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LA NEUROPSICHIATRIA INFANTILE ED IL SUO OGGETTO (1977)

 

di Mario Scarcella* 

 

già Professore Ordinario di Neuropsichiatria Infantile - Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche - Università di Bari

                                            

   

Il presente contributo del Prof. Scarcella è un estratto dell'articolo "Neuropsichiatria infantile e delinquenza minorile", apparso su "Esperienze di Rieducazione. Rivista trimestrale di studi e documenti sulla protezione dei minori e sulla prevenzione della delinquenza minorile" (fasc. 4 anno XXIV, ottobre-dicembre 1977).

In questo schema storico-ideologico di riferimento vanno lette criticamente la nascita, la definizione e l'ambito di intervento della N.I. che, come nuovo specifico - similmente alla psichiatria degli adulti -, individua e in un certo senso costruisce il suo oggetto (la problematica infantile); lettura critica nel senso di esplicitare continuamente il nesso tra contesto storico-politico, elaborazione teorica (il presunto corpo dottrinario) e pratica sociale.

Non è un caso, che la N.I. nasce e si fonda come <<scienza>> in diretto collegamento con i problemi posti dall'estendersi dei fenomeni di devianza, di dissenso e anche di disagio e malattia, alla fascia dell'età evolutiva.

L'industrializzazione, che segna il passaggio dalla fase paleocapitalistica ad una organizzazione produttiva a capitalismo più avanzato, ha significato una profonda modificazione dei rapporti produttivi e di mercato, ma anche dei rapporti sociali e di classe, nei loro meccanismi di stabilizzazione e consenso e nella loro riproduzione, di volta in volta aggiornata nelle forme e modalità, ma invariata nei contenuti e nelle funzioni.

L'ampliamento dei mercati e degli scambi, l'intenso sfruttamento della forza-lavoro, l'avvio su vasta scala dell'industrializzazione e meccanizzazione di molteplici settori della produzione (anche nelle campagne) hanno comportato: la forzata e massiccia urbanizzazione (o meglio ghettizzazione urbana: ridistribuzione degli spazi, dei tempi e dei luoghi); la profonda modificazione della struttura familiare, consistente non solo nel classico passaggio dalla famiglia patriarcale a quella nucleare (trasformazione dei ruoli e della loro trasmissione), ma nelle modalità e contenuti dei processi di socializzazione, nella normatività di riferimento (spesso più rigida e cristallizzata della precedente, con riduzione degli spazi di autonomia e libera espressività), nella collocazione  stessa dell'istituzione-famiglia rispetto alla organizzazione produttiva (assicurare efficacemente il riciclaggio e la riproduzione di pura forza-lavoro da utilizzare, fino all'esaurimento, nella produzione e riproduzione di profitto e capitale); il lavoro e lo sfruttamento delle donne e dei bambini; insomma nell'ampliamento della fascia di marginalizzazione anche, per quel ce qui più ci interessa, all'età evolutiva. 

 

  La N.I. nasce in questo contesto storico-politico ed è di esso espressione ideologica e tecnica: in America, per i problemi posti dalla delinquenza minorile, il neuropsichiatra infantile emerge come figura operativa nelle case di rieducazione (le <<child guidance clinics>>); in Francia per interpretare e gestire i guasti e le ineguaglianze dei processi delle scolarizzazioni di massa e quindi delle pratiche di emarginazione dalla scuola (nasce qui la pretesa illuministica di misurare l'intelligenza, come dote-qualità-quantità innata, e Binet produce il ben noto test per la determinazione del quoziente intellettivo: per i valori bassi della scala non era necessario ricercare spiegazioni o profonde ingiustizie sociali, ma solo rassegnarsi o maledire il cielo!).

In Italia, la N.I. comincia a differenziarsi dalla neurologia e dalla psichiatria degli adulti agli inizi del secolo e si conquista uno spazio specifico operativo direttamente nelle istituzioni: si può dire, insomma, che essa nasce fondamentalmente nel momento applicativo e di intervento (e vedremo poi di che tipo), mutuando e utilizzando schemi ideologici, classificazioni, <<verità>> dalle discipline madri; ed è proprio dall'applicazione clinica che essa tenta d ricostruire e fondare uno specifico scientifico.

Differente però è, per molti versi, rispetto alle scienze madri, il contesto politico e culturale: dal 1890 lo Stato post-unitario riorganizza e legifera in materia di assistenza, avviando quella politica di tipo assistenzialistico, che sarà ulteriormente rafforzata nel ventennio fascista; il grande esodo verso l'oltre oceano e lo spopolamento delle campagne lacerano e disgregano il precedente tessuto sociale e produttivo; nello specifico, Freud, con i saggi sulla sessualità infantile (1905-1908), rompe l'isolamento del bambino e delle sue problematiche, ne svela alcune fondamentali peculiarità, aiutando a comprendere i complessi processi dello sviluppo psico-affettivo, ma - al tempo stesso - individua l'età evolutiva come momento centrale e anello debole del rapporto natura-società, in una concettualizzazione  meccanicista e manichea, in quanto statica e drasticamente tagliata fuori dalla storia. 

 

La società, con le sue regole e norme che non si mettono in discussione, è intrinsecamente contro natura (ma di quale natura si parla?) e l'età evolutiva è il periodo di maggior scontro tra istanze contrapposte e quindi influenza e determina tutto il resto della vita del soggetto.

Per certi versi, quindi, la teoria psicoanalitica ha il merito di introdurre elementi di comprensione delle problematiche dell'età evolutiva, collegandola strettamente ai processi di sviluppo e maturazione, sottolineandone la specificità e rifiutando di utilizzare gli schemi di comprensione tagliati sull'adulto, d'altra parte essa colloca il bambino (e con esso l'adulto che meccanicamente, necessariamente ed eternamente ne discende) fuori della storia, assolutizzandolo come terreno e luogo dello scontro uomo-natura- società, dato per inevitabile, ed impedendo così una ristoricizzazione di questo scontro, tramite l'analisi critica ed approfondita dei nessi tra sviluppo psicomotorio, affettivo e cognitivo, processi di socializzazione, regole e norme storicamente date di una certa società e le istituzioni predisposte per l'infanzia (scuola, famiglia, ecc.).

Questa impostazione, come schema concettuale ed apparato ideologico, ha quindi profondamente influenzato le modalità di approccio e comprensione all'età evolutiva (nel sorgere dello specifico della N.I.) e le istituzioni della socializzazione infantile. Ed è proprio nel rapporto tra questo contesto di riferimento, il periodo storico e la necessità di occuparsi (nel senso della assistenza-controllo) dei bambini, - come fascia di età sempre più esposta nelle dinamiche sociali ad alto rischio di emarginazione e come anello focale nei processi di adattamento-organizzazione del consenso - , che bisogna cogliere lo statuto scientifico della N.I. e la pratica sociale degli operatori neuropsichiatri infantili nelle istituzioni. Senza questo supporto critico, lo stesso rapporto tra N.I. e D.M. finisce con l'esaurirsi in un ambito tecnico, nella ricerca di nuovi strumenti di prevenzione (o di repressione preventiva), diagnosi e cura di un problema che tecnico non è.

Reparti ostetrici e pediatrici, brefotrofi, famiglia, asili, scuola, classi differenziali e speciali, centri spastici, istituti, manicomi sono i luoghi dove ricercare questo nesso, nel concreto delle pratiche, degli interventi e dei risultati.

E' necessario sottolineare quella che, a nostro parere, sembra essere una linea di tendenza che va sempre più manifestandosi: l'espansione e la capillarizzazione dell'intervento psichiatrico conseguente alla definizione medica di tutta una serie di problemi dell'infanzia. Dal bambino sfruttato sul lavoro, nelle campagne, nei negozi, nelle piccole aziende artigiane o come manovalanza della criminalità organizzata ed <<adulta>>; al bambino-oggetto-di-consumo ed al tempo stesso consumatore dei prodotti del mercato che, gradualmente, trasformano i suoi bisogni, una volta frantumati e parcellizzati, in bisogni della produzione; al bambino degli scippi e delle bande organizzate del sottoproletariato urbano; al bambino <<malato>> di irrequietezza, di insonnia, di enuresi, di svogliatezza, di testardaggine, di opposizione, di isolamento (al quale somministrare a profusione test, elettroencefalogrammi e psicofarmaci) esiste tutta una serie di passaggi e di mediazioni, espressive di volta in volta delle ridefinizioni ideologiche e delle nuove modalità di controllo sociale e di negazione dei bisogni (dallo sfruttamento alla criminalizzazione e alla medicalizzazione) che vanno analizzate con rigore ed articolate alla conoscenza puntuale ed attenta delle tappe che legano la famiglia, la scuola agli istituti ed al manicomio. 

La N.I. in Italia, quindi, è in espansione, ma al tempo stesso in crisi: crisi profonda che comporta una messa in discussione di una serie di valori, ideologie e pseudocertezze. Intanto, anche tra gli operatori della N.I. le lotte del movimento democratico per la salute hanno focalizzato l'interesse su alcuni obiettivi di fondo: l'urgenza delle riforme (della sanità, dell'assistenza, ma anche della scuola e della giustizia minorile), l'esigenza di privilegiare il momento preventivo, di combattere le istituzioni segreganti, l'importanza del lavoro sul territorio (ancora solo uno slogan abusato), l'unitarietà, il decentramento e la gestione sociale dei servizi, con la partecipazione degli utenti, adulti e minori. Sono stati messi in discussione il ruolo dei tecnici, la delega loro affidata quali mediatori del consenso, l'esigenza di una profonda revisione della formazione professionale per un lavoro d'equipe.

Alla fase della onnipotenza velleitaria e trionfalistica sta subentrando una più corretta definizione degli ambiti d'intervento, nel quadro più ampio della sfera della salute mentale  della difesa dei diritti del bambino. In questa direzione si pone l'impegno per la lotta allo svantaggio socio-culturale (conseguenza degli squilibri dello sviluppo) e alla emarginazione e per il potenziamento dei servizi per la prevenzione, la diagnosi precoce e la riabilitazione, considerate unitariamente. Gli stessi organi associativi, come la Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile (rinnovatasi dopo il Congresso di Torino dell'ottobre 1976), hanno posto l'esigenza della graduale riconversione della tradizionale impostazione accademica col riconoscimento dei limiti dell'insegnamento cattedratico e delle scuole di specializzazione, il ritardo culturale e scientifico degli istituti universitari, anche nella didattica e nella ricerca.

La messa in discussione della nosografia, il riconoscimento e svelamento degli abusi della psicofarmacologia (con la distribuzione indiscriminata di tranquillanti ai bambini), i dibattito sulla inutilità e spesso nocività del ricorso ad alcune tecniche diagnostiche (dai test di livello all'EEG), l'importanza riconosciuta al lavoro di gruppo, la carenza dei servizi (dagli asili-nido alle scuole materne, dal verde pubblico alle attrezzature sportive e ricreative, ad una scuola realmente integrata e a tempo pieno) sono tutti momenti di consapevolezza e di autocritica che, insieme ad altri fattori, hanno messo in moto una positiva crisi di identità della N.I. che, nei suoi settori meno retrivi e mercantili, si interroga sul suo ruolo e sull'esigenza di un radicale rinnovamento sociale e politico.

Nel campo operativo della N.I. convivono dunque posizioni, tendenze e pratiche di segno opposto, sulle quali si è già sviluppata la polemica; è comunque ancora necessario e urgente formulare precise denunce: contro l'utilizzazione a tappeto, anche su bambini molto piccoli, di psicofarmaci pericolosi e nocivi; contro le nuove forme di selezione e di emarginazione nella scuola (le classi di recupero e di rotazione); contro la riverniciatura degli istituti in <<aperti>> e <<terapeutici>> (caso mai con la televisione a circuito interno nelle camere!).

Ma anche, e questo non può essere sottaciuto, contro la nuova ondata di pratiche psicochirurgiche, violente e non scientifiche nelle tecniche così come nei presupposti, in quanto tali pratiche sono fondate sulla convinzione che il sintomo (irrequietezza psicomotoria, aggressività, ecc.) sia risultato puro e meccanico dei processi intracerebrali dell'attività neuronale, senza alcun rapporto con le condizioni ambientali, per cui ogni mezzo capace di controllare e modificare il cattivo sintomo-comportamento sarebbe lecito e fondato. Esemplificativa è la selezione dei casi da sottoporre alle tecniche psicochirurgiche: prevalentemente donne (più del 70% degli operati), bambini (la maggior parte in età inferiore ai cinque anni), omosessuali, prigionieri, ecc.

<<La psicochirurgia - come sinteticamente riassume Goldestein (1) - è scientificamente infondata perché nessuno conosce realmente i suoi effetti sul cervello; medicalmente insostenibile perché non è fondata su alcun principio terapeutico (viene rivendicata come una terapia magica per tutto: schizofrenia, epilessia temporale, depressione grave, dolore intrattabile, neurosi, ipercinesi dei bambini): eticamente scorretta perché falsamente presentata come una terapia efficace; e politicamente pericolosa perché è un potente strumento del controllo del comportamento>>.

Si riconoscono comunque linee di tendenza, positive nel vasto movimento di rifondazione teorico-pratico della N.I. (basato sul rifiuto di avallare od accelerare processi di segregazione-istituzionalizzazione, di occultare, sotto definizioni mediche, problematiche e contraddizioni di altra natura) che permettono di individuare il terreno certamente più avanzato di impegno e di ricerca per un nuovo stile di lavoro e diverse modalità di produzione e socializzazione delle conoscenze.

 

  

 

Note bibliografiche:

(1) D.J. Goldestein, Neurobiologia e scienze sociali, in <<Sapere>>, maggio 1977, ed. Dedalo.

  

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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