. 775). Perciò si può vedere quanto molteplici possano essere
le espressioni della negazione proposizionale. A questo riguardo, la
negazione proposizionale contrasta con la negazione performativa, come
vedremo.
Avendo
presentato degli esempi di affermazioni che egli vuole spiegare ed una
descrizione della loro struttura logica, Freud passa a fornirne una
spiegazione. In questo egli si basa sulle sue teorie degli istinti e
dello sviluppo dell’io. Egli comincia con la fase orale: ciò che
viene preso dentro è buono ed interno, mentre ciò che viene sputato
è cattivo ed esterno. Il principio di piacere che domina questa fase,
comunque, dà il via al principio di realtà della fase successiva nel
momento in cui il bambino ha bisogno di definire se la cosa che prende
dentro di sé e che è buona <<esista nel mondo
esterno, di modo che ci si possa impadronire di essa secondo il
proprio bisogno>> (p. 237). In questo modo, Freud spiega il modo in cui
ciò che è stato preso dentro di sé o sputato via, essendo diventato
buono o cattivo ed interno o esterno, ora divenga soggettivo o
oggettivo. Egli afferma: <<Il contrasto fra soggettivo ed
oggettivo non esiste sin dall’inizio>> (p. 237). Questo giudizio
sulla realtà esterna <<rappresenta l'ulteriore e funzionale
sviluppo dell'inclusione nell'Io o dell'espulsione dall'Io, che
in origine avvenivano secondo il principio di piacere>>(p. 239). Ed
è a questo punto – tipi di conoscenza che è in realtà là fuori
– che il lavoro sulla negazione si connette a quelli sul feticismo e
sulla scissione dell’io nella nevrosi e nella psicosi.
Freud
osservò in “Feticismo” (1927) che due premesse contrarie vengono
espresse dal feticista: egli vede che una donna non ha un pene, ma
rinnega ("disavows") ("verleugnen")
tale realtà, avendo bisogno di credere che lei ce l’ha al fine di
mitigare la propria angoscia circa la propria castrazione. In una
serie di lavori Freud aveva esplorato le differenze nelle difese che
risultano da questo tipo di scissione nell’Io (ossia, verso la realtà),
ed in che modo ciò differisca dalla più familiare scissione
all’interno dell’apparato psichico che definisce la rimozione. Nel
“Compendio di Psicoanalisi” (1940) il diniego ("disavowal") viene
esteso oltre le psicosi per applicarsi ad <<altri stati che
assomigliano piuttosto alle nevrosi, e in definitiva per le nevrosi stesse>>(p. 202). In
“La scissione dell’Io nel processo di difesa”(1940) Freud estese
il diniego oltre il feticismo verso una reazione generale presente nei
bambini piccoli nei confronti della minaccia di castrazione. Infine,
il diniego è “normalizzato” quando Freud lo posiziona come una
difesa generale dell’infanzia:
<<Riallacciamoci
alla nostra tesi dell’Io infantile che, sotto il dominio del mondo
esterno reale, liquida le pretese pulsionali sgradite mediante
le cosiddette rimozioni. La completiamo ora con l'ulteriore costatazione
che l'Io, in questo stesso periodo della vita, si trova abbastanza spesso
nella condizione di doversi difendere da una richiesta penosa
che il mondo esterno gli pone, ciò che gli riesce con il
rinnegamento delle
percezioni che gli rendono nota questa pretesa della realtà. Tali
rinnegamenti si verificano molto spesso, non
solo nei feticisti, e ogniqualvolta riusciamo a studiarli si rivelano mezze misure,
tentativi incompiuti di operare il distacco dalla realtà. Al ripudio
si accompagna tutte le volte un riconoscimento, sempre si instaurano
due impostazioni contrastanti e tra loro indipendenti, le quali
producono il dato di fatto di una scissione dell'Io>> ("Compendio",
1940,
p. 203, S.E.).
Un
tratto comune alla rimozione ed al diniego, quindi, è che la
caratteristica universale delle nevrosi consiste nel fatto che <<in
relazione a un determinato comportamento esistano due impostazioni
nella vita psichica della persona, tra loro contrastanti e indipendenti>>; nel
caso delle nevrosi, <<una di esse appartiene all’Io, e l'altra,
essendo rimossa, all’Es>> (p. 204).
Perciò, la rimozione rappresenta una scissione orizzontale
nell’apparato psichico (tra Io ed Es): “So e non so ciò”. Al
contrario, il diniego rappresenta una scissione verticale nell’io
vis-à-vis della percezione della realtà: “Vedo ciò e non lo
vedo”. Il diniego,
quindi, fornisce un mezzo per evitare la rimozione nella forma di
“Io dico ciò [che è rimosso] e non lo dico”; o, in modo più
adeguato, “E’ vero e non è vero”.
Nello
spiegare il modo in cui la capacità di diniego si sviluppa, Freud usa
la sua teoria generale delle linee dello sviluppo psicosessuale. Nella
sua descrizione questi precursori orali e al livello oggettuale
culminano e sono superati ("sublated")
nei giudizi finali della negazione: decisioni circa il possesso di un
attributo e di esistenza nella realtà.
Ho usato il termine “superati” ("sublated")
come viene definito nella terza edizione del Dizionario
Internazionale Webster: <<cancellare ma anche preservare ed
elevare un elemento in un processo dialettico come elemento parziale
in una sintesi>>. E’ la traduzione comune di Aufhebung
nella dialettica di Hegel, che significa sia abolire, annullare,
abrogare sia correggere, mantenere, preservare. Perciò, per Freud le
originarie dialettiche del corpo (dentro-fuori) vengono superate ("sublated")
nelle attribuzioni di buono-cattivo, che sono a loro volta superate a
livello dell’oggetto dalle dialettiche di soggettivo-oggettivo.
Queste, quindi, vengono cancellate, ma anche si preservano e si elevano
nei dinieghi verbali dei suoi esempi.
Nel
discutere le differenze tra "Verneinung"
e "Verleugnung" incorriamo
in un problema fondamentale di traduzione: ogni lingua contiene un
sistema di termini per un dominio o campo semantico-concettuale, ma
questi sistemi non stanno in una corrispondenza uno ad uno tra di
loro. Laplanche e Pontalis (1967) commentano a proposito di questo
problema di traduzione: <<Nella coscienza linguistica
comune, non esistono sempre per ogni lingua distinzioni nette tra
i vari termini che indicano l’azione del negare e tanto meno
esistono corrispondenze biunivoche tra i diversi termini da una lingua
all'altra>>(p. 261). Conseguentemente, i traduttori devono fare
delle scelte.
I
curatori della Standard Edition fecero la scelta seguente nel tradurre
l’articolo di Freud del 1925, intitolato in tedesco “Die
Verneinung”: <<Il tedesco "verneinen"
viene qui tradotto con “negare”("to
negate") invece che con il più comune “to
deny”, al fine di evitare confusioni col tedesco verleugnen
che è stato reso anche in passato con “to
deny”. In questa edizione “to
disavow” è stato in generale usato per tradurre la seconda
parola tedesca>>(p. 235, n.2). Se fosse stato tradotto come
"denial", la stretta
connessione qui notata tra l’argomentazione di Freud e ciò che la
filosofia del linguaggio chiama negazione proposizionale forse sarebbe
stata più evidente. Purtroppo "denial"
era stato già usato come traduzione di "Verleugnung".
Laplanche
e Pontalis (1967) notano un’ulteriore confusione dovuta ai
significati multipli di "Verneinung":
<<In tedesco Verneinung designa
la negazione nel senso logico o grammaticale del termine (non esistono
i verbi ‘neinen’
o ‘beneinen’), ma
anche la smentita ("denial")
nel senso psicologico (rifiuto di una affermazione che ho
enunciato o che mi si attribuisce, per esempio: no, non l'ho detto,
non l'ho pensato). Verleugnen (o
leugnen) si avvicina a verneinen
inteso in questo secondo senso: rinnegare ("to disown"),
rifiutare ("to deny"),
sconfessare ("to disavow"),
smentire ("to refute")>>(p.
262). In questi esempi, l’operatore negativo si è spostato fuori
dell’affermazione proposizionale (-P), verso un’affermazione
epistemica più alta della proposizione: “Non ho conosciuto ciò
(P)”. Freud conclude il suo lavoro sulla negazione con i seguenti
esempi: <<Non c’è testimonianza più lampante che siamo
riusciti nel nostro intento di scoprire l’inconscio del momento in cui
l'analizzato reagisce alla nostra scoperta con la frase: “Questo
non l'ho
pensato” oppure: “A questo non ho (mai) pensato”>>
(p. 239; si veda anche Freud “Frammento di un’analisi di un caso
di isteria”, 1905, p. 57; Freud, “Costruzioni in analisi”, 1937,
p. 263). In altre parole, mentre
un’affermazione negativa (negazione) inconsciamente evita la
rimozione grazie sia al dire che al non dire ciò che è sia noto sia
non noto, in questa prova più forte di analisi riuscita il paziente
in modo conscio riconosce il processo della rimozione, che nasconde ciò
che è noto da parte di una parte della mente (Es) ad un’altra parte
(Io).
I
resoconti di casi clinici descrivono pazienti che spesso rispondono
“Non so” ad interpretazioni o richieste di associazioni precedendo
appena l’emergenza di materiale rimosso.
Può darsi che queste sono forme ellittiche di negazione, in
cui il contenuto della proposizione è stato cancellato: “Non so
(P)”. Queste
affermazioni al presente possono allora essere i precursori di quelle
riflessioni al passato sul processo della rimozione menzionati prima e
descritti da Freud lungo tutta la sua carriera.
Nel
setting clinico, la negazione ("denial") appare in molte forme. Ad
esempio, un mio paziente
in analisi si mise in silenzio a lungo dopo un’interpretazione che
avevo fatto. Quando gli chiesi a cosa stesse pensando, egli rispose
“Non sto pensando a qualcosa!” (“I’m
not thinking of something!”). Nel contesto di una negativa, ci
si sarebbe aspettato un viraggio da un quantificatore indeterminato (some)
ad uno indefinito (any) (Klima
e Bellugi, “Syntactic regularities in the speech of children”, in Studies
of child language Development, a cura di C. Ferguson e D. Slobin,
Holt, Rinehart e Winston, 1973): “I’m
not thinking of anything!”. L’assenza di questo viraggio nel
quantificatore, insieme al segno negativo (not),
indicherebbe che questa è una negazione ("denial"): c’è davvero
qualche cosa (pensata) denegata ("denied"), ma nondimeno comunicata
attraverso la negazione. L’associazione immediatamente seguente di
questo paziente è stata che sua moglie aveva fatto recentemente un
commento, ma egli non si era sentito criticato; che era compiaciuto di
essere riuscito a tenere separato ciò e di non essere adirato con lei.
Così, questa era la cosa che egli “non” stava pensando: la mia
interpretazione assomigliava ad una critica, ed egli era ferito ed
arrabbiato nei miei confronti.
In
contrasto con queste negazioni ("denials") più ellittiche ci sono
quelle negazioni ("denials") proposizionali descritte da Freud nel suo
lavoro sulla negazione. Ad esempio, una paziente, una casalinga, mi
riportò un sogno nella sua analisi, una porzione del quale la
ritraeva mentre lei era stanca di occuparsi del marito, mentre lei lo
abbandonava e mentre lui veniva picchiato. In risposta al mio
tentativo di connettere il sogno alla rabbia della paziente verso il
marito riguardo alle prestazioni sessuali di costui, la paziente
esclamò “Ma io non l’ho battuto!”. La sua negazione ("denial")
sia nasconde sia rivela la sottostante proposizione – “Io lo
(voglio) picchio (picchiare)”- così permettendo che tale pensiero
eviti la rimozione.
Nella
serie di lavori che Freud scrisse distinguendo la negazione ("denial")
dal diniego ("disavow") (e
lungo il suo scritto), egli cercò di legare le negazioni ("denials")
verbali alla rimozione ad ai conflitti
intercorrenti, e di opporre queste difese intrapsichiche
alla difesa percettiva del diniego ("disavowal") come risposta ad un
pericolo esterno. Riguardo a "verleugnen"
("to disavow"), Laplanche e Pontalis (1967) così scrivono:
<<Nell’uso freudiano,
sembra si possano legittimamente distinguere due usi diversi per 'verneinen'
e 'verleugnen'.
Verleugnen tende infatti, verso la fine dell'opera di
Freud, a essere riservato
[tradotto dai curatori della Standard Edition con ‘disavowal’] per
designare il rifiuto della percezione di un fatto che si impone nel mondo
esterno>>(p. 262). Purtroppo, comunque, la distinzione non resta
chiara, persino per Freud, che ha anche usato la parola diniego ("disavowal")
per descrivere la disgiunzione dell’idea dall’affetto, dove
l’affetto viene rimosso [Verdraengung],
ma l’idea viene denegata ("disavowed", Verleugnung)
(Freud, “Feticismo”, 1927, S.E., p. 153). In alternativa, altri
autori hanno usato la parola diniego ("disavow") per descrivere un
affetto/idea scisso in cui l’affetto è denegato ("disavowed"). Per
complicare le cose ancora di più, "verleugnen"
può anche significare “rinnegare”("disown") come quando si
percepisce la realtà esterna e si può anche sperimentare l’affetto
ma si sente che ciò non ci è proprio ("dis-own") (ad es., esso
appartiene ad un altro, come nella proiezione).
Basch
(“The perception of reality and the disavowal of meaning”, Annual
of Psychoanalysis, 1983, 11, pp. 125-153) discute le difficoltà
nel tradurre gli usuali verbi tedeschi nei testi freudiani ("leugnen",
"verneinen") quando Freud ha creato sostantivi (Verleugnung,
Verneinung) per l’uso in
un vocabolario specializzato. Basch fornisce una rassegna molto
accurata della storia del concetto di diniego ("disavowal", Verleugnung)
nell’opera di Freud (come anche nella letteratura successiva) e
conclude che non è la realtà percettiva di per sé, ma solo il suo
significato ad essere ripudiato nel diniego. In senso evolutivo, Basch
(“Psychoanalytic interpretation and cognitive transformation”, IJP,
1981, 62, pp. 151-175) fa eco all’affermazione di Freud secondo cui
il diniego ("disavowal") è una difesa precoce ubiquitaria, ma poi
aggiunge che esso è più precoce della rimozione, che deve aspettare
la risoluzione del complesso edipico.
Nel
corso degli anni, la negazione ("denial") come meccanismo di difesa è
stato molto discusso ed elaborato.
In un ben noto esempio, Anna Freud (“L'io e i meccanismi di
difesa”, 1936) discute la negazione ("denial") mediante la fantasia,
la negazione con le parole e con le azioni. Comunque, come Basch
(1981) fa notare, sebbene la parola sia tradotta con "denial",
ella in realtà usa la "Verleugnung"
dell’originale tedesco. Familiare anche a molti lettori di
psicoanalisi è la discussione ad opera di Jacobson (“Denial and
repression”, in JAPA,
1957, 5, pp. 61-92) in cui la psicoanalista sottolinea la distinzione
strutturale fatta da Freud tra questa forma di negazione ("denial") (ad
es., la negazione della realtà) e la rimozione: <<in ognuno di
loro troviamo due idee o atteggiamenti contraddittori. [Nella prima]
entrambe restano nell’Io, causando perciò una scissione nell’io;
[nella seconda] uno esiste nell’Io e l’opposto nell’Es>>(p.
77). Altri autori (ad es., Stewart, “The split in the ego and the
mechanism of disavowal”, in Psychoanalytic
Quarterly, 1970, 39, pp. 1-16, e Dorpat, Denial
and Defense in the Therapeutic Situation, Aronson, 1984)
hanno in modo analogo collassato il diniego ("disavowal") e la
negazione ("denial") sotto il secondo termine, in opposizione con la
rimozione, ed esteso sotto forma di una difesa maggiore. Perciò,
quando il Kris Study Group affrontò l’argomento in una monografia, The
mechanism of Denial, c’era apparentemente una vivace discussione
ma ben poco accordo sulla definizione o sulle distinzioni, ad esempio
rispetto al diniego ("disavowal") (si veda Fine, Joseph e Waldhorn, The
mechanism of Denial, 1969, Int. Universities Press).
Conseguentemente,
non si può essere sicuri quando si legge se
il termine "denial" si
riferisce a quegli esempi
verbali discussi da Freud, ad esempi rilevanti per le distinzioni
riguardanti il diniego ("disavowal"), oppure se ci si riferisce ad una
difesa generale che copre più di un solo tipo di scissione. Questo
stato di cose deriva in parte da problemi di traduzione ed in parte da
viraggi nel tempo nell’uso di questi termini da parte degli autori
di psicoanalisi. Voglio ora ritornare agli esempi originari di Freud
di negazione ("denial") verbale o logica per esaminare i precursori
della capacità di esprimere questa forma di negazione ("denial").
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