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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Autobiografie dell'inconscio.

Numero 11, anno VI, gennaio 2009

 

 

     "UNA VITA TUTTA PER SE'"

 

 di Joanna Field (Marion Milner)

 


Questo libro autobiografico fu pubblicato da Marion Milner nel 1934, all'età di 34 anni, con lo pseudonimo di Joanna Field. Nel 1926, pochi anni dopo aver conseguito la laurea in psicologia all'Università di Londra, la Milner intraprese un viaggio introspettivo di cui è testimonianza "Una vita tutta per sé", di cui pubblichiamo la prefazione scritta dall'autrice. Ci piace così ricordare questa grande analista a dieci anni dalla sua morte.

            

 

 

  Foto: un ritratto di Marion Milner.

 
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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini"

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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 Questo libro è il documento di una ricerca durata sette anni. Lo scopo di questa ricerca era scoprire che tipo di esperienze mi rendevano felice.

Il metodo era:

(a) captare momenti particolarmente felici nella mia vita quotidiana e cercare di registrarli con le parole.

(b) Esaminare successivamente queste note per scoprire qualche regola sulle condizioni in cui si verificava l'essere felice.

Il libro segue la natura della ricerca. Ho cercato di mostrarne lo sviluppo usando il materiale dei miei diari. Ho sempre cercato di esporre i fatti, al fine di mostrare il processo graduale dai primi indizi alle conclusioni finali.

L'origine del libro non ha niente a che fare con la sua pubblicazione. E' stato scritto con lo spirito di un detective che sconcertato da un gran numero di eventi, esamina e fa un bilancio del progresso della sua investigazione nella speranza di scoprire qualcosa che gli è sfuggito. Così quando ho cominciato a scrivere questo libro non sapevo o potevo soltanto intuire molto vagamente, quale ne sarebbe stata la conclusione. In questo senso il libro è il diario di un'esplorazione con tutti i dubbi, i ritardi e le false piste che questa esplorazione comportava e lo scrivere era una parte essenziale della ricerca.

La ragione che mi ha spinto a pubblicare successivamente questo libro è che, anche se quello che ho trovato io è probabilmente caratteristico del mio temperamento e delle circostanza della mia vita, sono convinta che il metodo della mia ricerca possa essere utile ad altri, anche a coloro le cui scoperte su se stessi fossero l'opposto delle mie.

Tuttavia questo libro non è in nessun senso un trattato su come essere felici. Il mio è soltanto un documento più veritiero possibile su quanto ho scoperto quando mi sono chiesta, 'Che cosa mi piace?' Non dice, 'Devi fare questo' - tenta solo di dare una risposta alla domanda, 'Che cosa succede, se faccio questo?' E proprio perché quello che è successo è stata una grossa sorpresa per me, non dubito che ci siano altri cui le esperienze descritte appaiano lontane e estranee. Giacché gli psicologi ci dicono che esistono differenze fondamentali di carattere e che l'estremo di ogni tipo è in completo disaccordo con il suo opposto e spesso lo ignora. E' anche vero che può accadere di adottare un atteggiamento falso, cioè un atteggiamento contrario alle inclinazioni della propria natura; perciò può succedere che qualcuno, se tentato a fare lo stesso esperimento, possa scoprire, come ho fatto io, di essere completamente diverso da come si era immaginato.

Anche se ho dato questa inevitabile angolazione personale alle mie scoperte, sono convinta che alcune di esse si possano applicare universalmente. Per esempio, ho scoperto che c'è una enorme differenza tra conoscere qualcosa intellettualmente e conoscerla come esperienza 'vissuta'. Sembra lapalissiano ma ugualmente è di importanza vitale. Per quanti libri di psicologia avessi letto avevo sempre la sensazione che dei dati fondamentali mancassero. Per mostrare fino a quale punto è possibile trattare idee con apparente competenza e nello stesso tempo essere totalmente smarriti quando si cerca di vivere la propria conoscenza, vorrei che il lettore tenesse a mente, quando legge i primi capitoli, che allora avevo una laurea con lode in psicologia e durante quello stesso periodo mi stavo guadagnando la vita applicando la mia cosiddetta conoscenza psicologica, cioè conferenze, ricerche e altre cose. Effettivamente il sospetto inquietante di questa spaccatura tra conoscere e vivere è stato determinante nello sviluppo del mio metodo. 

 

 

 

 

 

 

   

 

 
 
 
 
  Foto: Descartes

 

 

 

Come Descartes, mi sono messa a dubitare di tutto quanto avevo appreso, ma non ho cercato di ricostruire la mia conoscenza su una base logica e razionale. Ho cercato di imparare, non dalla ragione, ma dai miei sensi. Appena ho cominciato a esaminare le mie percezioni, a considerare le mie esperienze, ho scoperto che c'erano diversi modi di percepire e che i diversi modi mi davano diversi dati. C'era una messa a fuoco ristretta che significava vedere la vita con i paraocchi e con il centro di consapevolezza nella testa; e c'era una messa a fuoco ampia che significava conoscere con tutto il corpo, un modo di guardare che cambiava totalmente la percezione della cosa osservata. E ho scoperto che la messa a fuoco ristretta era il modo del razionale, l'abitudine di affrontare la vita razionalmente faceva sì che anche la sensazione venisse vista sotto la luce della ragione escludendone così l'ampiezza, la profondità e l'altezza. Ma era il modo di messa a fuoco ampia che mi rendeva felice.

Stabilito questo, il compito successivo era di scoprire da che cosa la messa a fuoco ampia dipendeva, poiché non sempre mi riusciva di ottenerla. Questo portò alla luce una parte della mia mente che non avevo mai preso in considerazione prima, mi resi conto che quando il mio pensiero era 'cieco', cioè quando non era cosciente di quello che stavo pensando, aveva la tendenza ad essere totalmente infantile ed irragionevole. Per via del mio lavoro professionale avevo naturalmente letto molte descrizioni del contenuto e delle abitudini dell'"inconscio", che per definizione era qualcosa che non avrei mai potuto conoscere senza un aiuto esterno. Ma non mi aveva mai sfiorato l'idea che la terra di nessuno che stava tra il regno oscuro dello psicanalista e il campo coltivato del mio pensiero cosciente era una terra che potevo molto efficacemente esplorare da me. Con pochi semplici trucchi di osservazione potevo prendere coscienza di cose del tutto inaspettate. E esplorando questa regione ho piano piano cominciato a capire quali forze distorcevano e limitavano le mie capacità di percezione, impedendomi di fare uso costante di quella fonte di felicità che le mie osservazioni precedenti avevano portato alla luce.

Mi trovavo continuamente di fronte a sorprese e mi ci è voluto molto tempo prima di scoprire qualche termine teorico con il quale definire quello che stava succedendo. Soltanto nel riesaminare il corso del viaggio descritto in questo libro mi sono imbattuta in una teoria che faceva luce su alcune mie scoperte. Siccome in origine il mio scopo era di presentare fatti, non teorie, ho cercato di proporre questa interpretazione separatamente nell'Epilogo. Quanto segue è un breve riassunto della medesima.

   

 
 

 

Mi sembrava che le mie difficoltà avessero origine soprattutto nell'incapacità di capire che ogni persona umana è dualistica, che ogni uomo o donna è potenzialmente sia maschio che femmina. C'erano due tendenze fondamentalmente opposte e tuttavia complementari in ognuno di noi, una polarità che determinava ogni pensiero e sentimento e includeva molto di più di ciò che s'intende normalmente per diversità sessuale. Io, per esempio, avevo creduto che l'unico modo desiderabile di vivere fosse il modo maschile, avevo cercato di vivere una vita maschile di comprensione oggettiva e di risultati concreti. Avevo comunque sempre avuto la sensazione che questo non mi appartenesse veramente e appena ho cominciato a indagare su me stessa, ho cominciato a scoprire stimoli verso un modo di essere diverso, stimoli che finalmente mi hanno portato a scoprire il significato della femminilità psichica. La scoperta che il sesso era molto più di una faccenda fisiologica formava una parte del mio lavoro, tuttavia nello scoprire questo scoprivo anche più pienamente l'importanza del lato fisico. Non mi sorprendeva più di non aver trovato molto di utile negli scritti scientifici, perché ora mi era chiaro alla luce di questa teoria della bisessualità, che la dinamica del modo di  essere femminile oltre al fatto puramente fisiologico, non è mai stata capita intellettualmente. Siccome la femminilità evoluta viene naturalmente a esprimersi in termini di misticismo, pensavo che era stata guardata di traverso dall'intelletto analizzante e temuta come un nemico della lucida obbiettività. Ovviamente per il ragionamento obbiettivo è un compito durissimo capire il suo opposto.

 

   

 

 

 

La maggioranza della gente che conoscevo (sia uomini che donne) avevano un culto dell'intelletto 'maschile', cioè, del ragionamento obbiettivo contro l'intuizione soggettiva. Io avevo superficialmente subito questa moda e avevo accettato l'ipotesi che i simboli logici fossero 'reali' e qualsiasi altra cosa soltanto 'l'appagamento di un desiderio'. Così per anni mi ero sforzata di parlare un linguaggio intellettuale arido per me, e costretto le sensazioni del mio rapporto con l'universo in termini che non mi riguardavano. Perché non avevo capito affatto che un'attitudine femminile verso l'universo era altrettanto legittima, intellettualmente e biologicamente, che quella maschile; soltanto, dal momento che non era ancora mai stata ben capita, e certamente non aveva capito se stessa, aveva sempre cercato di dare ai suoi simboli mitologici e religiosi una particolare riverenza e validità. Sebbene l'attitudine femminile o soggettiva avesse bisogno dell'intelletto maschile, per capire se stessa, la maggioranza di coloro che conoscevo in possesso dell'intelletto maschile competente non erano sufficientemente dualistici per avere un'idea del significato di soggettività, sia in un uomo che in una donna. Alcuni che sembravano aver parzialmente capito la loro femminilità, come Weininger e D.H. Lawrence, la odiavano e disprezzavano perché ne avevano paura. E anch'io ne avevo avuto paura, avevo cercato di riempire la mia vita di finalità che erano per me artificiali e maschili. Sembrava che il mio lato maschile, riluttante ad abbandonare i suoi scopi, non avesse osato cedere alla ricettività, per paura di perdere la propria identità. E finché questo non succedeva, non ero capace di sfuggire a quella messa a fuoco ristretta che accompagnava sempre il mio modo di essere finalistico.   

 

 

 

Da tutto ciò ho concluso che si può affrontare i problemi in due modi possibili e opposti. Uno, cercare di cambiare il mondo esterno, l'altro, cercare di cambiare se stessi. Sebbene tutti e due i sistemi siano alla portata di ciascuno, la maggioranza di noi è diventata unilaterale, preferendo una delle due possibilità in modo assoluto. A chi si occupa di problemi esteriori e cerca di controllare uomini e cose per adattarli ai suoi fini, la problematica dell'atteggiamento opposto sembra morbosa e irreale. Mentre a chi non ha nessun desiderio di forzare la sua personalità sul mondo, chi raccoglie quello che il mondo esteriore ha da offrire e con quello fa di se stesso un nuovo essere, l'altro atteggiamento sembrerà superficiale - anzi qualcosa di cui aver paura. Ma insieme a questo reciproco disprezzo e paura, in ognuno di noi esiste anche un forte desiderio dell'atteggiamento opposto, un tentativo inconscio di ristabilire la bilancia e diventare una personalità con tutti e due gli aspetti, completa come gli esseri a otto gambe di Platone che minacciavano di detronizzare gli dei.

Così nella mia ricerca mi sono trovata a cercare i modi d'imparare ad essere meno introversa, perché trovavo monotono un approccio unilaterale del genere. Comunque questo non significa che faccia bene a tutti pensare meno a se stessi. Coloro che hanno la predisposizione a dedicarsi continuamente all'esteriore, potranno trovare il loro necessario equilibrio nella direzione opposta.

Quanto al metodo che mi ha portato a queste scoperte, non voglio che nessuno pensi che sia un metodo facile soltanto perché ho preso in considerazione i momenti di felicità piuttosto che il dovere o la morale. Perché quello che è veramente facile, come ho scoperto, è essere ciechi sulle proprie reali inclinazioni, trascinati a accettare come propri i bisogni confezionati dagli altri, e evitare di vagliare le proprie scelte continuamente giorno per giorno. E infine che nessuno pensi d'intraprendere un esperimento del genere senza essere preparato a scoprirsi più pazzo di quanto avesse pensato.

 

   
  Londra, 1934.
 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
   
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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