FRENIS zero
|
Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e
Creatività
Home Frenis Zero |
Chronos. Tempo, Mito, Storia
|
"MEDEA,
L'INCONDIVISIBILE SOLITUDINE".
|
|
di Santa Fizzarotti Selvaggi |
|
Il presente saggio, la cui
pubblicazione su "Frenis Zero" è stata possibile per gentile
concessione delle Edizioni Borla, è tratto dal libro di Giannakoulas
A. & Thanopulos S. (a cura di), "L'eredità della tragedia", Borla,
Roma, 2006, euro 22,00 (ISBN 88-263-1580-9).
|
Santa
Fizzarotti Selvaggi è psicologo-psicoterapeuta con formazione
psicoanalitica, scrittrice, critico d'arte. Vive a Carbonara di Bari.
Devi considerare che i
poeti danno soddisfazione e gratificazione proprio a quella
parte che con grande sforzo noi cerchiamo di contenere nei
momenti di lutto familiare e che di per sé non vorrebbe altro
che pianti e lamenti, di cui desidera saziarsi, essendo per
natura attratta da essi.
Platone
|
|
Premessa:
l'irrapresentabilità della morte.
Dal sommo della gioia risuona il
grido del terrore o lo struggente lamento per una perdita
irreparabile.
Friedrich Nietzsche
|
|
Il " tragico" ha a che
fare con tutto ciò che è non-Io, con l'inconfessabilità del
desiderio sentito come pericoloso per l' Io e pertanto
rimosso o perfino forcluso. Il " tragico" ha a che fare con
tutto ciò che manca: con la morte che la tragedia tenta invano di
rappresentare.
Secondo Charles R. Beye "
possiamo forse dire che in un certo senso la morte fu la grande
scoperta dei greci, così come l'immortalità fu scoperta dal
cristianesimo primitivo. " La rappresentazione tragica, dunque,
pone in scena la morte, questa assoluta Estraneità, in modo che
questa possa diventare quasi familiare. In tal senso consente
di cogliere , continua Charles R. Beye, " di noi stessi
un'immagine che non vedremmo mai, ossia l'immagine di uomini che
debbono morire".
Foto: "Medea contemplating slaying
her children" di Franz Stuck
Come è ben
noto nella tragedia confluiscono due forme di
arte: la poesia epica e la musica dionisiaca.
Il mito racconta
che Dioniso era figlio di Zeus e di Semele
fulminata dal dio al
momento del parto. Di questa perdita
intollerabile e
inenarrabile è la musica che traduce il
dolore.
Dolore originario di essere
traumaticamente privati della
primigenia unità simbiotica
che costituisce il regno della Madre.
Il ditirambo dionisiaco
porta nella tragedia come dote il dolore di
ogni essere umano per la
lacerazione della dimora illusoria
nell'eternità in cui ha
originariamente alloggiato. La perduta madre degli inizi è
sempre ciò che manca e costituisce l'indicibilità del tragico.
Secondo alcune fonti il rituale
primitivo del ditirambo avveniva di notte: una sorta di liturgia
che si svolgeva nel clamore musicale sostenuto dal flauto, che
eccitava i partecipanti impegnati in una danza in due tempi .
Essi apparivano posseduti da forme primigenie, dai tratti
ossessivi, che esprimevano le forze nella natura nella loro primordialità insieme a suoni e rantoli disarticolati
dell'essere umano in preda agli aspetti più oscuri di sé.
E' l'elemento "musicale",
dionisiaco, che dà un'oscura forma all'irrapresentabile nella
poesia tragica.
La musica è abissale: muove negli esseri umani le forze più
arcaiche e terrifiche, disvela la morte e il dolore del morire.
|
Il Coro tra empatia e holding:
riflessioni
Se il tuo sposo onora un nuovo
talamo, con lui non irritarti per questo: Zeus in ciò ti difenderà! Non
struggerti troppo nel piangere il tuo sposo.
Medea
di Euripide, Coro vv.154-157
|
Il Coro tragico
funziona
da specchio riflettente, se pur empatico, trovando le " parole"
per esprimere il dolore antico dell'umanità, la ferita
primigenia e non rimarginabile.
Nel Coro è riposta la fiducia
di un contenimento dell'angoscia, di un lenimento del dolore.
Foto: "Medea about to Kill her Children" di E. Delacroix
In Medea di Euripide
il Coro invita Medea a non disperarsi per Giasone perché Zeus "
la vendicherà ristabilendo la norma di dìke" (1). Il
Coro aveva il compito di placare la disperazione
dell'eroina e di commuovere gli spettatori, così che questi
potessero entrare in contatto con la sua visione . In tal
modo gli spettatori venivano preparati al riscatto
finale della protagonista in una dimensione trascendente.
Spesso nel dialogo tra
il personaggio tragico e il Coro vengono rappresentate le varie
parti della psiche umana. In questo senso il Coro assume una
funzione di holding.
Il Coro in Medea è
costituito dalle donne di Corinto ," la schiera delle sorelle",
che empaticamente sentono commozione, pietà e orrore per la
sofferenza dell'" infelice e misera" protagonista,
comprendendone i sentimenti ambivalenti, che non appartengono
soltanto a Medea , bensì a tutte le donne, l'altra parte del
mondo che il mondo maschile difensivamente ha sempre voluto
controllare, possedere e dominare.
Medea rivolge spesso il suo
pensiero al passato, a quanto ha dovuto perdere per
avere Giasone: ed è proprio tutto ciò che è perduto a
renderla spietata, se pur "misera", finanche dinanzi a se stessa
per quanto si propone di mettere in atto. Medea, archetipo
della rappresentazione di certi aspetti laceranti del femminile
e del materno, è l'infelice in senso assoluto. Dalla consonanza dei sentimenti tra Medea e il
Coro scaturisce il pathos che la tragedia di Euripide genera
nello spettatore.
E' nella percezione
partecipe del
pathos, mediante l'empatia che si stabilisce tra il pubblico e i
protagonisti attraverso la parola del Coro, che consiste la " terapeuticità" della rappresentazione tragica. Non già la "
purificazione dalle emozioni" bensì la " purificazione
delle emozioni", come scrive Aristotele.
Medea si costituisce come
metafora che indica la presenza di tutto ciò che non può essere
detto e che pertanto si trasforma in atto. Qualcosa di
questo è possibile intuire nelle parole di
Giasone quando dice
: Bisognerebbe che gli uomini generassero i figli in qualche
altro modo e che non esistesse la razza femminile; così per loro
non ci sarebbe alcun male. E in Medea quando risponde:
Più che il senno può la passione, che di gran mali pei mortali è
causa.
|
Medea, Giasone, Glauce
l'ineludibile destino
… non già perché io voglia
lasciare ai miei nemici i miei figli in una terra
ostile, esposti all'insulto, ma perché
intendo uccidere con l'inganno al figlia del re. Manderò, infatti, proprio
loro con nelle mani i doni, un fine peplo e un diadema d'oro. Quando lei,
prendendo l'ornamento, l'indosserà sul corpo, miseramente perirà, lei e
chiunque altro tocchi la fanciulla. Con tali veleni ungerò i doni. Ora ,
però, voglio porre fine a questo discorso; mi è venuto da piangere per
l'entità dell'azione che devo compiere; ucciderò, infatti i figli miei:
non vi è alcuno che me li strapperà
. ( Medea, vv. 780-793)
|
|
|
Con la sua Medea Euripide ha consegnato all'umanità
una delle più emozionanti opere di tutti i tempi.
Essa parla della sofferenza di una
donna, la cui personalità viene dall'autore analizzata con un'empatia
assai rara.
La tragedia si svolge
nella città di Corinto, dove Giasone e Medea, con i loro figli, si
erano rifugiati dopo che la protagonista, alla quale erano attribuite
qualità magiche, aveva provocato la morte di Pelia, re della
Tessaglia, zio e nemico di Giasone.
Il mito racconta che fu la figlia di
Eeta, re della Colchide e figlio del Sole, la maga dalle chiome brune,
a permettere a Giasone la conquista del vello d'oro. In cambio delle
sue magiche arti utilizzate a suo favore Medea chiese a Giasone, di
cui si era subito innamorata, di sposarla e di condurla in Grecia con
sé.
La tragedia si avvale di un
allestimento scenico essenziale in cui domina la facciata esterna
della casa in cui vive Medea mentre è all'interno delle mura
domestiche che ha luogo l'azione tragica dell'uccisione dei figli.
L'interno rappresenta l'intimità più
profonda dell'essere femminile della protagonista, offesa e
oltraggiata dal ripudio di Giasone, che stava per convolarsi a nozze con Glauce, la figlia di Creonte, sovrano di
Corinto. Giasone è un uomo i cui figli
avevano, a causa di un matrimonio " misto", bisogno di
essere elevati di rango. Egli dice, in effetti, rivolgendosi a Medea: inoltre volevo
allevare i miei figli in modo degno della mia stirpe e, generati dei
fratelli ai figli avuti da te, porli nella stessa condizione,
cosicché, riunita la famiglia, potessimo essere felici. Ma tu che
bisogno hai di altri figli? Per me, invece, è opportuno aiutare i
figli che ho con quelli che nasceranno. Ho preso forse una decisione
sbagliata? Neppure tu lo diresti, se non ti pungesse il pensiero del
letto. (vv.559-569)
Il ripudio di Giasone riapre in modo
irreversibile la ferita narcisistica di Medea, ormai consapevole di
una frattura non ricomponibile se non con un atto estremo in
grado di riparare il suo Sé danneggiato. Ella, donna "altra" venuta
dall'Oriente, da un "altrove" mai del tutto riconoscibile, non può
rassegnarsi e accettare la perdita. Per Giasone aveva
annientato se stessa essendo stata la sua dipendenza da lui assoluta,
le restava altra scelta rendere visibile e tangibile la sua sofferenza
attraverso l'agire. Un acting out radicale e definitivo.
Medea non può lasciare i suoi figli
nelle mani di Glauce, la "matrigna". Glauce con la sua presenza evoca
uno scenario incestuoso, edipico. Due donne sono implicate in una
relazione triangolare, scelte dallo stesso uomo che non possono
condividere.
Glauce rappresenta per Medea
un lontano, e persecutorio, fantasma materno (2). La morte
orrenda e devastante giungerà a Glauce attraverso i doni nuziali
consegnati dai figli di Medea. Tale terrifica morte che disfa il
corpo di Glauce chiarisce la scelta del veleno che Medea usa come
strumento di devastazione della nuova sposa di Giasone: " La sua
rivale è costretta a vivere nella realtà fisica il tipo di tortura
che Medea ha sperimentato psicologicamente - la distruzione della
sua identità dovuta al tradimento di Giasone - E' come se lei dicesse
a Giasone ' E adesso ama questa donna, se puoi!
' " (3).
Nel rileggere la tragedia di Euripide ho pensato che Glauce,
anche se periferica rispetto agli altri protagonisti, è una figura pregnante nel
nostro mondo di oggi, mondo di altrettanta, seppur negata, tragicità.
La presenza di Glauce nelle famiglie
ricostituite, in seguito alle separazioni e ai divorzi, si avvicina
nel mondo occidentale quasi al 50%. Ma la Glauce contemporanea
rispetto ai figli della madre di sangue non avrà mai uno statuto
genitoriale. Essa, seppur la migliore donna del mondo, non avrà mai
diritto alla parola, perché i figli della madre biologica le diranno
comunque, nel male e nel bene: " Tu non sei mia madre ",
mentre l' ombra di questa parlerà per bocca loro. Si tratta di un
dolore che, insieme al senso di colpa di aver occupato il posto
dell'Altra, Glauce contemporanea deve essere in grado di sostenere, di
una perdita che deve poter elaborare.
Glauce di oggi deve vivere
nella consapevolezza di "non essere la Madre", che soltanto
sull'unico piano che può esserle proprio: quella della creatività. Non le
resta, infatti, che cercare di costruire una maternità psichica,
trovando dentro di sé le condizioni che determinano il processo
creativo. (4)
Ma la condizione di Glauce
è sempre difficile, poiché soffre di solitudine e trova
nel marito " il solo pilastro sul
quale ella si appoggerà per discutere con lui la sua insoddisfazione;
un pilastro che molte volte avrà bisogno di un muro di sostegno".
(5)
Medea
proietta in Glauce la sua stessa efferatezza che immagina sarà agita
sui suoi figli.
Dopo l'orrida morte di Glauce e
Creonte, ella teme le mani vendicative e nemiche dei Corinzi :
stringe al petto gli amati figli, ma percepisce dentro di sé
l'inconciliabile e non rinunzia alla sua risoluzione ritenuta "
necessaria". Una "necessità" di origine pulsionale alla
quale non ci si può
sottrarre.
Foto: un affresco pompeiano che
ritrae Medea
Il dado è tratto: " Ucciderò, infatti, i
miei figli, non vi è alcuno che me li strapperà. " ( v.791)
I figli di Medea rimarranno sempre e
soltanto della madre. Nessuno potrà toccarli e violarli. Giasone, accorso per
salvare i bambini dalle vendette dei Corinzi, apprende la notizia del
delitto di Medea. E, mentre tenta di abbattere la porta della casa, in
alto, sul carro del Sole, gli appare Medea che porta via con sé i
cadaveri dei bambini . Giasone dice: " O miei figli diletti" e Medea
risponde: " Alla madre, a te no". Giasone : " Per questo li hai
uccisi?" Medea : " Per nuocere a te". Giasone:" Ahimè, desidero la
cara bocca dei figli -o me infelice- da baciare". Medea: " ora li
invochi, ora li vuoi abbracciare. Ma un tempo li respingevi". Giasone:
" Concedimi, per gli dèi, di toccare il tenero corpo dei figli miei."
Medea prima di andar via sul carro alato risponde: " Non è possibile;
invano sono state gettate le tue parole ". ( vv.1397 -1404)
E' la madre che si prende cura del
corpo dei figli, che lo accudisce, che lo tocca e lo accarezza.
Nel dialogo tra Medea e Giasone
il conflitto tra due mondi fra loro
contrapposti appare in tutta la sua tragicità.
Medea resa " civile" da Giasone,
non aveva mai rappresentato per lui la parte femminile ritrovata di sé,
era rimasta una "estranea" e "diversa", uno strumento per
raggiungere i suoi scopi, qualcuno da dominare ed asservire, appunto
come era uso comportarsi con le donne dei barbari, coloro che "
balbettavano" poiché non conoscevano la lingua greca. Con le donne in
genere…
|
Non c'é pace per Medea se non nel crimine.
Per me è finita e, perduta ogni
gioia di vivere, o amiche, desidero morire. Infatti colui che per me era
tutto, il mio sposo, -ben me ne rendo conto - è risultato il peggiore
degli uomini.
Noi donne siamo la specie più
sventurata; per prima cosa dobbiamo, con gran dispendio di beni, comprarci
uno sposo e prenderci un padrone del nostro corpo; questo è un male ancor
più doloroso dell'altro.
Medea , Euripide
Medea ha trovato pace soltanto nel
crimine: un crimine scaturito dalla perdita di un amore. Si
tratta di un amore
unico e impossibile: la Madre onnipotente e arcaica.
La Madre alla quale i figli
appartengono nell'eternità. Non a caso nel film Medea di
Pasolini la protagonista uccide i figli con un coltello a guisa di
agnelli dopo averli addormentati fra le braccia mentre li chiama :
Amore.
E' la morte che rende eterno l'amore.
E' il crimine che in Medea trasforma il tormento in pace.
L'eroina di Euripide è il simbolo di tutto
ciò che " continua a esistere inalterato nel nostro inconscio", come
ebbe a scrivere S. Freud relativamente al problema di fondo
dell'essere umano: la Morte.
A.J.A. Waldock, riferendosi a Kitto
e alle sue riflessioni su Medea, si chiede se " non
potrebbe l'intera esistenza di Medea essere un ' errore' - un
errore, per così dire, del cosmo stesso?" La sua sofferenza è la
sofferenza di noi tutti. E Waldock aggiunge, dopo aver ricordato che Medea aveva persino oltraggiato il Sole che
era giunto in suo aiuto: "E' come se il dramma dichiarasse: ' Ecco
come è l'universo. Vedete quanta irrazionalità sta nel suo fondo, che
mostruoso paradosso è questo universo?' E da questa fuggevole
rivelazione noi otteniamo una specie di catarsi ". (6)
Medea è la
metafora dell'enigma della femminilità che possiede la capacità di
generare la vita e la morte.
Nella sua figura
incontriamo l'essenza più arcaica del materno, la paura destata dalla
capacità generativa della donna ( in origine associata a qualcosa di
magico e misterioso).
Giasone è " un padrone del suo
corpo". Il corpo come
oggetto, in frantumi per sempre e per tale motivo mai più ricomposto.
Susan Brownmiller ha così affermato : "Dalla preistoria ai nostri
giorni - è mia convinzione - lo stupro ha svolto una funzione critica.
Si tratta né più meno né meno che di un consapevole processo
d'intimidazione mediante il quale tutti gli uomini mantengono
tutte le donne in uno stato di paura. " (7) Non a caso Euripide
accentua il contrasto tra Medea e Giasone. E' un conflitto che Medea
interiorizza di modo che l'infanticidio diventi fatale necessità. Un atto
consumato nell'" intimità" delle mura domestiche e ciò perché la
sua sottomissione di donna è per
Medea il risultato della violenza
di un atto che l'oltraggia nella sua dignità di persona. Attraverso
l'infanticidio intende non solo punire Giasone per la
sua infedeltà, ma anche minare le fondamenta dell'
esistenza di entrambi.
In questo senso il suo agire è anche un
soffrire , scrive Vincenzo Di Benedetto . (8)
La lacerazione interna di Medea non ha
precedenti in altre tragedie: di qui la commozione mista ad orrore e
pietà che l'atto estremo suscita nello spettatore.
La sua azione non è una vendetta, così
come in genere si ritiene, ma "necessità".Ecco
come si rivolge Medea al Coro : Amiche, la mia azione è
decisa: al più presto uccidere i bambini e partire da questa terra, e
non consegnare, indugiando, i miei figli ad un' altra mano più ostile
perché li ammazzi. E' assoluta necessità che essi muoiano : e poiché
è necessario, li uccideremo noi che li abbiamo generati. Ma suvvia,
armati, mio cuore; Perché indugiamo a compiere questo male terribile e
pure ineluttabile? Orsù, o misera mano mia, prendi la spada, prendila,
muovi verso la dolorosa meta
della vita: non essere vile
e non ricordarti dei tuoi figli che ti sono assai cari, che li
partoristi, ma solo per questo breve giorno dimenticati dei tuoi
figli; e poi piangi. Anche se li ucciderai, nondimeno essi ti sono
cari; e una donna sventurata sono io.(vv.1236-1250).
E' proprio la " necessità " il punto
focale della tragedia: qualcosa di irriducibile che è insito
nell'azione umana. Una sorta di coazione a ripetere che
non ha termine se non con la consapevolezza dell' azione cui dà
origine tale azione. La "
necessità " ( ananke) è " prima di tutto la morte; ma anche la
vecchiaia, il sonno, i rovesci di fortuna e la danza della vita; è
quindi anche la sofferenza non meno che il piacere, giacché, se
dobbiamo danzare e dormire, noi soffriamo anche, invecchiamo e
moriamo. (9)
Nell'opera di Euripide affiora prepotente la conflittualità non ricomponibile che
abita l'essere umano. La necessità lacera il soggetto oscillante tra
la consapevolezza delle conseguenze irreparabili dell'atto che sta per
compiere e il "turbamento estremo" che deve essere agito.
Pietrificando difensivamente il suo cuore per compiere il suo atto
crudele, Medea non manca di sottolineare "una donna sventurata sono
io". Il vero nemico per Medea non è Glauce, né Giasone, ma se
stessa.
"Medea e Giasone" di John William Waterhouse
E' la consapevolezza della sua
lacerazione che fa apparire a tratti Medea esitante e smarrita. Un
frammento di un dipinto rinvenuto ad Ercolano (Napoli) la rappresenta
in atteggiamento assai incerto ma al medesimo tempo deciso.
In questo contesto di estrema
tensione l'infanticidio assume significato di sacrificio.
Nell'uccisione che avviene tra le mura domestiche, le grida dei figli (vv.
1270A) sono suono di agnelli
innocenti, che l'atto della madre rende sacri. La violenza nella
sua forza distruttiva protegge e riscatta. René Girard
riferendosi a Hubert e Mauss scrive che :" E' criminale uccidere la
vittima perché essa è sacra…ma la vittima non sarebbe sacra se non la
si uccidesse". (10) E' la morte che consente alla madre di avere
per sempre con sé i suoi figli. E' la morte che rendendoli sacri
li tutela da ulteriori
vendette
e
oltraggi.
Euripide cambia la nostra ottica nei confronti dei concetti di colpa
e di punizione, facendo sparire il confine tra innocenza e
colpevolezza. In queste condizioni è la solitudine della protagonista
a dominare la scena.
Nel romanzo Medea di Christa
Wolf la protagonista dice: " In quale luogo io? E' pensabile un
mondo, un tempo, in cui io possa stare bene? Qui non c'è nessuno a cui
lo possa chiedere. E questa è la risposta." (11)
|
|
|
Note
1. B. Gentili, Amore e giustizia
nella "Medea" di Euripide, in L' amore in Grecia, a cura di
C. Calame, Editori Laterza, Bari , 1983, p 155
2. Il Coro recita: "Che brama tu
hai dell'orribile giaciglio?" (v. 151).
3.M. Rustin e M.Rustin,
Mirror to Nature. Drama, psychoanalysis and society, The
Tavistock clinic Serie, London, 2002, p 36
4. V. La Flamme e H. David,
La femme a-mère: maternité psychique de la marâtre,in Revue
francaise de psychanalyse,Presses universitaires de France, Paris,
gennaio- marzo 2002,pp103-117
5. V. La Flamme e H. David, op.
cit.
6.
A.J.A Waldock, La produzione
di schemi, in La tragedia greca, a cura di C. Rowan Beye,
Editori Laterza, Bari 2001, pp.9-11
7.
F. Restaino- A. Cavarero, Le
filosofie femministe, Pravia scriptorum, Torino 1999, pp196.197
8. V. Di Benedetto, in Il tragico
fra sofferenza e consapevolezza, Euripide, Medea, Rizzoli
9. W. Arrowsmith, La critica
della tragedia greca, in La tragedia greca, a cura di C.
Rowan Beye, Editori Laterza, Roma, 2001, p. 155
10. R.Girard, La violenza
e il sacro, Adelphi, Milano 2000, p.13
11. C. Wolf, Medea. Voci ,
Edizioni e/o, Roma 2001, p.224
|
Riferimenti
bibliografici
N. Abbagnano, Storia della
filosofia, Vol. I, Utet- Torino 1966
G. Agamben, Il linguaggio e la
morte, Einaudi, Torino 1982
S. Andreani e
B. Traversetti ( a cura di) I miti degli dei e degli eroi,
Gherardo Casini editori, Roma 1976
Aristotele, Poetica, ( a cura
di A. Barabino), Mondadori, Milano 1999
W. Arrowsmith, La critica della
tragedia greca, in La tragedia greca, a cura di C. Rowan
Beye, Editori Laterza, Roma, 2001
V. Di
Benedetto, in Il tragico fra sofferenza e consapevolezza,
Euripide, Medea, Rizzoli
V. Di Benedetto, Euripide: Teatro e
Società, Einaudi, Torino 1992
U. Eco, Le guerre sante passione e
ragione, in La Repubblica, 8 ottobre 2001
S. Freud, Al di là del principio
del piacere ,Opere, Vol. IX, Einaudi, Torino 1987
S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, Opere,
Vol. XI, Einaudi Torino 1987
S. Freud.
Il ritorno del totemismo nei bambini, Opere, Vol. VII,
Einaudi Torino
S. Freud,
Personaggi psicopatici in scena, Opere ,Vol. V, Einaudi Torino
B. Gentili, Amore e giustizia nella
"Medea" di Euripide, in L' amore in Grecia, a cura di C.
Calame, Editori Laterza, Bari 1983
R. Girard, La violenza e il sacro,
Adelphi, Milano 2000
A. Gouldner, Il sistema agonistico
greco : modelli culturali, in C. Rowan Beye, La tragedia greca,
Editori Laterza, Bari 2001
M. Hernández,
La Tragedia e la Conquista. La prospettiva tragica nel Nuovo Mondo,
in La prova del Fuoco, a cura di F. Pinto Minerva e S.
Fizzarotti Selvaggi, Schena , Fasano- Brindisi 2001, pp.146-147
V.
La Flamme e H. David, La femme a-mère: maternité psychique de la
marâtre,in Revue francaise de psychanalyse,Presses universitaires
de France, Paris, gennaio- marzo 2002
E. Lemoine- Luccioni,
L'identificazione sessuale, in La mascherata, a cura di N.
Bassanese e G. Buzzatti, Savelli Editore, Perugia 1980
F. Nietzsche, La nascita
della Tragedia, Adelphi, Milano 1977
F. Restaino-
A. Cavarero, Le filosofie femministe, Pravia scriptorum, Torino
1999
M. Rustin e M.Rustin, Mirror to Nature. Drama, psychoanalysis and
society, The Tavistock clinic Serie, London, 2002
A.J.A Waldock,
La produzione di schemi, in La tragedia greca, a cura di
C. Rowan Beye, Editori Laterza, Bari 2001
C. Wolf, Cassandra, Edizioni
e/o, Roma 2000
C. Wolf, Medea. Voci , Edizioni
e/o, Roma 2001
|
|
|
|
|
|
Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo |
Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All right reserved
2004-2005-2006- 2007 |