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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della negazione

Numero 15, anno VIII, gennaio 2011

 

 

     "UNA LINEA DI SVILUPPO AMPLIATA PER LA NEGAZIONE: RIGETTO, RIFIUTO, DINIEGO"

 di Bonnie E. Litowitz

 


Questo articolo è uscito sull'"Journal of the American Psychoanalytic Association" nel 1998 (vol.46, n.1, pp.121-147). Si ringrazia sentitamente l'autore per aver autorizzato la pubblicazione su Frenis Zero della versione italiana, tradotta da Giuseppe Leo. In questa pagina si propone un estratto del lavoro, che verrà pubblicato nella sua interezza nel volume "Psicoanalisi e luoghi della negazione" per le  Edizioni Frenis Zero. Nella foto in alto: un'installazione di Kounnellis al Teatro Margherita di Bari nel settembre 2010.

 

            

 

 

  

 

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Nel suo articolo del 1925 sulla negazione Freud presentò dei precursori evolutivi per i giudizi che egli affermava fossero inerenti alle affermazioni negative proferite dai suoi pazienti. Freud comprese queste affermazioni negative come dei mezzi per mezzo dei quali i desideri inconsci potevano evitare la rimozione. In questo lavoro suggerisco che quei precursori evolutivi, come Freud li delineò, sono sia troppo generali ma anche troppo schematici, e che non c’è nulla nella spiegazione di Freud che tenga conto in modo specifico del modo in cui si sviluppi la capacità di esprimere la negazione. Presenterò delle evidenze per una sequenza evolutiva di tipologie di negazione, tra le quali Freud non operò alcuna distinzione. Esplorare tipologie più precoci della negazione, io credo, può aumentare la nostra comprensione  di ciò che i pazienti stanno comunicando, e fornisce prospettive aggiuntive sulla resistenza e su varie forme di difesa.

Procedendo verso questa conclusione, questo lavoro porta con sé insieme tre corpus di conoscenze. Il primo deriva dalla psicoanalisi, in particolare dall’affermazione di Freud sulla negazione, che è descritta in termini di logica (ossia, di giudizi di attribuzione e di esistenza), ma spiegata nei termini della sua teoria generale degli istinti e dello sviluppo dell’io. Il secondo corpus di conoscenze deriva dalla psicolinguistica dello sviluppo: dati provenienti dagli stadi infantili delle acquisizioni nel padroneggiare l’espressione della negazione. Utilizzo delle prove provenienti dalla psicolinguistica dello sviluppo sull’acquisizione della negazione per dimostrare che Freud era davvero perspicace nelle sue conclusioni nell’affermare che la negazione  (come egli la descrive) è un punto di arrivo dello sviluppo precoce, ma che, mancandogli i dati della psicologia dello sviluppo di cui oggi disponiamo, egli non era riuscito ad articolare le prime modalità in cui la negazione si manifesta. Alcune di esse sono state in seguito individuate da altri psicoanalisti, come Spitz, che aveva studiato lo sviluppo normale. Il terzo corpus di conoscenze deriva dalla filosofia del linguaggio, che ci permette di esplorare sia la base logica delle affermazioni di Freud sia le differenze tra i tipi di negazione. In particolare, sarà rilevante la distinzione tra negazione proposizionale e negazione performativa.

Molti aspetti,  più interessanti di quanto io possa individuare in questo lavoro, emergono dall’intersecarsi di queste tre aree. Comunque, nel delineare i tre tipi di negazione bisognerà prestare una certa attenzione alle difficoltà di scelta lessicale e di traduzione, così come il problema di usare modelli epigenetici di sviluppo in psicoanalisi. Comincerò con il notevole lavoro di Freud sulla negazione.

 

 

 FREUD SULLA NEGAZIONE

Il breve lavoro di Freud del 1925 sulla negazione è degno di nota per svariati motivi, non ultimo per il suo dubbio, posto sin dall’inizio, sulla possibilità che l’analista possa accedere al mondo interno dei pazienti basandosi su quanto da loro presentato. Che l’analista debba esordire con una buona dose di dubbio riguardo alla capacità dei pazienti di conoscere la propria mente era già un marchio della psicoanalisi come conseguenza della sua concezione dell’inconscio. Nel suo lavoro del 1925, comunque, Freud va oltre un generico scetticismo per individuare in modo esplicito un tema che corre lungo tutto il suo scritto: non c’è alcun “no” nell’inconscio (Freud, 1900); i significati antitetici vengono connotati con la stessa parola primordiale nel nostro ancestrale Ursprache e così restano non differenziate nel nostro inconscio (Freud, 1910); un elemento nel contenuto manifestato di un sogno può essere un sostituto per il suo opposto nel desiderio latente (Freud, 1916-1917); e le affermazioni negative dei pazienti dovrebbero essere interpretate in forma positiva.

Perciò, l’affermazione di Freud sul funzionamento mentale era ampia e generalizzata: le negazioni, le antinomie e le inversioni denotano sempre i loro opposti (sebbene egli notasse che il contrario di questa affermazione non è vera: i positivi non implicano i loro negativi). E’ precisamente questo sovvertire la negazione che gli oppositori della psicoanalisi come scienza colgono al volo, dato che la scienza si basa su forme di inferenza logica per cui un “no” sicuro è essenziale.

Con la sua tipica eleganza retorica, Freud comincia il suo lavoro del 1925 con esempi di ciò che intende spiegare - i fenomeni clinici dei pazienti che fanno affermazioni come le seguenti: <<Ora lei penserà che io voglia dire qualcosa di offensivo, ma in realtà non avevo una tale intenzione>>, <<Lei domanda chi possa essere questa persona del sogno. Non è mia madre>>, << Mi è venuta una nuova idea ossessiva. Ho pensato lì per lì che potesse significare esattamente questo… Ma no, questo non può certo essere vero, altrimenti non mi sarebbe potuto venire in mente>>. Le note a piè di pagina lungo lo scritto alludono a simili esempi tratti da altre fonti.

Tutti gli esempi sono linguistici: affermazioni verbali che contengono un esplicito segno di negazione (“non”, “no”). Queste affermazioni, dice Freud, sono giudizi, ed il giudizio include <<due  decisioni da prendere. Deve concedere o rifiutare una qualità a una cosa e deve accordare o contestare l’esistenza nella realtà a una rappresentazione>>(p. 236). Perciò, Freud ha ridescritto i suoi esempi in termini filosofici. In filosofia spesso ci si riferisce a queste due decisioni come ad un predicato (attributo) e ad un referente (esistenza).

I filosofi vedono le affermazioni, come gli esempi di Freud, in termini di  dare corpo ("embodying") a delle proposizioni  e di esprimere delle verità  (ossia, un’affermazione positiva) oppure delle falsità (ossia, un’affermazione negativa) riguardo a quelle proposizioni. Una proposizione può essere rappresentata nella stenografia logica come P, che può essere riformulata nelle espressioni del calcolo proposizionale (cioè della logica simbolica) o come P, che è vera, o come – P, che è falsa. Inoltre, siccome P è essa stessa un’espressione stenografica che sta per un predicato (f) ed il suo argomento (x), P o –P può essere riformulata nel calcolo predicativo come: f(x) oppure –f(x). Un esempio che include l’esistenza potrebbe essere: “è madre” [f(x)] o “non è madre” [-f(x)]; un esempio che include l'attribuzione: “la madre è buona” o “la madre non è buona”. Ma le proposizioni possono anche essere così complesse come: “Intendo dire qualcosa di insultante”.

Nella notazione simbolica, la proposizione soggiacente è sempre positiva, poiché la negazione è uno all'interno del piccolo sistema degli operatori (booleani) che modificano le proposizioni, ma non sono parti delle proposizioni stesse[1]. Di conseguenza, non è per nulla il caso che un’affermazione negativa significhi il suo opposto; piuttosto, più correttamente, la prima implica la seconda. Un’affermazione negativa comporta sempre la sua proposizione positiva (ma non viceversa) poiché un’affermazione negativa è un’affermazione di una proposizione (per definizione positiva) più un operatore negativo: <<un giudizio di non esistenza ha necessariamente lo status formale di un giudizio di esistenza… quindi la negazione è innanzitutto accettazione>>(Benveniste, “Problems in General Linguistics”, 1971, p. 73). Perciò, ciò che Freud dice  negli esempi che porta è vero, e nella logica ciò è chiamato diniego ("denial"). Infatti, il nome nel titolo originale del lavoro di Freud del 1925 – Die Verneinung – è più comunemente tradotto come “diniego” proprio in questo senso logico (Ricoeur, “Freud and Philosophy: an Essay on Interpretation”, 1970, p. 314). Questioni di scelta lessicale e di traduzione pervadono le discussioni su questo argomento, e me ne occuperò di nuovo in seguito.

Mentre tornerò di nuovo all’argomento della logica nel discutere i contributi provenienti dalla filosofia del linguaggio, basti dire a questo punto che Freud sta qui individuando delle proprietà formali di proposizioni che sono soggiacenti alle affermazioni che contengono un segno negativo. Nell’articolare le due decisioni necessarie al fare dei giudizi, egli nota che P o i suoi componenti, f e x, possono essere affermati (ossia asseriti) o meno (ossia denegati). Una conseguenza del fatto che un operatore negativo non appartiene alla proposizione, ma ha il suo ambito di azione oltre la proposizione è il fatto che la negazione può essere trasposta all’interno della proposizione. Ad esempio, se prendiamo la sottostante proposizione “il cigno è nero” [nero (cigno)] e aggiungiamo un operatore negativo (-), allora si può generare “il cigno non è nero” [-nero (cigno)]. Ma siccome la negazione può essere trasferita all’interno della proposizione, si può anche generare “non è il cigno che è nero” [nero (-cigno)]; oppure “non è (il caso) che il cigno sia nero” [-(nero (cigno))]; e così via. Dato che si spande per tutto il linguaggio, la negazione può essere espressa indirettamente ed in modi complessi al di là della sintassi – ad esempio, attraverso la morfologia come i prefissi delle parole (ad es., a-, in-, dis-) e persino attraverso la prosodia (Lyons “Semantics”, 1977, p. 775). Perciò si può vedere quanto molteplici possano essere le espressioni della negazione proposizionale. A questo riguardo, la negazione proposizionale contrasta con la negazione performativa, come vedremo.

Avendo presentato degli esempi di affermazioni che egli vuole spiegare ed una descrizione della loro struttura logica, Freud passa a fornirne una spiegazione. In questo egli si basa sulle sue teorie degli istinti e dello sviluppo dell’io. Egli comincia con la fase orale: ciò che viene preso dentro è buono ed interno, mentre ciò che viene sputato è cattivo ed esterno. Il principio di piacere che domina questa fase, comunque, dà il via al principio di realtà della fase successiva nel momento in cui il bambino ha bisogno di definire se la cosa che prende dentro di sé e  che è buona  <<esista nel mondo esterno, di modo che ci si  possa impadronire di essa secondo il proprio bisogno>> (p. 237). In questo modo, Freud spiega il modo in cui ciò che è stato preso dentro di sé o sputato via, essendo diventato buono o cattivo ed interno o esterno, ora divenga soggettivo o oggettivo. Egli afferma: <<Il contrasto fra soggettivo ed oggettivo non esiste sin dall’inizio>> (p. 237). Questo giudizio sulla realtà esterna <<rappresenta l'ulteriore e funzionale sviluppo dell'inclusione nell'Io  o dell'espulsione dall'Io, che in origine avvenivano secondo il principio di piacere>>(p. 239). Ed è a questo punto – tipi di conoscenza che è in realtà là fuori – che il lavoro sulla negazione si connette a quelli sul feticismo e sulla scissione dell’io nella nevrosi e nella psicosi.

Freud osservò in “Feticismo” (1927) che due premesse contrarie vengono espresse dal feticista: egli vede che una donna non ha un pene, ma rinnega ("disavows") ("verleugnen") tale realtà, avendo bisogno di credere che lei ce l’ha al fine di mitigare la propria angoscia circa la propria castrazione. In una serie di lavori Freud aveva esplorato le differenze nelle difese che risultano da questo tipo di scissione nell’Io (ossia, verso la realtà), ed in che modo ciò differisca dalla più familiare scissione all’interno dell’apparato psichico che definisce la rimozione. Nel “Compendio di Psicoanalisi” (1940) il diniego ("disavowal") viene esteso oltre le psicosi per applicarsi ad <<altri stati che assomigliano piuttosto alle nevrosi, e in definitiva per le nevrosi stesse>>(p. 202). In “La scissione dell’Io nel processo di difesa”(1940) Freud estese il diniego oltre il feticismo verso una reazione generale presente nei bambini piccoli nei confronti della minaccia di castrazione. Infine, il diniego è “normalizzato” quando Freud lo posiziona come una difesa generale dell’infanzia:

<<Riallacciamoci alla nostra tesi dell’Io infantile che, sotto il dominio del mondo esterno reale,  liquida le pretese pulsionali sgradite mediante le cosiddette rimozioni. La completiamo ora con l'ulteriore costatazione che l'Io, in questo stesso periodo della vita, si trova abbastanza spesso  nella condizione di doversi difendere da  una richiesta penosa che il  mondo esterno gli pone, ciò che gli riesce con il rinnegamento  delle percezioni che gli rendono nota questa pretesa della realtà. Tali rinnegamenti si verificano molto spesso, non solo nei feticisti, e ogniqualvolta riusciamo a studiarli si rivelano mezze misure, tentativi incompiuti di operare il distacco dalla realtà. Al ripudio si accompagna tutte le volte un riconoscimento, sempre si instaurano due impostazioni contrastanti e tra loro indipendenti, le quali producono il dato di fatto di una scissione dell'Io>> ("Compendio", 1940, p. 203, S.E.).

Un tratto comune alla rimozione ed al diniego, quindi, è che la caratteristica universale delle nevrosi consiste nel fatto che <<in relazione a un determinato comportamento esistano due impostazioni nella vita psichica della persona, tra loro contrastanti  e indipendenti>>; nel caso delle nevrosi, <<una di esse appartiene all’Io, e l'altra, essendo rimossa, all’Es>> (p. 204). Perciò, la rimozione rappresenta una scissione orizzontale nell’apparato psichico (tra Io ed Es): “So e non so ciò”. Al contrario, il diniego rappresenta una scissione verticale nell’io vis-à-vis della percezione della realtà: “Vedo ciò e non lo vedo”.  Il diniego, quindi, fornisce un mezzo per evitare la rimozione nella forma di “Io dico ciò [che è rimosso] e non lo dico”; o, in modo più adeguato, “E’ vero e non è vero”.

Nello spiegare il modo in cui la capacità di diniego si sviluppa, Freud usa la sua teoria generale delle linee dello sviluppo psicosessuale. Nella sua descrizione questi precursori orali e al livello oggettuale culminano e sono superati ("sublated") nei giudizi finali della negazione: decisioni circa il possesso di un attributo e di esistenza nella realtà[2]. Ho usato il termine “superati” ("sublated")  come viene definito nella terza edizione del Dizionario Internazionale Webster: <<cancellare ma anche preservare ed elevare un elemento in un processo dialettico come elemento parziale in una sintesi>>. E’ la traduzione comune di Aufhebung nella dialettica di Hegel, che significa sia abolire, annullare, abrogare sia correggere, mantenere, preservare. Perciò, per Freud le originarie dialettiche del corpo (dentro-fuori) vengono superate ("sublated") nelle attribuzioni di buono-cattivo, che sono a loro volta superate a livello dell’oggetto dalle dialettiche di soggettivo-oggettivo. Queste, quindi, vengono cancellate, ma anche si preservano e si elevano nei dinieghi verbali dei suoi esempi.

Nel discutere le differenze tra "Verneinung" e "Verleugnung" incorriamo in un problema fondamentale di traduzione: ogni lingua contiene un sistema di termini per un dominio o campo semantico-concettuale, ma questi sistemi non stanno in una corrispondenza uno ad uno tra di loro. Laplanche e Pontalis (1967) commentano a proposito di questo problema di traduzione: <<Nella  coscienza linguistica comune,  non esistono sempre per ogni lingua distinzioni nette tra i vari termini che indicano l’azione del negare e tanto meno esistono corrispondenze biunivoche tra i diversi termini da una lingua all'altra>>(p. 261). Conseguentemente, i traduttori devono fare delle scelte.

I curatori della Standard Edition fecero la scelta seguente nel tradurre l’articolo di Freud del 1925, intitolato in tedesco “Die Verneinung”: <<Il tedesco "verneinen" viene qui tradotto con “negare”("to negate") invece che con il più comune “to deny”, al fine di evitare confusioni col tedesco verleugnen che è stato reso anche in passato con “to deny”. In questa edizione “to disavow” è stato in generale usato per tradurre la seconda parola tedesca>>(p. 235, n.2). Se fosse stato tradotto come  "denial", la stretta connessione qui notata tra l’argomentazione di Freud e ciò che la filosofia del linguaggio chiama negazione proposizionale forse sarebbe stata più evidente. Purtroppo "denial" era stato già usato come traduzione di "Verleugnung".

Laplanche e Pontalis (1967) notano un’ulteriore confusione dovuta ai significati multipli di "Verneinung": <<In tedesco Verneinung designa la negazione nel senso logico o grammaticale del termine (non esistono i verbi ‘neinen’ o ‘beneinen’), ma  anche la smentita ("denial") nel senso psicologico (rifiuto di una affermazione che  ho enunciato o che mi si attribuisce, per esempio: no, non l'ho detto, non l'ho pensato). Verleugnen (o leugnen) si avvicina a verneinen inteso in questo secondo senso: rinnegare ("to disown"), rifiutare ("to deny"), sconfessare ("to disavow"), smentire ("to refute")>>(p. 262). In questi esempi, l’operatore negativo si è spostato fuori dell’affermazione proposizionale (-P), verso un’affermazione epistemica più alta della proposizione: “Non ho conosciuto ciò (P)”. Freud conclude il suo lavoro sulla negazione con i seguenti esempi: <<Non c’è testimonianza più lampante che siamo riusciti nel nostro intento di scoprire l’inconscio del momento in cui l'analizzato reagisce alla nostra scoperta con la frase:  “Questo non l'ho pensato” oppure: “A questo non ho (mai) pensato”>> (p. 239; si veda anche Freud “Frammento di un’analisi di un caso di isteria”, 1905, p. 57; Freud, “Costruzioni in analisi”, 1937, p. 263). In altre parole,  mentre un’affermazione negativa (negazione) inconsciamente evita la rimozione grazie sia al dire che al non dire ciò che è sia noto sia non noto, in questa prova più forte di analisi riuscita il paziente in modo conscio riconosce il processo della rimozione, che nasconde ciò che è noto da parte di una parte della mente (Es) ad un’altra parte (Io).

I resoconti di casi clinici descrivono pazienti che spesso rispondono “Non so” ad interpretazioni o richieste di associazioni precedendo appena l’emergenza di materiale rimosso.  Può darsi che queste sono forme ellittiche di negazione, in cui il contenuto della proposizione è stato cancellato: “Non so (P)”.  Queste affermazioni al presente possono allora essere i precursori di quelle riflessioni al passato sul processo della rimozione menzionati prima e descritti da Freud lungo tutta la sua carriera.

Nel setting clinico, la negazione ("denial") appare in molte forme. Ad esempio,  un mio paziente in analisi si mise in silenzio a lungo dopo un’interpretazione che avevo fatto. Quando gli chiesi a cosa stesse pensando, egli rispose “Non sto pensando a qualcosa!” (“I’m not thinking of something!”). Nel contesto di una negativa, ci si sarebbe aspettato un viraggio da un quantificatore indeterminato (some) ad uno indefinito (any) (Klima e Bellugi, “Syntactic regularities in the speech of children”, in Studies of child language Development, a cura di C. Ferguson e D. Slobin, Holt, Rinehart e Winston, 1973): “I’m not thinking of anything!”. L’assenza di questo viraggio nel quantificatore, insieme al segno negativo (not), indicherebbe che questa è una negazione ("denial"): c’è davvero qualche cosa (pensata) denegata ("denied"), ma nondimeno comunicata attraverso la negazione. L’associazione immediatamente seguente di questo paziente è stata che sua moglie aveva fatto recentemente un commento, ma egli non si era sentito criticato; che era compiaciuto di essere riuscito a tenere separato ciò e di non essere adirato con lei. Così, questa era la cosa che egli “non” stava pensando: la mia interpretazione assomigliava ad una critica, ed egli era ferito ed arrabbiato nei miei confronti.

In contrasto con queste negazioni ("denials") più ellittiche ci sono quelle negazioni ("denials") proposizionali descritte da Freud nel suo lavoro sulla negazione. Ad esempio, una paziente, una casalinga, mi riportò un sogno nella sua analisi, una porzione del quale la ritraeva mentre lei era stanca di occuparsi del marito, mentre lei lo abbandonava e mentre lui veniva picchiato. In risposta al mio tentativo di connettere il sogno alla rabbia della paziente verso il marito riguardo alle prestazioni sessuali di costui, la paziente esclamò “Ma io non l’ho battuto!”. La sua negazione ("denial") sia nasconde sia rivela la sottostante proposizione – “Io lo (voglio) picchio (picchiare)”- così permettendo che tale pensiero eviti la rimozione.

Nella serie di lavori che Freud scrisse distinguendo la negazione ("denial") dal diniego ("disavow") (e lungo il suo scritto), egli cercò di legare le negazioni ("denials") verbali alla rimozione ad ai conflitti  intercorrenti, e di opporre queste difese intrapsichiche alla difesa percettiva del diniego ("disavowal") come risposta ad un pericolo esterno. Riguardo a "verleugnen" ("to disavow"), Laplanche e Pontalis (1967) così scrivono: <<Nell’uso  freudiano, sembra si possano legittimamente distinguere due usi diversi per 'verneinen' e 'verleugnen'. Verleugnen  tende infatti, verso la fine dell'opera di Freud, a essere riservato [tradotto dai curatori della Standard Edition con ‘disavowal’] per designare il rifiuto della percezione di un fatto che si impone nel mondo esterno>>(p. 262). Purtroppo, comunque, la distinzione non resta chiara, persino per Freud, che ha anche usato la parola diniego ("disavowal") per descrivere la disgiunzione dell’idea dall’affetto, dove l’affetto viene rimosso [Verdraengung],  ma l’idea viene denegata ("disavowed", Verleugnung) (Freud, “Feticismo”, 1927, S.E., p. 153). In alternativa, altri autori hanno usato la parola diniego ("disavow") per descrivere un affetto/idea scisso in cui l’affetto è denegato ("disavowed"). Per complicare le cose ancora di più, "verleugnen" può anche significare “rinnegare”("disown") come quando si percepisce la realtà esterna e si può anche sperimentare l’affetto ma si sente che ciò non ci è proprio ("dis-own") (ad es., esso appartiene ad un altro, come nella proiezione).

Basch (“The perception of reality and the disavowal of meaning”, Annual of Psychoanalysis, 1983, 11, pp. 125-153) discute le difficoltà nel tradurre gli usuali verbi tedeschi nei testi freudiani ("leugnen", "verneinen") quando Freud ha creato sostantivi (Verleugnung, Verneinung) per l’uso in un vocabolario specializzato. Basch fornisce una rassegna molto accurata della storia del concetto di diniego ("disavowal", Verleugnung) nell’opera di Freud (come anche nella letteratura successiva) e conclude che non è la realtà percettiva di per sé, ma solo il suo significato ad essere ripudiato nel diniego. In senso evolutivo, Basch (“Psychoanalytic interpretation and cognitive transformation”, IJP, 1981, 62, pp. 151-175) fa eco all’affermazione di Freud secondo cui il diniego ("disavowal") è una difesa precoce ubiquitaria, ma poi aggiunge che esso è più precoce della rimozione, che deve aspettare la risoluzione del complesso edipico.

Nel corso degli anni, la negazione ("denial") come meccanismo di difesa è stato molto discusso ed elaborato[3]. In un ben noto esempio, Anna Freud (“L'io e i meccanismi di difesa”, 1936) discute la negazione ("denial") mediante la fantasia, la negazione con le parole e con le azioni. Comunque, come Basch (1981) fa notare, sebbene la parola sia tradotta con "denial", ella in realtà usa la "Verleugnung" dell’originale tedesco. Familiare anche a molti lettori di psicoanalisi è la discussione ad opera di Jacobson (“Denial and repression”, in JAPA, 1957, 5, pp. 61-92) in cui la psicoanalista sottolinea la distinzione strutturale fatta da Freud tra questa forma di negazione ("denial") (ad es., la negazione della realtà) e la rimozione: <<in ognuno di loro troviamo due idee o atteggiamenti contraddittori. [Nella prima] entrambe restano nell’Io, causando perciò una scissione nell’io; [nella seconda] uno esiste nell’Io e l’opposto nell’Es>>(p. 77). Altri autori (ad es., Stewart, “The split in the ego and the mechanism of disavowal”, in Psychoanalytic Quarterly, 1970, 39, pp. 1-16, e Dorpat, Denial and Defense in the Therapeutic Situation, Aronson, 1984)  hanno in modo analogo collassato il diniego ("disavowal") e la negazione ("denial") sotto il secondo termine, in opposizione con la rimozione, ed esteso sotto forma di una difesa maggiore. Perciò, quando il Kris Study Group affrontò l’argomento in una monografia, The mechanism of Denial, c’era apparentemente una vivace discussione ma ben poco accordo sulla definizione o sulle distinzioni, ad esempio rispetto al diniego ("disavowal") (si veda Fine, Joseph e Waldhorn, The mechanism of Denial, 1969, Int. Universities Press).

Conseguentemente, non si può essere sicuri quando si legge se  il termine "denial" si riferisce  a quegli esempi verbali discussi da Freud, ad esempi rilevanti per le distinzioni riguardanti il diniego ("disavowal"), oppure se ci si riferisce ad una difesa generale che copre più di un solo tipo di scissione. Questo stato di cose deriva in parte da problemi di traduzione ed in parte da viraggi nel tempo nell’uso di questi termini da parte degli autori di psicoanalisi. Voglio ora ritornare agli esempi originari di Freud di negazione ("denial") verbale o logica per esaminare i precursori della capacità di esprimere questa forma di negazione ("denial").


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

 

 

 

   

 

 
 

 

 

 

 

(fine della prima parte dell'articolo - nella sua interezza esso verrà pubblicato dalle Edizioni Frenis Zero nel volume "Psicoanalisi e luoghi della negazione").

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
 

Note:

 

[1] Gli altri sono la congiunzione, la disgiunzione, l’implicazione materiale e l’implicazione bicondizionale. Peirce ha asserito che tutti e cinque possono essere definiti in termini di due componenti primitive: congiunzione e negazione (Sowa 1984, p. 386).

[2] Un presupposto di questo argomento è che nel corso dello sviluppo i giudizi di attribuzione (buono-cattivo) precedono quelli di esistenza. Questa visione dello stato iniziale indifferenziato del bambino di fronte alla sua figura dispensatrice di cure o al suo ambiente non è così universalmente accettata dagli psicoanalisti dopo Freud (Stern, “The interpersonal world of the infant”, 1985). Inoltre, il lavoro di Freud del 1925 include affermazioni sulla percezione e sulla rappresentazione nell’infanzia, come anche estrapolazioni su Eros e Thanatos, una critica dei quali ci farebbe andare troppo lontano. Le letture testuali molto accurate della “Negazione” da parte di Hyppolite (1956) e di Ver Eecke (1984) non hanno trovato inoltre questi punti utili rispetto all’argomento principale, ma i lettori interessati possono consultare queste fonti per un loro giudizio critico.

[3] Una completa discussione di questi termini (meccanismi di difesa) è oltre lo scopo di questo lavoro. Ver Eecke (“Saying No”, 1984, pp. 2-11) fornisce una sintetica rassegna critica dei più importanti lavori in psicoanalisi ed in filosofia che si correlano con il lavoro del 1925 di Freud.

 
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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