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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Frenis Zero  Publisher

     "Spazio Rosenthal. Tra psicoanalisi e femminile". Numero 17, anno IX, 2012. 

 

 "Donne si nasce, differenti si diventa. La relazione madre-figlia nel processo di soggettivazione"

di Simona Marino

 

 

 

Questo testo è stato presentato al seminario internazionale "La trasmissione del femminile" (Napoli, 25 marzo 2011). Si ringrazia l'autrice  per l'autorizzazione concessa a Frenis Zero alla pubblicazione.

Simona Marino è Ricercatore Confermato di Filosofia morale all'Università degli Studi di Napoli “Federico II”.


 



 


Foto: "Madre e figlia" (dettaglio da "Le tre età della donna"), c.1905.


 

 

 

            

 

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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EDIZIONI FRENIS ZERO

 Nuova pubblicazione/New issue:

"Psicoanalisi e luoghi della negazione" a cura di A. Cusin e G. Leo (Editors)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian,  A. Cusin, N. Janigro, G. Leo, B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M.  Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-4-2

Anno/Year: 2011

Pages: 400

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"Lebensruckblick"

by Lou Andreas Salomé

(book in German)

Author:Lou Andreas Salomé

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-97479-00-0

Anno/Year: 2011

Pages: 267

Prezzo/Price: € 19,00

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"Psicologia   dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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L’espressione "donne si nasce, differenti si diventa" condensa in un passaggio l’esito di un lungo percorso di riflessione e di pratica politica che ha impegnato molte teoriche del femminismo tra gli anni  ’80 e ’90. L’assunto da cui parte  è  un’immagine del corpo  non più riconoscibile ed identificabile in termini biologici ed essenzialistici, ma  piuttosto come un intreccio simbolico, linguistico, biografico, storico, plasmato in un continuo processo in divenire che, nel sottolineare il passaggio da una condizione di esistenza, il venire al mondo con un corpo di donna, già inscritto in una trama di significati, ad un’acquisizione di consapevolezza, ridà valore alla differenza singolare di ogni soggettività.  Diventare differenti significa decostruire l’immagine della Donna come alterità complementare e speculare dell’uomo, così pure delegittimare l’opposizione dicotomica maschile/femminile, per affermare la complessità di un soggetto incarnato in continua trasformazione,  distante non solo dai ruoli assegnati storicamente al femminile, ma soprattutto in grado di disattivare la coincidenza tra maschile ed universale. E’ del tutto evidente infatti che riconoscere gli effetti di senso che il corpo, che non è mai neutro, imprime al processo del divenir soggetto riguarda sia uomini che donne. Siamo tutti differenti nell’espressione della nostra singolarità e  questo restituisce a ciascuno/a la parzialità del proprio sguardo sul mondo. 

Il contesto teorico in cui avveniva questo passaggio era la crisi dell’umanesimo e la critica al "fallologocentrismo"  che avanzava inesorabile dai filosofi francesi appartenenti in varia misura alla generazione post-strutturalista.

Radicare la soggettività nella materia vivente e singolare di ciascuno/a era il segno evidente del declino del primato della coscienza e la necessità di ripensare l’affettività, il desiderio, l’immaginazione come componenti costitutive dell’attività del pensiero e quindi dell’esperienza di una soggettività la cui differenza sessuale assumeva una posizione centrale nella narrazione di sé e nel rapporto con l’altro/a.  Per le donne l’immagine di un corpo inteso come un campo politico di iscrizioni, dove interagiscono forze sociali ed affettive, non più relegato alla sfera biologica, ma restituito al sentimento della propria differenza  si è accompagnata nel tempo al processo del divenir  soggetti, inteso come un movimento continuo e contraddittorio di volontà e di pulsioni, di flussi di intensità variabile che, di volta in volta, si raccolgono nella composizione di una trama narrativa trovando un punto di congiunzione nel desiderio di dirsi e di ritessere la propria storia nell’incontro con le parole delle altre. Un processo di soggettivazione che non ha mai termine e confine perché si alimenta e si modifica nel contatto con ciò che ci viene incontro o che  resiste al nostro desiderio.

Sullo sfondo di questo lavoro di riflessione e di decostruzione dell’immagine del femminile la relazione madre-figlia, una delle grandi storie mai scritte (Rich, 1977), assume un’importanza centrale. Immergersi nell’immaginario materno (Irigaray, 1989) ha una duplice valenza: esplorare le immagini che configurano l’esperienza femminile nella prossimità e nel contatto con il corpo materno, in quel liquido amniotico che congiunge e separa due corpi in uno, e allo stesso tempo creare una raffigurazione della sessualità femminile che, sottratta all’interdizione della cultura patriarcale, consenta alle donne di dare vita ad uno spazio materiale e simbolico dove ricucire una propria genealogia. Una sorta di laboratorio virtuale, aperto ad infinite possibilità, dove il materno si trasformi da luogo di miseria e di perdita in un’occasione di incontro e confronto tra donne che, seppure diverse tra loro, ritrovano in quel sentire comune il piacere e la gioia di intessere un legame collettivo (Braidotti, 2003). Ripensare la relazione alla madre diventa allora un compito politico per il progetto femminista di trasformazione delle strutture profonde della soggettività femminile, che non può prescindere dal sottrarre la madre alla posizione di significante di mancanza, lì dove occupa il luogo fantasmatico dell’assenza, per riconfigurare la sessualità e l’esperienza del materno come porosità e molteplicità, piuttosto che come unicità e rigidità (1990). Irigaray, in un saggio dal titolo Il corpo a corpo con la madre, (1987) si domanda:

 

Ma dove si trova, per noi, l’immaginario e la simbolica della vita intrauterina e del primo corpo a corpo con la madre? In quale notte, in quale follia vengono lasciati? E il rapporto con la placenta, questa prima casa che ci circonda e il cui alone noi portiamo ovunque, come una sicurezza della prima ora, come si presenta nella nostra cultura?

 

Domande che restano sospese su quella minaccia sempre presente in ogni donna di sprofondare nella ricerca di una matrice originaria dove annullarsi, una voragine che il desiderio trasforma in follia. Una china che è difficile risalire, se non si scioglie dentro di sé quel grumo di dolore e di mancanza che abita nel fondo di una donna e che rende la sua esistenza dipendente dall’amore dell’altro, altrimenti non ha valore. Quella separazione dal corpo materno, sequestrato dalla cultura degli uomini come un fantasma dalla bocca divorante,  accompagna con un’infelicità sottile e cupa le nostre vite fin da bambine, quando cercavamo nelle nostre madri la forza e la gioia di stare al mondo e ci veniva restituita la dedizione e la cura per l’altro. Un senso di inadeguatezza che ci spingeva a cercare la misura delle nostre esistenze al di fuori, nello sguardo del padre, poi dell’amante. Se non si ricuce quello strappo, una donna sente fin dai primi passi di mancare a se stessa ed è su questo vuoto che costruisce la sua vita. Il desiderio per lei non potrà che essere il bisogno dell’altro per sentirsi finalmente completa. Un’illusione che copre tante vite non vissute, dove il sacrificio delle proprie aspirazioni si traveste d’amore (2009).

 Mi sono spesso chiesta perché parlare della madre per le tante donne che ho incontrato si è sempre accompagnato ad un pianto, a volte disperato, a volte sommesso. Perché tanto dolore nel ripensare alla propria madre, qualunque sia stata la sua vita, se serva o regina, prima ancora d’averla perduta, come se  la perdita fosse anticipata in un tempo altro, già da sempre vissuto? Come trasformare questo senso di perdita e di abbandono in una guarigione che ci restituisca il piacere di essere un corpo di donna che un’altra donna ha messo al mondo? Adrienne Rich in Nato di donna scrive:

 

quali siano l’affetto e la forza della singola madre, la bambina che è in noi, la piccola creatura di sesso femminile cresciuta in un mondo dominato dal maschio, si sente ancora, a tratti, disperatamente senza madre. Quando riusciremo ad affrontare e a districare questo paradosso, questa contraddizione, a vedere fino in fondo la passione confusa di quella lontana bambina, potremo cominciare a trasformarla, e la rabbia cieca e il rancore che esplodono ripetutamente tra le donne, che insieme si sforzano di costruire un movimento, potranno essere trasfigurati. Prima del legame tra sorelle c’era il legame – transitorio, frammentato forse, ma fondamentale e cruciale – tra madre e figlia (1983).

 

Ma la passione confusa di quella lontana bambina che abita in noi non può significare il ritorno ad un mondo carnale arcaico che riprodurrebbe la separazione tra ventre muto e lingua paterna, quell’universo di segni e simboli che si è costruito proprio su questa cesura. Si tratta allora di ritrovare il suono di una lingua materna come possibilità di dare voce a parole mai dette e radicate nell’esperienza corporea di ciascuna? Ma una lingua materna non nasconde l’insidia di un’appartenenza originaria e insostituibile e dunque sempre sostituita dal fantasma che presentifica l’assenza, luogo della follia, o meglio follia di un  luogo unico e assoluto, specchio rovesciato e spettrale della legge del padre? Lingua paterna e lingua materna, due leggi che si contrappongono nella contesa di uno spazio incondivisibile perchè fantasma assoluto dell’uno, mai dell’altro.

Hannah Arendt in una conversazione con Günther Gaus, diffusa dalla televisione tedesca nel 1964, dichiara il suo attaccamento, impossibile da sradicare, alla lingua materna, il tedesco. Una fedeltà che ha mantenuto sempre tenacemente, negli anni dell’esilio americano, durante i quali ha scritto ed insegnato in un’altra lingua, senza tuttavia mai tradire il tedesco. Sempre e mai, due avverbi di tempo assoluti, per indicare l’assolutezza di un legame alla lingua materna, che va oltre il tempo della  vita vissuta. E all’interlocutore, che le chiedeva insistentemente del suo rapporto con il tedesco durante il periodo nazista, Arendt rispondeva “non è la lingua tedesca ad essere divenuta folle! E in secondo luogo, niente può sostituire la lingua materna”(2005). Parole che aprono l’abisso della follia e dell’unicità che Derrida in un libro dal titolo suggestivo, Il monolinguismo dell’altro, interroga, domandandosi in primo luogo come sia possibile separare il tedesco dall’esperienza del nazismo. Se la lingua non è un semplice strumento di comunicazione neutro ed esteriore, ma è piuttosto il sentimento del nostro abitare il mondo,  e questo è confermato dalla stessa Arendt in quel sempre/mai che le assegna una permanenza al di là del tempo e della storia, ne consegue che la follia si insinua nella lingua, ne lambisce i bordi e si installa in quel senso comune  in cui ogni parlante ritrova la familiarità di una tacita intesa. Ma è sull’insostituibilità della lingua materna che Derrida si sofferma, su quella traccia che sembra congiungere l’unicità della lingua alla follia nella figura della madre, non solo perché la rende possibile nella rigidità e fissità di ciò che non si può sostituire, ma proprio perché la madre è la follia (2004):

 

<<Figli o figlie, ed ogni volta in modo diverso a seconda che si sia figli o figlie, si è sempre folli di una madre che è sempre folle per il fatto stesso di essere, senza mai poterlo essere unicamente, la madre, esattamente nel luogo, e nella casa, del presso-di-sé unico>>.

 

Parole difficili da condividere per una madre che scivola sempre nella seduzione di essere unica e insostituibile per i figli, parole che pesano sul mio corpo segnato per sempre dalla gravidanza e da un legame esclusivo, ma non escludente, con i miei figli. Io, madre/figlia, che continuo a cercare mia madre nel suo essere bambina e poi ragazza, in quel tempo in cui io non c’ero ancora e che non mi appartiene, ma che voglio conoscere per continuare ad averla. Un cortocircuito di sentimenti che attraversano la mia vita di donna, più incline a raccontarsi come figlia che non come madre, e forse è proprio qui, in questo inciampo delle parole, che si insinua la follia. La mia generazione è stata una generazione di figlie che ha interrogato la relazione madre/figlia come paradigma attraverso cui ripensare le relazioni tra donne, dalle parte delle figlie. Il primo femminismo parla della posizione della figlia e racconta la lotta per separarsi dall’unione simbiotica con il grembo materno e affermare la propria esistenza individuale contro la cultura patriarcale sostenuta spesso più dalle madri che dai padri. Con il tempo la complessità di questa relazione ci ha fatto riconoscere l’importanza di “imparare ad amare la madre” restituendo a lei un debito d’amore per quello che, attraverso il suo lavoro, a volte invisibile e silenzioso, siamo diventate. Abbiamo cercato di imparare ad amarci come donne, a volte contro o nonostante lei, a volte ci ha contagiato la sua forza e la sua voglia di vivere. Abbiamo scoperto attraverso le parole di donne differenti, che provenivano da paesi colonizzati o da minoranze etniche o razziali, esperienze diverse del fare materno. In molti casi la madre non era la figura unica, contraddittoriamente onnipotente e priva di potere, ma un insieme di figure femminili, nonne, zie, vicine di casa che collaboravano alla crescita dei figli, nelle quali il rapporto madre-figlia si articolava in forma molteplice, scambiandosi ruoli e ampliando la dimensione affettiva. Spesso la casa non era una gabbia soffocante per queste donne, ma come racconta la femminista afroamericana Bell Hooks “un sito di resistenza”(1998). Rivendicare il diritto alla maternità per le donne nere era un atto politico, con il quale s’infrangeva lo stereotipo della "mammy",  protesi del corpo femminile bianco con mere funzioni di nutrizione e di accudimento.

In questo lungo viaggio altalenante, complesso, rizomatico, differente e simile per ciascuna, alla ricerca del senso del nostro stare al mondo come donne, lo scoglio non è stato quello di raccontarci come figlie, ma di ripensarci come madri, di liberarci dalla follia di sentirci uniche e insostituibili, di svuotare quel luogo dal suo fantasma per trasformarlo in una gioiosa tessitura di affetti, passioni, contatti, un flusso di desideri che corre tra corpi rompendo gli argini imposti da confini che segnano proprietà  e limiti. E non è sufficiente a giustificare questa ritrosia il fatto che l’esperienza della maternità non riguarda tutte le donne, perché si può essere madri anche simbolicamente nell’istituzione di un ordine che esercita potere in modo anche più esclusivo e autoritario di quanto non lo faccia una madre biologica. Occorre forse ripensare la metafora spaziale che configura il materno nella nostra cultura e che permane ancora oggi. Come spiega molto bene Page Du Bois, analizzando la regressiva trasformazione delle metafore ricorrenti nelle pratiche greche di rappresentazione del femminile, da campo, solco, forno, pietra fino a tavoletta, che rappresenta il puro supporto significante per quel significato di scrittura che è di pertinenza esclusivamente maschile, la trasformazione decisiva sarà il passaggio alla logica metonimica di Aristotele che riscrive la donna come “soggetta”, debole e inferiore. Una subalternità che si inscrive in quello spazio reale e simbolico che nominiamo come ventre, placenta, prima dimora, casa, là dove si installa la logica dell’unicità. Ma la nozione di unità non appare che quando in una molteplicità si verifica una presa di potere da parte del significante (Deleuze, 1976). Su questo  accordo sottile, ma costante, filosofia, psicoanalisi e linguistica esercitano il loro potere nel recintare quello spazio e nell’interpretarlo come mancanza. <<Indizi di una volontà di potenza che ha imposto la sua signoria su qualcosa di meno potente e gli ha impresso sulla base del proprio arbitrio, il senso di una funzione; e l’intera storia di una “cosa”, di un organo, può essere in tal modo un’ininterrotta catena di segni…il susseguirsi di processi di assoggettamento>>, scrive Nietzsche ne "La geneologia della morale", invintandoci a pensare che se la forma è liquida, il senso lo è ancora di più. Gli fa eco Marx, quando ne "Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte", annunciando l’avvento della rivoluzione, dichiara che non potrà attingere la sua poesia dal passato, ma dall’avvenire: se prima la frase sopraffaceva il contenuto, ora il contenuto trionfa sulla frase. Ma quale contenuto può trionfare sui segni che la cultura maschile ha scritto sui corpi delle donne, il più delle volte con la loro inerme complicità? Quale rivoluzione simbolica può riscrivere il materno nell’aprirlo ad infinite connessioni ed eterogeneità, disfacendo le relazioni biunivoche, madre/figlio, madre/figlia,  trasformando il multiplo di uno in molteplicità? Bisogna tendere l’orecchio e leggere da vicino, fare i conti con ogni parola della lingua, risponde Derrida (2002). Forse bisogna cominciare ad ascoltare la voce di una bambina di tre anni che quel giorno alla nonna che la invitava a non chiamarla mamma, preoccupata che confondesse le due figure, rispose semplicemente e un po’ indispettita: <<nonna, lo so che non sei la mamma, ma per me sei mammanonna>>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riferimenti bibliografici

Adrienne Rich, Nato di donna, Garzanti 1983

Luce Irigaray, L’etica della differenza sessuale, Feltrinelli 1990

   –––––     Sessi e genealogie, La Tartaruga 1989

   ––––– Il tempo della differenza: diritti e doveri civili per i due sessi per una rivoluzione pacifica. Editori Riuniti 1989

Rosi Braidotti, In metamorfosi, Feltrinelli 2003

Teresa De Lauretis, Pratica d’amore, La tartaruga edizioni 1997

Simona Marino/Giuseppe Ferraro, Amore differenza mondo, Filema 2009

Hanna Arendt, La lingua materna, Mimesis 2005

Jacques Derrida, Spettri di Marx, Raffaello Cortina 2002

  –––––          Il monolinguismo dell’altro, Raffaello Cortina 2004

Bell hooks, Elogio del margine, Feltrinelli 1998

Page du Bois, Il corpo come metafora, Laterza 1990

Deleuze/ Guattari, Rizoma, Pratiche editrice 1977

Gilles Deleuze, Divenire molteplice, ombre corte 1996

Friedrich Nietzsche, La genealogia della morale, 2006

Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre, Editori Riuniti 1991

Adriana Cavarero, Nonostante Platone, Editori Riuniti 1990

Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

 

   

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
   
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

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