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Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività | ||||||||||||||||||
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Key words: nosography child adolescent psychiatry classification DSM-IV diagnosis nosographie enfant adolescent psychiatrie classification DSM-IV diagnostic
Bisogna riconoscere che psicopatologia dinamica e nosografia non sono inconciliabili ma si pongono su piani diversi, ciascuna con proprie finalità. Inoltre si deve ammettere l'incidenza delle inclinazioni personali che orientano verso la valorizzazione o la svalutazione dei criteri nosografici. Le mentalità più schematiche si adagiano facilmente su comode quanto rigide e artificiose classificazioni, mentre le personalità scettiche non nutrono eccessiva fiducia sulla possibilità di incasellamento. Più generalmente, e quindi con maggiore arbitrio, si può anche ipotizzare che l'inclinazione all'ottimismo e la tendenza all'oggettività si conciliano con un orientamento favorevole al nosografismo, al contrario del pessimismo e del subiettivismo. E' evidente, poi, che ogni adesione acritica a questa o quella ideologia o corrente di pensiero psichiatrico così come certi fanatismi esclusivistici costituiscono il terreno meno adatto per un equilibrato accostamento agli studi nosografici. Qualche analogia ci sembra si possa richiamare con le questioni poste in psicologia dell'età evolutiva sulla possibilità di definire i profili intellettivi e di personalità delle varie età. Ormai, dopo i fondamentali contributi di Piaget, ogni controversia può considerarsi superata nel senso che i confini e le tappe cronologiche evolutive, pur essendo abbastanza conosciute e caratteristiche per ogni età, si presentano con tempi e modi particolari per ogni soggetto. Foto: J. Piaget Queste differenze non impediscono la descrizione del pensiero e del comportamento infantile alle varie età. Allo stesso modo possiamo accogliere la possibilità di fissare in termini standardizzati una iconografia di massima dei quadri clinici, malgrado la plasmabilità della personalità in evoluzione che rende alquanto flou ed in continua rielaborazione il mondo interiore del fanciullo, rendendone difficile la 'messa a fuoco', specie per gli aspetti abnormi. Ciò non esclude la prospettiva di un progressivo perfezionamento dell'attuale nosografia; al contrario si può prevedere che molte incertezze e perplessità potranno essere superate. Cento anni addietro, agli albori della fotografia, le istantanee delle figure in movimento riuscivano mosse e sfocate. Oggi il progresso della tecnica consente di riprendere con ottimi risultati queste scene. 6. Alla luce delle considerazioni svolte, crediamo di dover respingere le tesi estreme del rifiuto di ogni nosografia, così come la pretesa di un nosografismo accanito. In atto converrà mantenere l'approccio sindromico facendo riferimento al concetto di 'unità naturale della malattia', quando ciò è possibile. Nella maggior parte dei casi in cui, ad esempio, mancano ancora dati certi sull'etiopatogenesi, sarà solo la costellazione dei sintomi ad orientare la diagnosi. Le grandi sindromi descritte nella trattatistica antica e recente conservano, dunque, la loro validità e rappresentano l'ossatura nosografica di base. Le elenchiamo sommariamente: le insufficienze mentali; le psicosi; le depressioni ed i più rari stati di esaltazione maniacale; le strutturazioni e le reazioni nevrotiche; le malattie psicosomatiche. Più controverso è il capitolo delle disarmonie evolutive e quello delle demenze e delle caratteropatie. Accanto a queste sindromi, che naturalmente assumono manifestazioni diverse anche in rapporto all'età, vi è poi una serie di turbe che interessano varie funzioni: alimentazione, sonno, psicomotricità, sessualità, controllo sfinterico, linguaggio. Ci sembra che, almeno provvisoriamente, questa classificazione adottata da De Ajuriaguerra possa essere accettata e condivisa come soluzione pragmatica. Non riteniamo invece, come già affermato, che il DSM III e il DSM IV, elaborati per iniziativa dell'American Psychiatric Association, al pari delle altre proposte di classificazione dei disturbi mentali, possano costituire una soluzione soddisfacente almeno per quanto riguarda l'età evolutiva. Il DSM IV contiene un ampio capitolo sui "Disturbi che esordiscono di solito nell'infanzia, fanciullezza ed adolescenza". Esso è stato presentato in Italia come "strumento diagnostico efficace ed insostituibile", pur esprimendo una cultura psichiatrica diversa da quella prevalente in Europa ed in Italia segnatamente; sono emerse perplessità e critiche dopo le prime applicazioni. Non sembra pertanto che il DSM IV possa ritenersi la risposta alla diffusa esigenza di classificazione poiché ripropone equivoci e ambiguità che derivano dalle conoscenze insufficienti sull'etiopatogenesi delle malattie infantili. Esso è, in sostanza, uno strumento solo in apparenza neutro, che tenta di conciliare concezioni teoriche ed approcci diversi, pur presentandosi ambiziosamente, come una summa di psichiatria senza alcuna pregiudiziale. Il suo limite principale consiste nel ricondurre tutto il funzionamento mentale del bambino al suo comportamento, trascurandone la dinamica e il contesto ambientale. A noi pare che esso rifletta essenzialmente orientamenti culturali prevalenti in Nord America. Inoltre, pur essendo finalizzati all'individuazione dei sintomi, può orientare verso condotte terapeutiche ed operative che privilegiano particolari ipotesi patogenetiche. Questi rischi appaiono ancor più gravi se si considera che il DSM IV viene presentato come strumento utilizzabile anche da operatori socio-sanitari privi di specifica competenza psichiatrica. Nella nostra esperienza abbiamo rilevato che esistono una serie di difficoltà, in gran parte insormontabili, che ostacolano l'applicazione del DSM IV nell'infanzia e nella fanciullezza, giustificando pertanto alcune obiezioni anche alla sua validità teorica. Ne indichiamo sommariamente le principali: 1. in psicopatologia infantile lo stesso comportamento può essere giudicato normale o morboso, non soltanto per la sua persistenza o intensità, ma anche in riferimento ad alcuni parametri peculiari (età in cui si manifesta, contesto familiare e relazionale, associazione con altri fenomeni, rapporto con eventi scatenanti...). 2. Quando anche venga giudicato espressione di condizione morbosa, lo stesso fenomeno può rilevarsi nelle più diverse sindromi o entità nosografiche (ad es.: talune fobie, turbe dell'alimentazione, rifiuto della scuola). 3. Ciascuno neuropsichiatra infantile utilizza, più o meno esplicitamente o inconsapevolmente, criteri di riferimento ispirati alle sue impostazioni concettuali. Anche nell'inquadrare questo o quel fenomeno egli, dunque, si riferirà a quell'approccio che più lo convince (organicistico, behavioristico, freudiano, sistemico) e che finisce con l'orientare la valutazione e quindi il criterio diagnostico nell'operatività giornaliera. Se, dunque, queste e altre difficoltà e resistenze impediscono o ostacolano un criterio di classificazione da tutti accettabile, possiamo chiederci se è possibile che qualsiasi manuale diagnostico possa essere utilizzato da tutti gli operatori della salute mentale infantile, almeno fin quando persisteranno nette diversità tra le varie correnti della psicopatologia. Noi crediamo che questo obiettivo non sia almeno per il momento perseguibile; diventa allora inutile e fuorviante porselo o pretendere di imporlo. Qualunque soluzione proposta deve almeno fare esplicito riferimento alle teorie cui si ispira: potrà essere così condivisa ed applicata da quanti vi si riconoscono. Così avrebbe dovuto essere per il DSM IV, presentato come uno strumento buono per tutti, mentre esso è chiaramente fondato su impostazioni comportamentistiche. Chi non le condivide preferisce accontentarsi di una classificazione puramente, o al più parzialmente, sindromica, evitando scelte diagnostiche che possono alimentare confusioni o ambiguità. Così è per quanti valorizzano i fattori evolutivi e maturativi e riconoscono l'importanza del contesto socio-culturale e delle componenti reattive. D'altra parte la prevalenza dei sintomi subiettivi, di difficile valutazione, suggerisce l'opportunità di accontentarsi di un glossario comune per la loro definizione per favorire lo scambio di esperienze, rinunciando per il momento a strumenti più complessi e controversi (come il DSM IV). Già un repertorio unificato dei sintomi favorirebbe l'adozione di una terminologia definita e concordata, costringendo ad uno sforzo di precisione anche concettuale. Riteniamo che un manuale diagnostico come il DSM IV, patrocinato dai nuovi kraepeliniani, tende a riproporre e a generalizzare modelli di matrice organicistica che non condividiamo.
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