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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte
Psychoanalysis applied to Medicine, Pedagogy, Sociology, Literature and Arts 

   Sede redazionale: Ce.Psi.Di. (Centro Psicoterapia Dinamica), viale Gallipoli, 29 - 73100 Lecce   tel. (0039)3386129995 fax  (0039)0832933507

Direttore Responsabile: Giuseppe Leo

Board scientifico: Leonardo Ancona (Roma), Brenno Boccadoro (Ginevra), Mario Colucci (Trieste), Lidia De Rita (Bari), Santa Fizzarotti Selvaggi (Carbonara di Bari), Patrizia Guarnieri (Firenze), Livia Marigonda (Venezia), Salomon Resnik (Paris), Mario Rossi Monti (Firenze), Mario Scarcella (Messina).

Rivista iscritta al n. 978 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce
 Numero 9, anno V, gennaio 2008

"Psicoanalisi e Neuroscienze"

Numero speciale in memoria di Mauro Mancia

 

Editoriale

 
Foto: Tapies "Grande trittico marrone" (1978)

 

"Memoria, inconscio e funzioni terapeutiche: la psicoanalisi in dialogo con le neuroscienze"               

di Mauro Mancia

   "Dopo il pluralismo:  verso un nuovo, integrato paradigma psicoanalitico" di Juan Pablo Jiménez  

 "Per un dialogo tra la psicoanalisi e le neuroscienze" di Franco Scalzone

RIASSUNTO

La scoperta della memoria implicita da parte delle neuroscienze ha favorito una revisione e un ampliamento del concetto di inconscio. Per Freud, l’inconscio è dinamico, legato alla rimozione fin dai primi periodi della vita. Sappiamo ora che le esperienze emozionali e affettive delle prime relazioni del bambino con la madre e l’ambiente in cui cresce non possono essere rimosse in quanto le strutture della memoria esplicita, necessarie per la rimozione, non sono mature prima dei 2-3 anni di vita. Pertanto le esperienze presimboliche e preverbali del neonato possono solo essere depositate nella memoria implicita. Esse costituiranno la struttura fondante un nucleo inconscio del Sé non rimosso.

L’identificazione dell’inconscio (rimosso e non rimosso) con la memoria (rispettivamente esplicita ed implicita) permette alcune ipotesi sulla organizzazione anatomo-fisiologica delle funzioni inconsce della mente.

L’inconscio non rimosso può essere esplorato nella relazione analitica attraverso un’attenzione alle modalità comunicative del paziente che compaiono nel transfert, in particolare alla voce, e attraverso l’analisi dei sogni. Le funzioni terapeutiche del lavoro analitico passano attraverso una ricostruzione che può essere ottenuta con il lavoro sull’inconscio rimosso e non rimosso. I sogni, in particolare, in virtù delle loro capacità simbolopoietiche, possono trasformare simbolicamente esperienze, fantasie e difese presimboliche, rendendole verbalizzabili e pensabili anche senza il ricordo.

 
"Identificazione proiettiva e alterazione della coscienza (Un ponte  tra psicoanalisi e neuroscienze ?) di Cristiana Cimino e Antonello Correale
 

 

SUMMARY

 

The neurosciences’ discovery of implicit memory has brought about a reconsideration and a widening of the concept of the unconscious. For Freud, the unconscious is dynamic, and is connected to repression from the early stages of life. We now know that the emotional and affective experiences in the child’s first relations with his mother and with the environment in which he grows up cannot be repressed, as the structures of  explicit memory which are necessary for repression to take place are not fully developed before 2-3 years of age. It thus follows that the pre-symbolic and preverbal experiences of the newborn child can only be stored in the implicit memory. These make up the structure on which a non repressed unconscious nucleus of the Self is founded.

 

The identification of the unconscious (repressed and non-repressed) with the memory (explicit and implicit, respectively) leads to some hypotheses on the anatomo-physiological organisation of the unconscious functions of the mind.

The non-repressed unconscious can be explored in the analytical relationship through careful attention to the patient’s communicative means which appear in transference, to the voice in particular, and through dream analysis. The therapeutic functions of the analytical work pass through a reconstruction which can be obtained by working on the repressed and non-repressed unconscious. Dreams, particularly, due to their symbolopoietic potential, can symbolically transform pre-symbolic experiences, fantasies and defences, making them verbalisable and thinkable even if they cannot be remembered.

 

 

Questo lavoro riguarda i diversi sistemi della memoria a lungo termine studiati dalle neuroscienze, la loro relazione con l’inconscio e l’importanza che il lavoro analitico ha su queste funzioni fondamentali della mente per avviare il processo terapeutico.

 

 

1. La memoria e le neuroscienze

 

 
 

Le ricerche neuroscientifiche sperimentali e cliniche hanno rivelato che nel nostro cervello operano due sistemi della memoria con caratteristiche funzionali differenti. Un sistema riguarda la memoria esplicita o dichiarativa e un altro la memoria implicita o non-dichiarativa (Squire, 1994; Schacter, 1995). La prima può essere evocata coscientemente e verbalizzata. Essa riguarda la propria autobiografia relativamente a specifici eventi e permette di dare un senso al ricordo delle esperienze della propria vita. La memoria esplicita, dunque, permette attraverso il ricordo un processo ricostruttivo della propria storia personale.

La neuropsicologia, attraverso lo studio di pazienti cerebrolesi e con la tecnica delle bioimmagini (PET, NMR), ha dimostrato che la memoria esplicita necessita dell’integrità del lobo temporale mediale (corteccia rinale, peririnale e paraippocampale), delle aree frontali basali e dell’ippocampo bilateralmente. L’amigdala partecipa essenzialmente alla componente emozionale nel processo di immagazzinamento delle informazioni (vedi Cap. VI, Memory, in Gazzaniga, 2000; Mancia, 2000b; 2004a e b).

La memoria implicita, per contro, non è cosciente né verbalizzabile. Essa non permette il ricordo e riguarda diversi apprendimenti: a) il priming, inteso come capacità di un soggetto di scegliere un oggetto cui è stato precedentemente esposto in modo subliminare; b) la memoria procedurale, che interessa esperienze cognitive e sensomotorie come quelle relative alle performance quotidiane, al suonare strumenti o compiere determinati sport; c) la memoria emotiva ed affettiva, che riguarda le emozioni, le esperienze, le fantasie e le difese collegate alle prime relazioni del bambino con l’ambiente in cui cresce e in particolare con la madre. E’ probabile che questa memoria interessi anche le esperienze che caratterizzano il feto che vive negli ultimi periodi della gestazione in una stretta relazione con la madre, con i suoi ritmi e in particolare con la sua voce. Questi stimoli costituiscono un modello di costanza, ritmicità e musicalità, intorno al quale si organizzano le prime rappresentazioni del bambino (o protorappresentazioni) a partire dalla nascita (Mancia, 1981). E’ noto che le esperienze sensomotorie del feto possono essere memorizzate (De Casper & Fifer, 1980) e così la voce materna che, riattivata dalla relazione e in particolare durante l’allattamento può influenzare la frequenza cardiaca e lo stesso tasso di suzione del neonato (Mehler et al., 1978). Nei primi due anni di vita in cui sviluppa il suo sistema simbolico e il suo linguaggio, il bambino va incontro a delle esperienze affettive ed emozionali molto significative ed è verosimile che queste esperienze siano memorizzate. Molte di esse saranno positive ed essenziali per la crescita mentale e fisica del bambino; altre potranno essere traumatiche: negligenze, inadeguatezza dei genitori, un’eventuale loro patologia mentale, violenze fisiche e psicologiche, abusi anche sessuali perpetrati ai danni del bambino, frustrazioni e delusioni continue che organizzano in lui delle difese ed alimentano delle fantasie. Queste costituiranno l’essenza della memoria implicita e parteciperanno alla formazione di un nucleo inconscio del Sé non rimosso. Di questo parlerò nel prossimo paragrafo.

Le strutture e i circuiti della memoria implicita non sono ancora stati definiti con esattezza dalla ricerca neuropsicologica. Essa non necessita dell’integrità del lobo temporale mediale e dell’ippocampo. L’amigdala sembra avere un ruolo essenziale nel processo delle emozioni (LeDoux, 2000; Damasio, 1999) e pertanto partecipa all’organizzazione della memoria implicita. Evidenze indirette suggeriscono che questa memoria possa avere la sua sede nelle aree posteriori temporo-parieto-occipitali (aree del giro angolare e sopramarginale o aree 39 e 40 di Brodman) dell’emisfero destro (Gabrieli et al., 1995; vedi Cap. VI, Memory, in Gazzaniga, 2000).

La scoperta della memoria implicita è stata fatta da Warrington & Weiskrantz (1974) che hanno studiato con esperienze di priming pazienti con amnesia di Korsakov in cui le strutture della memoria esplicita erano lese. Successivamente è stata confermata la dimensione procedurale della memoria implicita. Attualmente appare di particolare interesse per la psicoanalisi la sua dimensione emozionale e affettiva che si collega alle prime e più significative esperienze del neonato con la madre e l’ambiente in cui cresce.

Un contributo più recente alla memoria implicita viene dalle esperienze di Stickgold et al. (2000) che hanno osservato in soggetti amnesici per lesioni bilaterali del lobo temporale e dell’ippocampo la scomparsa della memoria esplicita per un gioco di organizzazione spaziale fatto al computer. Tuttavia questi pazienti amnesici potevano sognare il gioco all’addormentamento. L’interesse di questa osservazione sta nel fatto che è possibile memorizzare un apprendimento anche attraverso delle vie diverse da quelle classiche della memoria esplicita che comportano l’attivazione dell’ippocampo e della corteccia temporale e basale. Nei casi osservati da Stickgold et al., la memoria esplicita era sicuramente abolita, ma una memoria non esplicita e non cosciente poteva restare e riemergere nel sogno. Questa osservazione dimostra che un’esperienza può essere archiviata nella memoria implicita e che il sogno può rappresentarla simbolicamente.

* * *

La biologia molecolare, dopo gli esperimenti pionieristici ottenuti con il potenziamento post-tetanico (Bliss & Lömo, 1973) e con il potenziamento a lungo termine dell’ippocampo (Kornhuber, 1973), ha dimostrato con Stephen Rose (1993) una memoria genetica affidata al DNA dei cromosomi. Tale memoria permette un comportamento teso alla sopravvivenza della specie. Inoltre, questo autore ha dimostrato che l’apprendimento si accompagna ad una sintesi proteica che facilita la formazione di nuove sinapsi e quindi nuovi circuiti che permettono di consolidare a lungo termine le informazioni ricevute. Più recenti gli esperimenti di Kandel et al. (1994) sull’aplisia californica, confermati su mammiferi (Kandel, 2001). Questo autore ha stimolato nell’aplisia un riflesso elementare branchia-sifone inducendo due opposte forme di apprendimento che l’animale poteva memorizzare: abitudine e sensibilizzazione. Egli ha dimostrato che l’archiviazione delle informazioni avviene a livello sinaptico in virtù di una azione dello stimolo sull’espressione proteica dei geni. Questo processo modifica stabilmente la trasmissione sinaptica agendo a livello dei canali ionici della terminazione presinaptica, dove può diminuire il flusso degli ioni Calcio (Ca++) e pertanto ridurre progressivamente la trasmissione sinaptica dando luogo all’abitudine oppure può aumentare il flusso degli stessi ioni e pertanto facilitare stabilmente la trasmissione sinaptica dando luogo alla sensibilizzazione. Un importante trasmettitore come la dopamina facilita nei mammiferi la fissazione delle proteine espresse dai geni sulle sinapsi specifiche che presiedono alla memoria di determinate esperienze (Kandel, 2003). E’ interessante riconoscere che la dopamina è anche un trasmettitore che ha un ruolo nel sistema che controlla il piacere e in quello che presiede alla sessualità (Gessa & Tagliamonte, 1974). Questo sistema, dunque, può creare una condizione di “plasticità sinaptica” quale base organizzativa della memoria a lungo termine che è sotto il controllo, nell’uomo, del sistema dopaminergico che controlla a sua volta il piacere e la sessualità. E’ possibile che questi meccanismi operino sia per la memoria esplicita che per la implicita.

Queste osservazioni hanno permesso a Kandel (1999) di creare dei ponti di collegamento tra biologia molecolare della memoria e psicologia e di avanzare alcune ipotesi di estremo interesse che qui elenco sinteticamente: a) tutti i processi mentali normali e patologici derivano da operazioni del cervello; b) i geni e le loro espressioni proteiche determinano i pattern di interconnessione tra i neuroni (sinapsi), quindi una componente delle funzioni mentali (normali e patologiche) è legata ai geni; c) fattori relazionali e sociali possono esercitare un'azione sul cervello modificando stabilmente la funzione dei geni, cioè la loro espressione proteica che interessa le sinapsi e quindi i circuiti neuronali. Ne consegue che la "cultura" può esprimersi come "natura"; d) anomalie psichiche indotte da situazioni relazionali e sociali traumatiche possono essere prodotte attraverso modificazioni dell'espressione genica delle proteine; e) la psicoterapia (e a fortiori la psicoanalisi) può produrre cambiamenti a lungo termine del comportamento e di varie funzioni della mente agendo sull'espressione genica delle proteine che modificano la struttura e la potenza delle sinapsi neuronali (e quindi di specifici circuiti che controllano specifiche aree cerebrali). Le trasformazioni indotte dalla terapia psicoanalitica avverrebbero per un’azione della cura sulla “plasticità” del sistema nervoso centrale.

 

 

2. La memoria e l’inconscio

 

Memoria e inconscio sono due funzioni che non possono esistere separate l’una dall’altra. Pertanto la funzione inconscia della mente può essere identificata con le funzioni della memoria. Freud ha considerato l’inconscio come espressione di un processo attivo di rimozione che inizia nella prima infanzia (rimozione originaria) e prosegue nel tempo della vita (come rimozione propriamente detta) (Freud, 1915a e b). E’ evidente che questo concetto di rimozione è strettamente collegato al modello pulsionale della mente e ad una archiviazione dell’esperienza nel sistema della memoria esplicita. Il risultato di questa operazione è per Freud la formazione di un inconscio dinamico che condiziona la vita cosciente e si manifesta in vario modo: attraverso le associazioni libere, i lapsus, i sogni, la psicopatologia della vita quotidiana.

Tuttavia, proprio negli anni in cui stava elaborando la sua teoria dei sogni, Freud pensava con curiosità alla dimenticanza delle esperienze dei nostri primi anni infantili, quasi intuendo il concetto di memoria implicita ma, in realtà, per introdurne un altro, quello di “ricordi di copertura”, inteso come il risultato della rimozione di alcuni fatti o di un loro spostamento su fatti contigui. Per Freud (1899), i ricordi di copertura sono falsificazioni tendenziose della memoria che servono comunque agli scopi della rimozione e alla sostituzione di esperienze perturbanti, un po’ come il contenuto manifesto del sogno lo è nei confronti del contenuto latente.

Interessato a porre al centro della sua teoria della mente il complesso di Edipo, è sfuggita a Freud l’importanza delle esperienze più precoci, pre-edipiche, pre-verbali e pre-simboliche archiviate nella memoria implicita e quindi non passibili di rimozione. E’ per questo che i riferimenti che compaiono in “Ricordare, ripetere, rielaborare” (Freud, 1914) sono diretti alla memoria esplicita che può essere recuperata attraverso le associazioni libere dell’analizzando, anche se Freud in questo stesso lavoro scrive: “Per una specie particolare di situazioni assai importanti che si verificano in un’epoca assai remota dell’infanzia [...] non è in genere possibile suscitare il ricordo. Si arriva a prenderne coscienza attraverso i sogni” (p. 355). Magnifica intuizione che Freud non poteva sviluppare in quanto non poteva conoscere l’esistenza della memoria implicita. Egli infatti considera (erroneamente) anche questo tipo di memoria come espressione di una rimozione (originaria).

Freud ritorna sul problema della memoria in “Nota sul notes magico” (1924) in cui sottolinea le analogie tra il notes e la nostra memoria poiché il nostro apparato psichico è in grado di offrirci le due prestazioni del notes, quando si ripartisce fra i due diversi sistemi di cui aveva parlato nel “Progetto” (1895): i sistemi φ e ψ. In seguito, ne “Il disagio della civiltà” (1930), Freud riprende il tema della memoria con una metafora storico-archeologica in cui afferma che comunque ciò che si è esperito non può essere cancellato. E il lavoro analitico si rivolge proprio al passato che sopravvive nel presente in virtù del transfert appunto che permette il ritorno nel presente di situazioni affettive che appartengono al passato. Per la precisione, Freud usa l’espressione del passato che “sopravvive” nel presente. Ciò significa che l’esperienza è presente ma non necessariamente ricordata. Essa può sopravvivere nel ricordo e nel non-ricordo. Questo è un punto essenziale per il discorso sull’inconscio non rimosso che qui sto proponendo in quanto esso non può accedere al ricordo.

La metafora archeologica con cui Freud (1937) paragona il lavoro dell’analista a quello dell’archeologo che riporta alla luce tutto ciò che il tempo ha sotterrato, sembra ora incompleta e necessita di un chiarimento. L’analista è archeologo e storico ad un tempo. Uno storico sui generis che dovrà fidarsi di documenti nascosti che non potrà mai consultare direttamente ma che potrà recuperare indirettamente attraverso particolari accorgimenti. Per fare ciò l’analista/storico, oltre che affidarsi alle narrazioni del paziente (Ferro, 1996), dovrà concentrare la sua attenzione sulle modalità con cui il paziente comunica (ritmi e tempi del linguaggio) e in particolare sulla musicalità della sua voce e sulla dimensione più decisamente “ricostruttiva” del sogno per far riemergere, al di là del ricordo, le emozioni delle sue più arcaiche e significative esperienze relazionali che fanno parte del materiale inconscio non rimosso.

Può venirci in aiuto qui una riflessione filosofica sul tempo e la memoria proposta da Paul Ricoeur (1998). Questa riflessione ci permette di considerare l’analista come uno storico che lavora per far acquisire al paziente una coscienza storica del suo inconscio. Partendo dal lavoro di Koselleck (1979), Ricoeur propone che la coscienza storica possa essere il risultato di una dialettica tra due poli rappresentati da uno “spazio di esperienza” costituito dall’insieme dell’eredità del passato e l’“orizzonte di attesa” che rappresenta le previsioni, i progetti e le anticipazioni che si proiettano verso il futuro.

In analisi, la coscienza storica che riguarda l’inconscio può essere dunque vista come l’espressione di una dialettica che si svolge al presente nell’hic et nunc della relazione tra il passato più arcaico a partire dalle prime esperienze preverbali e presimboliche inconsce e non rimosse, e il progetto del futuro quale risultato di una trasformazione che avviene nel corso dell’analisi.

Mi riferisco qui all’inconscio non rimosso che si struttura sulla base delle esperienze sensoriali che il neonato vive con la madre e attraverso le quali la madre stessa invia al bambino messaggi relativi alla sua affettività, emotività, disponibilità, felicità, dedizione. Ma anche messaggi che il neonato può sentire come traumatici, terrorizzanti, minacciosi, non rassicuranti o fortemente frustranti. Questi ultimi metteranno in crisi il sistema di attaccamento del bambino (Bowlby, 1969), le sue capacità riflessive (Fonagy & Target, 2001) e minacceranno seriamente l’organizzazione del suo Sé (Stern, 1985). Questi traumi saranno causa di quello che Money-Kyrle (1978) chiama “fraintendimenti primari”. Essi non possono essere rimossi perché mancano le strutture adeguate ad una rimozione (cioè quelle relative alla memoria esplicita) (Siegel, 1999) e organizzeranno perciò un nucleo inconscio del Sé non rimosso (Mancia, 2003a e b; 2004a).

Il concetto di inconscio non rimosso qui proposto è molto diverso da quello descritto da Freud nel 1923 in cui una parte dell’Io è inconscia come derivazione dall’Es ad opera della realtà esterna attraverso il sistema percezione-coscienza (P-C). Nella mia elaborazione, esso è il risultato di una archiviazione nella memoria implicita di esperienze, fantasie e difese che appartengono ad un’epoca presimbolica e preverbale dello sviluppo e pertanto non possono essere ricordate pur condizionando la vita affettiva, emozionale, cognitiva e sessuale anche dell’adulto.

Le moderne scoperte neuropsicologiche relative alla organizzazione della memoria ci offrono l’opportunità ora di ipotizzare dei circuiti sinaptici corticali e sottocorticali quali sedi delle funzioni mentali inconsce. La possibilità di identificare nella memoria esplicita ed implicita l’inconscio rispettivamente rimosso e non-rimosso apre prospettive stimolanti per una integrazione delle neuroscienze con la psicoanalisi e per una possibile localizzazione anatomo-funzionale delle diverse forme di inconscio. Questo è possibile sulla base di un presupposto: che le esperienze, i vissuti, le emozioni, le fantasie e le difese che hanno contribuito alla organizzazione della realtà psichica inconscia dell’individuo, a partire dalla nascita e nel corso dell’intera vita, siano archiviate nelle strutture nervose deputate alla memoria (implicita ed esplicita). Questo corrisponde, d’altra parte, al pensiero di Freud (1912) che “le rappresentazioni latenti, se abbiamo motivo di supporre che continuino a esistere nella vita psichica – com’era nel caso della memoria – dovranno essere designate come inconscio” (pp. 575-576).

Su questa linea possiamo ipotizzare che l’inconscio rimosso trovi una sua localizzazione nelle strutture della memoria esplicita o autobiografica. A favore di questa ipotesi esiste anche l’osservazione recente di Anderson et al. (2004) che hanno dimostrato che la dimenticanza volontaria di esperienze mentali che essi paragonano alla rimozione freudiana[1] si accompagna ad un aumento di attività delle aree prefrontali ed una parallela riduzione dell’attività ippocampale. Un fenomeno questo opposto a quello “de-rimotivo” del sogno (in sonno REM) durante il quale si è osservato un aumento di attività dell’ippocampo e una de-attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale (Braun et al., 1998).

L’inconscio non rimosso troverebbe invece con la memoria implicita una sua organizzazione favorita dalla attivazione dell’amigdala che presiede alle emozioni (LeDoux, 2000; Damasio, 1999) e una collocazione nelle aree corticali associative posteriori (temporo-parieto-occipitali) dell’emisfero destro. A favore di questa ipotesi esistono le seguenti prove sperimentali e cliniche: le esperienze implicite hanno una componente emozionale cui partecipa l’amigdala; le aree temporo-parieto-occipitali archiviano le esperienze depositate nella memoria implicita e in particolare le informazioni legate alla parola (Gabrieli et al., 1995); queste aree sono più attive durante il sonno REM (e quindi nel sogno) rispetto alle corrispondenti aree dell’emisfero sinistro (Antrobus, 1983; Bertini & Violani, 1984); esse corrispondono al giro angolare e sopramarginale (aree 39 e 40 di Brodman) in cui si osserva il massimo di integrazione sensoriale (somatica, uditiva, visiva), e che partecipano ai processi più sofisticati relativi a funzioni simboliche, gnosiche e prassiche (Geschwing, 1965; Critchley, 1966; Bisiach et al., 1978; Hyvarinen, 1982). Inoltre, in pazienti commissurotomizzati, esse presiedono alle funzioni geometrico-spaziali, artistiche e musicali (Sperry, 1974) e la loro lesione può abolire l’attività onirica (Solms, 1995).

 

 


 

 

3) Funzioni terapeutiche e lavoro sulla memoria

 

Vengo ora al nucleo della mia riflessione: che cosa rende terapeutico il lavoro sulla memoria che facciamo con i nostri pazienti?

Per Freud, l’effetto terapeutico della psicoanalisi è essenzialmente legato ad un processo ricostruttivo che avviene attraverso un lavoro sulla memoria autobiografica del paziente. Il suo stesso concetto di working throught (Freud, 1914) è stato considerato come l’espressione di un lavoro di recupero di esperienze rimosse depositate nella memoria esplicita (un processo che potremmo chiamare di de-rimozione) e di un superamento delle resistenze nei confronti di esso (Gill, 1982). Questo aspetto della funzione terapeutica della psicoanalisi, già criticata da alcuni epistemologi (Grümbaum, 1993), è stato oggetto di una profonda revisione da parte della psicoanalisi attuale. Già James Strachey (1934) aveva parlato dell’analista come di un “nuovo oggetto” che il paziente deve poter introiettare nel suo Super-Io così da modificarne la severità e durezza.

Successivamente, vari autori hanno cercato di cogliere l’effetto terapeutico della psicoanalisi in qualcosa di diverso rispetto al solo recupero della memoria delle esperienze infantili rimosse (Winnicott, 1956; Loewald, 1960; Vedi Fonagy, 1999). Ad esempio Loewald (1960) pensa che l’analista si debba rendere disponibile per lo sviluppo di una nuova “relazione d’oggetto” con il suo paziente. La psicoanalisi kleiniana (Klein, 1932) ha posto una certa enfasi sull’idea che l’azione terapeutica sia primariamente collegata al recupero di parti del Sé identificate proiettivamente nell’oggetto e alla scoperta retrospettiva nel transfert di esperienze infantili che hanno reso possibile questa modalità (Steiner, 1989). Bion (1992) considera una finalità della psicoanalisi quella di offrire al paziente l’opportunità di sviluppare le proprie funzioni Alfa della mente così da conferire un ordine agli elementi Beta che la raggiungono.

Più recentemente Gabbard & Westen (2003) richiamano l’attenzione su tre temi essenziali che riguardano le azioni terapeutiche della psicoanalisi: a) il ridursi dell’importanza dell’interpretazione rispetto alla relazione in quanto tale e il riconoscere la molteplicità dei modi per un’azione terapeutica della psicoanalisi; b) il passaggio dell’enfasi dalla ricostruzione alla costruzione nell’hic et nunc della seduta[1]; c) l’importanza della negoziazione relativa al clima terapeutico che si può stabilire tra paziente e analista. Per questi autori, l’insight che si può raggiungere con una interpretazione e le trasformazioni che si possono ottenere attraverso l’esperienza relazionale operano in sinergia.

Di fatto, la ricostruzione è stata in questi anni fortemente de-enfatizzata a favore dell’interazione nell’hic et nunc della seduta che permetterebbe un insight sulle influenze del passato del paziente su conflitti e relazioni d’oggetto nel presente (Arlow, 1987; Gabbard, 1997). Il mio punto di vista ora è quello di rivalorizzare la ricostruzione, ma da un nuovo vertice epistemologico. Esso riguarda un angolo di osservazione e di interpretazione che si focalizzi su fantasie, rappresentazioni e difese depositate nella memoria implicita del paziente. Tale vertice resta nella sostanza ricostruttivo, anche se parte dall’esperienza nell’hic et nunc della seduta e quindi da un lavoro essenzialmente costruttivo, legato alla relazione e perciò basato sul transfert e sul controtransfert, oltre che sull’analisi dei sogni. Su questa linea acquisiscono particolare importanza le esperienze relazionali, nel presente della seduta, che riattivano, anche senza il ricordo, emozioni che appartengono al passato inconscio non rimosso. La ricostruzione di cui parlo ha molte analogie con il concetto elaborato da Blum (1994) che ha considerato le attività ricostruttive come complementari alle interpretazioni di transfert e come processo necessario alla comprensione e risoluzione del transfert stesso.

Il transfert va colto nella sua dimensione relazionale totale (Joseph, 1985), quindi nelle sue componenti narrative, ma anche e soprattutto nelle sue componenti extra- e infra-verbali. Per extra-verbali intendo il comportamento del paziente nel setting analitico, la sua postura, i suoi movimenti che rimandano all’inconscio non rimosso collegato alla dimensione procedurale della memoria implicita (Clyman, 1991), il suo stesso abbigliamento e il suo modo complessivo di porsi in relazione con l’analista. Le componenti infra-verbali riguardano la doppia semantica del linguaggio in quanto significato e significante (De Saussure, 1916). Quest’ultima dimensione del linguaggio caratterizza il modo di comunicare del paziente in cui assume un’importanza fondamentale la voce. Nell’incontro analitico, dove la parola acquista un rilievo determinante, la voce costituisce il veicolo con il quale le parole creano i suoni. In questa misura la voce è una “esperienza” di sé che si realizza nell’atto di parlare (Ogden, 2001), ma ad un tempo una “espressione” del Sé in relazione con l’altro. Essa costituisce una “corrente transferale” che richiama una dimensione sensoriale associata alla voce materna (Godfrind, 1993). A questi elementi della comunicazione aggiungerei il ritmo, il tono, il timbro, la musicalità della frase, la sintassi e i tempi del linguaggio. Tutto ciò costituisce quello che nell’incontro analitico rappresenta la “dimensione musicale” del transfert (Mancia, 2003a, b, c).

Quest’ultima si riferisce ad una concezione della musica come linguaggio sui generis la cui struttura simbolica è isomorfica a quella del nostro mondo emozionale e affettivo (Langer, 1942; Ognibene, 1999; Di Benedetto, 2000). Questa modalità, al di là del contenuto della narrazione (Ferro, 1996), costituisce la metafora transferale delle esperienze (traumatiche) affettive, emozionali e cognitive che hanno caratterizzato il modello implicito della mente del paziente. Essa è in grado di stimolare il controtransfert dell’analista più di qualsiasi contenuto di una narrazione, in quanto è la componente formale e musicale della comunicazione che veicola parti del Sé del paziente scisse e identificate proiettivamente nell’analista. Spetta a quest’ultimo, sensibilizzato all’ascolto, il compito di cogliere nell’hic et nunc della seduta il significato inconscio non-rimosso di questa specifica modalità transferale (e in particolare la qualità degli affetti scissi e proiettati) e metterla in parole conferendogli un senso simbolico e collegandola ricostruttivamente al passato.

Queste ripetitive e implicite modalità relazionali sono accompagnate da cambiamenti nelle connessioni affettive e interattive descritte da Lyons-Ruth et al. (1998) come conoscenze relazionali implicite. Esse riguardano il modello implicito della mente del paziente e possono emergere in quei particolari “momenti di incontro” descritti dal gruppo di Boston (Stern et al., 1998) che sono determinanti nel riorganizzare esperienze affettive implicite. Le conoscenze relazionali implicite su cui lavora questo gruppo non possono non essere condizionate dall’inconscio non rimosso collegato alla memoria implicita che qui ho discusso.

Cogliere nel transfert queste complesse modalità è uno dei più significativi percorsi per raggiungere l’inconscio più arcaico del paziente e risalire “ricostruttivamente” al suo passato. Si tratta tuttavia di una ricostruzione sui generis dal momento che le esperienze archiviate in questo sistema di memoria non possono comunque essere “ricordate”. Esse possono solo essere emotivamente rivissute e “agite” nella relazione intersoggettiva, o rappresentate nel sogno, teatro per eccellenza della memoria implicita (oltre che esplicita) il cui sipario è aperto sul transfert (Mancia, 2000a; 2003a).

Il sogno può costituire una rappresentazione privilegiata per cogliere sia le fantasie, gli affetti e le difese che si manifestano nel transfert che i momenti ricostruttivi collegati alle esperienze preverbali e presimboliche che caratterizzano il modello implicito della mente del paziente. La funzione del sogno è infatti anche quella di rappresentare simbolicamente esperienze all’origine presimboliche. La loro interpretazione favorirà il processo ricostruttivo necessario alla psiche per migliorare le proprie capacità di mentalizzare e rendere quindi pensabili, anche se non ricordabili, esperienze all’origine non pensabili.

Alla luce di queste riflessioni, la componente critica dell’azione terapeutica della psicoanalisi appare oggi quella di trasformare simbolicamente e rendere verbalizzabili le strutture implicite della mente del paziente. Si tratta di esperienze cariche di emozioni e radicate nel tono affettivo delle relazioni primarie, piuttosto che nel ricordo di memorie autobiografiche risalenti ad epoche posteriori a quelle preverbali. Rendere pensabili le strutture implicite della mente del paziente e le modalità inconsce con cui opera, significa anche permettergli di recuperare quelle parti del Sé negate o scisse e proiettate in epoche precoci dello sviluppo della sua mente.

Ciò non significa che il lavoro sulla memoria dichiarativa non abbia alcun ruolo nel processo ricostruttivo e terapeutico dell’analisi. Premesso che in alcune circostanze un eccessivo uso dei ricordi autobiografici può costituire una difesa nell’hic et nunc rispetto ad esperienze e vissuti più dolorosi dell’analizzando e quindi una resistenza nei confronti dell’analisi, è necessario considerare che le narrazioni del paziente e il ricordo di fatti depositati nella sua memoria esplicita fanno parte del processo costruttivo e ricostruttivo e pertanto giocano un loro ruolo nelle trasformazioni che osserviamo in analisi (Ferro, 2002). Ma ciò non deve esimerci dal prestare una costante attenzione a ciò che il paziente non narra né ricorda ma può “agire” o comunicare in seduta in forme infraverbali transferalmente molto significative.

Esperienze dunque depositate nella memoria esplicita e implicita possono essere presenti nel transfert ed influenzarsi reciprocamente, come d’altra parte avviene nello sviluppo normale della mente infantile (Siegel, 1999). Come il lavoro sulla memoria implicita può facilitare l’emergere di fantasie e ricordi depositati nella memoria esplicita, così il lavoro di ricostruzione che passa per la memoria autobiografica può facilitare l’emergere nel transfert e nei sogni delle esperienze più arcaiche, con relative fantasie e difese, depositate nella memoria implicita del paziente. Così è per i processi dichiarativi e non-dichiarativi nella prospettiva psicoanalitica (Davis, 2001).

Resta un ultimo punto, ma non per questo meno importante: quello relativo alla negoziazione del clima terapeutico tra analista e paziente. Si tratta di un aspetto relazionale fondante l’alleanza terapeutica (Greenson, 1967; Zetzel, 1970). Esso può rivelarsi determinante ai fini di creare una situazione emozionalmente favorente l’incontro e l’emergere del materiale rimosso e non rimosso nel corso del processo analitico. Momenti di tensione, rabbia e risentimento da parte del paziente (e talvolta anche dell’analista) possono mettere in crisi il lavoro di negoziazione del clima affettivo della coppia. L’analista dovrà essere in grado di cogliere di volta in volta i sentimenti che ostacolano una buona negoziazione e capire quali parti del paziente sono attive e dominanti in quel particolare momento transferale e quale la natura dei propri moti controtransferali. Egli dovrà essere in grado di decidere, spesso con rapidità, quale parte del paziente gratificare e quale frustrare e verbalizzare al paziente le ragioni del dissenso e quelle che lo hanno spinto a privilegiare una parte piuttosto che un’altra della sua personalità in gioco in quel momento. Di grande aiuto possono essere i sogni sia nella scelta dell’intervento interpretativo che nell’uso che di essi può essere fatto per far capire al paziente ciò che viene rappresentato nel teatro della sua mente e che può giustificare le sue emozioni e le scelte del suo analista. Nella fiducia che spesso la corretta comprensione e interpretazione di un particolare momento in cui il transfert negativo rischia di compromettere un buon clima terapeutico possano rivelarsi prezioso ausilio ad un ridimensionamento del transfert negativo stesso e promuovere una trasformazione significativa ai fini del successo terapeutico.


 

[1] Per una discussione su “costruzioni” e “ricostruzioni” nel processo analitico, vedi Mancia (1990) e Blum (1994).

 

Note:

[1] L’obiezione che si può sollevare al lavoro di Anderson et al. (2004) è che la rimozione freudiana sarebbe inconscia, mentre cosciente è la repressione. Tuttavia, gli stessi autori suggeriscono che per Freud la rimozione poteva essere sia cosciente che inconscia e che la limitazione al processo inconscio fosse dovuta essenzialmente ad Anna Freud (Erdelyi, 2001).

 

 

 

 

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