Il
presente contributo del Prof. Scarcella è un estratto dell'articolo
"Neuropsichiatria infantile e delinquenza minorile", apparso su
"Esperienze di Rieducazione. Rivista trimestrale di studi e documenti
sulla protezione dei minori e sulla prevenzione della delinquenza
minorile" (fasc. 4 anno XXIV, ottobre-dicembre 1977).
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In questo schema storico-ideologico di riferimento vanno
lette criticamente la nascita, la definizione e l'ambito di intervento
della N.I. che, come nuovo specifico - similmente alla psichiatria degli
adulti -, individua e in un certo senso costruisce il suo oggetto (la
problematica infantile); lettura critica nel senso di esplicitare
continuamente il nesso tra contesto storico-politico, elaborazione teorica
(il presunto corpo dottrinario) e pratica sociale.
Non è un caso, che la N.I. nasce e si fonda come
<<scienza>> in diretto collegamento con i problemi posti
dall'estendersi dei fenomeni di devianza, di dissenso e anche di disagio e
malattia, alla fascia dell'età evolutiva.
L'industrializzazione, che segna il passaggio dalla fase
paleocapitalistica ad una organizzazione produttiva a capitalismo più
avanzato, ha significato una profonda modificazione dei rapporti
produttivi e di mercato, ma anche dei rapporti sociali e di classe, nei
loro meccanismi di stabilizzazione e consenso e nella loro riproduzione,
di volta in volta aggiornata nelle forme e modalità, ma invariata nei
contenuti e nelle funzioni.
L'ampliamento dei mercati e degli scambi, l'intenso
sfruttamento della forza-lavoro, l'avvio su vasta scala
dell'industrializzazione e meccanizzazione di molteplici settori della
produzione (anche nelle campagne) hanno comportato: la forzata e massiccia
urbanizzazione (o meglio ghettizzazione urbana: ridistribuzione degli
spazi, dei tempi e dei luoghi); la profonda modificazione della
struttura familiare, consistente non solo nel classico passaggio dalla
famiglia patriarcale a quella nucleare (trasformazione dei ruoli e della
loro trasmissione), ma nelle modalità e contenuti dei processi di
socializzazione, nella normatività di riferimento (spesso più rigida e
cristallizzata della precedente, con riduzione degli spazi di autonomia e
libera espressività), nella collocazione stessa
dell'istituzione-famiglia rispetto alla organizzazione produttiva
(assicurare efficacemente il riciclaggio e la riproduzione di pura
forza-lavoro da utilizzare, fino all'esaurimento, nella produzione e
riproduzione di profitto e capitale); il lavoro e lo sfruttamento delle
donne e dei bambini; insomma nell'ampliamento della fascia di
marginalizzazione anche, per quel ce qui più ci interessa, all'età
evolutiva.
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La N.I. nasce in questo
contesto storico-politico ed è di esso espressione ideologica e
tecnica: in America, per i problemi posti dalla delinquenza
minorile, il neuropsichiatra infantile emerge come figura operativa
nelle case di rieducazione (le <<child guidance clinics>>);
in Francia per interpretare e gestire i guasti e le ineguaglianze
dei processi delle scolarizzazioni di massa e quindi delle pratiche
di emarginazione dalla scuola (nasce qui la pretesa illuministica di
misurare l'intelligenza, come dote-qualità-quantità innata, e
Binet produce il ben noto test per la determinazione del quoziente
intellettivo: per i valori bassi della scala non era necessario
ricercare spiegazioni o profonde ingiustizie sociali, ma solo
rassegnarsi o maledire il cielo!).
In Italia, la N.I. comincia a differenziarsi dalla
neurologia e dalla psichiatria degli adulti agli inizi del secolo e
si conquista uno spazio specifico operativo direttamente nelle
istituzioni: si può dire, insomma, che essa nasce fondamentalmente
nel momento applicativo e di intervento (e vedremo poi di che tipo),
mutuando e utilizzando schemi ideologici, classificazioni, <<verità>>
dalle discipline madri; ed è proprio dall'applicazione clinica che
essa tenta d ricostruire e fondare uno specifico scientifico.
Differente però è, per molti versi, rispetto
alle scienze madri, il contesto politico e culturale: dal 1890 lo
Stato post-unitario riorganizza e legifera in materia di assistenza,
avviando quella politica di tipo assistenzialistico, che sarà
ulteriormente rafforzata nel ventennio fascista; il grande esodo
verso l'oltre oceano e lo spopolamento delle campagne lacerano e
disgregano il precedente tessuto sociale e produttivo; nello
specifico, Freud, con i saggi sulla sessualità infantile
(1905-1908), rompe l'isolamento del bambino e delle sue
problematiche, ne svela alcune fondamentali peculiarità, aiutando a
comprendere i complessi processi dello sviluppo psico-affettivo, ma
- al tempo stesso - individua l'età evolutiva come momento centrale
e anello debole del rapporto natura-società, in una
concettualizzazione meccanicista e manichea, in quanto statica
e drasticamente tagliata fuori dalla storia.
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La società, con le sue regole e norme
che non si mettono in discussione, è intrinsecamente contro natura
(ma di quale natura si parla?) e l'età evolutiva è il periodo di
maggior scontro tra istanze contrapposte e quindi influenza e
determina tutto il resto della vita del soggetto.
Per certi versi, quindi, la teoria psicoanalitica
ha il merito di introdurre elementi di comprensione delle
problematiche dell'età evolutiva, collegandola strettamente ai
processi di sviluppo e maturazione, sottolineandone la specificità
e rifiutando di utilizzare gli schemi di comprensione tagliati
sull'adulto, d'altra parte essa colloca il bambino (e con esso
l'adulto che meccanicamente, necessariamente ed eternamente ne
discende) fuori della storia, assolutizzandolo come terreno e luogo
dello scontro uomo-natura- società, dato per inevitabile, ed
impedendo così una ristoricizzazione di questo scontro, tramite
l'analisi critica ed approfondita dei nessi tra sviluppo
psicomotorio, affettivo e cognitivo, processi di socializzazione,
regole e norme storicamente date di una certa società e le
istituzioni predisposte per l'infanzia (scuola, famiglia, ecc.).
Questa impostazione, come schema concettuale ed
apparato ideologico, ha quindi profondamente influenzato le
modalità di approccio e comprensione all'età evolutiva (nel
sorgere dello specifico della N.I.) e le istituzioni della
socializzazione infantile. Ed è proprio nel rapporto tra questo
contesto di riferimento, il periodo storico e la necessità di
occuparsi (nel senso della assistenza-controllo) dei bambini, - come
fascia di età sempre più esposta nelle dinamiche sociali ad alto
rischio di emarginazione e come anello focale nei processi di
adattamento-organizzazione del consenso - , che bisogna cogliere lo
statuto scientifico della N.I. e la pratica sociale degli operatori
neuropsichiatri infantili nelle istituzioni. Senza questo supporto
critico, lo stesso rapporto tra N.I. e D.M. finisce con l'esaurirsi
in un ambito tecnico, nella ricerca di nuovi strumenti di
prevenzione (o di repressione preventiva), diagnosi e cura di un
problema che tecnico non è.
Reparti ostetrici e pediatrici, brefotrofi,
famiglia, asili, scuola, classi differenziali e speciali, centri
spastici, istituti, manicomi sono i luoghi dove ricercare questo
nesso, nel concreto delle pratiche, degli interventi e dei
risultati.
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E' necessario sottolineare quella che, a nostro
parere, sembra essere una linea di tendenza che va sempre più
manifestandosi: l'espansione e la capillarizzazione dell'intervento
psichiatrico conseguente alla definizione medica di tutta una serie
di problemi dell'infanzia. Dal bambino sfruttato sul lavoro, nelle
campagne, nei negozi, nelle piccole aziende artigiane o come
manovalanza della criminalità organizzata ed
<<adulta>>; al bambino-oggetto-di-consumo ed al tempo
stesso consumatore dei prodotti del mercato che, gradualmente,
trasformano i suoi bisogni, una volta frantumati e parcellizzati, in
bisogni della produzione; al bambino degli scippi e delle bande
organizzate del sottoproletariato urbano; al bambino
<<malato>> di irrequietezza, di insonnia, di enuresi, di
svogliatezza, di testardaggine, di opposizione, di isolamento (al
quale somministrare a profusione test, elettroencefalogrammi e
psicofarmaci) esiste tutta una serie di passaggi e di mediazioni,
espressive di volta in volta delle ridefinizioni ideologiche e delle
nuove modalità di controllo sociale e di negazione dei bisogni
(dallo sfruttamento alla criminalizzazione e alla medicalizzazione)
che vanno analizzate con rigore ed articolate alla conoscenza
puntuale ed attenta delle tappe che legano la famiglia, la scuola
agli istituti ed al manicomio.
La N.I. in Italia, quindi, è in espansione, ma al
tempo stesso in crisi: crisi profonda che comporta una messa in
discussione di una serie di valori, ideologie e pseudocertezze.
Intanto, anche tra gli operatori della N.I. le lotte del movimento
democratico per la salute hanno focalizzato l'interesse su alcuni
obiettivi di fondo: l'urgenza delle riforme (della sanità,
dell'assistenza, ma anche della scuola e della giustizia minorile),
l'esigenza di privilegiare il momento preventivo, di combattere le
istituzioni segreganti, l'importanza del lavoro sul territorio
(ancora solo uno slogan abusato), l'unitarietà, il decentramento e
la gestione sociale dei servizi, con la partecipazione degli utenti,
adulti e minori. Sono stati messi in discussione il ruolo dei
tecnici, la delega loro affidata quali mediatori del consenso,
l'esigenza di una profonda revisione della formazione professionale
per un lavoro d'equipe.
Alla fase della onnipotenza velleitaria e
trionfalistica sta subentrando una più corretta definizione degli
ambiti d'intervento, nel quadro più ampio della sfera della salute
mentale della difesa dei diritti del bambino. In questa
direzione si pone l'impegno per la lotta allo svantaggio
socio-culturale (conseguenza degli squilibri dello sviluppo) e alla
emarginazione e per il potenziamento dei servizi per la prevenzione,
la diagnosi precoce e la riabilitazione, considerate unitariamente.
Gli stessi organi associativi, come la Società Italiana di
Neuropsichiatria Infantile (rinnovatasi dopo il Congresso di Torino
dell'ottobre 1976), hanno posto l'esigenza della graduale
riconversione della tradizionale impostazione accademica col
riconoscimento dei limiti dell'insegnamento cattedratico e delle
scuole di specializzazione, il ritardo culturale e scientifico degli
istituti universitari, anche nella didattica e nella ricerca.
La messa in discussione della nosografia, il
riconoscimento e svelamento degli abusi della psicofarmacologia (con
la distribuzione indiscriminata di tranquillanti ai bambini), i
dibattito sulla inutilità e spesso nocività del ricorso ad alcune
tecniche diagnostiche (dai test di livello all'EEG), l'importanza
riconosciuta al lavoro di gruppo, la carenza dei servizi (dagli
asili-nido alle scuole materne, dal verde pubblico alle attrezzature
sportive e ricreative, ad una scuola realmente integrata e a tempo
pieno) sono tutti momenti di consapevolezza e di autocritica che,
insieme ad altri fattori, hanno messo in moto una positiva crisi di
identità della N.I. che, nei suoi settori meno retrivi e
mercantili, si interroga sul suo ruolo e sull'esigenza di un
radicale rinnovamento sociale e politico.
Nel campo operativo della N.I. convivono dunque
posizioni, tendenze e pratiche di segno opposto, sulle quali si è
già sviluppata la polemica; è comunque ancora necessario e urgente
formulare precise denunce: contro l'utilizzazione a tappeto, anche
su bambini molto piccoli, di psicofarmaci pericolosi e nocivi;
contro le nuove forme di selezione e di emarginazione nella scuola
(le classi di recupero e di rotazione); contro la riverniciatura
degli istituti in <<aperti>> e <<terapeutici>>
(caso mai con la televisione a circuito interno nelle camere!).
Ma anche, e questo non può essere sottaciuto,
contro la nuova ondata di pratiche psicochirurgiche, violente e non
scientifiche nelle tecniche così come nei presupposti, in quanto
tali pratiche sono fondate sulla convinzione che il sintomo
(irrequietezza psicomotoria, aggressività, ecc.) sia risultato puro
e meccanico dei processi intracerebrali dell'attività neuronale,
senza alcun rapporto con le condizioni ambientali, per cui ogni
mezzo capace di controllare e modificare il cattivo
sintomo-comportamento sarebbe lecito e fondato. Esemplificativa è
la selezione dei casi da sottoporre alle tecniche psicochirurgiche:
prevalentemente donne (più del 70% degli operati), bambini (la
maggior parte in età inferiore ai cinque anni), omosessuali,
prigionieri, ecc.
<<La psicochirurgia - come sinteticamente
riassume Goldestein (1) - è scientificamente infondata perché
nessuno conosce realmente i suoi effetti sul cervello; medicalmente
insostenibile perché non è fondata su alcun principio terapeutico
(viene rivendicata come una terapia magica per tutto: schizofrenia,
epilessia temporale, depressione grave, dolore intrattabile,
neurosi, ipercinesi dei bambini): eticamente scorretta perché
falsamente presentata come una terapia efficace; e politicamente
pericolosa perché è un potente strumento del controllo del
comportamento>>.
Si riconoscono comunque linee di tendenza,
positive nel vasto movimento di rifondazione teorico-pratico della
N.I. (basato sul rifiuto di avallare od accelerare processi di
segregazione-istituzionalizzazione, di occultare, sotto definizioni
mediche, problematiche e contraddizioni di altra natura) che
permettono di individuare il terreno certamente più avanzato di
impegno e di ricerca per un nuovo stile di lavoro e diverse
modalità di produzione e socializzazione delle conoscenze.
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Note bibliografiche:
(1) D.J. Goldestein, Neurobiologia e scienze
sociali, in <<Sapere>>, maggio 1977, ed. Dedalo.
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