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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della negazione

Numero 15, anno VIII, gennaio 2011

 

 

     "NEGAZIONE: UNA SFIDA PER LA PSICOANALISI"

 

 

 

 Editoriale di Giuseppe Leo

 


Questo editoriale trae spunto dai temi trattati al  convegno internazionale "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della negazione" (Lecce, 30 ottobre 2010), di cui in questo numero semestrale della rivista di Psicoanalisi Frenis Zero forniamo i testi delle varie relazioni. Un libro che verrà pubblicato nel corso del 2011 dalle Edizioni Frenis Zero, e che si intitolerà "Psicoanalisi e luoghi della negazione", raccoglierà in forma definitiva gli atti del convegno.

            

Nella foto: Giuseppe Leo, insieme a Silvia Godelli, introduce i lavori del convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della negazione"(Lecce, 30 ottobre 2010)

 

  

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

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EDIZIONI FRENIS ZERO

"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-0-4

Anno/Year: 2008

Prezzo/Price: € 18,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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INTRODUZIONE

 

 

Dopo l’edizione del 2008 dedicata ai “luoghi della memoria”, questa edizione di “Id-entità mediterranee” intende esplorare i “luoghi della negazione”, prendendo spunto da un ossimoro  divenuto  celebre  grazie al libro  “Violenza di Stato  e Psicoanalisi”: in quel libro René Kaës parla di “diniego della memoria”.  Se la negazione è il contrario  del riconoscimento, come afferma Stanley Cohen  nel suo libro “Stati di negazione”(Carocci, 2002), e se il riconoscimento è alla base della memoria, come si può  denegare la memoria? E tale operazione, ammesso che riusciamo a spiegarla, quando e come è possibile ascriverla  ad un meccanismo inconscio della mente, e quando, invece, ad  una deliberata  e  consapevole volontà di rifiutare e di non riconoscere  una certa  “memoria” o percezione  della realtà circostante? Perché è ovvio, non solo per gli psicoanalisti, che la negazione, il diniego, il disconoscimento, il rigetto e la forclusione (tutti concetti di cui proveremo a dare una definizione) non vanno confusi   con la bugia,   con il mentire  e col fingere. Ma, ammesso che riuscissimo a circoscrivere il nostro campo  ai meccanismi difensivi, e quindi inconsci, che “arricchiscono” la nostra vita psichica, sia  individuale che collettiva, di silenzi, di omertà, di cancellazioni di percezioni, di affetti, di ricordi, come possiamo districarci in una “selva oscura” (in cui aleggia il  negativo, appunto) di concetti attinenti al negare ed al negativo quando Freud afferma che nell’inconscio ogni negazione non è ammessa? E come non tener conto, nel delucidare il significato di termini come diniego o negazione, del ruolo di precise scelte del traduttore che talora traduce denial  come diniego e talaltra lo stesso termine come negazione? Sembra che  il negativo  aleggi come una “maledizione” intorno a questi concetti  e ci impedisca  di pensarli e di utilizzarli  nella clinica, tanto  delle formazioni sintomatiche  individuali quanto di quelle collettive.  Eppure, un qualche tentativo  si può fare, avvalendoci non solo di buone traduzioni dei classici  della psicoanalisi, ma anche degli apporti di altre  scienze che sempre più stanno entrando in dialogo  con la psicoanalisi.  Penso all’"infant research", alla psicolinguistica dello sviluppo e alle neuroscienze.

 

   

 

 

 
 
 
 
 

E’ SOLO UNA QUESTIONE DI “PAIOLO BUCATO”?

 

 

 

 

 Immaginiamo di vivere in una democrazia occidentale che dall’oggi al domani organizza “trasferimenti” IN MASSA (non individuali) di gruppi di persone, cittadini comunitari (l’immaginaria democrazia fa parte dell’Unione Europea), che costituiscono una “minoranza etnica”, il tutto per questioni di “sicurezza sociale”. Ogni riferimento ad una qualsiasi nazione facente parte dell’Unione Europea è ovviamente puramente immaginario. <<Da cittadini comuni, sapete che il vostro governo sta facendo cose terribili ad una minoranza etnica, la situazione sta peggiorando, e si parla di “trasferimento”. In che senso potete “negare” tutto questo?

-         Deliberatamente, distogliete lo sguardo dalla realtà poiché non volete più sentire informazioni sgradevoli o non volete essere obbligati a prendere una posizione. Smettete di guardare la televisione, di leggere i giornali o di chiacchierare con i vostri amici che siano coinvolti a livello politico.

-         Non notate o non capite la natura di questa realtà perché, semplicemente, appartiene alla vostra visione scontata del mondo. Non percepite, letteralmente, che stia succedendo qualcosa di speciale o di inusuale.

-         Vedete cosa sta succedendo, ma rifiutate di crederci o non potete “assorbirlo”. Se questi fatti apparenti e le loro evidenti interpretazioni fossero veri, il vostro senso d’identità personale e culturale sarebbe seriamente minacciato.

-         Siete ben consapevoli della realtà emergente, ma lo negate verbalmente perché sostenete la politica, o vi infischiate di quello che sta succedendo. Siete dimentichi di ciò che accade; semplicemente non ve ne importa. Oppure state ottemperando ad un’ingiunzione formale da parte dello Stato o ad un tacito accordo culturale per i quali non si deve parlare di certe cose e si deve lasciar fare quelli che sanno il fatto loro.

-         Siete seccati, disturbati, perfino offesi per quello che sta succedendo, ma tacete per molte ragioni (paura di esporvi, impotenza, auto-protezione, mancanza di una soluzione evidente). Non protestate a livello personale (scrivere una lettera, fermare il gioco, dimettersi da un impiego governativo); non prendete parte ad una qualunque protesta collettiva.>>(Cohen S., 2002, p.50).

 

Stanley Cohen, il sociologo che ha scritto “Stati di negazione. La rimozione del dolore nella società contemporanea”(Carocci, 2002), sostiene che <<c’è un filo conduttore comune in tutte le numerose e diverse storie di diniego: alle persone, alle organizzazioni o ad intere società sono fornite informazioni troppo inquietanti, minacciose o anomale perché siano interamente assorbite o apertamente riconosciute. Pertanto tale informazione è rimossa, negata, messa da parte o re-interpretata. Oppure essa viene sufficientemente “registrata”, ma le sue implicazioni – cognitive, emotive o morali – sono evitate, neutralizzate o razionalizzate>>(Cohen S., ibidem, p.23).

Sigmund Freud, ne L’interpretazione dei sogni (1900), menziona la storiella del paiolo bucato: un uomo presta un paiolo e, una volta ricevutolo indietro, scopre che era bucato. A questo punto, alquanto seccato, va dalla persona a cui lo aveva prestato per protestare, ma costui reagisce con veemenza dicendo che a) quando lo aveva restituito, il paiolo era intatto, che b) era già bucato quando lo aveva ricevuto in prestito, e che c), in ogni caso, lui non ha mai ricevuto alcun paiolo. Perciò egli non ci vede alcun problema. Se questa storiella per Freud costituisce un artificio retorico per dimostrare come le tre tesi della difesa del secondo uomo, tra di loro incompatibili, possano coesistere nella “logica dell’inconscio”, per chi si occupa di psicopatologia delle istituzioni (terapeutiche e non) essa non può non porre una serie di questioni su quale sia lo statuto (se inconscio, laddove si colloca il diniego, o conscio, dov’è la menzogna e la malafede) di simili fenomeni patologici che in certi gruppi, come ad es. sotto l’egida dell’assunto di base di omertà, continuano a proliferare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NEGAZIONE, DINIEGO, DISCONOSCIMENTO, RIGETTO nell’opera di Freud

 

 

 
 

 

Classicamente nell’opera di Freud distinguiamo:

a) la negazione propriamente detta, corrispondente al termine Verneinung, detta anche “negazione logica”. Essa consente, almeno in parte,  il non ricorso alla rimozione attraverso una trasformazione linguistica (<<io non lo odio>>): qui non c’è alcuna rimozione né dell’affetto, né della rappresentazione, ma la negazione della loro appartenenza al soggetto[1]. Scrive Riolo:<<La trasformazione ha quindi come oggetto il giudizio di realtà e come teatro l’Io>>(Riolo, 2007). Nello scritto di Freud del 1925 Die Verneinung ritroviamo innanzitutto tutta l’eredità di temi già sviluppati nei suoi scritti precedenti: non c’è alcun “no” nell’inconscio (Freud, “L’interpretazione dei sogni”, 1900); i significati antitetici vengono connotati con la stessa parola primordiale nel nostro ancestrale Ursprache e così restano non differenziate nel nostro inconscio (Freud, “Il significato opposto delle parole primordiali”, 1910); un elemento nel contenuto manifestato di un sogno può essere un sostituto per il suo opposto nel desiderio latente (Freud, “Conferenze introduttive alla psicoanalisi”, 1916-1917). Qui si aggiunge che le affermazioni negative dei pazienti dovrebbero essere interpretate in forma positiva: << le negazioni, le antinomie e le inversioni denotano sempre i loro opposti (sebbene egli notasse che il contrario di questa affermazione non è vera: i positivi non implicano i loro negativi). E’ precisamente questo sovvertire la negazione che gli oppositori della psicoanalisi come scienza colgono al volo, dato che la scienza si basa su forme di inferenza logica per cui un “no” sicuro è essenziale>> (Litowitz, 1998). Freud esordisce in questo suo scritto con una serie di esempi, riassumibili nelle frasi (p. 197): <<Ora lei penserà che io voglia dire qualcosa di offensivo, ma in realtà non ho questa intenzione>>, <<Lei domanda chi possa essere questa persona del sogno. Non è mia madre>>, <<Mi è venuta una nuova idea ossessiva. Ho pensato lì per lì che potesse significare esattamente questo… Ma no, questo non può certo essere vero, altrimenti non mi sarebbe potuto venire in mente>>. Tutti questi esempi sono linguistici: affermazioni verbali che contengono un esplicito segno di negazione (“non”, “no”). Queste affermazioni, dice Freud, sono giudizi, ed i giudizi includono <<due  decisioni da prendere. Deve concedere o rifiutare una qualità a una cosa e deve accordare o contestare l’esistenza nella realtà a una rappresentazione>>(p. 198). Perciò, Freud ha ridescritto i suoi esempi in termini filosofici. In filosofia, come ci ricorda Litowitz (1998), <<spesso ci si riferisce a queste due decisioni come ad un predicato (attributo) e ad un referente (esistenza)>>. Quello che Freud fa a questo punto è abbinare a questi due tipi di decisioni due precursori evolutivi della capacità di negazione. La prima decisione relativa all’attributo ha a che fare con la primordiale capacità di emettere giudizi sulla base del principio di piacere. Egli comincia con la fase orale: ciò che viene preso dentro è buono ed interno, mentre ciò che viene sputato è cattivo ed esterno. Il principio di piacere che domina questa fase, comunque, dà il via al principio di realtà della fase successiva nel momento in cui il bambino ha bisogno di definire se quella cosa che prende dentro di sé e  che è buona è <<nel mondo esterno, di modo che ci si possa impadronire di essa  secondo il proprio  bisogno>> (p. 199). Quindi, la seconda decisione della funzione di  giudizio, quella sull’esistenza nella realtà e correlata con il principio di realtà, si sviluppa dalla prima, quella correlata agli attributi e al principio di piacere. In questo modo, Freud spiega il modo in cui ciò che è stato preso dentro di sé o sputato via, essendo diventato buono o cattivo ed interno o esterno, ora divenga soggettivo o oggettivo. Egli afferma: <<Il contrasto fra soggettivo ed oggettivo non esiste dall’inizio>> (p. 199). Questo giudizio sulla realtà esterna è una continuazione del processo originario per mezzo del quale l’io prende le cose dentro di sé o le espelle da sé secondo il principio di piacere.

 

 

 

 

b) il diniego o disconoscimento, corrispondente alla Verleugnung freudiana, viene introdotto da Freud per spiegare la psicopatologia della depersonalizzazione e del feticismo. La prima comparsa del concetto della Verleugnung (non del termine che comparirà nel 1923 in “L’organizzazione genitale infantile”) avviene nel 1894 con “Neuropsicosi da difesa”[2], in cui il diniego  verrebbe ad essere considerato una difesa più efficace della rimozione. Ma una difesa rispetto a cosa? Il diniego [Verleugnung, da leugnen che significa disconoscere, da non confondere con la semplice 'negazione' (Verneinung, il negare, il dire di no)], è una difesa da emozioni incompatibili con le convinzioni più profonde che il soggetto ha sviluppato nella sua esistenza. Nel diniego l'Io respinge la rappresentazione incompatibile unitamente al suo affetto, e si comporta come se la rappresentazione non si fosse mai formata nella sua mente. Come più tardi scrissero Laplanche e Pontalis nel “Dizionario di psicoanalisi”, la Veleugnung corrisponde ad un <<modo di difesa che consiste nel rifiuto, da parte del soggetto, di riconoscere la realtà di una percezione traumatizzante – in modo particolare la percezione della mancanza del pene nella donna. Freud invocò specificamente questo meccanismo con riferimento a feticismo e psicosi>>[3]Arnaldo Petterlini, in una sua relazione al 5° Congresso Internazionale di Neuro-Psicoanalisi (Roma, 2-5 settembre 2004) così spiegò il meccanismo del diniego: l'Io si strappa alla rappresentazione incompatibile, ma questa è radicata in un pezzo di realtà, e così l'Io finisce per strappare da sé un pezzo di realtà. Il diniego non entra in gioco solo come meccanismo di difesa nella produzione psicopatologica, ma è presente anche nello sviluppo psicologico normale (si pensi ad es., alla genesi del complesso di evirazione nel bambino). A differenza della negazione (Verneinung) non si tratta di una negazione del predicato verbale, ma di una negazione della realtà. Esso viene descritto in “Teorie sessuali dei bambini”(1908) e nel “Piccolo Hans”(1908) come diniego della mancanza del pene nella donna. Nell’opera del 1923  “L’organizzazione genitale infantile” (in cui compare per la prima volta il termine Verleugnung) Freud vi ritorna definendo il diniego come un meccanismo di difesa mediante il quale il soggetto rifiuta di riconoscere la realtà di una percezione negativa, cioè di una percezione contraria al principio di piacere[4]. Due anni dopo, nello stesso 1925 in cui comparve il lavoro Die Verneinung, in “Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi”[5], Freud tentò di mostrare come funzionasse per le bambine una negazione equivalente[6]. Nel saggio del 1927 “Il feticismo”, nel “Compendio di psicoanalisi” del 1938 e ne “La scissione dell’Io nel processo di difesa”, sempre del 1938, il diniego viene posto in relazione con la scissione dell’Io.  Nel feticista si effettua, <<attraverso una doppia negazione (<<non è vero che la donna non ha il pene>>), il disconoscimento di una “percezione di realtà” (quella del genitale femminile), al fine di annullare l’angoscia di castrazione>>(Riolo, 2007). Come riassume questo percorso Litowitz (1998), Freud osservò in “Feticismo” (1927) che due premesse contrarie vengono espresse dal feticista: egli vede che una donna non ha un pene ma rinnega (disavows) (verleugnen) tale realtà, avendo bisogno di credere che lei ce l’ha al fine di mitigare la propria angoscia circa la propria castrazione. Perciò, la scelta dell’oggetto del piede da parte del feticista non è un sostituto di alcun pene, ma del pene femminile (della madre) a cui il bambino  all’origine credeva, che ha “perso” più tardi, ma a cui non vuole rinunciare.

In una serie di lavori Freud aveva esplorato le differenze nelle difese che risultano da questo tipo di scissione nell’io (ossia, verso la realtà), ed in che modo ciò differisca dalla più familiare scissione all’interno dell’apparato psichico che definisce la rimozione. Nel “Compendio di Psicoanalisi” (1940) il diniego (disavowal) viene esteso oltre le psicosi per <<applicarsi ad altri stati più simili alle nevrosi e, infine, alle nevrosi stesse>>(p. 202). In “La scissione dell’Io nel processo di difesa”(1940) Freud estese il diniego oltre il feticismo verso una reazione generale presente nei bambini piccoli nei confronti della minaccia di castrazione. Infine, il diniego è “normalizzato” quando Freud lo posiziona come una difesa generale dell’infanzia: <<Riallacciamoci alla nostra tesi dell’io infantile che, sotto il dominio del mondo esterno reale, liquida le pretese pulsionali sgradite mediante le cosiddette rimozioni. La completiamo ora con l’ulteriore constatazione che l’Io, in questo stesso periodo della vita, si trova abbastanza spesso  nella condizione di doversi difendere da una richiesta penosa  che il mondo esterno gli pone,  ciò che gli riesce con il rinnegamento delle percezioni che gli rendono nota questa pretesa  della realtà. Tali rinnegamenti  si verificano molto spesso,  non solo nei feticisti, e ogniqualvolta riusciamo a studiarli si rivelano mezze misure, tentativi incompiuti di operare il distacco dalla realtà. Al ripudio si accompagna tutte le volte  un riconoscimento, sempre si instaurano due impostazioni contrastanti e tra loro indipendenti, le quali producono il dato di fatto di una scissione dell’io>> (1938, p. 630).

Quello che porta ad accostare il diniego ad una scissione all’interno dell’Io consiste nella constatazione che esistono due correnti antitetiche, una di disconoscimento ed una di riconoscimento della realtà esterna, che, pur essendo incompatibili, non sembrano influenzarsi tra di loro, e quindi più che un diniego della realtà, sembra trattarsi di un diniego reciproco. Il bambino non ha per nulla mantenuto inalterata la sua convinzione che le donne hanno un fallo. <<Ha mantenuto la sua convinzione, ma vi ha anche rinunciato>>(Freud S., 1927)[7]. Siamo nel cuore di quel PARADOSSO DELLA NEGAZIONE,  del paradosso di sapere e non sapere, di cui tratteremo nelle conclusioni.

 

c)    il rigetto o Verwerfung, che ha avuto successo nella psicoanalisi francese, a differenza della Verleugnung (il rifiuto inconscio della percezione di un fatto che, imponendosi nel mondo esterno, viene percepito come pericoloso per il soggetto), consiste nell’espulsione di contenuti psichici all’infuori del soggetto. Nel caso dell’Uomo dei lupi (1914), a proposito dell’atteggiamento del paziente nei confronti della castrazione,  Freud non menziona esplicitamente un meccanismo di difesa che però è anch’esso (come la Verleugnung) connesso con una scissione dell’Io. In questo paziente esistevano l’una accanto all’altra due correnti antitetiche: egli da un lato aveva in orrore l’evirazione, e dall’altro era disposto ad accettarla e a <<consolarsi con la femminilità a titolo di risarcimento. Continuava, poi, a restare virtualmente operante la terza corrente, la più antica e profonda, quella che si era limitata a respingere l’evirazione senza porsi neppure il problema di esprimere un giudizio circa la sua realtà>>(Conrotto F., ibidem, p.729). Freud usa in questo passaggio il verbo verwerfen, tradotto in italiano con “respingere”, e da allora questo meccanismo che consiste nel rigetto di una realtà come se non fosse per nulla esistente è conosciuto come Verwerfung.  scissione dell'fronti della castrazione, ccanismo di difesaPer J. Lacan essa, o meglio la forclusione[8], definisce ciò che è fuori della simbolizzazione, perché ciò che è stato rigettato dalla psiche non ha lasciato alcuna traccia in essa, ma ritorna nel reale sotto forma di delirio o di allucinazione (cfr. Kaës, “Le alleanze inconsce”, 2010, p.61). Quindi per Lacan la forclusione consiste nel rigetto di un significante al di fuori dell’universo simbolico del soggetto, ovvero <<nel rifiuto dell’iscrizione di un significante nella catena simbolica>>(Conrotto, ibidem, p.729). Se fino alla introduzione della “forclusion”, la Verwerfung freudiana era rimasta senza un equivalente in francese, molti anni dopo di Lacan Laplanche la tradusse come “reiezione”[9]. Alla Verwerfung freudiana possiamo accostare una serie di concetti sviluppati da psicoanalisti dagli orientamenti più vari (cfr. Kaës, ibidem, p.61): si va dalla “estroiezione” di E. Weiss, alla “escorporazione” di Green, al diniego della realtà psichica di M. Klein, per la quale si può schematicamente parlare di uno sviluppo del concetto di diniego, nel corso della sua opera, da una versione molto vicina alla Verleugnung freudiana (diniego della realtà esterna)  ad una più originale, assimilabile alla Verwerfung freudiana (diniego della realtà psichica).

 

La distinzione tra queste tre forme di negazione (negazione propriamente detta, diniego e rigetto), come dimostra l'articolo di Litowitz "Una linea di sviluppo per la negazione: rigetto, rifiuto, diniego"(ed.orig.1998, per la prima volta tradotto in italiano in questo numero di Frenis Zero), può trovare nella psicolinguistica dello sviluppo una sua giustificazione anche al di fuori del campo strettamente psicoanalitico.

 

Tutte e tre queste trasformazioni vanno comunque distinte dalla rimozione (Verdraengung). In particolare, il diniego e la rimozione sono nettamente distinguibili, in quanto la seconda è rivolta alla soppressione di un’istanza pulsionale dal mondo interiore (Riolo, 2010), mentre la prima nega un pezzo della realtà esterna[10]. Per questo, diversi autori mettono in correlazione il diniego con la psicosi. E’ infatti possibile che i due movimenti opposti, la negazione della percezione della realtà ed il riconoscimento di questa, coesistano l’uno accanto all’altro senza annullarsi reciprocamente, producendo una doppia realtà psichica, dominata da una scissione all’interno dell’Io, senza rimozione (in quanto non c’è in questo caso conflitto tra Io ed Es)(Freud, “Feticismo”, 1927; “Compendio di Psicoanalisi”, 1938).

Un tratto comune alla rimozione ed al diniego, quindi, è che<<è anzi un carattere generale delle nevrosi>> che <<in relazione a un determinato comportamento esistano due impostazioni nella vita psichica della persona, tra loro contrastanti  ed indipendenti>>; nel caso delle nevrosi, <<una di esse appartiene all’Io, e l’altra, essendo rimossa, all’Es>> (“Compendio di psicoanalisi”, p. 631). Perciò, la rimozione rappresenta una scissione orizzontale nell’apparato psichico (tra Io ed Es): “So e non so ciò”. Al contrario, il diniego rappresenta una scissione verticale nell’io vis-à-vis della percezione della realtà: “Vedo ciò e non lo vedo”.  Il diniego, quindi, fornisce un mezzo per evitare la rimozione nella forma di “Io dico ciò [che è rimosso] e non lo dico”; o, in modo più adeguato, “E’ vero e non è vero”.

 


 
 

SVILUPPI POST-FREUDIANI: E’ solo un problema di traduzione?

 

 

Nel discutere le differenze tra Verneinung e Verleugnung incorriamo in un problema fondamentale di traduzione: ogni lingua contiene un insieme di termini per un campo semantico-concettuale, ma questi insiemi non stanno tra di loro in una corrispondenza del tipo uno ad uno. Laplanche e Pontalis (1968) scrivono a proposito di questo problema di traduzione: <<Nella concezione  linguistica comune, non esistono sempre per  ogni lingua distinzioni nette  tra i vari termini che indicano l’azione di negare e tanto meno esistono  corrispondenze biunivoche tra i diversi termini da una lingua all’altra>>(p. 327). Conseguentemente, i traduttori devono fare delle scelte.

I curatori della "Standard Edition" fecero la scelta seguente nel tradurre l’articolo di Freud del 1925, intitolato in tedesco “Die Verneinung”: <<Il tedesco verneinen viene qui tradotto con “negare”(to negate) invece che con il più comune “to deny”, al fine di evitare confusioni col tedesco verleugnen che è stato reso anche in passato con “to deny”. In questa edizione “to disavow” è stato in generale usato per tradurre la seconda parola tedesca>>(S.E., p. 235, n.2). Secondo Litowitz, se fosse stato tradotto come  denial, la stretta connessione qui notata tra l’argomentazione di Freud e ciò che la filosofia del linguaggio chiama negazione proposizionale forse sarebbe stata più evidente. Purtroppo denial era stato già usato come traduzione di Verleugnung.

Laplanche e Pontalis (1968) notano un’ulteriore confusione dovuta ai significati multipli di Verneinung: <<In tedesco Verneinung designa la negazione nel senso logico o grammaticale (non esistono i verbi ‘neinen’ o ‘beneinen’), ma anche la smentita (denial) nel senso psicologico (rifiuto di un’affermazione che  ho enunciato o che mi si attribuisce, per esempio, “No, non l’ho detto, non l’ho pensato)”. Verleugnen (o  leugnen) si avvicina a verneinen inteso in questo secondo senso:  rinnegare (to disown), rifiutare (to deny), sconfessare (to disavow), smentire (to refute)>>(p. 327). In questi esempi, in termini logici, l’operatore negativo si è spostato fuori dell’affermazione proposizionale (-P), verso un’affermazione ad un livello  più alto della proposizione: “Non ho conosciuto ciò (P)”.

 

Riguardo a verleugnen (to disavow), Laplanche e Pontalis (1968) così scrivono: <<Nell’uso freudiano, sembra si possano legittimamente  distinguere due usi diversi per  verneinen e verleugnen. Verleugnen tende infatti, verso la fine dell’opera di Freud, a essere  riservato [tradotto dai curatori della Standard Edition con ‘disavowal’, N.d.A.] per designare il  rifiuto della percezione di un fatto che si impone nel mondo esterno>>(p. 327). Purtroppo, comunque, la distinzione non resta chiara, persino per Freud, che ha anche usato la parola diniego (disavowal) per descrivere la disgiunzione dell’idea dall’affetto, dove l’affetto viene rimosso [Verdraengung]  ma l’idea viene denegata (disavowed, Verleugnung) (Freud, “Feticismo”, 1927, S.E., p. 153). In alternativa, altri autori hanno usato la parola diniego (disavow) per descrivere un affetto/idea scisso in cui l’affetto è denegato (disavowed). Per complicare le cose ancora di più, verleugnen può anche significare “rinnegare”(disown) come quando si percepisce la realtà esterna e si può anche sperimentare l’affetto ma si sente che ciò non ci è proprio (dis-own) (ad es., esso appartiene ad un altro, come nella proiezione).

Basch (“The perception of reality and the disavowal of meaning”, Annual of Psychoanalysis, 1983, 11, pp. 125-153) ha discusso le difficoltà nel tradurre tali verbi tedeschi nei testi freudiani ( leugnen, verneinen) quando Freud ha creato sostantivi (Verleugnung, Verneinung) per l’uso in un vocabolario specializzato. Basch, nella sua rassegna molto accurata della storia del concetto di diniego (disavowal, Verleugnung) nell’opera di Freud (come anche nella letteratura successiva), conclude che non è la realtà percettiva di per sé, ma solo il suo significato ad essere ripudiato nel diniego.  In senso evolutivo, Basch (“Psychoanalytic interpretation and cognitive transformation”, IJP, 1981, 62, pp. 151-175) ripete l’affermazione di Freud secondo cui il diniego (disavowal) è una difesa precoce ubiquitaria, ma poi aggiunge che esso è più precoce della rimozione, la quale perché appaia deve aspettare la risoluzione del complesso edipico.

Nel corso della storia della psicoanalisi, la negazione (denial) come meccanismo di difesa è stato molto discusso, ma ben poco si è fatto per non ingenerare ulteriori confusioni, non solo imputabili alla traduzione. Anna Freud (“L’io e i meccanismi di difesa”, ed.orig. 1936) espone una ricca discussione sulla negazione (denial) mediante la fantasia, sulla negazione con le parole e con le azioni.

Non c'è qui spazio per una disamina dell'evoluzione dei concetti di negazione e di diniego nell'opera di Melanie Klein e dei post-kleiniani (Bion, Money-Kyrle, Jaques, Steiner, ecc.), su cui ci si soffermerà nella pubblicazione del libro "Psicoanalisi e luoghi della negazione". Anche l'arricchimento che la psicoanalisi francese, ed in particolare René Kaës col suo concetto di "patto denegativo", ha apportato al ruolo del diniego nell'ambito, da una parte, dei gruppi terapeutici e dell'analisi istituzionale e, dall'altra, della trasmissione transgenerazionale delle condizioni traumatiche o più in generale del "negativo", verrà esaminato nel suddetto libro.

 

 

LE RELAZIONI DEL CONVEGNO E... QUALCOSA IN PIU'

 

 

Rispetto alle relazioni del convegno "Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della negazione", in questo numero della rivista Frenis Zero, potete leggere qualcosa in più.

Innanzitutto, abbiamo voluto tradurre per la prima volta il lavoro del 1998 di Bonnie Litowitz "Una linea di sviluppo per la negazione: rigetto, rifiuto, diniego", articolo più volte richiamato in questo editoriale per la sua importanza nell'aver trovato nella psicolinguistica dello sviluppo dei buoni argomenti per sostenere la tripartizione freudiana tra Verneinung, Verleugnung e Verwerfung.

Poi, vi proponiamo la presentazione che Giuseppe Gigante, compositore di Lecce, ha voluto fare alla sua "favola musicale per bambini dedicata al giorno della memoria" ed intitolata "Il coraggio di Mischke".

In più, Laura Montani, psicoanalista membro ordinario della S.P.I.,  pur non avendo partecipato al convegno di Lecce, ci ha regalato questo suo testo, dal titolo "Sublime negativo", che inaugura un nuovo spazio da lei curato su Frenis Zero: SPAZIO ROSENTHAL. Si tratta di uno spazio di riflessione sul femminile traendo spunto dai contributi più attuali della psicoanalisi contemporanea. Con Laura abbiamo voluto dedicarlo alla figura di Tatiana Rosenthal, la quale non è stata solo la pioniera della psicoanalisi in Russia, ma il cui coraggio intellettuale e politico deve continuare ad essere un esempio per le istituzioni psicoanalitiche contemporanee che rischiano di difendersi dai disagi della modernità mettendo in atto quell'"adattamento a qualsiasi cosa" di cui nel convegno di Lecce ha parlato Silvia Amati Sas.

Ed, infine, abbiamo colto l'occasione del convegno leccese imperniato sulla negazione per riproporre un resoconto su un convegno del 2004, organizzato dalla "Neuro-psychoanalytical Association" a Roma e intitolato "Scissione, diniego e narcisismo: prospettive neuropsicoanalitiche sull'emisfero destro". In tale resoconto abbiamo messo in evidenza i punti più salienti del dibattito neuro-psicoanalitico attuale sul diniego, evidenziandone pure i punti di debolezza che allo stato attuale tale approccio presenta, specie sull'equiparazione tra diniego ed anosognosia ("neglect"). Questo resoconto, già apparso su Frenis Zero, fungerà da spazio di discussione tra psicoanalisi e neuroscienze, come da tradizione ad ogni uscita della rivista, nella sezione ad essa dedicata e chiamata "Rivista di Psicoanalisi Neuro-Evolutiva".

 

   
 
 

 

   
   
 

 

   
  CONCLUSIONI: IL PARADOSSO DEL NEGARE
 

 

Quello che ci sembra una caratteristica imprescindibile del concetto psicoanalitico della negazione, e che ancora le neuroscienze non riescono ad afferrare,  è l’’ineliminabile paradosso ad essa correlato. Anzi, si potrebbe dire con Stanley Cohen che <<il concetto di diniego ha un qualche significato solo nel caso che esista, o si sospetti, questo stato contraddittorio. In Feticismo (1927) Freud descrive due ragazzi che negano la morte del padre: ma la mancanza di riconoscimento di essa coesisteva con unaltra tendenza, che prendeva atto del fatto. Il lavoro di Freud sul feticismo introdusse la nozione di un nesso tra diniego e scissione dellIo, che riproporrà, come abbiamo visto, fino alle sue opere più tarde, Compendio di psicoanalisi(1938) e La scissione dellIo nel processo di difesa(1938)[11]. Il feticista nega la percezione della mancanza del pene femminile e, al contempo, riconosce tale assenza e  lansia che questo comporta. La negazione è sempre integrata dal riconoscimento per Freud[12]. Allora come possiamo rispondere  alla domanda che ci siamo posti allinizio: è possibile pensare il paradosso del diniego della memoria? E la negazione non coesiste sempre con il riconoscimento, anziché essere il suo opposto logico? E se usciamo dal "setting" strettamente analitico, come pensare questa embricazione tra diniego  e riconoscimento?  Se il terapeuta sa (se il paziente veramente sa o sapeva ciò che viene negato),  perché vede i sintomi, i sogni, i lapsus e gli agiti del paziente, nelle istituzioni oppure  in un gruppo di vittime o di testimoni di una violenza collettiva, <<come faccio a sapere che loro devono aver visto quel che pretendono di non aver visto?>>[13]. Qui non è il caso di appellarsi  al contratto col testimone, per cui non bisogna mai metacomunicare su quello che egli dice, valido in altri ambiti come quello della storiografia. E, ancora, secondo paradosso: <<perché, allora, è un paradosso che il diniego ci dia sollievo da unangoscia immediata, ma noi  si debba rinunciare al suo conforto per rimanere vigili contro i pericoli a lungo termine?>>[14]. Forse è possibile che attraverso questo altalenare tra bisogno inconscio di non sapere, spinte, anche attraverso i sintomi, al far emergere  ciò che è inquietante, ripresa di resistenze e nuove emergenze, abbia in fondo in fondo ragione Bollas quando scrive che <<ognuno di noi è consapevole in se stesso dei meccanismi del diniego, del nostro bisogno di essere innocenti di un inquietante riconoscimento>>[15]. E forse solo la forza primigenia del mito ci può venire incontro nellaffrontare dilemmi di tale complessità. Pensiamo al mito di Edipo. Edipo è il più grande denegatore della storia[16], forse il primo negazionista. La brillante rilettura del suo mito da parte di John Steiner[17] risulta illuminante per queste intricate questioni. Si potrebbe sintetizzare il dilemma denegatore posto al centro del mito sofocleo con la formula: <<cosa ci trattiene nellandare oltre nella ricerca della verità?>> Ed, ammesso che riuscissimo ad avviare questo processo, <<cosa facciamo della verità, una volta che scopriamo che è la verità?>>[18]. Si tratta di interrogativi altamente filosofici, a cui la psicoanalisi non può che essere congenitamente sensibile dato il suo statuto scientifico, ma a cui essa, per sua stessa natura, come ha mostrato il suo fondatore, cerca di dare una risposta guardando anche a saperi non scientifici, come al mito. Il paradosso della negazione affascinava Freud: egli <<era affascinato dallidea che fatti imbarazzanti della vita possano essere gestiti da accettazione e negazione contemporaneamente>>[19], ma Freud era al contempo insoddisfatto di questa soluzione di compromesso che consiste nel negarli e nel riconoscerli allo stesso tempo. E una falsa soluzione. <<Invece di usare l"insight" per integrare questa scissione delle percezioni, il soggetto usa argomenti perversi per presentare i fatti in modo falsato – un modo di trattare la realtà che, nelle parole di Freud, merita quasi di essere definito astuto>>[20]. Una tale astuzia farebbe quasi abdicare la psicoanalisi dalloccuparsi dellinconscio riguardo a tali dinieghi, tanto essi sembrano così ben congetturati. Nella lettura di Steiner del mito di Edipo troviamo un doppio livello di paradosso della negazione: quello individuale delleroe e quello collettivo. Edipo, ben lungi dallignorare del tutto di aver ucciso il padre, re Laio, e di aver sposato la madre, Giocasta, tuttavia non ha il quadro completo dei fatti. Come scrive Steiner, <<li conosceva a metà e ha deciso di non vedere questa mezza conoscenza>>[21]. Ma cè poi anche il livello del diniego collettivo: Tiresia, Creonte, Giocasta i dignitari di corte, gli anziani, insomma la gran parte dei personaggi della tragedia sofoclea concorrono, attraverso delle alleanze inconsce denegatrici e alienanti, ad unirsi ad Edipo nel creare una messinscena di una copertura connivente. Essi, pur conoscendo lidentità di Edipo e pur avendo realizzato cosa egli avesse fatto, avevano ottime ragioni per sfuggire alla loro conoscenza. Dal canto suo, leroe, ha anchegli buone ragioni (più o meno inconsce) per abbandonare persino questa mezza conoscenza che è riluttante a riconoscere, per cui egli fa propria una facciata, una persona o meglio un personaggio (secondo un concetto caro a Resnik nellanalisi degli schizofrenici), che persuade se stesso e gli altri ad accettare.

<<Sembriamo avere accesso alla realtà, ma scegliamo di ignorarla perché questo si rivela conveniente>>[22]. Possiamo pensare che anche i bravi tedeschi che abitavano ad un tiro di schioppo dal campo di Auschwitz applicassero alla lettera questa regola così chiaramente esplicitata da Steiner? Abbiamo bisogno di essere innocenti di un inquietante riconoscimento[23] e pertanto ci rifiutiamo di percepire e di riconoscere le tante ambiguità (come quelle di cui è ricca la vicenda edipica) in cui ci imbattiamo: voltiamo le spalle alle nostre intuizioni (insights) e nascondiamo a noi stessi le loro implicazioni. Come avviene quando la caduta di un confine (geopolitico – si pensi al muro di Berlino -, ma anche intersoggettivo o intrapsichico) ci fa trovare impreparati ad affrontare una nuova sfida con noi stessi. Silvia Amati Sas, rifacendosi a Bleger, in uno scritto[24] pubblicato dalle Edizioni Frenis Zero, scrive che <<l’eliminazione di un confine segnala il miglioramento  della comunicazione, la caduta di barriere e differenze. Ma comporta anche dei disorientamenti, degli squilibri, quella rottura dello stereotipo di cui parla Bleger (Bleger, J., 1966), di quelle ‘rigidità’ ormai assodate su cui fondiamo una sicurezza fasulla>>. Sono forse queste sicurezze fasulle a far sì che <<siamo vagamente consapevoli che scegliamo di non guardare ai fatti senza essere coscienti di che cosa stiamo sfuggendo>>[25]? E nei tanti revisionismi storici, per non dire negazionismi (di cui Janine Altounian ha dato una lettura psicoanalitica nel suo articolo in questo numero di Frenis Zero "Di fronte al negazionismo: il ruolo delle istanze terze nella vita psichica e politica  degli eredi dei sopravvissuti"), che oggigiorno pullulano sulla carta stampata e nella letteratura storica, come non avvertire la tensione drammatica tra il desiderio di sapere e la paura di sapere al cospetto di una catastrofe dell’umanità e della civiltà. Ciò che rende Edipo un eroe è il punto del culmine, del “climax” della tragedia: l’accecamento sancisce il punto in cui si sbarazza di ogni ambiguità, riconosce i fatti e la propria colpa e, devastato dall’aperta rivelazione della verità, viene sopraffatto da una verità troppo terribile da sopportare. Quello che conferisce una statura eroica al personaggio di Edipo è, con le parole di Steiner[26], <<che riesce a perseverare nella sua ricerca della verità, superando quella riluttanza a sapere che lo aveva così dominato nel passato>>. Ma il chiudere gli occhi si addice più ai testimoni che ai veri colpevoli. L’altro modo di evadere le realtà della sofferenza personale e di massa è quella di ritrarsi dalla verità verso l’onnipotenza. Così, Edipo, dopo esser divenuto cieco, - di ciò si tratta nell’altra tragedia sofoclea L’Edipo a Colono – non può più non vedere, ma adotta una modalità di pensiero onnipotente che lo accomuna ai più efferati e paranoici negazionisti: mostra disprezzo per la verità, passa al diniego implicito, o meglio ad un’ipocrisia assolutrice di sé e incolpante degli altri. <<Non nega i fatti di per se stessi poiché è troppo tardi per fingere che non ha ucciso suo padre e sposato sua madre, ma egli nega responsabilità e colpa e pretende che questi torti siano stati inflitti a lui più che da lui>>[27]. Ci piace concludere a questo punto con le parole di Cohen: <<Questa è sicuramente la vera voce della “nuova barbarie” dei conflitti etnici nazionalisti, con i suoi ingannevoli circuiti di farisaica onnipotenza e giustificazione di sé incolpando gli altri>>[28]. E, aggiungerei, la vera voce di molte istituzioni (politiche, sociali o curative) che rinnegano qualsiasi tentativo di sforzo evolutivo, rendendosi impermeabili del tutto ad una super-visione, cioè ad una visione più ampia presa da un meta-livello più onnicomprensivo[29]


 
 
 

 

   
   
  Note:

 


[1] Cfr. la voce “Trasformazione” curata da Fernando Riolo di “Psiche. Dizionario storico di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze”, Einaudi, Torino 2007.

[2] <<Il Sé rifiuta l’idea insopportabile insieme al suo affetto associato e si comporta come se l’idea non fosse assolutamente mai venuta in mente alla persona>>(Freud S., Le neuropsicosi da difesa, in Opere, Boringhieri, Torino, 1968, vol.2.

[3] Laplanche J., Pontalis J.-B., Vocabulaire de la psychanalyse, Presses Universitaires de France, Paris 1967 (trad.it. Laterza, Roma-Bari 1973).

[4] <<Sappiamo come i bambini (cioè i maschi) reagiscono alle loro prime impressioni dell’assenza del pene. Negano questa mancanza e credono di vedere nonostante tutto un membro>>(Freud S., L’organizzazione genitale infantile, in Opere, Boringhieri, Torino 1977, vol.9.

[5] In Opere, Boringhieri, Torino 1978, vol.10.

[6] <<Il destino della bambina è quello di trasformare quell’improvvisa scoperta in invidia – che lei non possiede questo grosso, visibile, ed ovviamente superiore, organo. A differenza del bambino che nega immediatamente, “o non vede niente”, la bambina assegnerà importanza psichica alla sua scoperta solo molto più tardi. Ma anche sul momento si comporta in modo diverso. In una frazione di secondo esprime un giudizio:”Lo ha visto, sa di non averlo  e vuole averlo”(Freud, 1925). Freud ci dice che questa speranza di ottenere un pene e il desiderio, malgrado tutto, di diventare un uomo può perdurare fino ad un’età incredibilmente avanzata e può diventare il motivo di azioni strane ed altrimenti inspiegabili. “O, ancora, può intervenire un processo che vorrei chiamare ‘diniego’, un processo che non sembra essere né raro né molto pericoloso nella vita psichica dei bambini, ma che nell’adulto sarebbe il punto di partenza di una psicosi”(Freud, 1925). “Così – continua Freud – una bambina può rifiutare di affrontare la realtà della castrazione, può irrigidirsi nella convinzione che possiede un pene e può successivamente sentirsi costretta a comportarsi come se fosse un uomo”(Freud, 1925)>>(Cohen S., Stati di negazione, 2002, p.52).

[7] Freud S., Feticismo, in Opere, Boringhieri, Torino 1978, vol.10. Questo è anche il motivo per cui Freud respinge il modello della scotomizzazione per spiegare il diniego (si veda oltre).

[8] André Green, nel suo libro “Il lavoro del negativo”(Borla, Roma 1996) esplicita il proprio debito che Lacan avrebbe dovuto riconoscere nei confronti di Damourette e Pichon, i primi a coniare il termine “forclusion”, prendendolo a prestito dal diritto. <<La forclusione è la perdita di un diritto per mancanza di esercizio dei termini prescritti. Di fatto questo termine designa l’esclusione>>(Green A., Il lavoro del negativo, Borla, Roma 1996, p.32).

[9] Cfr. Green A., op. cit., p.37.

[10] <<Verleugnung (…) si riferisce all’idea; Verdraengung, che significa “rimozione”, deve essere riservato all’affetto>>(Cohen S., Stati di negazione, 2002, p.53).

 

[11] In Opere, Boringhieri, Torino, 1979, vol.11.

[12] <<Essi persistono fianco a fianco per tutta la loro vita, senza influenzarsi reciprocamente. Ecco cosa può essere correttamente definito una scissione dell’Io>>(Freud S.,  Compendio di psicoanalisi, in Opere, Boringhieri, Torino 1979, vol.11.

[13] Cohen  S., Stati di negazione, Carocci, Roma 2002, p.55.

[14] Cohen S., Stati di negazione, Carocci, 2002, p.58.

[15] Bollas Ch.,  Being a character:Psychoanalysis and self experience, Routledge, London 1993, p.167 (trad.it. Borla, 1995).

[16] Cohen S., Stati di negazione, Carocci, 2002, p.59.

[17] Steiner J., Turning a blind eye: the cover up for Oedipus, in IJP, 12, 1985, p.163.

[18] Cfr. Cohen S., Stati di negazione, Carocci, 2002, p.59.

[19] Cohen S., Stati di negazione, Carocci, 2002, p.54.

[20] Cohen S., Stati di negazione, Carocci, 2002, p.54. Cfr. Steiner John, The Relationship to Reality in Psychic Retreats, in Psychic Retreats: Pathological Organizations in Psychotic, Neurotic and Borderline Patients, Routledge, London, 1993, pp.88-115 (trad.it. Bollati Boringhieri, Torino 1996).

 

[21] Steiner J., Turning a blind eye: the cover up for Oedipus, in IJP, 12, 1985.

[22] Steiner J., Turning a blind eye: the cover up for Oedipus, in IJP, 12, 1985.

[23] Bollas Ch.,  Being a character:Psychoanalysis and self experience, Routledge, London 1993, p.167 (trad.it. Borla, 1995).

 

[24] Amati Sas S., L’ambiguità come difesa in condizioni di trauma estremo, in “Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria”, Edizioni Frenis Zero, Lecce 2010, pp.277-294.

[25] Steiner J., Turning a blind eye: the cover up for Oedipus, in IJP, 12, 1985.

[26] Steiner J., The Retreat from Truth to Omnipotence in Sophocles “Oedipus at Colonus”, in International Review of Psychoanalysis, 17, 1990, pp.227-237.

[27] Steiner J., The Retreat from Truth to Omnipotence in Sophocles “Oedipus at Colonus”, in International Review of Psychoanalysis, 17, 1990, pp.227-237.

[28] Cohen S., Stati di negazione, Carocci, 2002, p.62.

[29] Come risulta dall’analisi di certe istituzioni di cura da parte di René Kaës nel suo testo “Il lutto dei fondatori nelle istituzioni”, in L’istituzione in eredità, a cura di R.   Kaës e O. Nicolle, Borla, Roma 2008.

 

   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

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