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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Frenis Zero  Publisher

     "Spazio Rosenthal. Tra psicoanalisi e femminile". Numero 17, anno IX, 2012. 

 

 "LA TRASMISSIONE DEL FEMMINILE NELLA FAMIGLIA"

di Anne Loncan

 

 

 

Questo testo è stato presentato al seminario internazionale "La trasmissione del femminile" (Napoli, 25 marzo 2011). Si ringrazia l'autrice  per l'autorizzazione concessa a Frenis Zero alla pubblicazione.

Anne Loncan è Presidente della Société Française de Thérapie Familiale Psychanalytique (SFTFP), redattore della rivista Le divan familial, Segretario generale dell’AIPCF.  La traduzione in italiano è di Massimiliano Sommantico.


 



 


 


 

 

«La sola cosa che gli si è insegnata, è a ben portare la foglia di fico che hanno ricevuto dalla prima antenata»[*].

Denis Diderot, Sur les femmes


 

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian,  A. Cusin, N. Janigro, G. Leo, B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M.  Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

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Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

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Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

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Affronteremo la questione della trasmissione del femminile seguendo il cammino di quest’eredità in seno alla famiglia a partire dai miti sociali, perenni nel pensiero e nelle pratiche occidentali; poi ricercheremo la loro infiltrazione nel pensiero psicoanalitico. L’insieme di questi miti prende parte alla costituzione dell’involucro culturale che contiene l’involucro psichico familiare; noi stessi li abbiamo ereditati, anche attraverso le credenze e gli ideali che fondano la nostra pratica psicoanalitica con le coppie e le famiglie. Vedremo che i miti propriamente familiari si distinguono dai miti sociali e partecipano della trasmissione del femminile, unitamente agli altri fattori che circolano nei legami intersoggettivi consci ed inconsci, connessi ai fantasmi condivisi e agli affetti che li accompagnano. Ci guiderà la teoria dei legami, associata a quella degli involucri psichici.

Da questo punto di vista, passeremo in rassegna la molteplicità delle vie che conducono al femminile e alla femminilità nella donna, al di là e al di qua della triangolazione edipica iniziale, includendovi la profondità genealogica.

 

I miti sociali

Sin dall’Antichità greca, incontriamo con Platone[1] il mito dell’inferiorità e dell’animalità femminili, confermato in Aristotele: le donne «esseri naturalmente fatti per essere comandati»[2], sono definite dalle loro mancanze e poste dal lato della materia, servono solo a procreare. In assenza delle capacità richieste, sapere e potere, strumenti essenziali della trasmissione, sono loro interdetti. La sola cosa che le avvicina all’uomo è il mito dell’anima asessuata. Nell’insieme ritroveremo questi miti fino all’epoca contemporanea, dove inizierà bruscamente una loro inflessione.

Tra i primi cristiani, Paolo si situa in continuità con queste idee: «l’uomo […] è l’immagine e la gloria di Dio; la donna invece è la gloria dell’uomo»[3] per il quale è stata creata. Il dogma dell’anima asessuata, attraverso la quale le donne raggiungono l’uomo, resta una concessione che permette loro di trasmettere la fede e la pietà. Poco a poco sarà loro riconosciuta un’attitudine all’insegnamento, ma in maniera assai limitata ed inquadrata. Si sa che le professioni d’insegnamento restano massivamente investite dalle donne.

I filosofi dell’epoca moderna[4] fanno ancora eco a tali miti. Per Machiavelli, ad esempio, la donna è stupida, debole, dipendente e tradisce facilmente. Gli uomini devono guardarsi dalla seduzione attraverso la quale esercita il suo potere. La metafora della Fortuna illustra il suo pensiero: «perché la fortuna è donna, ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla ed urtarla»[5].

Nel secolo XVI, la Riforma accorda con Lutero una relativa dignità alla donna, riconoscendo le sue virtù in materia di spiritualità e d’insegnamento (del Vangelo e alle ragazzine), ma lascia immutata la sua posizione nella coppia: « la donna è come un chiodo conficcato nel muro. Se ne sta in casa […] poiché non ha i mezzi per condurre gli affari esterni e pubblici»[6]. Nella stessa epoca appare la figura della strega, che detiene una potenza propria, la cui trasmissione opererà da madre a figlia in seno alla famiglia, mettendo in pericolo la società intera.

Nel secolo dei Lumi qualche bagliore riflette l’abbozzo di una concezione più egualitaria dei rapporti tra i sessi, almeno nei circoli ristretti dei filosofi. Come altri pensatori del suo tempo, Jean-Jacques Rousseau, che sogna di strappare l’uomo alla natura per condurlo verso una nuova libertà attraverso il «contratto sociale», pensa all’istruzione delle donne. Ma è a patto che vi sia sviluppata «la virtù femminile della dipendenza»; e riafferma le prerogative maschili: «ovunque lei [la donna] fa valere i suoi diritti, essa ha il vantaggio; ovunque essa vuole usurpare i nostri, resta al di sotto di noi»[7].

Da questo inventario abbozzato e parziale, abbiamo scartato le idee di altri pensatori quando rappresentano delle ipotesi, degli ideali, o addirittura delle utopie, o quando non  riflettono il pensiero del loro tempo.

I miti che sottendono le opere citate possono essere raggruppati così, dal punto di vista della trasmissione:

 - il mito di un ancoraggio marcato della donna nella natura con, come corollario, la nozione della sua animalità (le sono riservati procreazione ed allevamento dei piccoli);

- il mito dell’inferiorità femminile giustifica la subordinazione della donna all’uomo. Il potere e la trasmissione del sapere, le cui poste in gioco sono maggiori, devono restare appannaggio degli uomini;

- il mito della spiritualità propria alla donna le attribuisce il compito di trasmettere la fede e la pietà.

 

Sopravvivenze dei miti sul femminile nel pensiero psicoanalitico

Questi miti, appena trasformati durante i secoli, hanno avuto vita dura. In che misura hanno infiltrato il pensiero psicoanalitico? Questa domanda contribuirà a misurare il loro potere di orientare la vita psichica e di chiarire il contesto vivente della trasmissione del femminile.

 

Freud e i suoi contemporanei

I riferimenti alla donna attraversano l’opera di Freud, organizzati secondo delle vedute marcate dai miti sociali precedentemente recensiti. Che si tratti delle teorie sessuali infantili nel bambino, della sua vita fantasmatica (specialmente Un bambino viene picchiato, 1919, che riguarda più particolarmente la bambina), della sua integrazione e del suo liberarsi della posizione edipica, il padre resta per Freud il polo attrattore principale, anche se la cronologia pone la madre in posizione di anteriorità. Nella bambina, esso rende l’accesso all’Edipo tributario di una costruzione complessa che, a differenza di ciò che avviene per il bambino, necessita di un cambiamento d’oggetto. Non solo il padre è preminente, ma inoltre la libido stessa «è essenzialmente maschile». La sua concezione della psicogenesi della femminilità è «unilaterale», come indica lui stesso, addirittura patrilaterale. Questo eccesso di padre e di maschio, da comprendere forse come un tentativo per restaurare l’autorità paterna che presentiva minacciata, sviluppa e sostiene i temi ricorrenti del pensiero occidentale. Freud, in linea con le correnti intellettuali più innovatrici del suo tempo, è anche l’erede di una tradizione che allo stesso tempo combatte, giustifica e rinnova. È necessario però dargli atto che non misconosce i fattori sociali suscettibili d’influenzare lo sviluppo psichico, come indica un passaggio di Introduzione al narcisismo. Secondo lui, lo sviluppo pubertario è l’occasione di un aumento del narcisismo nella fanciulla, specialmente quando questo coincide con quello della bellezza, che conduce ad «una sorta di autosufficienza che le compensa dei sacrifici che la società impone alla loro libertà di scegliersi il proprio oggetto d’amore»[8].

Oltre al fatto che i punti evocati si adattano al mito della potenza della natura, ritroviamo quello della dominazione maschile (il cui corollario è l’inferiorità della donna) che sottende anche la trasmissione del Super-Io: questa istanza che controlla la vita attuale affonda nelle generazioni che precedono e la nozione di un Super-Io debole nella donna è coerente con l’idea di una inferiorità femminile. Tra i contemporanei, poi i continuatori del pensiero freudiano, citerò solo dei lavori di psicoanaliste, poiché anch’essi testimoniano della trasmissione degli stessi miti.

Allieva di Freud, Helene Deutsch prolunga il pensiero del maestro. I suoi numerosi scritti consacrati alla psicologia femminile mostrano una leggera condiscendenza nei confronti delle donne. Ella vede la realizzazione della donna nelle sue funzioni genitoriali, il più vicino all’anatomia e alla fisiologia, come nel suo lavoro su Psicologia della donna in rapporto alle funzioni riproduttive (1925). La sua analisi, paradigma di numerosi studi ulteriori, tenta di individuare una specificità femminile la cui nobiltà sarebbe equivalente a quella dell’uomo. Sulle tracce di Freud, evoca l’avviarsi della bambina nell’Edipo. I processi che l’autrice descrive riposano su di un parallelo tra l’aspetto quantitativo della libido e le dimensioni degli organi genitali: il clitoride, non potendo captare tanta libido quanta il pene nel ragazzo, si mostra relativamente modesto nelle sue esigenze e permette alla donna di conservare «tratti perversi polimorfi» infantili. Attraverso la scappatoia di una dimostrazione lambiccata, che sembra più intellettuale che clinica, Helene Deutsch attribuisce alla vagina una funzione materna tale che la donna «si sviluppa realmente nel senso della femminilità». La realizzazione femminile culminerà con la gravidanza e il parto, vera «orgia di piacere  masochistico», in cui le pulsioni sadiche conoscono così il loro apogeo con «l’espulsione del feto». Essendo già l’accoppiamento «un tentativo ed un inizio di parto», l’ideale dell’Io della donna s’incarnerà nel figlio.

Helene Deutsch riesce nella prodezza di confermare, con l’aiuto di strumenti psicoanalitici, la formula tradizionale « Tota mulier in utero », concludendo non senza humour: «Senza l’orientamento bisessuale dell’essere umano, che per la donna è nefasto, senza il clitoride e senza le tendenze maschili, assai più facile sarebbe per la donna raggiungere un pieno dominio dell’esistenza»[9].

 

Il divenire donna dopo Freud

Nella costituzione di un femminile che prelude all’identità femminile ulteriore, la sessuazione arcaica è orientata precocemente nella diade madre-bambino, per il fatto dell’appartenenza della madre al mondo delle donne: vi si può vedere la quintessenza del legame narcisistico animato dall’attrazione per lo stesso. La seduzione omoerotica materna intrattiene attivamente l’investimento di cui essa è l’oggetto per il tramite di un’influenza armoniosa, necessaria al dispiegarsi di un’onnipotenza primitiva di buona lega. A tal riguardo, e poiché la seduzione omosessuale della madre è affetta da un coefficiente di sadismo, Alberto Eiguer (2002) segnala che è importante distinguere omosessualità ed omoerotismo per prendere in considerazione ciò che si gioca di piacevole in quest’ultimo registro. Pensare questa inscrizione precoce nel femminile non va da sé. Così, Jacqueline Godfrind (2001) s’interroga: «Perché chiamare «femminile» questo qualcosa di originale che appartiene alla preistoria di ciascuno, se non pensando che questa scelta terminologica corrisponde a una «teoria sessuale infantile» che concettualizza una conoscenza «biologica» iscritta nell’inconscio: in principio era la madre e questa madre è donna?»[10]. Insiste sul fatto che una tale conoscenza non può venire che nell’après coup, giacché l’origine del «femminile precoce» viene rapportata agli investimenti genitoriali, indipendentemente dai vissuti del neonato.

La coppia è uno degli assi di maturazione che conduce la donna ad integrare pienamente il proprio genere. Secondo questa prospettiva, gli scritti di Jacqueline Schaeffer (1997) magnificano la parte che spetta alla coppia attraverso la figura dell’«amante di godimento». Riprendendo con convinzione la corrente energetica che percorre l’opera di Freud, insiste sulla quantità e la costanza della spinta di una libido che tende verso la «realizzazione» erotica della donna nell’incontro sessuale. Senza denegare i preliminari che installano la donna nel proprio genere, Jacqueline Schaeffer (1997) fa dell’amante l’agente decisivo della realizzazione della donna nel godimento masochistico, «esperienza iniziatica» preparata sin dall’alba della vita dalla co-eccitazione generata dall’attesa della madre. La prima effrazione organizzatrice è l’opera della pulsione che agisce come seduttrice (auto-seduttrice), poi si costruisce il «masochismo erotico, psichico, né perverso, né agito […] custode del godimento sessuale»[11]. Questo assicura la capacità dell’Io ad «ammettere grandi quantità di eccitazione non legate». L’autrice richiama il discorso di Freud concernente la dipendenza e sottolinea la similitudine delle posizioni della donna e del bambino verso l’oggetto d’amore. Considera il godimento masochista come una specificità femminile che attenuerebbe la durezza della “roccia del biologico” ed offrirebbe all’uomo la chiave dell’enigma: se lui è l’agente di un tale godimento, può accedervi attraverso identificazione alla donna.

Notiamo che, in questo contesto teorico, la donna non avviene veramente che in una trasmissione essenzialmente orizzontale, attraverso una relazione con l’amante di godimento posta sotto il segno della sottomissione. La maternità, anche fantasmatica, sembra avere perso il proprio statuto storico.

Sylvie Faure-Pragier (1999), dal suo canto, pensa che, al fine di preservare la pace e l’armonia, la madre deve sottomettersi al padre ed investirlo. Offrirà così alla figlia un supporto identificatorio, oggetto d’amore ch’essa potrà poi spostare.

In tutti questi studi, gli uomini ed i padri restano gli iniziatori del funzionamento coniugale e familiare, i motori dell’identificazione femminile. Prendiamo in considerazione alcuni assi privilegiati che vi abbiamo rilevato:

-         il mantenimento dell’Edipo organizzatore, denominatore comune, i cui parametri variano;

-         l’interesse rinnovato per il ruolo della madre;

-         l’accento posto sulla coppia.

Alla fine, metamorfizzato attraverso la teorizzazione che si offre come nuovo marciapiede mitico, la sottomissione della donna nella coppia guadagna in «cultura» ciò che questa sembra perdere in «natura».

Le differenti concezioni psicoanalitiche restano dispiegate principalmente nel triangolo edipico iscritto nella cerchia familiare nella quale si annodano tutte le possibili combinazioni. La pluralità dei parametri (preedipico omoerotico o omosessuale, edipico, amoroso, materno) che si sovrappongono, s’intricano nella simultaneità o nella successione in prospettive varie, ci sembra più facile da integrare se si utilizza la teoria dei legami intersoggettivi nella famiglia che include una temporalità che oltrepassa l’individuo, senza che gli effetti della trasmissione, tra i quali quello del femminile, restino come sparsi o condannati a meri rapporti di prossimità.

 

 

 

Illustrazione clinica

Si tratta di una terapia familiare durata sette anni. La famiglia comprende la coppia genitoriale e due gemelle nate con Procreazione Medicalmente Assistita dopo un’interruzione terapeutica di gravidanza. All’inizio della terapia, Delphine e Sabine si avviano verso gli 8 anni. Presentano entrambe disturbi della sfera oro-alimentare e problemi scolari in ambiti specifici: una non impara a leggere, l’altra non comprende nulla di matematica. Allevate «come due sorelle e non come gemelle», sono dissimili in tutto. Delphine è civettuola ed esuberante, adora piacere, mentre Sabine ha orrore per tutti gli indici di femminilità e seduzione erotica, la parola «amore» la straluna.

 

L’importanza del transgenerazionale

Dal lato del padre, segnaliamo, per abbozzare un’idea delle alleanze inconsce nella coppia, una serie di vedove precoci, la nonna, poi la madre, e l’esistenza di un fratello maggiore handicappato nel ruolo di sostituto paterno. La madre, che chiameremo Jeanne per fare contrassegno in una serie di quattro generazioni, ha vissuto la prima infanzia delle sue figlie come un incubo; si sentiva incapace di occuparsi delle due nello stesso tempo, invasa da fantasie infanticide. La sua vita affettiva è molto piena dalla propria madre, che dice narcisistica e anaffettiva, e per la quale lei sarebbe principalmente un oggetto da mettere alla prova, da attaccare, da deteriorare. Cerca di soddisfarla affidandole regolarmente le figlie, specialmente Delphine, più adatta a «tollerare» la nonna, come se gliela desse in pasto.

Nel secondo anno della terapia, il transgenerazionale si manifesta attraverso uno strano episodio. Sorgono in Delphine delle manifestazioni di encopresi. Questa abbandona clandestinamente la scuola per andare in bagno a casa, non senza sporcarsi le mutandine. Questa storia viene analizzata in dettaglio fino a che Jeanne finisce per evocare, a malincuore, poiché «ciò fa troppo psy», simili sintomi in sua madre. Quest’ultima soffre di coliche con bisogni imperiosi, non può più uscire di casa. E si ritiene che Delphine non ne sappia nulla. La trasmissione da nonna a nipote si annuncia su di un modo molto arcaico.

Proprio alla seduta successiva, quando Delphine disegna «una bella ragazza», la madre pensa a ciò che Sabina le ha recentemente confidato: «Le principesse non hanno culetto». Sabine precisa: le principesse sono belle e perfette, non possono avere «culetto», poiché è sporco. La madre arriva allora ad evocare la formula che utilizza per tagliar corto quando le figlie si mostrano recalcitranti: «È così, perché io sono la regina». Alla percezione della soddisfazione di Jeanne, sento risuonare in me la sentenza regale «perché tale è il mio buon piacere». L’interfantasmatizzazione rinforzerà, durante la seduta, l’idealizzazione che concentra bellezza, ricchezza e potere sotto la bandiera della regina, erede e anello di una dinastia. Gli ideali grandiosi e trionfanti schiacciano il contenuto arcaico e vergognoso della seduta precedente.

 

Un oggetto transgenerazionale

Jeanne aveva evocato la nonna materna chiamandola sempre col suo nome, come quest’ultima esigeva. Questa donna era morta da qualche anno. Molto giovane, aveva dato alla luce una figlia unica ed illegittima, poi aveva condotto una vita apertamente dissoluta trascurando questa figlia, messa in istituto qualche anno più tardi.

 Nella sua infanzia, Jeanne trovava piuttosto «divertente» questa nonna che esibiva fieramente i suoi gioielli di paccottiglia quando veniva fugacemente a far visita alla famiglia. Ma i suoi comportamenti aberranti, asociali ed aggressivi la facevano considerare come «folle». La problematica della follia infiltra costantemente i fantasmi materni e Sabine è il luogo elettivo della loro proiezione.

 

 

Il transgenerazionale nei sogni

Nella stirpe materna, i legami madre-figlia sono posti sotto il segno della mancanza e della ricerca: il narcisismo materno lascia poco da offrire. Jeanne commenta: «È difficile dare quando non si è ricevuto». Anch’essa tende a instaurare legami d’influenza con le sue figlie: una vi si presta, l’altra no.

Alcuni racconti di sogni faranno sorgere oggetti transgenerazionali e nutriranno l’interfantasmatizzazione che attiva la trasmissione del femminile. Eccone qualche estratto.

Il primo sogno viene raccontato dalla madre all’inizio della terapia. Ella scala un pendio, con difficoltà e precipitazione, tenendo Delphine per la mano. Quando getta uno sguardo indietro, vede la madre lontano, in basso.

Un sogno di Sabine: uno sconosciuto si prepara a far esplodere la casa dei nonni, vicina alla sua. Sabine parla della sua impotenza a impedirlo.

Un altro sogno della madre: La nonna desidera acquistare una seconda residenza, «come una fantasia». Jeanne l’accompagna per visitare una casa molto antica, vuota, triste, scalcinata. Lasciando il casamento, s’imbattono in una sorta di apparizione, un uomo che minaccia la vita di Jeanne senza che la madre vi presti attenzione: nota una leggera rigatura sulla carrozzeria della macchina. Jeanne prova un intenso sentimento d’abbandono e non segnala il pericolo.

Un ultimo sogno di Delphine che entra allora nell’adolescenza: è al collegio, nella sua classe. Al muro, il ritratto di un giovane uomo in un quadro. Questi scende dal quadro, poi la segue per la strada dove lei cammina con le amiche; lei non osa girarsi, è inquietata.

 

Brevi commenti

Nella stirpe materna, la sofferenza della filiazione conduce le madri a promuovere legami d’influenza con le figlie. Il padre l’ha compreso e se ne infastidisce: «Sono tutte le stesse, di madre in figlia, su quattro generazioni».

Insieme, queste donne fanno parte di una sorta di dinastia. La «regina» Jeanne è anch’essa sotto l’influenza della regina-madre. Antenati e passato generano un’angoscia, un sentimento di minaccia: pensarci, guardarli è pericoloso, esplosivo. Gli oggetti transgenerazionali, che sono la bisnonna e la nonna, alimentano e sovraccaricano il bagaglio fantasmatico familiare. Ricordiamo che il concetto di oggetto transgenerazionale, introdotto da Alberto Eiguer (1991), designa un antenato che genera dei fantasmi, degli affetti e delle identificazioni. Vi si rapportano, nelle bambine, il rifiuto inconscio della procreazione e del femminile, con rigetto dei segni di femminilità, attrazione/repulsione per le materie corporee e il carnale; potendo questo rifiuto essere spostato sull’alimentazione o pranzi a scuola. La bisnonna è un oggetto transgenerazionale allo stesso tempo repulsivo (donna leggera e madre indegna) e attrattivo per la libertà che ha sempre ostentato, per il suo carattere fuori dalle norme. Essa incarna il mito che specifica questa famiglia: siamo differenti dagli altri, usciamo dai sentieri battuti. Jeanne, il cui marito dice con una certa ammirazione: «è una ribelle», ne è la legataria e la guardiana. Ognuno nella famiglia illustra il mito a suo modo, come per sottolinearne la funzione federatrice, mentre avrebbe potuto significare la sregolatezza. All’interfaccia tra vita conscia ed inconscia, questo mito organizzatore è temperato da una contropartita che smussa le sue potenzialità negative: gli ideali familiari sono principalmente orientati da una parte, verso una vita sana, da cui sarebbe bandita ogni forma di polluzione e, dall’altra, verso le arti, la letteratura, la musica, il disegno.

Si sarà compreso che almeno un altro oggetto transgenerazionale è presente: il bisnonno «sconosciuto», il cui patronimico sarà tuttavia pronunciato verso la fine della terapia. Egli condensa una serie di rappresentazioni peggiorative di padre o di amante: spettro, morto o assassino potenziale, che attaccano il femminile.

Questa illustrazione clinica impressionista permette di rendere conto del carattere fondatore dei legami narcisistici (la dinastia). È chiaro che il lavoro del negativo vi è preponderante, particolarmente visibile quando un effetto starter si produce all’evocazione delle prime similitudini nonna-nipote. La dimensione del pulsionale nella trasmissione è reperibile attraverso l’intreccio dei legami narcisistici e dei legami oggettuali animati dalla libido. A partire dai volti scuri della mitologia familiare potrà emergere una ripresa mitopoietica che offrirà più posto al padre e all’elaborazione dei fantasmi condivisi generati dalla sua stirpe (particolarmente l’handicap) e dei loro punti di incrocio con quelli venuti dalla stirpe materna. La defaillance materna denegata ed il rifiuto del femminile, particolarmente nella sua dimensione materna, sarebbero stati qui al fondamento dell’alleanza inconscia della coppia genitoriale: in ogni stirpe s’incontrano donne abbandonate; dal padre e l’amante nella stirpe materna, per la morte del marito nella stirpe paterna, consegnate a un difficile riconoscimento del femminile in loro.

 

L’apporto della psicoanalisi familiare

Mentre i lavori psicoanalitici classici mettono l’accento sui processi e sulle istanze intrapsichiche, sulla relazione oggettuale, la psicoanalisi familiare comprende questi dati e conduce verso una concezione di un insieme coerente delle vie della trasmissione del femminile. La teoria dei legami inconsci costruiti nell’intersoggettività offre un ampliamento ed un arricchimento, enunciando la complementarità delle vie della trasmissione nel riconoscimento reciproco e della mutualità, se non la simmetria. Se la trasmissione riposa principalmente sull’asse metaforico dei legami, che ne assicura l’ossatura psichica, la parte metonimica della trasmissione riposa sulla contiguità tra il soggetto e il suo contesto intersoggettivo. Questi fattori contestuali trovano posto nella dimensione sincronica della trasmissione dove costituiscono dei relais preliminari alla loro inscrizione nella diacronia e nell’intrapsichico. La loro operatività s’inscrive in modo spesso infra-verbale, costituendo la tela di fondo dei processi di trasmissione che permettono di pensare in termini flessibili.

Il femminile si dispiega sul fondamento di una proto-identità femminile stabilita in seno alla diade madre-bambino su di un modo omoerotico, attraverso il gioco degli investimenti massivi che circolano attorno alla nascita. La madre è al primo posto per proteggere e sostenere le funzioni vitali, per declinare tutta questa grammatica del contatto carnale, spirituale ed affettivo che evolve gradualmente seguendo i bisogni del bambino, per condurlo verso l’inscrizione nell’Edipo. Per tutta la vita, la madre conserva una funzione il cui senso si prolunga e si trasforma in seno al legame materno-filiale, come i processi edipici stessi evolvono in funzione delle epoche della vita. Nel padre come nella madre, la forza di creare un legame di filiazione ha una doppia origine: è attinta dal legame d’alleanza instaurato nella coppia con la messa in comune di fantasmi, miti e ideali, ma si nutre anche dei legami genealogici che precedono questo legame di alleanza.

Ad ogni generazione il legame di coppia rinforza e trasforma il femminile nella sua dimensione erotica e rinnova la bisessualità nella quale prende posto. Allo stesso modo, la nascita di ogni bambino mobilita particolarmente il femminile materno. Queste due dimensioni, verticale (ascendente, ma anche discendente) ed orizzontale sono le condizioni di una trasmissione che fornirà alla psiche degli strumenti per far fronte ai traumi dei quali molti sono ugualmente legati alla generazione (qui la perdita di un figlio per IGT[12], per prendere in considerazione solo questo esempio).

 

A mo’ di conclusione: tra miti sociali e miti familiari…

Tra gli agenti della trasmissione che transitano attraverso i legami, si è potuto vedere che i miti propri al gruppo familiare si distinguono dai miti sociali. Nel caso presentato, questi ultimi sono poco evidenti ed i miti familiari sono piuttosto di natura tale da combatterli, aiutati in ciò dalla forza degli ideali. Reperibili in produzioni linguistiche dalle molteplici implicazioni, i miti familiari forniscono una versione del mondo familiare, chiariscono per ognuno dei membri la comprensione dell’origine della famiglia, offrono confini ai quali ciascuno può affidarsi per riconoscersi membro del gruppo. L’adesione alle «verità» che enunciano è senz’altro richiesta. Che ciò sia per il rifiuto del femminile o la ribellione contro di esso, la trasmissione del femminile e della femminilità passa anche attraverso di essi, fatti salvi i miti sociali che sono la tela di fondo del nostro involucro culturale. L’impatto dei miti sociali in famiglia ed in ognuno di noi dipenderà dalla permeabilità, dalla flessibilità e dalla definizione dell’involucro familiare. Un involucro ad «alta definizione», dove i filtri saranno precisamente definiti dai miti e dagli ideali familiari sarà più protettivo verso i miti sociali in disaccordo con i primi, senza comunque rinchiudere il gruppo familiare. Viceversa, un involucro familiare mal definito per defaillance di miti e di ideali, o strappato in ragione di impatti traumatici, lascerà libero corso all’impianto dei miti sociali al posto dei miti familiari rinnegati o cancellati. Ognuno di noi è la cassa di risonanza dei conflitti tra miti sociali e miti familiari, processi che possono infiltrare il nostro controtransfert, come infiltrano la teoria. Scommettiamo che la mitopoiesi psicoanalitica abbia ancora degli avanzamenti da realizzare… e dei bei giorni innanzi a sé. 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Note  dell'Autrice:

 

[*] In Opere filosofiche, Feltrinelli, Milano, 1967.

[1] Platone, Timeo: «Quelli, infra gli uomini, codardi e che passarono loro vita iniquitosamente, nella seconda nascita si trasnaturarono, secondo verisimiglianza, in femmine».

[2] Aristotele

[3] Lettera ai Corinzi.

[4] Dal 1453, caduta di Costantinopoli alla Rivoluzione francese.

[5] Il principe, Einaudi, Torino 1995, pp. 217-218.

[6] Il libro della Genesi, Mondadori editore, 2009.

[7] Emilio o dell’educazione, Armando, Roma, 1994.

[8] p. 459, corsivo nostro.

[9] p. 224.

[10] p. 19.

[11] p. 94, trad. nostra.

[12] Interruzione terapeutica di gravidanza

Riferimenti bibliografici

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