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"La Psicoanalisi e i suoi
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Affronteremo
la questione della trasmissione del femminile seguendo il cammino di
quest’eredità in seno alla famiglia a partire dai miti sociali,
perenni nel pensiero e nelle pratiche occidentali; poi ricercheremo la
loro infiltrazione nel pensiero psicoanalitico. L’insieme di questi
miti prende parte alla costituzione dell’involucro culturale che
contiene l’involucro psichico familiare; noi stessi li abbiamo
ereditati, anche attraverso le credenze e gli ideali che fondano la
nostra pratica psicoanalitica con le coppie e le famiglie. Vedremo che
i miti propriamente familiari si distinguono dai miti sociali e
partecipano della trasmissione del femminile, unitamente agli altri
fattori che circolano nei legami intersoggettivi consci ed inconsci,
connessi ai fantasmi condivisi e agli affetti che li accompagnano. Ci
guiderà la teoria dei legami, associata a quella degli involucri
psichici.
Da
questo punto di vista, passeremo in rassegna la molteplicità delle
vie che conducono al femminile e alla femminilità nella donna, al di
là e al di qua della triangolazione edipica iniziale, includendovi la
profondità genealogica.
I
miti sociali
Sin
dall’Antichità greca, incontriamo con Platone
il mito dell’inferiorità e dell’animalità femminili, confermato
in Aristotele: le donne «esseri naturalmente fatti per essere
comandati»,
sono definite dalle loro mancanze e poste dal lato della materia,
servono solo a procreare. In assenza delle capacità richieste, sapere
e potere, strumenti essenziali della trasmissione, sono loro
interdetti. La sola cosa che le avvicina all’uomo è il mito
dell’anima asessuata. Nell’insieme ritroveremo questi miti fino
all’epoca contemporanea, dove inizierà bruscamente una loro
inflessione.
Tra
i primi cristiani, Paolo si situa in continuità con queste idee: «l’uomo
[…] è l’immagine e la gloria di Dio; la donna invece è la gloria
dell’uomo»
per il quale è stata creata. Il dogma dell’anima asessuata,
attraverso la quale le donne raggiungono l’uomo, resta una
concessione che permette loro di trasmettere la fede e la pietà. Poco
a poco sarà loro riconosciuta un’attitudine all’insegnamento, ma
in maniera assai limitata ed inquadrata. Si sa che le professioni
d’insegnamento restano massivamente investite dalle donne.
I
filosofi dell’epoca moderna
fanno ancora eco a tali miti. Per Machiavelli, ad esempio, la donna è
stupida, debole, dipendente e tradisce facilmente. Gli uomini devono
guardarsi dalla seduzione attraverso la quale esercita il suo
potere. La metafora della Fortuna illustra il suo pensiero: «perché
la fortuna è donna, ed è necessario, volendola tenere sotto,
batterla ed urtarla».
Nel
secolo XVI, la Riforma accorda con Lutero una relativa dignità alla
donna, riconoscendo le sue virtù in materia di spiritualità e
d’insegnamento (del Vangelo e alle ragazzine), ma lascia immutata la
sua posizione nella coppia: « la donna è come un chiodo conficcato
nel muro. Se ne sta in casa […] poiché non ha i mezzi per condurre
gli affari esterni e pubblici».
Nella stessa epoca appare la figura della strega, che detiene una
potenza propria, la cui trasmissione opererà da madre a figlia
in seno alla famiglia, mettendo in pericolo la società intera.
Nel
secolo dei Lumi qualche bagliore riflette l’abbozzo di una
concezione più egualitaria dei rapporti tra i sessi, almeno nei
circoli ristretti dei filosofi. Come altri pensatori del suo tempo,
Jean-Jacques Rousseau, che sogna di strappare l’uomo alla natura per
condurlo verso una nuova libertà attraverso il «contratto sociale»,
pensa all’istruzione delle donne. Ma è a patto che vi sia
sviluppata «la virtù femminile della dipendenza»; e riafferma le
prerogative maschili: «ovunque lei [la donna] fa valere i suoi
diritti, essa ha il vantaggio; ovunque essa vuole usurpare i nostri,
resta al di sotto di noi».
Da
questo inventario abbozzato e parziale, abbiamo scartato le idee di
altri pensatori quando rappresentano delle ipotesi, degli ideali, o
addirittura delle utopie, o quando non
riflettono il pensiero del loro tempo.
I
miti che sottendono le opere citate possono essere raggruppati così,
dal punto di vista della trasmissione:
-
il mito di un ancoraggio marcato della donna nella natura con, come
corollario, la nozione della sua animalità (le sono riservati
procreazione ed allevamento dei piccoli);
-
il mito dell’inferiorità femminile giustifica la subordinazione
della donna all’uomo. Il potere e la trasmissione del sapere, le cui
poste in gioco sono maggiori, devono restare appannaggio degli uomini;
-
il mito della spiritualità propria alla donna le attribuisce il
compito di trasmettere la fede e la pietà.
Sopravvivenze
dei miti sul femminile nel pensiero psicoanalitico
Questi
miti, appena trasformati durante i secoli, hanno avuto vita dura. In
che misura hanno infiltrato il pensiero psicoanalitico? Questa domanda
contribuirà a misurare il loro potere di orientare la vita psichica e
di chiarire il contesto vivente della trasmissione del femminile.
Freud
e i suoi contemporanei
I
riferimenti alla donna attraversano l’opera di Freud, organizzati
secondo delle vedute marcate dai miti sociali precedentemente
recensiti. Che si tratti delle teorie sessuali infantili nel bambino,
della sua vita fantasmatica (specialmente Un bambino viene
picchiato, 1919, che riguarda più particolarmente la bambina),
della sua integrazione e del suo liberarsi della posizione edipica, il
padre resta per Freud il polo attrattore principale, anche se la
cronologia pone la madre in posizione di anteriorità. Nella bambina,
esso rende l’accesso all’Edipo tributario di una costruzione
complessa che, a differenza di ciò che avviene per il bambino,
necessita di un cambiamento d’oggetto. Non solo il padre è
preminente, ma inoltre la libido stessa «è essenzialmente maschile».
La sua concezione della psicogenesi della femminilità è «unilaterale»,
come indica lui stesso, addirittura patrilaterale. Questo eccesso di
padre e di maschio, da comprendere forse come un tentativo per
restaurare l’autorità paterna che presentiva minacciata, sviluppa e
sostiene i temi ricorrenti del pensiero occidentale. Freud, in
linea con le correnti intellettuali più innovatrici del suo
tempo, è anche l’erede di una tradizione che allo stesso tempo
combatte, giustifica e rinnova. È necessario però dargli atto che
non misconosce i fattori sociali suscettibili d’influenzare lo
sviluppo psichico, come indica un passaggio di Introduzione al
narcisismo. Secondo lui, lo sviluppo pubertario è l’occasione
di un aumento del narcisismo nella fanciulla, specialmente quando
questo coincide con quello della bellezza, che conduce ad «una sorta
di autosufficienza che le compensa dei sacrifici che la società
impone alla loro libertà di scegliersi il proprio oggetto d’amore».
Oltre
al fatto che i punti evocati si adattano al mito della potenza della
natura, ritroviamo quello della dominazione maschile (il cui
corollario è l’inferiorità della donna) che sottende anche la
trasmissione del Super-Io: questa istanza che controlla la vita
attuale affonda nelle generazioni che precedono e la nozione di un
Super-Io debole nella donna è coerente con l’idea di una inferiorità
femminile. Tra i contemporanei, poi i continuatori del pensiero
freudiano, citerò solo dei lavori di psicoanaliste, poiché
anch’essi testimoniano della trasmissione degli stessi miti.
Allieva
di Freud, Helene Deutsch prolunga il pensiero del
maestro. I suoi numerosi scritti consacrati alla psicologia femminile
mostrano una leggera condiscendenza nei confronti delle donne. Ella
vede la realizzazione della donna nelle sue funzioni genitoriali, il
più vicino all’anatomia e alla fisiologia, come nel suo lavoro su Psicologia
della donna in rapporto alle funzioni riproduttive (1925). La sua
analisi, paradigma di numerosi studi ulteriori, tenta di individuare
una specificità femminile la cui nobiltà sarebbe equivalente a
quella dell’uomo. Sulle tracce di Freud, evoca l’avviarsi della
bambina nell’Edipo. I processi che l’autrice descrive riposano su
di un parallelo tra l’aspetto quantitativo della libido e le
dimensioni degli organi genitali: il clitoride, non potendo captare
tanta libido quanta il pene nel ragazzo, si mostra relativamente
modesto nelle sue esigenze e permette alla donna di conservare «tratti
perversi polimorfi» infantili. Attraverso la scappatoia di una
dimostrazione lambiccata, che sembra più intellettuale che clinica,
Helene Deutsch attribuisce alla vagina una funzione materna tale che
la donna «si sviluppa realmente nel senso della femminilità». La
realizzazione femminile culminerà con la gravidanza e il parto, vera
«orgia di piacere masochistico»,
in cui le pulsioni sadiche conoscono così il loro apogeo con «l’espulsione
del feto». Essendo già l’accoppiamento «un tentativo ed un inizio
di parto», l’ideale dell’Io della donna s’incarnerà nel
figlio.
Helene
Deutsch riesce nella prodezza di confermare, con l’aiuto di
strumenti psicoanalitici, la formula tradizionale « Tota
mulier in utero », concludendo non senza humour: «Senza
l’orientamento bisessuale dell’essere umano, che per la donna è
nefasto, senza il clitoride e senza le tendenze maschili, assai più
facile sarebbe per la donna raggiungere un pieno dominio
dell’esistenza».
Il
divenire donna dopo Freud
Nella
costituzione di un femminile che prelude all’identità femminile
ulteriore, la sessuazione arcaica è orientata precocemente nella
diade madre-bambino, per il fatto dell’appartenenza della madre al
mondo delle donne: vi si può vedere la quintessenza del legame
narcisistico animato dall’attrazione per lo stesso. La seduzione
omoerotica materna intrattiene attivamente l’investimento di cui
essa è l’oggetto per il tramite di un’influenza armoniosa,
necessaria al dispiegarsi di un’onnipotenza primitiva di buona lega.
A tal riguardo, e poiché la seduzione omosessuale della madre
è affetta da un coefficiente di sadismo, Alberto Eiguer (2002)
segnala che è importante distinguere omosessualità ed omoerotismo
per prendere in considerazione ciò che si gioca di piacevole in
quest’ultimo registro. Pensare questa inscrizione precoce nel
femminile non va da sé. Così, Jacqueline Godfrind (2001)
s’interroga: «Perché chiamare «femminile» questo qualcosa di
originale che appartiene alla preistoria di ciascuno, se non pensando
che questa scelta terminologica corrisponde a una «teoria sessuale
infantile» che concettualizza una conoscenza «biologica» iscritta
nell’inconscio: in principio era la madre e questa madre è donna?».
Insiste sul fatto che una tale conoscenza non può venire che nell’après
coup, giacché l’origine del «femminile precoce» viene
rapportata agli investimenti genitoriali, indipendentemente dai
vissuti del neonato.
La
coppia è uno degli assi di maturazione che conduce la donna ad
integrare pienamente il proprio genere. Secondo questa prospettiva,
gli scritti di Jacqueline Schaeffer (1997) magnificano la parte che
spetta alla coppia attraverso la figura dell’«amante di godimento».
Riprendendo con convinzione la corrente energetica che percorre
l’opera di Freud, insiste sulla quantità e la costanza della spinta
di una libido che tende verso la «realizzazione» erotica della donna
nell’incontro sessuale. Senza denegare i preliminari che installano
la donna nel proprio genere, Jacqueline Schaeffer (1997) fa
dell’amante l’agente decisivo della realizzazione della donna nel
godimento masochistico, «esperienza iniziatica» preparata sin
dall’alba della vita dalla co-eccitazione generata dall’attesa
della madre. La prima effrazione organizzatrice è l’opera della
pulsione che agisce come seduttrice (auto-seduttrice), poi si
costruisce il «masochismo erotico, psichico, né perverso, né agito
[…] custode del godimento sessuale».
Questo assicura la capacità dell’Io ad «ammettere grandi quantità
di eccitazione non legate». L’autrice richiama il discorso di Freud
concernente la dipendenza e sottolinea la similitudine delle posizioni
della donna e del bambino verso l’oggetto d’amore. Considera il
godimento masochista come una specificità femminile che attenuerebbe
la durezza della “roccia del biologico” ed offrirebbe all’uomo
la chiave dell’enigma: se lui è l’agente di un tale godimento, può
accedervi attraverso identificazione alla donna.
Notiamo
che, in questo contesto teorico, la donna non avviene veramente che in
una trasmissione essenzialmente orizzontale, attraverso una relazione
con l’amante di godimento posta sotto il segno della sottomissione.
La maternità, anche fantasmatica, sembra avere perso il proprio
statuto storico.
Sylvie
Faure-Pragier (1999), dal suo canto, pensa che, al fine di preservare
la pace e l’armonia, la madre deve sottomettersi al padre ed
investirlo. Offrirà così alla figlia un supporto identificatorio,
oggetto d’amore ch’essa potrà poi spostare.
In
tutti questi studi, gli uomini ed i padri restano gli iniziatori del
funzionamento coniugale e familiare, i motori dell’identificazione
femminile. Prendiamo in considerazione alcuni assi privilegiati che vi
abbiamo rilevato:
-
il mantenimento dell’Edipo organizzatore, denominatore comune, i cui
parametri variano;
-
l’interesse rinnovato per il ruolo della madre;
-
l’accento posto sulla coppia.
Alla
fine, metamorfizzato attraverso la teorizzazione che si offre come
nuovo marciapiede mitico, la sottomissione della donna nella coppia
guadagna in «cultura» ciò che questa sembra perdere in «natura».
Le
differenti concezioni psicoanalitiche restano dispiegate
principalmente nel triangolo edipico iscritto nella cerchia familiare
nella quale si annodano tutte le possibili combinazioni. La pluralità
dei parametri (preedipico omoerotico o omosessuale, edipico, amoroso,
materno) che si sovrappongono, s’intricano nella simultaneità o
nella successione in prospettive varie, ci sembra più facile da
integrare se si utilizza la teoria dei legami intersoggettivi nella
famiglia che include una temporalità che oltrepassa l’individuo,
senza che gli effetti della trasmissione, tra i quali quello del
femminile, restino come sparsi o condannati a meri rapporti di
prossimità.
Illustrazione
clinica
Si
tratta di una terapia familiare durata sette anni. La famiglia
comprende la coppia genitoriale e due gemelle nate con Procreazione
Medicalmente Assistita dopo un’interruzione terapeutica di
gravidanza. All’inizio della terapia, Delphine e Sabine si avviano
verso gli 8 anni. Presentano entrambe disturbi della sfera
oro-alimentare e problemi scolari in ambiti specifici: una non impara
a leggere, l’altra non comprende nulla di matematica. Allevate «come
due sorelle e non come gemelle», sono dissimili in tutto. Delphine è
civettuola ed esuberante, adora piacere, mentre Sabine ha orrore per
tutti gli indici di femminilità e seduzione erotica, la parola «amore»
la straluna.
L’importanza
del transgenerazionale
Dal
lato del padre, segnaliamo, per abbozzare un’idea delle alleanze
inconsce nella coppia, una serie di vedove precoci, la nonna, poi la
madre, e l’esistenza di un fratello maggiore handicappato nel ruolo
di sostituto paterno. La madre, che chiameremo Jeanne per fare
contrassegno in una serie di quattro generazioni, ha vissuto la prima
infanzia delle sue figlie come un incubo; si sentiva incapace di
occuparsi delle due nello stesso tempo, invasa da fantasie
infanticide. La sua vita affettiva è molto piena dalla propria madre,
che dice narcisistica e anaffettiva, e per la quale lei sarebbe
principalmente un oggetto da mettere alla prova, da attaccare, da
deteriorare. Cerca di soddisfarla affidandole regolarmente le figlie,
specialmente Delphine, più adatta a «tollerare» la nonna, come se
gliela desse in pasto.
Nel
secondo anno della terapia, il transgenerazionale si manifesta
attraverso uno strano episodio. Sorgono in Delphine delle
manifestazioni di encopresi. Questa abbandona clandestinamente la
scuola per andare in bagno a casa, non senza sporcarsi le mutandine.
Questa storia viene analizzata in dettaglio fino a che Jeanne finisce
per evocare, a malincuore, poiché «ciò fa troppo psy», simili
sintomi in sua madre. Quest’ultima soffre di coliche con bisogni
imperiosi, non può più uscire di casa. E si ritiene che Delphine non
ne sappia nulla. La trasmissione da nonna a nipote si annuncia su di
un modo molto arcaico.
Proprio
alla seduta successiva, quando Delphine disegna «una bella ragazza»,
la madre pensa a ciò che Sabina le ha recentemente confidato: «Le
principesse non hanno culetto». Sabine precisa: le principesse sono
belle e perfette, non possono avere «culetto», poiché è sporco. La
madre arriva allora ad evocare la formula che utilizza per tagliar
corto quando le figlie si mostrano recalcitranti: «È così, perché
io sono la regina». Alla percezione della soddisfazione di Jeanne,
sento risuonare in me la sentenza regale «perché tale è il mio buon
piacere». L’interfantasmatizzazione rinforzerà, durante la seduta,
l’idealizzazione che concentra bellezza, ricchezza e potere sotto la
bandiera della regina, erede e anello di una dinastia. Gli ideali
grandiosi e trionfanti schiacciano il contenuto arcaico e vergognoso
della seduta precedente.
Un
oggetto transgenerazionale
Jeanne
aveva evocato la nonna materna chiamandola sempre col suo nome, come
quest’ultima esigeva. Questa donna era morta da qualche anno. Molto
giovane, aveva dato alla luce una figlia unica ed illegittima, poi
aveva condotto una vita apertamente dissoluta trascurando questa
figlia, messa in istituto qualche anno più tardi.
Nella
sua infanzia, Jeanne trovava piuttosto «divertente» questa nonna che
esibiva fieramente i suoi gioielli di paccottiglia quando veniva
fugacemente a far visita alla famiglia. Ma i suoi comportamenti
aberranti, asociali ed aggressivi la facevano considerare come «folle».
La problematica della follia infiltra costantemente i fantasmi materni
e Sabine è il luogo elettivo della loro proiezione.
Il
transgenerazionale nei sogni
Nella
stirpe materna, i legami madre-figlia sono posti sotto il segno della
mancanza e della ricerca: il narcisismo materno lascia poco da
offrire. Jeanne commenta: «È
difficile dare quando non si è ricevuto». Anch’essa tende a
instaurare legami d’influenza con le sue figlie: una vi si presta,
l’altra no.
Alcuni
racconti di sogni faranno sorgere oggetti transgenerazionali e
nutriranno l’interfantasmatizzazione che attiva la trasmissione del
femminile. Eccone qualche estratto.
Il
primo sogno viene raccontato dalla madre all’inizio della terapia.
Ella scala un pendio, con difficoltà e precipitazione, tenendo
Delphine per la mano. Quando getta uno sguardo indietro, vede la madre
lontano, in basso.
Un
sogno di Sabine: uno sconosciuto si prepara a far esplodere la casa
dei nonni, vicina alla sua. Sabine parla della sua impotenza a
impedirlo.
Un
altro sogno della madre: La nonna desidera acquistare una seconda
residenza, «come una fantasia». Jeanne l’accompagna per visitare
una casa molto antica, vuota, triste, scalcinata. Lasciando il
casamento, s’imbattono in una sorta di apparizione, un uomo che
minaccia la vita di Jeanne senza che la madre vi presti attenzione:
nota una leggera rigatura sulla carrozzeria della macchina. Jeanne
prova un intenso sentimento d’abbandono e non segnala il pericolo.
Un
ultimo sogno di Delphine che entra allora nell’adolescenza: è al
collegio, nella sua classe. Al muro, il ritratto di un giovane uomo in
un quadro. Questi scende dal quadro, poi la segue per la strada dove
lei cammina con le amiche; lei non osa girarsi, è inquietata.
Brevi
commenti
Nella
stirpe materna, la sofferenza della filiazione conduce le madri a
promuovere legami d’influenza con le figlie. Il padre l’ha
compreso e se ne infastidisce: «Sono tutte le stesse, di madre in
figlia, su quattro generazioni».
Insieme,
queste donne fanno parte di una sorta di dinastia. La «regina»
Jeanne è anch’essa sotto l’influenza della regina-madre. Antenati
e passato generano un’angoscia, un sentimento di minaccia: pensarci,
guardarli è pericoloso, esplosivo. Gli oggetti transgenerazionali,
che sono la bisnonna e la nonna, alimentano e sovraccaricano il
bagaglio fantasmatico familiare. Ricordiamo che il concetto di oggetto
transgenerazionale, introdotto da Alberto Eiguer (1991), designa un
antenato che genera dei fantasmi, degli affetti e delle
identificazioni. Vi si rapportano, nelle bambine, il rifiuto inconscio
della procreazione e del femminile, con rigetto dei segni di
femminilità, attrazione/repulsione per le materie corporee e il
carnale; potendo questo rifiuto essere spostato sull’alimentazione o
pranzi a scuola. La bisnonna è un oggetto transgenerazionale allo
stesso tempo repulsivo (donna leggera e madre indegna) e attrattivo
per la libertà che ha sempre ostentato, per il suo carattere fuori
dalle norme. Essa incarna il mito che specifica questa famiglia: siamo
differenti dagli altri, usciamo dai sentieri battuti. Jeanne, il cui
marito dice con una certa ammirazione: «è una ribelle», ne è la
legataria e la guardiana. Ognuno nella famiglia illustra il mito a suo
modo, come per sottolinearne la funzione federatrice, mentre avrebbe
potuto significare la sregolatezza. All’interfaccia tra vita conscia
ed inconscia, questo mito organizzatore è temperato da una
contropartita che smussa le sue potenzialità negative: gli ideali
familiari sono principalmente orientati da una parte, verso una vita
sana, da cui sarebbe bandita ogni forma di polluzione e, dall’altra,
verso le arti, la letteratura, la musica, il disegno.
Si
sarà compreso che almeno un altro oggetto transgenerazionale è
presente: il bisnonno «sconosciuto», il cui patronimico sarà
tuttavia pronunciato verso la fine della terapia. Egli condensa una
serie di rappresentazioni peggiorative di padre o di amante: spettro,
morto o assassino potenziale, che attaccano il femminile.
Questa
illustrazione clinica impressionista permette di rendere conto del
carattere fondatore dei legami narcisistici (la dinastia). È chiaro
che il lavoro del negativo vi è preponderante, particolarmente
visibile quando un effetto starter si produce all’evocazione delle
prime similitudini nonna-nipote. La dimensione del pulsionale nella
trasmissione è reperibile attraverso l’intreccio dei legami
narcisistici e dei legami oggettuali animati dalla libido. A partire
dai volti scuri della mitologia familiare potrà emergere una ripresa
mitopoietica che offrirà più posto al padre e all’elaborazione dei
fantasmi condivisi generati dalla sua stirpe (particolarmente
l’handicap) e dei loro punti di incrocio con quelli venuti dalla
stirpe materna. La defaillance materna denegata ed il rifiuto del
femminile, particolarmente nella sua dimensione materna, sarebbero
stati qui al fondamento dell’alleanza inconscia della coppia
genitoriale: in ogni stirpe s’incontrano donne abbandonate; dal
padre e l’amante nella stirpe materna, per la morte del marito nella
stirpe paterna, consegnate a un difficile riconoscimento del femminile
in loro.
L’apporto
della psicoanalisi familiare
Mentre
i lavori psicoanalitici classici mettono l’accento sui processi e
sulle istanze intrapsichiche, sulla relazione oggettuale, la
psicoanalisi familiare comprende questi dati e conduce verso una
concezione di un insieme coerente delle vie della trasmissione del
femminile. La teoria dei legami inconsci costruiti
nell’intersoggettività offre un ampliamento ed un arricchimento,
enunciando la complementarità delle vie della trasmissione nel
riconoscimento reciproco e della mutualità, se non la simmetria. Se
la trasmissione riposa principalmente sull’asse metaforico dei
legami, che ne assicura l’ossatura psichica, la parte metonimica
della trasmissione riposa sulla contiguità tra il soggetto e il suo
contesto intersoggettivo. Questi fattori contestuali trovano posto
nella dimensione sincronica della trasmissione dove costituiscono dei
relais preliminari alla loro inscrizione nella diacronia e
nell’intrapsichico. La loro operatività s’inscrive in modo spesso
infra-verbale, costituendo la tela di fondo dei processi di
trasmissione che permettono di pensare in termini flessibili.
Il
femminile si dispiega sul fondamento di una proto-identità femminile
stabilita in seno alla diade madre-bambino su di un modo omoerotico,
attraverso il gioco degli investimenti massivi che circolano attorno
alla nascita. La madre è al primo posto per proteggere e sostenere le
funzioni vitali, per declinare tutta questa grammatica del contatto
carnale, spirituale ed affettivo che evolve gradualmente seguendo i
bisogni del bambino, per condurlo verso l’inscrizione nell’Edipo.
Per tutta la vita, la madre conserva una funzione il cui senso si
prolunga e si trasforma in seno al legame materno-filiale, come i
processi edipici stessi evolvono in funzione delle epoche della vita.
Nel padre come nella madre, la forza di creare un legame di filiazione
ha una doppia origine: è attinta dal legame d’alleanza instaurato
nella coppia con la messa in comune di fantasmi, miti e ideali, ma si
nutre anche dei legami genealogici che precedono questo legame di
alleanza.
Ad
ogni generazione il legame di coppia rinforza e trasforma il femminile
nella sua dimensione erotica e rinnova la bisessualità nella quale
prende posto. Allo stesso modo, la nascita di ogni bambino mobilita
particolarmente il femminile materno. Queste due dimensioni, verticale
(ascendente, ma anche discendente) ed orizzontale sono le condizioni
di una trasmissione che fornirà alla psiche degli strumenti per far
fronte ai traumi dei quali molti sono ugualmente legati alla
generazione (qui la perdita di un figlio per IGT,
per prendere in considerazione solo questo esempio).
A
mo’ di conclusione: tra miti sociali e miti familiari…
Tra
gli agenti della trasmissione che transitano attraverso i legami, si
è potuto vedere che i miti propri al gruppo familiare si distinguono
dai miti sociali. Nel caso presentato, questi ultimi sono poco
evidenti ed i miti familiari sono piuttosto di natura tale da
combatterli, aiutati in ciò dalla forza degli ideali. Reperibili in
produzioni linguistiche dalle molteplici implicazioni, i miti
familiari forniscono una versione del mondo familiare, chiariscono per
ognuno dei membri la comprensione dell’origine della famiglia,
offrono confini ai quali ciascuno può affidarsi per riconoscersi
membro del gruppo. L’adesione alle «verità» che enunciano è
senz’altro richiesta. Che ciò sia per il rifiuto del femminile o la
ribellione contro di esso, la trasmissione del femminile e della
femminilità passa anche attraverso di essi, fatti salvi i miti
sociali che sono la tela di fondo del nostro involucro culturale.
L’impatto dei miti sociali in famiglia ed in ognuno di noi dipenderà
dalla permeabilità, dalla flessibilità e dalla definizione
dell’involucro familiare. Un involucro ad «alta definizione», dove
i filtri saranno precisamente definiti dai miti e dagli ideali
familiari sarà più protettivo verso i miti sociali in disaccordo con
i primi, senza comunque rinchiudere il gruppo familiare. Viceversa, un
involucro familiare mal definito per defaillance di miti e di ideali,
o strappato in ragione di impatti traumatici, lascerà libero corso
all’impianto dei miti sociali al posto dei miti familiari rinnegati
o cancellati. Ognuno di noi è la cassa di risonanza dei conflitti tra
miti sociali e miti familiari, processi che possono infiltrare il
nostro controtransfert, come infiltrano la teoria. Scommettiamo che la
mitopoiesi psicoanalitica abbia ancora degli avanzamenti da
realizzare… e dei bei giorni innanzi a sé.
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