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NOSOGRAFIA IN PSICHIATRIA DELL' ETA' EVOLUTIVA 

 

di Mario Scarcella* 

 

già Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile - Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche - Università di Bari

                                              

   

Key words: nosography  child adolescent  psychiatry classification DSM-IV  diagnosis 

                   nosographie   enfant adolescent  psychiatrie  classification DSM-IV  diagnostic

L'esigenza di una 'griglia diagnostica', il più possibile di semplice e rapida applicazione, è generalmente avvertita. Vedremo più avanti quali sono le difficoltà che ostacolano questo obiettivo e le possibili soluzioni parziali e, forse, provvisorie.

Vogliamo ora soffermarci brevemente sui motivi che rendono estremamente utile e importante definire un elenco di malattie o sindromi che servano di riferimento alla classificazione diagnostica.

1. Intanto appare del tutto evidente che in ogni ambito della scienza e della conoscenza riuscire a 'fare ordine' è premessa quasi necessaria ad ogni progresso.

Così è stato per la botanica (Linneo), per la chimica (Mendeleieff) e per la stessa medicina. La conoscenza delle singole malattie e la possibilità di distinguerle è all'origine del progresso degli ultimi cento anni. Dapprima le scoperte della microbiologia hanno consentito di individuare gli agenti causali specifici di molte malattie infettive (malaria, tubercolosi, colera, sifilide,ecc.); contemporaneamente i progressi dell'anatomia patologica chiarivano le lesioni caratteristiche delle diverse affezioni nei tessuti e negli organi interessati. Lo studio del decorso, dell'evoluzione, della sintomatologia, dell'epidemiologia, contribuiva a migliorare il profilo clinico di ciascuna malattia ed a ricercare rimedi e terapie causali e non più, o non solo, sintomatiche. Dopo le malattie infettive, le nuove tecniche di indagine allargarono le ricerche ad altri ambiti della patologia: endocrine, metaboliche, le cromosomopatie...

Restano ancora in parte meno conosciuti la patologia eredodegenerativa ed oncologica. Rispetto ai progressi notevoli compiuti dalle scienze mediche e chirurgiche, minori risultati si sono realizzati nello studio e nella cura delle malattie mentali, anche se (dopo il parziale insuccesso delle cosiddette terapie biologiche: per es. piretoterapia, shock) l'introduzione degli psicofarmaci fin dagli anni cinquanta ha determinato un miglioramento nell'assistenza e nel controllo dei malati, ma non anche nella nosografia.

2. La diagnosi medica si fonda su alcuni punti di repere: etiologia, anatomia patologica, sintomatologia, prognosi. Se ci si rifà  all'evoluzione storica della clinica, si constata che in un primo tempo le malattie venivano differenziate sulla base del sintomo o della sindrome predominante, almeno fin quando non si riusciva a scoprirne la causa. Così, ad esempio, per la tubercolosi, definita un tempo consunzione per l'aspetto emaciato dei malati. Questo procedimento si è dimostrato utile in medicina interna ma non altrettanto nella psichiatria dell'età evolutiva, in cui una stessa sindrome o un medesimo sintomo spesso trae origine da molteplici fattori etiopatogenetici variamente collegati. Già nell'ambito della psichiatria generale la classificazione delle malattie appare problematica e controversa: da qui i tentativi di adottare schemi e metodi che si vorrebbero applicare anche alla psichiatria infantile, come il DSM IV.

Nella psichiatria dell'età evolutiva le incertezze ed i contrasti non si limitano a particolari ambiti nosografici, ma riguardano quasi tutta la patologia, anche per le affezioni su cui sembrava non dovessero esistere dubbi o riserve. Non è infatti solo in tema di psicosi o di disarmonie evolutive che i pareri sono discordi, le delimitazioni incerte, i confini vaghi, ma anche nell'ambito delle turbe caratteriali, relazionali, emotive e persino nel gruppo delle insufficienze mentali.

3. Di fronte a queste obbiettive difficoltà molti preferiscono concentrare ogni sforzo nello studio della personalità del singolo caso, in vista di un più proficuo trattamento, ignorando disquisizioni e bizantinismi che contrappongono le varie scuole e correnti. Sono soprattutto gli operatori con formazione psicodinamica che tendono a svalorizzare la nosografia ritenuta inutile o impossibile e, comunque, allo stato, del tutto controproducente ai fini della presa in carico. Agli psicoanalisti negli ultimi tempi si sono affiancati, con motivazioni ed atteggiamenti diversi, anche i comportamentisti ed i terapisti della famiglia, che valorizzano essenzialmente i dati salienti del disturbo, prescindendo da ogni sforzo o tentativo di classificarlo.

Questo rifiuto, o messa tra parentesi, della nosografia si rifà sovente a presupposti teorici ma, a volte, è espressione di un orientamento più generale che possiamo definire, con Maslow, come "la tendenza a non rubricare ad a non essere rubricati". 

 

  Foto: A. Maslow

 

Secondo questa impostazione (che alcuni  giudicano antiscientifica) descrivere catalogando sarebbe una falsa norma di conoscenza, anzi una "non conoscenza": collocare una persona in un sistema richiede meno sforzo che conoscerla nella sua realtà. Così facendo, infatti, ci si focalizza sulla categoria di cui quella persona è considerata un esemplare, ma non sulla persona in se stessa, sulle somiglianze anziché sulle differenze.

4. Anche se il culto della nosografia sembra aver perso consensi e fautori, non mancano ancora oggi quanti promuovono convegni, ricerche, confronti statistici, tentativi di classificazioni, ricercando con fatica e pazienza criteri generalizzabili ed aggiornati per addivenire ad una nomenclatura e ad una 'griglia' diagnostica. Costoro sono convinti, certo in buona fede, che un simile tentativo sia necessario e possa essere coronato da successo e possa far cessare equivoci e confusioni originate dalla difformità nei criteri diagnostici adottati nei centri ambulatoriali o ospedalieri.

Di fronte a questi due schieramenti opposti, di chi tende a trascurare la nosografia e di chi, al contrario, tenta di coltivarla per perfezionarla, ci sembra di dover assumere un atteggiamento più flessibile. La classificazione e la nosografia non sono a nostro giudizio un falso problema, ma un problema aperto, suscettibile di progressi (forse non di soluzioni definitive ed assolute), che non dovrebbe, in nessun caso, bloccare o irrigidire in schemi precostituiti individualità morbose che hanno sempre caratteristiche peculiari e irripetibili.

5. Appaiono reali e difficilmente superabili gli ostacoli che si frappongono all'adozione di una classificazione esaustiva e da tutti condivisibile. Tra questi ostacoli ricordiamo: la varietà delle impostazioni dottrinarie e degli approcci di studio, la reciproca interferenza (ancora non ben nota) tra fattori somatobiologici e fattori ambientali, la insufficienza delle nostre conoscenze (che trapela nell'uso di termini come 'pseudo-insufficienza mentale', 'pre-psicosi', 'borderline', e di aggettivi come 'sfumato', 'mascherato', 'marginale', ecc.) e dalla intrinseca complessità e variabilità della psicopatologia infanto-giovanile.

Vi è poi il rischio che la rinuncia ad ogni sforzo di pervenire (nel caso allo studio e, più in generale, come impostazioni teorica) ad una ipotesi classificatoria derivi, più o meno inconsapevolmente, da una sorta di pigrizia mentale. Fare una semplice elencazione di sintomi è ben spesso più comodo e meno impegnativo. Parlare di un ragazzo in termini di "io debole" o limitarsi a descrivere una reazione o una regressione spesso è necessario ma può anche non essere sufficiente se non si riesce ad approfondirne la struttura della personalità, al di là delle categorie psicodinamiche o di espressioni un po' tautologiche (paziente designato), riuscendo a inquadrarle in una categoria diagnostica generale, pur provvisoria.

Si ha la sensazione che anche in Italia ci si è adeguati alla tendenza degli autori anglosassoni, che negli anni sessanta e settanta hanno rifiutato  i modelli elaborati dagli europei, e solo negli anni seguenti, nell'ondata del riflusso, stanno rivalutando, esasperandola, l'esigenza di schemi 'multiassiali' di classificazione.

Nel periodo della contestazione della psichiatria tradizionale e custodialistica veniva, del resto, anche in Europa, messa in discussione la validità e l'importanza delle etichette e di taluni strumenti diagnostici (ad esempio, i test mentali).

Vi fu, in quegli anni, una specie di furore iconoclasta che sembrava dovesse definitivamente accantonare schematismi eccessivi e spesso ingiustificati e considerava annullata, o almeno ridotta, la differenza tra salute e malattia mentale, considerate come un continuum fluido e flessibile. Sfrondato il campo da talune esagerazioni, negli ultimi tempi vi è stato un più equilibrato atteggiamento critico che valorizza gli apporti della psicopatologia classica, temperati da un atteggiamento più pragmatico e aperto. Ultimamente negli Stati Uniti è diminuita l'influenza della psicoanalisi a vantaggio del comportamentismo nelle sue varie espressioni.

Da qui, il rinnovato interesse per la classificazione dei disturbi mentali. Tuttavia mentre le teorie psicoanalitiche possono consentirci di chiarire il 'come' del disturbo, quelle comportamentistiche non sempre ci aiutano a capirne il 'perché'.

A noi sembra che debbano, almeno per ora, essere mantenuti e utilizzati i pilastri, certo deboli, su cui poggiava la psicopatologia generale, con taluni aggiornamenti ed integrazioni particolari per l'età evolutiva, come fanno alcuni autori europei più autorevoli (come De Ajuriaguerra). 

 

  Foto: De Ajuriaguerra

 Bisogna riconoscere che psicopatologia dinamica e nosografia non sono inconciliabili ma si pongono su piani diversi, ciascuna con proprie finalità. Inoltre si deve ammettere l'incidenza delle inclinazioni personali che orientano verso la valorizzazione o la svalutazione dei criteri nosografici. Le mentalità più schematiche si adagiano facilmente su comode quanto rigide e artificiose classificazioni, mentre le personalità scettiche non nutrono eccessiva fiducia sulla possibilità di incasellamento. Più generalmente, e quindi con maggiore arbitrio, si può anche ipotizzare che l'inclinazione all'ottimismo e la tendenza all'oggettività si conciliano con un orientamento favorevole al nosografismo, al contrario del pessimismo e del subiettivismo. E' evidente, poi, che ogni adesione acritica a questa o quella ideologia o corrente di pensiero psichiatrico così come certi fanatismi esclusivistici costituiscono il terreno meno adatto per un equilibrato accostamento agli studi nosografici.

Qualche analogia ci sembra si possa richiamare con le questioni poste in psicologia dell'età evolutiva sulla possibilità di definire i profili intellettivi e di personalità delle varie età. Ormai, dopo i fondamentali contributi di Piaget, ogni controversia può considerarsi superata nel senso che i confini e le tappe cronologiche evolutive, pur essendo abbastanza conosciute e caratteristiche per ogni età, si presentano con tempi e modi particolari per ogni soggetto. 

  Foto: J. Piaget

Queste differenze non impediscono la descrizione del pensiero e del comportamento infantile alle varie età. Allo stesso modo possiamo accogliere la possibilità di fissare in termini standardizzati una iconografia di massima dei quadri clinici, malgrado la plasmabilità della personalità in evoluzione che rende alquanto flou ed in continua rielaborazione il mondo interiore del fanciullo, rendendone difficile la 'messa a fuoco', specie per gli aspetti abnormi. Ciò non esclude la prospettiva di un progressivo perfezionamento dell'attuale nosografia; al contrario si può prevedere che molte incertezze e perplessità potranno essere superate.

Cento anni addietro, agli albori della fotografia, le istantanee delle figure in movimento riuscivano mosse e sfocate. Oggi il progresso della tecnica consente di riprendere con ottimi risultati queste scene.

6. Alla luce delle considerazioni svolte, crediamo di dover respingere le tesi estreme del rifiuto di ogni nosografia, così come la pretesa di un nosografismo accanito. In atto converrà mantenere l'approccio sindromico facendo riferimento al concetto di 'unità naturale della malattia', quando ciò è possibile. Nella maggior parte dei casi in cui, ad esempio, mancano ancora dati certi sull'etiopatogenesi, sarà solo la costellazione dei sintomi ad orientare la diagnosi.

Le grandi sindromi descritte nella trattatistica antica e recente conservano, dunque, la loro validità e rappresentano l'ossatura nosografica di base.

Le elenchiamo sommariamente:

le insufficienze mentali;

le psicosi;

le depressioni ed i più rari stati di esaltazione maniacale;

le strutturazioni e le reazioni nevrotiche;

le malattie psicosomatiche.

Più controverso è il capitolo delle disarmonie evolutive e quello delle demenze e delle caratteropatie.

Accanto a queste sindromi, che naturalmente assumono manifestazioni diverse anche in rapporto all'età, vi è poi una serie di turbe che interessano varie funzioni: alimentazione, sonno, psicomotricità, sessualità, controllo sfinterico, linguaggio. Ci sembra che, almeno provvisoriamente, questa classificazione adottata da De Ajuriaguerra possa essere accettata e condivisa come soluzione pragmatica.

Non riteniamo invece, come già affermato, che il DSM III e il DSM IV, elaborati per iniziativa dell'American Psychiatric Association, al pari delle altre proposte di classificazione dei disturbi mentali, possano costituire una soluzione soddisfacente almeno per quanto riguarda l'età evolutiva.

Il DSM IV contiene un ampio capitolo sui "Disturbi che esordiscono di solito nell'infanzia, fanciullezza ed adolescenza".

Esso è stato presentato in Italia come "strumento diagnostico efficace ed insostituibile", pur esprimendo una cultura psichiatrica diversa da quella prevalente in Europa ed in Italia segnatamente; sono emerse perplessità e critiche dopo le prime applicazioni. Non sembra pertanto che il DSM IV possa ritenersi la risposta alla diffusa esigenza di classificazione poiché ripropone equivoci e ambiguità che derivano dalle conoscenze insufficienti sull'etiopatogenesi delle malattie infantili. Esso è, in sostanza, uno strumento solo in apparenza neutro, che tenta di conciliare concezioni teoriche ed approcci diversi, pur presentandosi ambiziosamente, come una summa di psichiatria senza alcuna pregiudiziale.

Il suo limite principale consiste nel ricondurre tutto il funzionamento mentale del bambino al suo comportamento, trascurandone la dinamica e il contesto ambientale. A noi pare che esso rifletta essenzialmente orientamenti culturali prevalenti in Nord America. Inoltre, pur essendo finalizzati all'individuazione dei sintomi, può orientare verso condotte terapeutiche ed operative che privilegiano particolari ipotesi patogenetiche.

Questi rischi appaiono ancor più gravi se si considera che il DSM IV viene presentato come strumento utilizzabile anche da operatori socio-sanitari privi di specifica competenza psichiatrica.

Nella nostra esperienza abbiamo rilevato che esistono una serie di difficoltà, in gran parte insormontabili, che ostacolano l'applicazione del DSM IV nell'infanzia e nella fanciullezza, giustificando pertanto alcune obiezioni anche alla sua validità teorica.

Ne indichiamo sommariamente le principali:

1. in psicopatologia infantile lo stesso comportamento può essere giudicato normale o morboso, non soltanto per la sua persistenza o intensità, ma anche in riferimento ad alcuni parametri peculiari (età in cui si manifesta, contesto familiare e relazionale, associazione con altri fenomeni, rapporto con eventi scatenanti...).

2. Quando anche venga giudicato espressione di condizione morbosa, lo stesso fenomeno può rilevarsi nelle più diverse sindromi o entità nosografiche (ad es.: talune fobie, turbe dell'alimentazione, rifiuto della scuola).

3. Ciascuno neuropsichiatra infantile utilizza, più o meno esplicitamente o inconsapevolmente, criteri di riferimento ispirati alle sue impostazioni concettuali.

Anche nell'inquadrare questo o quel fenomeno egli, dunque, si riferirà a quell'approccio che più lo convince (organicistico, behavioristico, freudiano, sistemico) e che finisce con l'orientare la valutazione e quindi il criterio diagnostico nell'operatività giornaliera.

Se, dunque, queste e altre difficoltà e resistenze impediscono o ostacolano un criterio di classificazione da tutti accettabile, possiamo chiederci se è possibile che qualsiasi manuale diagnostico possa essere utilizzato da tutti gli operatori della salute mentale infantile, almeno fin quando persisteranno nette diversità tra le varie correnti della psicopatologia.

Noi crediamo che questo obiettivo non sia almeno per il momento perseguibile; diventa allora inutile e fuorviante porselo o pretendere di imporlo. Qualunque soluzione proposta deve almeno fare esplicito riferimento alle teorie cui si ispira: potrà essere così condivisa ed applicata da quanti vi si riconoscono.

Così avrebbe dovuto essere per il DSM IV, presentato come uno strumento buono per tutti, mentre esso è chiaramente fondato su impostazioni comportamentistiche. Chi non le condivide preferisce accontentarsi di una classificazione puramente, o al più parzialmente, sindromica, evitando scelte diagnostiche che possono alimentare confusioni o ambiguità.

Così è per quanti valorizzano i fattori evolutivi e maturativi e riconoscono l'importanza del contesto socio-culturale e delle componenti reattive.

D'altra parte la prevalenza dei sintomi subiettivi, di difficile valutazione, suggerisce l'opportunità di accontentarsi di un glossario comune per la loro definizione per favorire lo scambio di esperienze, rinunciando per il momento a strumenti più complessi e controversi (come il DSM IV). Già un repertorio unificato dei sintomi favorirebbe l'adozione di una terminologia definita e concordata, costringendo ad uno sforzo di precisione anche concettuale. Riteniamo che un manuale diagnostico come il DSM IV, patrocinato dai nuovi kraepeliniani, tende a riproporre e a generalizzare modelli di matrice organicistica che non condividiamo.

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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